GPII 1979 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)


2. Paolo VI parla a noi con molti documenti del suo pontificato. Parla e parlerà ancora a lungo perché l'insegnamento in essi contenuto tocca questioni sempre attuali. Pero con questo ultimo documento parla in modo insolito. Parla come con nessun altro. Paolo VI vi racchiude l'aspetto più profondo delle questioni che egli ha trattato, delle quali ha deciso e sulle quali ha impresso il sigillo del suo ministero e della sua personalità.

Parla di sé.

In un certo modo instaura un ultimo dialogo, un ultimo colloquio con tutta la sua vita terrena. Si congeda ancora una volta da coloro dai quali si era congedato precedentemente, e da coloro che dopo la sua morte avrebbero dovuto ancora rimanere. Si congeda da loro con grande semplicità come figlio, fratello, sacerdote, vescovo, papa, vicino a tutti loro ed ugualmente vicino a tutti gli uomini del mondo. Egli sa che anche a loro parla per l'ultima volta.

E ad un tempo parla a Dio. Con parole semplici. E proprio questa semplicità ci permette di intuire quanto sia tutto davanti a Dio colui che le scrive, quanto sia davanti a Dio con tutta la sua vita. Glorifica l'ineffabile Maestà di Dio. Sta davanti al mistero imperscrutabile della sua Giustizia e Misericordia. Va verso quell'Eternità che è Dio stesso. E verso quell'amore che è Dio stesso.

Vi è in questa dipartita una certa riflessione attenta e prolungata, simile a quella che si è sempre notata in tutta la vita di Paolo VI; tuttavia la tristezza del trapasso cede dinanzi alla profonda maturità della sua fede. E vi è in questo testamento la stessa umiltà, che ha sempre contrassegnato tutto il suo pontificato. Vi è inoltre in esso la pace di ciò che è già compiuto, la pace della speranza.

"Il pensiero si volge indietro - sta ancora scritto in quel testamento - e si allarga d'intorno; e ben so che non sarebbe felice questo commiato, se non avesse memoria del perdono da chiedere a quanti io avessi offeso, non servito, non abbastanza amato; e del perdono altresi che qualcuno desiderasse da me. Che la pace del Signore sia con noi".

"...professo solennemente la nostra Fede, dichiaro la nostra Speranza, celebro la Carità che non muore, accettando umilmente dalla divina volontà la morte che mi è destinata, invocando la grande misericordia del Signore, implorando la clemente intercessione di Maria santissima, degli Angeli e dei Santi e raccomando l'anima mia al suffragio dei buoni".

Preghiamo anche oggi per l'anima di Papa Paolo VI, e meditando il suo testamento chiediamo a Dio che ci permetta di maturarci per l'incontro con lui come è maturato, un anno fa, qui a Castel Gandolfo il suo Servo: il servo dei servi di Dio.

Al gruppo delle Suore Maestre Pie Filippine Anche a voi, Suore Maestre Pie Filippine qui presenti, che avete celebrato il vostro cinquantesimo e venticinquesimo anniversario di Professione Religiosa, giunga un particolare saluto, unito al ringraziamento per la vostra donazione, così lunga e impegnata, e all'augurio della perseveranza fino alla gloria del cielo! Alle figlie della Carità.

Rivolgo infine il mio saluto al gruppo di Religiose Figlie della Carità, di Missionari Vincenziani e di Responsabili laiche, che lavorano nell'"Associazione Mariana".

Sorelle e fratelli carissimi, nell'enciclica "Redemptor Hominis" (cfr. RH 22) ho ricordato che "nessun altro sa introdurci, come Maria, nella dimensione divina ed umana del mistero della Redenzione". Impegnatevi, pertanto, con rinnovato slancio, nel diffondere la devozione alla Vergine, specialmente tra le anime giovanili. Vi accompagna in questo la mia benedizione apostolica.

Ad un gruppo della parrocchia di Valdepenas.

Partecipa a questo incontro un gruppo che desidero salutare con particolare affetto: i numerosi fedeli della parrocchia di Valdepenas (Spagna), guidati dal loro Parroco.

Ricordo bene che di recente la vostra città ha subito una grande inondazione, che causo numerose perdite umane, oltre a ingenti danni materiali.

