GPII 1979 Insegnamenti - Omelia allo stadio comunale di Belluno

Omelia allo stadio comunale di Belluno

Titolo: Siate forti nella fede, nella laboriosità, nel sacrificio

Testo: Venerati Fratelli Vescovi; e voi, Sacerdoti e fedeli delle Chiese di Belluno e del Veneto!

1. Non poteva mancare, dopo la visita al paese natale dell'amato mio predecessore Giovanni Paolo I, una sosta anche se necessariamente breve nella Città, che lo vide giovane seminarista presso il locale Seminario Gregoriano, e poi zelante sacerdote, pieno di amore per Gesù Signore e per le anime. La presente celebrazione eucaristica è, pertanto, un rinnovato omaggio alla memoria benedetta di questo Papa, la cui grandezza, direi, è inversamente proporzionale alla durata del suo servizio nella sede di Pietro; ed è insieme uno speciale segno di riverenza e di considerazione per le illustri diocesi di Belluno e di Feltre, a lui tanto care.

Nel salutare ciascuno, di voi qui presenti - Autorità ecclesiali e civili, Parroci, Religiosi, Religiose e Laici - il mio sguardo si allarga e si estende all'intera Terra Veneta, terra antica, nobile e feconda, nella quale non è infrequente rinvenire "historia teste", lungo il corso dei secoli, una fioritura di anime ardenti e generose, tra le quali non ultima si può a buon diritto annoverare la figura di Papa Luciani.


2. Ma consentitemi, al fine di meglio inquadrare la nostra assemblea liturgica e di dare ad essa il necessario riferimento o fondamento ch'è la Parola di Dio, consentitemi di riprendere l'importante testo evangelico che abbiamo ora ascoltato. Come sapete, già da qualche settimana, nelle domeniche di questo periodo "per annum", la Chiesa con sapiente pedagogia ci fa leggere e meditare il grande discorso tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, per presentare il "pane di vita" e per presentare se stesso come pane di vita. Anche oggi ce n'è proposto un brano, quello conclusivo (cfr. Jn 6,60-69), in cui le ripetute e solenni enunciazioni del Signore sollecitano da parte nostra una decisa risposta di fede, come la sollecitarono allora da parte dei discepoli. Ricordate quel che leggemmo domenica scorsa: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna ed io lo risuscitero nell'ultimo giorno"; "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui" (Jn 6,

54.56). Sono, queste, affermazioni di altissimo contenuto spirituale, che non si comprendono certo né si spiegano col metro dell'umana ragione: esse trascendono, infatti, la limitatezza dell'esistenza terrena; esse ci parlano di vita eterna e di risurrezione; esse prospettano un misterioso rapporto tra Cristo ed il credente che si configura come reciproca compenetrazione di pensiero, di sentimento e di vita. Ora, in che modo possiamo noi sintonizzarci con un discorso di tale levatura? "Molti dei suoi discepoli - leggiamo nel Vangelo di oggi - dissero: Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?" (Jn 6,60).

Ecco, ci è presentata la posizione umana, terrena, quale è suggerita dal semplice raziocinio, dinanzi alle prospettive aperte dalla parola di Gesù. Ma ecco che sopravviene in noi la certezza, perché egli stesso ci rassicura: "Le parole che vi ho detto sono spirito e vita" (Jn 6,63). Ed ecco, ancora, di fronte all'ineludibile alternativa di accettare o di respingere queste sue parole, l'esemplare e per noi corroborante risposta data da Pietro: la sua è una magistrale professione di fede: "Da chi andremo, o Signore? Tu hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio!" (Jn 6,69).

