GPII 1979 Insegnamenti - Alle "quipes Notre-Dame" - Città del Vaticano (Roma)





Alle "Caritas" d'Italia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La parola di Dio nella testimonianza della carità

Testo: Figli carissimi! Nel darvi il mio cordiale benvenuto a questa udienza, che ho voluto fosse a voi esclusivamente riservata, desidero esprimervi la mia gioia per un incontro al quale attribuisco particolare importanza. Saluto in voi i rappresentanti di un organismo che, nei pochi anni della sua esistenza, si è già conquistato numerose benemerenze nell'ambito della Chiesa italiana e anche oltre i confini di essa: con slancio generoso e tempestivo voi avete cercato di far fronte, in questi anni, alle varie situazioni di bisogno che sono apparse, volta a volta, più urgenti, organizzando interventi di emergenza in caso di pubbliche calamità, coordinando le proposte caritative elaborate nelle comunità locali, promuovendo studi e ricerche sulle cause di carenze e disagi, al fine di predisporre piani efficaci di azione, nel quadro di una programmazione pastorale unitaria.

In particolare, vi siete preoccupati di attuare un illuminato suggerimento del mio venerato predecessore, il grande Papa Paolo VI, il quale, ricevendovi in un'analoga circostanza, dopo aver osservato che "la vostra azione non può esaurire i suoi compiti nella pura distribuzione di aiuto ai fratelli bisognosi" ricordava come "al di sopra di questo aspetto puramente materiale della vostra attività emerga la sua prevalente funzione pedagogica, il suo aspetto spirituale che non si misura con cifre e bilanci, ma con la capacità che essa ha di sensibilizzare le Chiese locali e i singoli fedeli al senso e al dovere della carità" (Paolo VI, Discorso del 28 settembre 1972).

Mi è caro, pertanto, valermi di questo incontro per darvi atto del lavoro utilmente finora svolto e per esprimervi, insieme col mio sincero apprezzamento, il più cordiale incoraggiamento a proseguire sulla strada, tanto esigente quanto appassionante, dell'amore fattivo verso i fratelli. Lo faccio nella consapevolezza di adempiere uno dei compiti fondamentali del mio ministero.

Chi non ricorda, infatti, l'intuizione luminosa di Ignazio d'Antiochia, il quale, già all'inizio del II secolo, attribuiva a questa Sede romana la qualifica di "universo caritatis coetui praesidens" ("Ep. ad Romanos", inscr.)? E quanto è profonda la riflessione di sant'Ambrogio il quale, commentando l'insistenza di Gesù nel porre a Pietro la domanda: "Mi ami?", osserva: "Non è che il Signore dubitasse. Egli interrogava non per sapere, ma per mostrare chi intendeva lasciarci quale vicario del suo amore" (S. Ambrogio, "In Lucam", 10: PL 15, 1994).

Ebbene, come "vicario dell'amore di Cristo", il Papa non può che rallegrarsi per la vitalità e il dinamismo, con cui la "Caritas" italiana cerca di corrispondere alle attese e alle speranze, in lei riposte dalla Conferenza Episcopale. Vi sorregga nel vostro lavoro il convincimento che ogni contributo recato alla crescita della comunità nella capacità di amare costituisce anche un aiuto per il suo avanzamento nella maturità cristiana e per il potenziamento dell'efficacia evangelizzatrice della sua presenza nel mondo.

In questo senso, desidero proporre alcuni suggerimenti. Vorrei sottolineare, innanzitutto, l'opportunità di una catechesi che chiarisca sempre meglio ai fedeli lo stretto collegamento che esiste fra annuncio della Parola ai Dio, celebrazione liturgica di essa, e sua traduzione concreta nella testimonianza di carità, che investe la vita. I cristiani dei primi tempi ebbero di ciò vivissima coscienza, come può dedursi dagli accenni che, soprattutto in riferimento all'Eucaristia, si ritrovano negli "Atti degli Apostoli" (cfr. Ac 2,42ss; Ac 4,32ss), nelle Lettere di Paolo (1Co 2,17ss; Ep 5,18ss), e degli altri Apostoli (cfr. Jc 2,1ss) come anche nella "Didaché" (9,1ss; 14,1ss) e negli scritti della più remota antichità cristiana (S. Ignazio di Antiochia, "Ep. ad Philad.", 4).