Come già vi dissi in quella occasione, il Papa è vicino a voi e vi invita a prodigarvi generosamente per gli altri, in uno sforzo di solidarietà cristiana, che aiuti a superare le difficoltà del momento.

A voi ed a tutti compaesani imparto, come segno della mia profonda benevolenza, la mia speciale benedizione.

Data: 1979-08-12

Data estesa: Domenica 12 Agosto 1979.





Alle Clarisse e Basiliane - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Affido l'umanità alle vostre mani giunte

Testo: Carissime sorelle nel Signore! E' per me una grande gioia e una viva commozione celebrare la Santa Messa qui, con voi e per voi, che vivete la vostra esistenza contemplativa proprio qui, vicino alla mia residenza estiva! Tra tutte le persone che il Papa ama ed avvicina, voi siete certamente le più preziose, perché il Vicario di Cristo ha un estremo bisogno del vostro aiuto spirituale e conta soprattutto su di voi, che per divina vocazione avete scelto "la parte migliore" (Lc 10,42) e cioè il silenzio, la preghiera, la contemplazione, l'amore esclusivo di Dio.

Voi non avete abbandonato il mondo per non avere i crucci del mondo o per non interessarvi dei problemi che tormentano l'umanità; anzi! Voi li portate tutti nel cuore e nel travagliato scenario della storia voi accompagnate l'umanità con la vostra preghiera e con la vostra ansia di perfezione e di salvezza.

Per questa vostra presenza, nascosta ma autentica nella società, e tanto più nella Chiesa, anch'io guardo con fiducia alle vostre mani giunte e affido all'ardore della vostra carità l'assillante missione del Supremo pontificato.

E mi è caro meditare con voi gli insegnamenti che i pensieri, che la liturgia di oggi fa sgorgare dalla Parola di Dio, appena ascoltata nel Santo Vangelo.

1. Gesù ci ricorda prima di tutto la realtà consolante del Regno dei cieli. La domanda che gli apostoli rivolgono a Gesù è molto sintomatica: "Chi dunque è il più grande nel Regno dei cieli?".

Si vede che avevano discusso tra di loro, su questioni di precedenza, di carriera, di meriti, con una mentalità ancora terrena e interessata, volevano sapere chi fosse il primo in quel Regno dei cieli, di cui parlava sempre il Maestro.

Gesù prende l'occasione per purificare il concetto errato che hanno gli apostoli e per trasportarli nel vero contenuto del suo messaggio: il Regno dei cieli è la Verità salvifica da lui rivelata; è la "grazia", ossia la vita di Dio da lui riportata all'umanità con l'Incarnazione e la Redenzione; è la Chiesa, il suo Corpo Mistico, il popolo di Dio che lo ama e lo segue; è finalmente la gloria eterna del paradiso, a cui tutta l'umanità è chiamata.

Gesù, parlando del Regno dei cieli, vuole insegnarci che l'esistenza umana ha valore solo nella prospettiva della verità, della grazia e della gloria futura. Tutto deve essere accettato e vissuto con amore e per amore nella realtà escatologica da lui rivelata: "Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli..." (Lc 12,33). "Siate pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese" (Lc 12,35).


2. Gesù ci insegna il modo giusto per entrare nel Regno dei cieli. Narra l'evangelista san Matteo che "Gesù chiamo a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei ciel" (Mt 18,2-4).

E' questa la sconvolgente risposta di Gesù: per entrare nel Regno dei cieli la condizione indispensabile è il farsi piccoli e umili come bambini! E' chiaro che Gesù non vuole obbligare il cristiano a rimanere in una situazione di perpetuo infantilismo, di ignoranza soddisfatta, di insensibilità alle problematiche dei tempi. Tutt'altro! Pero egli porta il bambino come modello per entrare nel Regno dei cieli per il valore simbolico che il fanciullo racchiude in sé.

Prima di tutto il bambino è innocente, e per entrare nel regno dei cieli il primo requisito è la vita di "grazia", e cioè l'innocenza, mantenuta o riacquistata, l'esclusione del peccato, che è sempre un atto di orgoglio e di egoismo.

In secondo luogo, il bambino vive di fede, e di fiducia nei suoi genitori e si abbandona con totale disposizione a coloro che lo guidano e lo amano. così il cristiano deve essere umile e abbandonarsi con totale fiducia a Cristo e alla Chiesa. Il gran pericolo, il gran nemico è sempre l'orgoglio, e Gesù insiste sulla virtù dell'umiltà, perché davanti all'infinito non si può essere che umili; l'umiltà è verità ed è anche segno di intelligenza e fonte di serenità.