Permettetemi, fratelli e figli carissimi, di rilevare a questo punto la felicità, la convenienza e rispondenza di tale pagina evangelica in ordine alla circostanza che trova quest'oggi riuniti il Papa e i fedeli di un'eletta porzione del Popolo di Dio. Venuto da Roma per onorare il mio insigne predecessore, essendomi messo in ideale compagnia con lui per ripercorrere le fasi della sua formazione morale, sacerdotale e pastorale, ho trovato, anzi abbiamo insieme trovato sui nostri passi questo testo nel quale Pietro stesso, il primo Vicario di Cristo, insegna ai suoi successori quale sia la linea da seguire per non venir meno al dovere apostolico, per non deflettere dalla retta via, per rispondere meno indegnamente al disegno redentivo di Cristo, pastore supremo del gregge. Questa linea è la fede: fede indiscussa, piena, incrollabile nella Parola di Cristo e nella Persona di Cristo; fede quale si è rivelata a Cesarea di Filippo, quando è Pietro che, superando le opinioni limitatrici ed errate degli uomini, ravvisa in Gesù "il Cristo, il Figlio di Dio vivente" (Mt 16,16); fede quale si rivela nell'odierna lettura, quando è Pietro che, ancora una volta, confessa la trascendente validità "per la vita eterna" delle parole stesse di Cristo. Si tratta di una duplice e splendida professione di fede, che - come osserva san Leone Magno - è ripetuta quotidianamente da Pietro all'interno di tutta la Chiesa (cfr. S Leone Magno, "Sermo III", 3: PL 54, 146). Per questo, una tale lezione vale innanzitutto per me e per il formidabile ministero che è venuto a gravare sulle mie spalle, dopo l'inopinata e dolorosa scomparsa dell'indimenticato vostro conterraneo Giovanni Paolo I.


3. Ma l'accennata opportunità o convenienza di questo Vangelo si dimostra anche in rapporto a voi, che mi state ora ascoltando. Il discorso della fede di Pietro, cioè della fede autentica e sicura, si applica molto bene per la sua esemplarità agli eredi di una tradizione religiosa che, nel contesto più vasto della tradizione italiana, si distingue per la solidità, per la coerenza, per la capacità di incidere sul sano costume morale. Parlo della vostra fede, o fratelli del Bellunese, una fede che riflette e conferma e rende con esattezza l'immagine della fede delle popolazioni venete e, più in generale, la fisionomia cristiana dell'Italia. Quale eredità più preziosa, quale tesoro più caro potrebbe raccomandarvi il Papa, che è venuto tra voi? Per grazia di Dio e - è doveroso riconoscerlo - per l'indefessa dedizione di tanti Pastori, questo patrimonio è ancora sostanzialmente intatto: la fede, a voi trasmessa come lampada luminosa dai padri, è viva ed ardente; ma è pur necessario vigilare e vigilare costantemente (ricordate la parabola delle dieci vergini?) (cfr. Mt 25,1-13), è necessario vigilare e pregare (cfr. Mt 26,41 Mc 14,34-38 Lc 12,35-40), perché questa lampada non si spenga mai, ma resista ai venti e alle tempeste, brilli con maggiore intensità e con più ampio potere di irradiazione; e sia aperta alla comprensione e alla conquista. Oggi c'è veramente bisogno di una fede matura, salda, coraggiosa di fronte alle sopravvenute incertezze di alcuni fratelli, come a chi pensa che l'Italia sia una terra che si sta ormai scostando dalle tradizioni cristiane, per entrare nell'era cosiddetta post-cristiana. No, fratelli! Io so che non è così, e voi stessi mi rispondete ora - l'avete già risposto con la vostra commossa accoglienza fin da stamane - che non è così! Dalla conoscenza che da molti anni ho dell'Italia e degli Italiani, dalla più diretta esperienza che ho acquisito quotidianamente in questi mesi del mio servizio pontificale, io so che non è così: nonostante le accresciute insidie ed i maggiori pericoli, l'autentico volto della Nazione è cristiano, illuminato com'è dalla luce di Cristo e del suo Vangelo. Di tutto ciò, del resto, offre un'indubbia conferma la vitalità che l'Italia stessa dimostra di possedere per quanto riguarda la causa delle Missioni: la Chiesa Italiana - e sono ben lieto di affermarlo a titolo di compiacimento - e di lode è fortemente missionaria ed in proporzione, tenuto conto cioè delle condizioni economiche di Paesi privilegiati, è la prima nella scala degli aiuti alle Missioni. E al di sopra di questo dato esterno sta la realtà, molto più rilevante, dei Missionari - Sacerdoti, Religiosi, Suore, Personale laico specializzato - i quali sono offerti in percentuale elevatissima dall'Italia e, particolarmente, dal Veneto per l'espansione del Regno di Dio.