Gioverà, inoltre, stimolare la comunità cristiana ad interrogarsi circa l'adeguatezza delle proprie presenze caritative in rapporto all'evoluzione storica dei bisogni e alla domanda emergente dalle nuove forme di povertà. Sarà in tal modo possibile individuare le strade, che è necessario oggi percorrere per testimoniare, in termini credibili, l'amore di Dio per gli uomini, specialmente per i più poveri.

Converrà, infine, aprire, soprattutto ai giovani, le prospettive di un volontariato della carità, che allo spontaneismo dispersivo e provvisorio sostituisca la funzionalità e continuità di un'organizzazione razionale del servizio, inteso non soltanto come semplice appagamento di bisogni immediati, ma ben più come impegno volto a modificare le cause, che stanno all'origine di tali bisogni. I volontari, opportunamente formati, saranno i naturali animatori di un processo di responsabilizzazione della comunità, dal quale potranno derivare la revisione di strutture emarginanti, la promozione di leggi più giuste, la creazione di rapporti umani più soddisfacenti.

Figli carissimi, il lavoro che vi sta dinanzi è vasto e complesso: voi ne siete pienamente consapevoli. Non vi scoraggino le difficoltà, non vi frenino gli insuccessi o le incomprensioni. La causa è tanto nobile da ben meritare anche i più grandi sacrifici. Vi conforti in ogni circostanza il ricordo di quanto Gesù ha preannunciato circa il giudizio finale e che san Giovanni della Croce ha sintetizzato con le parole famose: "Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore". Con la mia apostolica benedizione.

Data: 1979-09-20

Data estesa: Giovedì 20 Settembre 1979.





Alla Compagnia di Gesù - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Fedeltà alla Chiesa nel genuino spirito ignaziano

Testo: E' per me motivo di soddisfazione ricevere oggi e parlare a cuore aperto a una così qualificata rappresentanza di quella Compagnia di Gesù, che da più di quattro secoli instancabilmente lavora in ogni parte del mondo "per la difesa e propagazione della fede... sotto il Romano Pontefice, Vicario di Cristo in terra" (Formula dell'Istituto).

Ringrazio perciò il Preposito Generale, i suoi Assistenti e Consiglieri, i Provinciali qui presenti, per aver desiderato, durante il vostro convegno romano, venire a rendere omaggio al Vicario di Cristo, al quale vi unisce, come gesuiti, uno speciale vincolo di amore e di servizio. Per parte mia mi è caro confermare la benevolenza di questa Sede Apostolica alla Compagnia di Gesù, che essa, nel corso dei secoli, si è meritata col fervore della vita religiosa e con l'ardore dell'apostolato, come i miei predecessori hanno ripetutamente attestato in varie occasioni.

Dalle informazioni che da ogni parte del mondo mi pervengono, conosco il grande bene che operano tanti religiosi gesuiti con la loro vita esemplare, col loro zelo apostolico, con la loro sincera e incondizionata fedeltà al Romano Pontefice. Certamente non ignoro - e così rilevo anche da non poche altre informazioni - che la crisi, la quale in questi ultimi tempi ha travagliato e travaglia la vita religiosa, non ha risparmiato la vostra Compagnia, causando disorientamento nel popolo cristiano, e preoccupazioni alla Chiesa, alla Gerarchia ed anche personalmente al Papa che vi parla.

So di rivolgere la parola a chi ha le principali responsabilità nel governo dell'Ordine. Conto sulla vostra collaborazione, e, pertanto, desidero vivamente raccomandarvi di promuovere con ogni impegno quanto di bene si compie nella Compagnia e dalla Compagnia, ed insieme di procurare, con la dovuta fermezza, rimedio alle deplorate deficienze, in modo che tutta la Compagnia viva e operi, sempre animata dal genuino spirito ignaziano.