Infine, il bambino si accontenta delle piccole cose, che bastano a renderlo felice; una piccola riuscita, un bel voto meritato, una lode ricevuta lo fanno esultare di gioia.

Per entrare nel Regno dei cieli bisogna avere sentimenti grandi, immensi, universali; ma bisogna sapersi accontentare delle piccole cose, degli impegni comandati dall'obbedienza, della volontà di Dio come si esprime nell'attimo che fugge, delle gioie quotidiane offerte dalla Provvidenza; bisogna fare di ogni lavoro, per quanto nascosto e modesto, un capolavoro di amore e di perfezione.

Bisogna convertirsi alla piccolezza per entrare nel regno dei cieli! Ricordiamo la geniale intuizione di santa Teresa di Lisieux, quando medito il versetto della Sacra Scrittura: "Se qualcuno è veramente piccolo, venga a me" (Pr 9,4). Scopri che il senso della "piccolezza" era come un ascensore che più in fretta e più facilmente l'avrebbe portata alla vetta della santità: "Le tue braccia, o Gesù, sono l'ascensore che mi deve innalzare fino al cielo! Per questo io non ho affatto bisogno di diventare grande; bisogna anzi che rimanga piccola, che lo diventi sempre di più" ("Storia di un'anima", Manoscritto C, cap. X).


3. Infine, Gesù ci infonde l'ansia per il Regno dei cieli. "Che ve ne pare? - dice Gesù - Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli" (Mt 18,12-14).

Sono parole drammatiche e consolanti nello stesso tempo: Dio ha creato l'uomo per renderlo partecipe della sua gloria e della sua felicità infinita; e per questo l'ha voluto intelligente e libero, "a sua immagine e somiglianza".

Purtroppo assistiamo con angoscia all'inquinamento morale che devasta l'umanità, disprezzando specialmente i piccoli, di cui parla Gesù.

Che cosa dobbiamo fare? Imitare il buon Pastore e affannarci senza posa per la salvezza delle anime. Senza dimenticare la carità materiale e la giustizia sociale, dobbiamo essere convinti che la carità più sublime è quella spirituale, ossia l'impegno per la salvezza delle anime. E le anime si salvano con la preghiera e con il sacrificio. Questa è la missione della Chiesa! Particolarmente voi, claustrali e anime consacrate, dovete sentirvi come Abramo sul monte, per implorare misericordia e salvezza dall'infinita bontà dell'Altissimo! E sia vostra gioia sapere che molte anime si salvano proprio per la vostra propiziazione.

Carissime sorelle, nella soave e mistica atmosfera di questa Vigilia della Solennità dell'Assunzione di Maria Santissima al cielo, vi affido tutte alle sue materne cure e concludo con le parole che Paolo VI, di venerata memoria, esprimeva all'inizio del suo pontificato: "La Madonna ci appare oggi come non mai, con la sua luce dall'alto, maestra di vita cristiana. Ci dice: vivete bene anche voi; e sappiate che lo stesso destino a me anticipato, nell'ora in cui il mio cammino temporale si è chiuso, lo sarà a suo tempo per voi... La Madre Celeste è lassù, ci vede e ci attende con il suo sguardo tenerissimo... Proprio gli occhi suoi dolcissimi ci contemplano amorevolmente e con materno affetto ci incoraggiano..." (Paolo VI, "Discorso", 15 agosto 1963).

Data: 1979-08-14

Data estesa: Martedì 14 Agosto 1979.





Omelia della Messa per l'Assunta - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Vive con Maria la nostra speranza

Testo:

1. Siamo sulla soglia della casa di Zaccaria, nella località di Ain-Karin. A questa casa giunge Maria, portando in sé il mistero gaudioso. Il mistero di un Dio che si e fatto uomo nel suo grembo. Maria giunge ad Elisabetta, persona che le è molto vicina, alla quale è unita da un analogo mistero; arriva per condividere con lei la propria gioia.

Sulla soglia della casa di Zaccaria la attende una benedizione, che è il seguito di ciò che ha udito dalle labbra di Gabriele "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo... E beata colei che creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,42-45).