4. A questo punto, il tema della fede - da custodire, da approfondire, da diffondere - mi porta quasi naturalmente a rivolgermi ai giovani. Sapete come negli incontri e nelle pubbliche udienze non ometto mai di parlare ad essi, e ciò faccio non soltanto per l'ovvia e, si direbbe, interessata ragione che è l'età stessa a riservare loro l'avvenire ed a renderli a breve scadenza protagonisti degli avvenimenti, ma anche e soprattutto per le peculiari doti che son proprie della gioventù: l'entusiasmo e la generosità, la lealtà e la freschezza, il senso della giustizia, la pronta disponibilità a servire i fratelli, in tante forme di assistenza e di carità, il rifiuto delle mezze misure, il disprezzo dei calcoli meschini, il fastidio per ogni forma di ipocrisia e io mi auguro, anche il ripudio di ogni forma di intolleranza e di violenza.

Vi diro, allora, o giovani che qui mi ascoltate, che la Chiesa da sempre, ma oggi ben più che in passato, conta su di voi, ha fiducia in voi, molto si attende da voi in ordine all'adempimento della sua missione salvifica nel mondo. Vogliate, perciò, accogliere con cuore aperto questo mio rinnovato appello, che suona invito ad entrare animosamente nella dinamica dell'azione ecclesiale.

Che sarebbe la Chiesa senza di voi? Per questo essa fa su di voi tanto affidamento. Ci sono a nostro conforto le promesse formali di Cristo, che alla Chiesa ha garantito l'ininterrotta sua presenza e assistenza (cfr. Mt 28,20

16,18); ma esse non ci esimono dal dovere permanente di affiancare a questa superiore certezza la nostra diligente ed assidua operosità. E' qui appunto che trova collocazione il mio insistente ricorso a voi giovani, il quale avrà - lo auspico con tutto il cuore - una positiva e pronta risposta da parte vostra.


5. Ancora una parola desidero aggiungere, ricavandola dalla documentazione che mi ha rimesso il vostro Vescovo circa la vita pastorale nelle diocesi di Belluno e Feltre. Mentre rivolgo uno speciale saluto a questa Città, nel rammarico di non averla potuta visitare, esprimo viva soddisfazione per quanto si sta facendo in entrambe le Comunità per la formazione delle nuove generazioni, per lo sviluppo dell'attività catechistica, per l'incremento delle sacre vocazioni. Penso, in particolare, alla prossima Visita Pastorale ed alle "missioni popolari", che secondo una prassi ben collaudata ne saranno il momento preparatorio. Possano queste missioni, affidate a sacerdoti zelanti ed esperti, raggiungere tutte le famiglie ed i gruppi associati, portandoli - com'è nei voti del Pastore - alla scoperta di Cristo redentore dell'uomo ed al conseguente impegno di testimoniarlo nel mondo.

Penso anche, o fratelli, ai problemi sociali della vostra regione, la quale, per la sua stessa conformazione, dispone di scarse risorse e non da oggi conosce, purtroppo, le privazioni ed i sacrifici della povertà. Con quanta commozione fu accolta la notizia, riferita dai giornali, dell'annuale esodo dall'Italia, per motivi di lavoro, del padre del piccolo Albino Luciani, e quella ancora delle dolorose vicissitudini provocate non solo nella sua famiglia, ma nel paese natio e nell'intera zona circostante dalla sopravvenuta guerra mondiale del

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8. Se questo flagello sembra ora fortunatamente lontano, permangono, pero, altre realtà dolorose, quali la povertà del suolo, le calamità di vario genere (ricordo solo il disastro del Vaiont, e il terremoto che colpi alcuni anni fa il territorio delle buone popolazioni del Friuli), l'incombente minaccia della disoccupazione o l'incertezza del posto di lavoro, la perdurante e sempre triste necessità dell'emigrazione, sia essa permanente o stagionale.

La vostra, cari fedeli, è davvero una terra temprata dal sacrificio, ed io ho il dovere di riconoscere e di additare ad esempio, accanto al fervore della vostra fede ed all'attaccamento alle tradizioni avite, il corredo di virtù umane e civili che possedete. Chi non sa che la guerra di sessant'anni fa ha lasciato tra voi profonde tracce, e causato grandi sofferenze? Ciò, tuttavia, ha irrobustito e sviluppato in mezzo a voi il sentimento patriottico ed il vincolo della solidarietà nazionale. Anche questi valori io voglio esaltare perché come definiscono il profilo di un popolo, così si armonizzano senza contraddizione di sorta con la genuina spiritualità religiosa. Ma ancor più mi preme e mi pare in tal modo di unire la mia voce a quella così calda e suadente ed a voi tanto familiare di Papa Luciani di lasciarvi a ricordo della visita una speciale esortazione alla fortezza, ch'è ad un tempo un'alta qualità umana ed una tipica virtù cristiana. Siate forti nella fede, forti nella laboriosità, forti nello spirito di sacrificio! Sarà questo il modo più adeguato e più degno per onorare nei fatti l'amabile figura del vostro e nostro Giovanni Paolo I.