La brevità del tempo non mi consente di soffermarmi a ponderare adeguatamente tanto le iniziative di bene che sono da sviluppare per venire incontro alle urgenti necessità del mondo, quanto le deficienze da rimediare, affinché non sia compromessa l'efficacia di quelle iniziative. Mi limitero a richiamare alcune raccomandazioni dei miei immediati predecessori, Paolo VI e Giovanni Paolo I, che, per il grande amore alla Compagnia, stavano a loro particolarmente a cuore. Le faccio pienamente mie.

er questo vi dico: siate sempre fedeli al vostro Istituto, che Paolo VI "come supremo garante della formula dell'Istituto e come Pastore universale della Chiesa" ("Lettera al Preposito Generale", 15 febbraio 1975) volle fosse conservato nella sua piena integrità. Siate parimente fedeli alle leggi del vostro Istituto, che Paolo VI e più recentemente Giovanni Paolo I, nell'allocuzione preparata, poco prima di morire, per la vostra Congregazione dei Procuratori, aveva indicato; specialmente per quanto riguarda l'austerità della vita religiosa e comunitaria, senza cedere a tendenze secolarizzatrici; un senso profondo di disciplina interiore ed esteriore; l'ortodossia della dottrina, nella piena fedeltà al supremo magistero della Chiesa e del Romano Pontefice, fortemente voluta da sant'Ignazio, come tutti ben sapete; e l'esercizio dell'apostolato, proprio di un Ordine di Presbiteri (Gregorio XIII, "Ascendente Domino") solleciti del carattere sacerdotale della loro attività, anche nelle più varie e difficili imprese apostoliche, compiute con l'aiuto valido e prezioso dei cari fratelli Coadiutori mediante l'esercizio delle loro mansioni.

A questo scopo mi sembra necessario raccomandare una cura tutta speciale nella formazione dei giovani membri dell'Ordine, speranze della Compagnia e della Chiesa. Mi rallegro con voi per il numero dei vostri Novizi, segno di una consolante ripresa di vocazioni. Questi giovani sono un dono di Dio; ma, proprio per questo, sono anche per voi una grande responsabilità. Voi saprete dare certamente a loro la formazione adeguata: formazione spirituale secondo la collaudata ascetica ignaziana, formazione dottrinale con solidi studi filosofici e teologici secondo le direttive della Chiesa, e formazione apostolica indirizzata a quelle forme di apostolato che sono proprie della Compagnia, aperte si alle nuove esigenze dei tempi, ma fedeli a quei valori tradizionali che hanno perenne efficacia.

Io so quale forza viva rappresenti la Compagnia, e perciò vivamente desidero che essa cresca e prosperi secondo il suo genuino spirito, dando a tutti l'esempio di profonda religiosità, di sicurezza dottrinale, di feconda attività sacerdotale, in modo che essa adempia pienamente la missione che la Chiesa se ne attende, e renda alla Sede Apostolica quel servizio, che, secondo il suo Istituto, si è impegnata a prestare.

Con questi sentimenti formulo i migliori auguri per i lavori del vostro convegno, mentre di cuore imparto l'apostolica benedizione a voi, a tutti i vostri confratelli che qui rappresentate, ed alle opere apostoliche dell'intera Compagnia di Gesù.

Data: 1979-09-21

Data estesa: Venerdì 21 Settembre 1979.





Commemorazione del Card. Wright - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ricordo della personalità e del servizio prestato

Testo: Signori Cardinali, Confratelli e Figli carissimi! Ho voluto questa speciale concelebrazione per ricordare, a poco più di un mese dalla sua dolorosa scomparsa, l'amabile figura del Cardinale John Joseph Wright. Egli ci ha lasciato silenziosamente, e la sua morte, privando il Sacro Collegio e la Curia Romana di un autorevole membro, è stata ed è tuttora motivo per noi di sincero compianto.