E in quell'istante dal profondo dell'intimità di Maria, dal profondo del suo silenzio, sgorga quel cantico che esprime tutta la verità del grande Mistero.

E' il cantico che annunzia la storia della salvezza e manifesta il cuore della Madre: "L'anima mia magnifica il Signore..." (Lc 1,46).


2. Oggi non ci troviamo più sulla soglia della casa di Zaccaria ad Ain-Karin. Ci troviamo sulla soglia dell'eternità. La vita della Madre di Cristo si è ormai conclusa sulla terra. Su di lei deve ora compiersi quella legge, che l'apostolo Paolo proclama nella sua lettera ai Corinzi: la legge della morte vinta dalla risurrezione di Cristo. In realtà, "Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti... e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno pero nel suo ordine" (1Co 15,20 1Co 15,22-23). In questo ordine Maria è la prima. Chi, infatti, più di lei "appartiene a Cristo"? Ed ecco che nel momento in cui si adempie in lei la legge della morte, vinta dalla risurrezione del suo figlio, sgorga di nuovo dal cuore di Maria il cantico, che è cantico di salvezza e di grazia: il cantico dell'assunzione al cielo. La Chiesa rimette sulla bocca dell'Assunta, Madre di Dio, il "Magnificat".


3. Di quale nuova verità risuonano queste nuove parole, che un giorno Maria ha pronunciato durante la visita ad Elisabetta: "Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore... / Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente" (Lc 1,47 Lc 1,49).

Le ha fatte sin dall'inizio. Dal momento del suo concepimento nel seno di sua madre, Anna, quando, avendola scelta come Madre del proprio figlio, l'ha liberata dal giogo dell'eredità del peccato originale. E poi, lungo gli anni della fanciullezza quando l'ha chiamata totalmente a sé, al suo servizio, come la sposa del Cantico dei Cantici. E poi: attraverso l'Annunciazione, a Nazaret, e attraverso la notte di Betlemme, e attraverso i trenta anni della vita nascosta nella casa di Nazaret. E successivamente mediante le esperienze degli anni di insegnamento del suo Figlio-Cristo, e le orribili sofferenze della sua croce, e l'aurora della risurrezione...

Davvero, "grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome" (Lc 1,49).

In questo istante si compie l'ultimo atto nella dimensione terrestre, atto che è contemporaneamente il primo nella dimensione celeste. Nel seno dell'eternità.

Maria glorifica Iddio consapevole che a causa della sua grazia l'avrebbero glorificata tutte le generazioni perché "la sua misericordia si stende su quelli che lo temono" (Lc 1,50).


4. Anche noi, carissimi fratelli e sorelle, lodiamo insieme Dio per tutto ciò che egli ha fatto per l'umile Serva del Signore. Lo glorifichiamo, gli rendiamo grazie. Ravviviamo la nostra fiducia e la nostra speranza, attingendo l'ispirazione da questa meravigliosa festa mariana.

Nelle parole del "Magnificat" si manifesta tutto il cuore della nostra Madre. Esse sono oggi il suo testamento spirituale. Ognuno di noi deve guardare la propria vita, la storia dell'uomo in un certo modo con gli occhi di Maria. A questo proposito sono molto belle le parole di sant'Ambrogio ("Exp. Ev. sec.

Lucam", II, 26), che mi piace oggi ripetere a voi: "Sia in ciascuno l'anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio; e, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo: ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio".

E inoltre, care sorelle e fratelli, non dovremmo forse anche noi ripetere come Maria: grandi cose ha fatto in me? Perché ciò che ha fatto in lei, lo ha fatto per noi, e lo ha fatto quindi anche a noi. Per noi si è fatto uomo, a noi ha portato la grazia e la verità. Di noi fa dei figli di Dio e degli eredi del cielo.

Le parole di Maria ci danno una nuova visuale della vita. Visuale di una fede perseverante e coerente, fede che è la luce della vita quotidiana. Di quei giorni alle volte tranquilli, ma spesso tempestosi e difficili. Fede che rischiara, infine, le tenebre della morte di ciascuno di noi.

Questo sguardo sulla vita e sulla morte sia il frutto della festa dell'Assunzione.


5. Sono felice di poter vivere insieme con voi, a Castel Gandolfo, questa festa, parlando della gioia di Maria e proclamando la sua gloria a tutti coloro ai quali è caro e familiare il nome della Madre di Dio e degli uomini.