(Ai fedeli di lingua tedesca) Un saluto particolare rivolgo di qui ai fedeli di lingua tedesca che sono tra la popolazione di queste meravigliose valli e montagne. Egualmente saluto anche i turisti dei Paesi vicini, che in questo periodo passano qui le loro vacanze e sono presenti nei diversi luoghi della mia odierna visita nella patria di Papa Giovanni Paolo I.

Raccomando alla materna protezione di Maria i molteplici contatti tra gli uomini, al di là di ogni confine di stirpe e di nazione, i quali, proprio in questa regione, sono tanto numerosi e si dimostrano fruttuosi. Si continui ad approfondire e a rafforzare in tal modo la reciproca comprensione e la pacifica convivenza tra i diversi gruppi etnici e tra i popoli! Maria, la Madre della Chiesa, è al tempo stesso anche la Regina della pace.

Maria, Madre della Chiesa e Regina della pace, prega per noi! Data: 1979-08-26

Data estesa: Domenica 26 Agosto 1979.





All'aeroporto - Treviso

Titolo: Supplemento d'anima per il mondo contemporaneo

Testo: Ringrazio di cuore Monsignor Vescovo di Treviso per le cordiali e nobili parole, che mi hanno offerto il saluto di tutta la diocesi in questo atteso incontro, il quale corona una giornata così intensa di contatti, di colloqui, d'intime emozioni, di evocative ed esaltanti visioni.

Nel momento in cui mi accingo a lasciare questo lembo di terra veneta, benedetta e cara, costellata di campanili e vette alpine, eloquente per i suoi suggestivi inviti alla contemplazione ed alla preghiera, non posso nascondere la profonda commozione che invade il mio spirito. E' stato, infatti, un immergersi estatico e gioioso in una natura incantevole per la sua bellezza e in un'atmosfera satura di religiosità, la quale mi è venuta incontro corroborante, soprattutto nel contatto diretto con queste generose popolazioni, spiritualmente ancorate a solide tradizioni di fede e di pratica cristiana. Posso così comprendere ancor più a fondo l'ampiezza e il vigore delle virtù sacerdotali che caratterizzarono e definirono l'intera personalità del mio immediato predecessore, di cui sono lieto di aver potuto visitare il paese natale.

Partendo, ora, dall'amata città di Treviso, mi sia consentito di ricordare che questa diocesi diede i natali al grande Pontefice san Pio X, anima eccelsa di maestro e di apostolo, che qui, fin dai primi anni del suo sacerdozio, mise in luce un vivo ed infaticabile anelito pastorale, che avrebbe fatto di lui, in seguito, un Papa eminente, difensore della fede, della verità, della giustizia, un uomo di Dio, animato sempre da una interpretazione soprannaturale delle vicende del mondo e della storia. Proprio in questi giorni abbiamo celebrato il 65° anniversario della sua morte, avvenuta il 21 agosto 1914, e in quest'anno ricorre anche il 25° della sua Canonizzazione.

Lascio Canale d'Agordo, Belluno e Treviso con una ulteriore riprova di quanto sia imprescindibile per il cristiano l'assimilazione vitale della verità evangelica, che è tale da liberare e potenziare tutte le sue risorse di tenacia, di pazienza e soprattutto di fiducia nel Signore e nella sua vittoria. In questa cornice ben si comprendono le grandi recenti figure di san Pio X e di Giovanni Paolo I, figli di questa terra, che in contingenze storiche tanto diverse, resero al Vangelo e a Cristo una così convincente testimonianza.

Nell'accomiatarmi dai cari figli e figlie della diocesi di Treviso, qui degnamente rappresentati dal loro Pastore e da un folto gruppo di clero e di fedeli, mentre esprimo il rammarico di non poter sostare più a lungo, desidero lasciare quale ricordo alcune parole di esortazione e di incoraggiamento che papa Giovanni Paolo I pronunzio nel suo primo Messaggio al Collegio Cardinalizio, alla Chiesa ed al Mondo, all'alba del suo pontificato: "Chiamiamo anzitutto i figli della Chiesa a prendere coscienza sempre maggiore della loro responsabilità: "Vos estis sal terrae, vos estis lux mundi" (Mt 5,13ss)... i fedeli devono essere pronti a dare testimonianza della propria fede davanti al mondo: "parati semper ad defensionem omni poscenti vos rationem de ea, quae in vobis est, spe" (1P 3,15).