Data: 1979-08-15

Data estesa: Mercoledì 15 Agosto 1979.





Recita dell'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Riconosciamo in Maria l'inizio di un mondo migliore

Testo:

1. Desidero oggi insieme con tutti voi recitare l'"Angelus Domini": questa preghiera di Nazaret, la preghiera dell'Annunciazione.

La recitiamo nel giorno dell'Assunzione in cielo di Maria.

L'annunciazione risuona oggi in questa preghiera come accordo finale. E' questo un accordo di glorificazione, che si aggiunge a tutti i misteri della vita terrena della Madre di Dio: misteri gaudiosi e dolorosi. La stessa Assunzione in cielo della Madre completa i misteri gloriosi del suo Figlio: la risurrezione e l'ascensione al cielo. Seguendo le orme di Colui che è risorto ed è salito al cielo, Maria, sua Madre, è assunta in cielo e incoronata di quella gloria che si addice alla Madre di Dio.

Desidero anche, oggi, qui da Castel Gandolfo rivolgere lo sguardo, insieme con voi, verso Colei che il grande Paolo VI additava come "segno grande" e, con spirito profetico, chiamava; "Inizio di un mondo migliore".

Per quanto il mondo possa gravare su di noi, per quanto possa racchiudere in sé di male, di peccato, di sofferenza, lo sguardo della fede, fissato sulla Madre di Dio, riscopre sempre in esso l'"Inizio di un mondo migliore". E' questo il frutto particolare della festa dell'Assunzione di Maria in cielo.


2. Come sapete, negli ultimi giorni di settembre e nei primi di ottobre, mi rechero in Irlanda, e poi alla Sede dell'Organizzazione delle Nazioni Unite a New York, e negli Stati Uniti d'America. Sono nuove tappe del mio programma apostolico che ho intrapreso come Supremo Pastore della Santa Chiesa. Desidero raccomandare fin d'ora a Maria Assunta in cielo, Madre della Chiesa, questo viaggio, affinché, con la sua materna protezione, esso possa segnare lieti e durevoli passi sulla via della carità, della giustizia, della pace.


3. Un pensiero beneaugurante rivolgo a quanti trascorrono, in meritato riposo, il tradizionale periodo di ferie di questi giorni di agosto, detto appunto ferragosto. Auguro di cuore che questa vacanza dalle quotidiane assillanti preoccupazioni del lavoro sia per tutti occasione quanto mai propizia per essere più a contatto con la natura, scrigno delle ineffabili bellezze di Dio creatore, e generosa dispensatrice, al mare o ai monti, di ritemprato benessere fisico. Ma soprattutto mi è caro auspicare che alle rinnovate energie del corpo sia strettamente congiunto l'arricchimento dello spirito, che, dalla contemplazione di tante meraviglie, più facilmente può unirsi a Colui che ne è la fonte e il principio increato.

Né posso dimenticare coloro ai quali la mancanza di beni materiali non consente una pur meritata vacanza fuori della propria casa, anche se sono bisognosi, e forse più degli altri, di assistenza e di cure. A questi fratelli e sorelle va la mia particolare parola di conforto e di paterna comprensione: la loro umile accettazione del disagio si converte in incremento spirituale per loro stessi e per il bene della Chiesa intera.

La Madonna assunta in cielo assista tutti con la ineffabile generosità di cui solo è capace la Madre di Dio.

Rievocazione della figura del Cardinale Wright Non posso non ricordare a voi, qui presenti, che prendete coscientemente parte ai fatti della Chiesa universale, la bella figura del Cardinale John Joseph Wright, Prefetto della Sacra Congregazione per il Clero, che il Signore ha chiamato a sé venerdi scorso, 10 agosto. Egli ha coronato con una santa morte una esistenza tutta spesa per Cristo e per la Chiesa: come sacerdote, come Vescovo negli Stati Uniti d'America, come Cardinale preposto a un importante Dicastero, egli si è mantenuto fedele al suo motto: "Resonare Christum corde Romano". Il che dice tutto della sua vita. Effettivamente, il Cardinale Wright è stato una voce sicura che ha predicato nostro Signore con una fedeltà, una dirittura che nascevano dal suo connaturato "sensus Ecclesiae".

Il Cardinale Wright si è fatto sempre amare da quanti lo hanno conosciuto, perché nascondeva sotto la bonomia del carattere una chiarezza di idee, e una bontà e dolcezza singolari.

Noi tutti confidiamo che il Signore gli abbia riserbato la sorte dei giusti; e per questo preghiamo, affidando la sua anima immortale alla materna intercessione della Vergine Assunta in cielo.

A un pellegrinaggio proveniente dal Giappone E' sempre una gioia accogliere visitatori provenienti dal Giappone. E oggi rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di Kyoto. Prego perché la nostra santissima Madre interceda per voi durante la vostra permanenza a Roma, e perché voi siate confermati nella vostra fede in Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore.

Portate i miei saluti alla vostre famiglie e a tutti i vostri fratelli del vostro paese. Dio benedica il Giappone! Ad un gruppo di pellegrini venezuelani Desidero ora salutare con affetto particolare i pellegrini del Venezuela. A tutti il mio cordiale saluto di benvenuto, mentre vi esorto nella festività dell'Assunzione, ad amare sempre la Vergine, ad essere sempre più coscienti della vostra vocazione cristiana ed a essere testimoni autentici di fede ecclesiale nei vostri rispettivi ambienti di lavoro.

Vi do di cuore la mia speciale benedizione, che estendo ai vostri cari e a tutti i presenti di lingua spagnola.

Data: 1979-08-15

Data estesa: Mercoledì 15 Agosto 1979.





A Vescovi e pellegrini del Camerun - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Preghiamo insieme per l'avvenire della Chiesa

Testo: E' per me una gioia riceverla oggi, caro fratello nell'Episcopato, così pure tutti quelli che rappresentano qui il suo caro paese del Camerun.

Auguro innanzitutto a voi tutti un buon pellegrinaggio alle tombe dei santi apostoli Pietro e Paolo, che erano venuti da molto lontano per predicare il Vangelo; essi ci ricordano sempre che la Chiesa può stabilirsi e crescere ovunque perché affonda le sue radici nel sacrificio del Signore e in quello di coloro che vogliono seguirlo; essi portano anche la testimonianza di questa unità voluta dal Signore e per la quale egli ha pregato.

Per questo gioisco che il vostro pellegrinaggio sia ecumenico. Possa la vostra volontà conoscere sempre meglio il Signore per meglio seguirlo, guidarvi sempre nel cammino che conduce all'unità che egli vuole per la sua Chiesa.

Mi unisco infine alla vostra preghiera, le nostre intenzioni sono così numerose! La festa che celebriamo solennemente oggi ci invita a confidare filialmente nella Vergine Maria assunta al cielo, immagine della Chiesa che verrà.

In lei la nostra speranza è già realizzata: chi ci potrà condurre al Cristo meglio di colei che ce lo ha donato? Attraverso di lei, raccomando al suo divin figlio l'avvenire spirituale di ciascuno di voi e delle vostre famiglie, le vostre parrocchie, le vostre comunità, e le vostre diocesi; la vostra patria e tutto l'immenso continente africano; senza dimenticare, a imitazione di san Paolo, la preoccupazione di tutte le Chiese, e così pure la pace e la giustizia nel mondo! Di gran cuore, vi imparto la benedizione apostolica.

Data: 1979-08-15

Data estesa: Mercoledì 15 Agosto 1979.


Alla Messa per l'"Opus Dei" - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Gesù vivo e presente nel nostro quotidiano cammino

Carissimi giovani Universitari e Docenti dell'"Opus Dei"! Voi avete desiderato d'incontrarvi col Papa presso la Mensa Eucaristica, mentre, provenienti da diversi Atenei d'Italia, vi trovate a Roma, per partecipare a corsi di aggiornamento dottrinale e di formazione spirituale. E io vi ringrazio di questo vostro attestato di fede e di amore all'Eucaristia e al Papa, Vicario di Cristo in terra.

La vostra istituzione ha come fine la santificazione della vita rimanendo nel mondo, sul proprio posto di lavoro e di professione: vivere il Vangelo nel mondo, pur vivendo immersi nel mondo, ma per trasformarlo e redimerlo col proprio amore a Cristo! Grande ideale, veramente, il vostro, che fin dagli inizi ha anticipato quella teologia del laicato, che caratterizzo poi la Chiesa del Concilio e del post-Concilio.