La Chiesa, in questo sforzo comune di responsabilizzazione e di risposta ai problemi lancinanti del momento, è chiamata a dare al mondo quel "supplemento d'anima" che da tante parti si invoca e che solo può assicurare la salvezza" (Giovanni Paolo I, Radiomessaggio "Urbi et Orbi", 27 agosto 1978: "Insegnamenti di Giovanni Paolo I", p, 14).

Ed ora voglio innalzare un inno di gratitudine all'Altissimo che mi ha permesso di vivere ore intense ed indimenticabili, accompagnate da manifestazioni di entusiasmo, di cordialità e di profonda devozione verso l'umile Vicario di Cristo.

Il mio pensiero si rivolge ancora una volta, con particolare benevolenza, al Presidente del Consiglio dei Ministri, a tutte le Autorità Civili e Militari, ai Sindaci e a quanti hanno preso parte a questa giornata tanto significativa.

Porgo un saluto particolarmente caloroso e fraterno al Cardinale Patriarca di Venezia, e ai Presuli della Regione Triveneta, con speciale riguardo per il Vescovo di Belluno e Feltre che, insieme col suo clero, ha saputo rendere vivi e festosi gli incontri con i fedeli di quella diocesi.

Desidero da ultimo formulare un paterno auspicio che, salendo dal profondo del mio cuore, si trasfonde in preghiera al Signore: la gioia di questo giorno, gioia di fede e di comunione, non venga mai meno, ma ci accompagni come eco serena che raddolcisca i nostri animi e sia ispiratrice d'incoraggianti certezze nei momenti della prova, nel convincimento che il Signore è sempre vicino, così come lo abbiamo potuto avvertire oggi con particolare letificante intensità.

In pegno del mio animo commosso, in questo momento, abbraccio con paterna benevolenza tutte le persone incontrate e quanti mi hanno seguito col pensiero e con la preghiera, mentre, propiziatrice di ogni desiderata grazia celeste, effondo ancora una volta sulla diletta Italia e sull'umana famiglia l'apostolica benedizione.

Data: 1979-08-26

Data estesa: Domenica 26 Agosto 1979.


Ai fedeli di Vittorio Veneto - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Con l'esempio e la parola insegno a tutti ad amare

Testo: Saluto cordialmente Monsignor Vescovo e i carissimi sacerdoti e fedeli della diocesi di Vittorio Veneto.

Siate i benvenuti nella casa del Papa! Già un anno fa avevate espresso al Santo Padre Giovanni Paolo I, appena eletto al sommo pontificato, il vivo desiderio di incontrarvi nuovamente con lui nel primo anniversario della sua elezione: era stato per ben undici anni vostro Pastore, e l'avevate amato, seguito, venerato; e, anche se divenuto Papa, continuava a rimanere un po' vostro; e giustamente! E perciò volevate ritrovarvi con lui che certo mai vi aveva dimenticati! Ed invece, eccovi oggi, per i misteriosi e imprevedibili disegni di Dio, in pellegrinaggio di preghiera alla sua tomba nelle Grotte Vaticane; eccovi qui, riconoscenti per l'amore che vi porto, ma anche tuttora scossi e quasi increduli per il veloce mutamento delle cose, avvenuto in così breve periodo di tempo. Ma lui stesso, l'indimenticabile Giovanni Paolo I, così affabile e così sapiente, col suo sorriso ci consola e ci incoraggia, affidandoci alla bontà infinita della Provvidenza, che sconvolge ma non confonde i piani umani.

Ed infatti voi avete desiderato di compiere ugualmente il vostro pellegrinaggio per incontrarvi col suo successore, scelto dalla volontà di Dio per la Cattedra di Pietro. Il vostro pellegrinaggio, organizzato dal settimanale diocesano "L'Azione", che celebra il suo 65° anniversario di vita, è un attestato di fede e di amore, e io, mentre vi porgo il mio saluto più cordiale e il mio più sentito ringraziamento, vi assicuro pure la mia speciale benedizione.