Tale infatti è il messaggio e la spiritualità dell'"Opus Dei": vivere uniti a Dio, nel mondo, in qualunque situazione, cercando di migliorare se stessi con l'aiuto della grazia, e facendo conoscere Gesù Cristo con la testimonianza della vita.

E che cosa c'è di più bello e di più entusiasmante di questo ideale? Voi, inseriti e amalgamati in questa umanità gioiosa e dolorosa, volete amarla, illuminarla, salvarla: siate benedetti e sempre incoraggiati in questo vostro intento! Vi saluto dall'intimo del mio cuore, ricordando la profonda e commovente esortazione di san Paolo che scriveva agli Efesini; "Siate ricolmi di Spirito Santo, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo" (Ep 5,19-20).

Noi appunto vogliamo intrattenerci qui, in preghiera con Cristo, in Cristo e per Cristo; vogliamo godere del gaudio che proviene dalla verità; vogliamo insieme inneggiare al Signore, che nell'immenso mistero del suo amore non solo ha voluto incarnarsi, ma ha voluto rimanere con noi nell'Eucaristia. Infatti la liturgia di oggi è tutta incentrata su questo supremo mistero, e Gesù stesso è il Maestro Divino che ci insegna come dobbiamo intendere e vivere questo sublime e incomparabile Sacramento.


1. Prima di tutto, Gesù afferma che l'Eucaristia è una realtà misteriosa ma autentica.

Gesù, nella Sinagoga di Cafarnao, afferma chiaramente: "Io sono il pane disceso dal cielo... il Pane che io daro è la mia carne per la vita del mondo... La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda... Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono" (cfr. Jn 6).

Gesù dice proprio: "carne" e "sangue", "mangiare" e "bere", pur sapendo di urtare la sensibilità e la mentalità degli Ebrei. Cioè, Gesù parla della sua Persona reale, tutta intera, non simbolica, e fa intendere che la sua è un'offerta "sacrificale", che si realizzerà per la prima volta nell'"Ultima Cena" anticipando misticamente il Sacrificio della Croce, e sarà tramandato per tutti i secoli mediante la Santa Messa. E' un mistero di fede, davanti al quale non possiamo che inginocchiarci in adorazione, in silenzio, in ammirazione.

L'"Imitazione di Cristo" (lib. IV, cap. XVII, 1) mette in guardia dalla curiosa e inutile indagine su questo insondabile Sacramento, la quale può anche essere pericolosa: "Qui scrutator est maiestatis, opprimetur a gloria!". Paolo VI, di venerata memoria, nel "Credo del Popolo di Dio", facendo una sintesi della specifica Dottrina del Concilio di Trento e della sua enciclica "Mysterium Fidei", disse: "Cristo non può essere presente in questo Sacramento se non mediante la conversione nel suo Corpo della realtà stessa del pane e mediante la conversione nel suo Sangue della realtà stessa del vino, mentre rimangono immutate soltanto le proprietà del pane e del vino percepite dai nostri sensi. Tale conversione misteriosa è chiamata dalla Chiesa in maniera assai appropriata "transustanziazione"" ("Insegnamenti di Paolo VI", 1968, 308 MF 1).

Tutti i Padri della Chiesa hanno sempre affermato la realtà della Divina Presenza; ricordiamo solo il filosofo Giustino che nella "Apologia" esorta all'adorazione umile e gioiosa; "Terminate le preghiere e il ringraziamento eucaristico, tutto il popolo presente acclama: "Amen!". Amen, in lingua ebraica, vuol dire "sia"... Infatti, noi non lo prendiamo come un pane comune e una comune bevanda; ma, come Gesù Cristo Salvatore nostro incarnatosi per la parola di Dio prese carne e sangue per la nostra salvezza, così il nutrimento, consacrato con la preghiera di ringraziamento formata dalle parole di Cristo e di cui si nutrono per assimilazione il sangue e le carni nostre, è, secondo la nostra dottrina, carne e sangue di Gesù incarnato" (Giustino, "Apologia", I 65-67).

Vi dico pertanto: siate gli adoratori convinti dell'Eucaristia, nel pieno rispetto delle regole liturgiche, nella serietà devota e compresa, che nulla toglie alla familiarità e alla tenerezza.


2. Gesù afferma poi che l'Eucaristia è una realtà salvifica.

Gesù, continuando il suo discorso sul "Pane di vita", soggiunge: "Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno... Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita... Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risuscitero nell'ultimo giorno".

In questo contesto Gesù parla di "vita eterna", di "risurrezione gloriosa", di "ultimo giorno". Non che Gesù dimentichi o disprezzi la vita terrena; anzi! Gesù stesso parla dei talenti che ognuno deve trafficare e si compiace delle opere degli uomini per la progressiva liberazione dalle varie schiavitù e oppressioni e per il miglioramento dell'umana esistenza.

Pero non bisogna cadere nell'equivoco dell'immanenza storica e terrena; bisogna passare attraverso la storia per raggiungere la vita eterna e gloriosa: passaggio faticoso, difficile, ambiguo perché deve essere meritorio! Ecco allora Gesù vivo e presente sul nostro quotidiano cammino, per aiutarci a realizzare il nostro vero destino, immortale e felice.

Senza Cristo è fatale sperdersi, confondersi, addirittura disperarsi! L'aveva intuito con lucida chiarezza Dante Alighieri, uomo di mondo e di fede, genio della poesia ed esperto nella teologia, quando nella parafrasi del "Padre Nostro", recitato dalle anime purganti, insegna che nell'aspro deserto della vita senza l'intima unione con Gesù, la "manna" del Nuovo Testamento, il "Pane disceso dal cielo", l'uomo, che vuol andare avanti con le sole sue forze, in realtà va indietro.

"Da' oggi a noi la cotidiana manna / senza la qual per questo aspro deserto / a retro va chi più di gir s'affanna" ("Purgatorio" XI,13-15). Solo mediante l'Eucaristia è possibile vivere le virtù eroiche del Cristianesimo: la carità, fino al perdono dei nemici, all'amore per chi ci fa soffrire, al dono della propria vita per il prossimo; la castità, in qualunque età e situazione della vita; la pazienza, specialmente nel dolore e quando si è sconvolti dal silenzio di Dio nei drammi della storia o della stessa propria esistenza. Siate perciò sempre anime eucaristiche, per poter essere autentici cristiani!

3. Infine Gesù afferma ancora che l'Eucaristia deve essere una realtà trasformante.

E' l'affermazione più impressionante e più impegnativa: "La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me". Parole serie! Parole esigenti! L'Eucaristia è una trasformazione, un impegno di vita: "Non sono più io che vivo - diceva san Paolo - ma è Cristo che vive in me" (Ga 2,20 1Co 2,2). E Cristo crocifisso! Ricevere l'Eucaristia significa trasformarsi in Cristo, rimanere in lui, vivere per lui! Il cristiano, in fondo, deve avere solo un'unica preoccupazione e un'unica ambizione: vivere per Cristo cercando di imitarlo nella suprema obbedienza al Padre, nell'accettazione della vita e della storia, nella totale dedizione alla carità, nella bontà comprensiva e tuttavia austera. L'Eucaristia diventa perciò programma di vita.

Carissimi! Concludendo questa meditazione, vi affido a Maria santissima: lei, che per trentatré anni poté godere della presenza visibile di Gesù e tratto il suo Divin Figlio con la massima cura e delicatezza, vi accompagni sempre all'Eucaristia; vi doni i suoi stessi sentimenti di adorazione e di amore.

Dopo questo mistico e fraterno incontro, tornate al vostro lavoro con rinnovato proposito di vivere intensamente la vostra spiritualità: - siate ovnque irradiatori di luce con la totale e convinta ortodossia della dottrina cristiana e cattolica, con umiltà ma con coraggio, nella perfetta competenza della vostra professione; - siate portatori di pace, col vostro amore per tutti, fatto di comprensione, di rispetto, di sensibilità, di pazienza, pensando che ogni uomo porta in sé il suo dolore e il suo mistero; - siate infine seminatori di gioia con la vostra carità concreta e il vostro sereno abbandono alla Provvidenza, memori di ciò che affabilmente disse Papa Giovanni Paolo I, di venerata memoria: "Sappiamo che Dio ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra che sia notte" (Giovanni Paolo I, "Discorso", 10 settembre 1978).

Vi accompagni la mia paterna e propiziatrice benedizione apostolica! Data: 1979-08-19

Data estesa: Domenica 19 Agosto 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)