Infatti nella vostra diocesi per undici anni, Giovanni Paolo I poté mettere in luce le sue alte qualità pastorali, che lo avrebbero poi portato al supremo Soglio apostolico. Egli non è più visibilmente fra di noi, perché così ha voluto il Signore; ma egli rimane pero ora e rimarrà per sempre luminoso e benefico nella Chiesa e nella umanità per il suo esempio e per il suo insegnamento.

Oggi la liturgia della festa di sant'Agostino, si presta magnificamente per celebrare la sua figura e per imprimerla ancora più a fondo nei nostri cuori.

1. Riflettiamo prima di tutto sull'umiltà di Papa Giovanni Paolo I. Possiamo dire che ciò che colpi profondamente fin dagli anni della sua adolescenza fu la certezza dell'amore di Dio e la grandezza della chiamata al Sacerdozio.

Nella sua prima lettera, san Giovanni, il confidente del Divino Maestro, ci svela chi è Dio e quale è il rapporto tra Dio e l'uomo: "Dio è amore; in questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (Jn 4,8-9).

Ecco la grande e definitiva rivelazione che la "parola di Dio" porge all'uomo di tutti i tempi: Dio è amore e la manifestazione che garantisce tale amore è l'Incarnazione del Verbo e la sua morte in Croce.

Papa Giovanni Paolo I fu sempre intimamente compreso di questa suprema realtà dell'amore proveniente da Dio e perciò della conseguente necessaria umiltà dell'uomo, che non può accampare diritti o elevarsi in superbia.

Inoltre egli fu sempre convinto della gratuità e della immensa preziosità della chiamata al Sacerdozio, e poi all'Episcopato, per cui sempre si ritenne piccolo personalmente, ma grande per l'amicizia e la intimità donate da Gesù stesso: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Jn 15,15).

Perciò egli visse umilmente e insegno continuamente l'umiltà, e quando Giovanni XXIII lo nomino vostro Vescovo, egli, come voi ben sapete, assunse come motto per lo stemma episcopale la parola "Humilitas".

Questo fu sempre il suo ideale e, divenuto Papa, nell'udienza del 6 settembre si affretto a dire: "Il Signore ha tanto raccomandato: siate umili.

Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili. Invece la tendenza, in noi tutti, è piuttosto al contrario: mettersi in mostra. Bassi, bassi: è la virtù cristiana che riguarda noi stessi" (Giovanni Paolo I, Discorso del 6 settembre 1978: "Insegnamenti di Giovanni Paolo I", pp. 51-52).

Da questo profondo e convinto senso di umiltà, nasceva la sua estrema confidenza in Dio, che è Padre, amore, misericordia e sgorgava pure la sua gioia, il suo sorriso costante, il suo umorismo, che scoppietta vivace e suadente in tutti i suoi scritti. La sua gioia nasceva dalla fede e dall'umiltà, come aveva affermato Gesù: "Questo vi ho detto, perché la mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia piena" (Jn 15,11).

E' stata una grande lezione che non dobbiamo dimenticare!

2. Riflettiamo anche sul servizio della verità di Papa Giovanni Paolo I. Egli ebbe il culto della verità e tutti i suoi studi e le sue letture intelligenti e metodiche, furono in funzione e in prospettiva della verità e del suo annunzio; e da giovane, da Sacerdote e poi da Vescovo, si senti sempre e solamente a servizio della Verità e del suo annunzio per la salvezza del mondo.

Il suo primo assillo come Vescovo, in un periodo dottrinalmente molto difficile per la Chiesa a causa di ipotesi e di novità incontrollate e confuse, fu la strenua difesa dell'ortodossia e della disciplina.

Divenuto Papa, nel discorso che tenne al clero di Roma il 7 settembre 1978, citando sant'Agostino, esponeva il dovere primo e principale del Vescovo, da lui sempre compiuto fermamente: "Praesumus - diceva Agostino - si prosumus; noi vescovi presiediamo se serviamo: è giusta la nostra presidenza se si risolve in servizio, con spirito e stile di servizio. Questo servizio episcopale, pero, verrebbe a mancare, se il vescovo non volesse esercitare i poteri ricevuti. Diceva ancora Agostino: "Il vescovo che non serve il pubblico, è soltanto 'foeneus custos', uno spaventapasseri messo nei vigneti, perché gli uccelli non becchino le uve". Per questo è scritto nella "Lumen Gentium": "I vescovi governano... con il consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà"" ("Insegnamenti di Giovanni Paolo I", p. 57).

La difesa e l'annunzio della Verità fu il suo assillo e il suo tormento, e fu anche la sua gloria, seguace dei grandi Pastori suoi ideali: sant'Agostino, san Gregorio Magno, san Francesco di Sales, sant'Alfonso Maria de' Liguori.

E come sant'Agostino, Papa Giovanni Paolo I sembra dirci: "Se la tua fede dorme nel tuo cuore, Cristo dorme in certo modo nella tua barca, perché Cristo per mezzo della fede abita in te. Quando cominci a sentirti turbato, sveglia Cristo che dorme; ridesta la tua fede, e sappi che egli non ti abbandona" (S. Agostino, IEnarr. in Ps." 90, 11: PL 37, 1169).

Ascoltiamo la sua parola: egli è un maestro di fede!

3. Infine, riflettiamo ancora sulla bontà di Papa Giovanni Paolo I. Egli aveva ben compreso la lezione di san Giovanni: "Non puoi dire di amare Dio che non vedi, se non ami il prossimo che vedi!" (Jn 4,20).

Gesù aveva detto agli Apostoli: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". E aveva dato loro il comandamento nuovo; "Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati!".

Si può dire che Giovanni Paolo I abbia fatto di queste parole il programma di tutta la sua vita. Sempre cortese, affabile, sorridente, egli volle che il suo apostolato e la sua pastorale fossero all'insegna della bontà e della carità verso tutti, particolarmente verso i sacerdoti, i malati, i fanciulli, i poveri.

Dando comunicazione ai fedeli della diocesi di Vittorio Veneto a lui affidati, scrisse: "Sarei un vescovo veramente sfortunato se non vi volessi bene"; e soggiungeva: "Posso assicurarvi che vi amo, che desidero solo entrare nel vostro servizio e mettere a disposizione di tutti le mie povere forze, quel poco che io ho e sono".

Alieno dalle vane parole, egli dono invece tutta la sua vita, andando a visitare parrocchie e malati, sacerdoti e associazioni, portando il suo conforto ai confratelli nel Burundi e ai malati in pellegrinaggio a Lourdes.

E con l'esempio e la parola insegno sempre e a tutti ad amare, come si legge nella magnifica lettera indirizzata a santa Teresa di Lisieux, dove scriveva: "Cercare il volto di Cristo nel volto del prossimo è l'unico criterio che ci garantisca di amare sul serio tutti, superando antipatie, ideologie e mere filantropie" (Albino Luciani, "Illustrissimi", "Lettera a Santa Teresa di Lisieux", Ed. Messaggero, Padova, pp. 206-207). E nell'ultima domenica della sua vita, alla recita dell'Angelus diede il suo estremo insegnamento di carità; "La gente talvolta dice: "Siamo in una società tutta guasta, tutta disonesta". Questo non è vero. Ci sono tanti buoni ancora, tanti onesti. Piuttosto, che cosa fare per migliorare la società? Io direi: ciascuno di noi cerchi lui di essere buono e di contagiare gli altri con una bontà intrisa della mansuetudine e dell'amore insegnato da Cristo" (Discorso del 24 settembre 1978: "Insegnamenti di Giovanni Paolo I", p. 93). Fu il suo testamento d'amore, soffuso di un coraggioso ottimismo cristiano, che dobbiamo tenere prezioso e mettere in pratica.

Carissimi sacerdoti e fedeli! Quante cose ci ha insegnato Papa Giovanni Paolo I! Fortunati voi che per tanti anni avete potuto godere la presenza di un padre così buono! Egli pur immerso nella "città degli uomini", per illuminarli e salvarli, si sentiva membro della "città di Dio", e rivolgendosi a Cristo poté sempre dire con sant'Agostino: "Te solo amo, te solo seguo, te solo cerco e sono disposto ad essere soggetto soltanto a te, perché tu solo eserciti il dominio con giustizia ed io desidero essere da te diretto" (S. Agostino, "Soliloquia", 1,1,5-6).

Questo egli dice anche a noi, ancora pellegrini su questa terra! Facciamo nostra la preghiera che egli era solito recitare: "Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu desideri".

Data: 1979-08-28

Data estesa: Martedì 28 Agosto 1979.





Alla Regina Elisabetta II - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Telegramma di condanna delle violenze in Irlanda

Testo: A Sua Maestà la Regina Elisabetta II - Buckingam Palace - Londra.

Esprimo a Vostra Maestà le mie sincere condoglianze per il tragico assassinio di Lord Mountbatten, uomo coraggioso, la cui morte è causa di grande dolore per la Famiglia Reale e per tutta la nazione. Questa azione di terribile violenza è un insulto alla dignità umana, e io la condanno fermamente insieme agli altri atti di violenza di ieri, che hanno causato morte e portato dolore in molte famiglie.

Chiedo a Dio onnipotente di essere misericordioso verso tutti coloro che sono morti, di confortare i loro congiunti, e di toccare il cuore dei violenti con la sua Grazia salvifica. Prego perché lo spirito di riconciliazione e di mutua comprensione fra i popoli possa prevalere.

Data: 1979-08-28

Data estesa: Martedì 28 Agosto 1979.











Lettera al Direttore Generale dell'UNESCO - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per la Giornata Internazionale dell'Alfabetizzazione

Testo: Al Signor Amadou-Mahtar M'Bow, Direttore Generale dell'UNESCO.

Nell'occasione della celebrazione della Giornata Internazionale dell'Alfabetizzazione 1979, formulo gli auguri migliori per il pieno successo di questa Giornata, auspicando che essa contribuisca a rafforzare la campagna per l'alfabetizzazione lanciata dall'UNESCO, più di un decennio fa, in stretto rapporto con le sue attività per lo sviluppo totale e armonico dell'essere umano e per il rispetto della sua dignità.

I miei auguri e le mie felicitazioni per i risultati già ottenuti vogliono manifestare il vivo interesse che la Santa Sede ed io stesso portiamo ad un'attività così importante per l'avvenire di tanti esseri umani. Vivamente preoccupato, come il mio predecessore, Papa Paolo VI, dall'ampiezza e dalla gravità del flagello dell'analfabetismo nel mondo, vorrei incoraggiare tutti coloro che sono impegnati nei programmi di alfabetizzazione, che raccolgono un gran numero di energie generose e che sono portatori di grandi speranze.

Il tema "Attraverso l'alfabetizzazione dei genitori, si prepara l'avvenire dei bambini" è stato scelto per la Giornata Internazionale dell'Alfabetizzazione 1979, nel quadro dell'Anno Internazionale del Bambino. Come è stato enunciato, riguarda nello stesso tempo sia i genitori, beneficiari immediati dell'alfabetizzazione, che trovano così la possibilità di meglio esercitare i loro diritti inalienabili e di meglio compiere i loro doveri di educatori, sia i bambini stessi, che trarranno profitto della promozione culturale dei loro genitori.

La campagna per l'alfabetizzazione di quest'anno si rivolge innanzitutto alla famiglia nella quale genitori e figli godono di diritti e assumono dei doveri particolari, fondati su valori superiori che danno pieno significato alla loro vita comune. Essi saranno così condotti a valutare meglio i beni materiali, a trarne miglior profitto in modo dignitoso, a meglio condividerli nell'ambito di ciascuna famiglia e con tutti i membri della società a cui appartengono.

Bisogna quindi auspicare che, senza trascurare la scolarizzazione dei bambini e nella continuità con gli sforzi compiuti sin qui, sia accordata un'attenzione tutta particolare anche all'alfabetizzazione dei genitori. Vi si troverà un modo efficace di assicurare una promozione nello stesso tempo personale e collettiva dei membri della famiglia, cellula fondamentale della società. Anche quest'ultima vi troverà il suo interesse poiché una volta alfabetizzati, i genitori possono dare ai loro figli l'insostituibile educazione di base che trova il suo pieno sviluppo nella formazione scolare, e possono anche aumentare le loro possibilità di promozione.

In questa speranza, colgo con gioia l'occasione della Giornata Internazionale dell'Alfabetizzazione 1979 per rinnovare i miei auguri a tutti coloro che si dedicano a questa grande opera di fraternità umana, e chiedo all'Onnipotente di elargire l'abbondanza delle sue benedizioni sulle loro persone e sui loro sforzi.

Data: 1979-08-29

Data estesa: Mercoledì 29 Agosto 1979.


GPII 1979 Insegnamenti - Omelia allo stadio comunale di Belluno