Chi è stato, in realtà, il Cardinale Wright? Quali i tratti caratteristici della sua personalità? Conosciamo bene gli elementi esteriori della sua biografia: nato negli Stati Uniti d'America da famiglia di origine irlandese, dopo una giovinezza contraddistinta da una esemplare dedizione alle anime, egli fu nominato Ausiliare di Boston, poi fu apprezzato Vescovo di Worcester e di Pittsburgh, finché, dalla fiducia del mio predecessore Paolo VI, di venerata memoria, fu chiamato a Roma come Prefetto della Sacra Congregazione per il Clero.

Ma, al di là di questi dati esterni, emergeva in lui e si presenta ora a noi come prima e precipua una spiccata qualità pastorale: dotato da natura di una ricca e calda umanità, egli si è dimostrato sempre Pastore, con tutte le note che devono definirci secondo l'insegnamento evangelico, cioè la sollecitudine, la sensibilità, la comprensione, lo spirito di sacrificio per le pecorelle del gregge (cfr. Jn 10,2-18). Fu precisamente questa attitudine, maturata nella non breve esperienza della vita diocesana, la ragione per cui, nel periodo postconciliare, ebbe l'incarico di dirigere l'importante Dicastero, al quale spetta istituzionalmente l'animazione in senso pastorale del clero e del popolo cristiano.

Volendo, pero, penetrare più addentro nella psicologia del Porporato, troveremo che la fonte segreta che alimento questo suo tipico impegno fu un costante e personale rapporto d'intimità con Cristo Signore. Colui che come motto aveva scelto la significativa espressione "Resonare Christum", si preoccupo di mantenere sempre fresco e vivo un tale contatto con lui. Di questa esigenza era tanto convinto, che non mancava mai di inculcarla ai Sacerdoti sia con gli scritti che con la parola. Mi piace citare, come esempio, la penetrante prefazione da lui dettata per la ristampa dell'aureo libretto "Manete in dilectione mea", dove si leggono queste frasi: "Se volete, carissimi confratelli, conservare in aeternum la vostra identità sacerdotale in questa epoca in cui il mondo è troppo importante per gli uomini, cercate di imitare il Cuore di Gesù oggi più di ieri". Ed ancora: "Se volete che la Chiesa sia veramente sacramento di salvezza per l'uomo d'oggi, che non svanisca la propria identità e soffra la sottile angoscia del vuoto spirituale, orientate tutta la vostra vita spirituale nell'imitazione del Cuore di Gesù". Ecco il centro, focale, che spiega il dinamismo e lo zelo del nostro Cardinale. Ecco l'indicazione permanentemente valida che egli ci trasmette se non vogliamo - noi Vescovi e Sacerdoti - che il nostro ministero si indebolisca o si annulli. E', infatti, indicazione sulla quale non rifletteremo mai abbastanza, perché connaturale al nostro stato, perché ci chiama con urgenza a vivere un'intensa vita interiore, incentrata in Cristo "mite ed umile di cuore" (Mt

11,28), alimentata da quella sua carità, senza la quale anche tra risonanti successi esterni come ci ammonisce san Paolo non si è niente (cfr. 1Co 13,1-3).

Una seconda lezione ci viene da questo insigne Porporato: nel multiforme ministero prestato ai fratelli, sacerdoti e fedeli, egli ha conservato e dimostrato un esemplare attaccamento al Magistero della Chiesa. Concepiva questo magistero come una realtà viva, come una funzione sacra, come un qualificato servizio all'integrità della fede e in generale alla causa della verità, istituito all'interno della Chiesa per volontà del Signore (cfr. Mt 28,19-20 1Tm 3,15). Ed è lecito pensare che in tale fervida adesione e, direi, devozione alla Chiesa-Maestra non sia stata estranea l'ininterrotta tradizione di fedeltà dell'Irlanda cattolica.

Non poteva essere meglio indicato, per questa nostra assemblea liturgica, il testo del Vangelo di Matteo, che è stato ora proclamato: dopo la sublime elevazione al Padre ("Confiteor tibi, Pater..."), Gesù rivolge un suadente invito ai suoi discepoli, perché vadano a lui ed accolgano il giogo soave della sua dottrina: "Venite adme omnes...". In tutta la sua vita il Cardinale Wright si è sforzato, proprio in quel quotidiano contatto che ho sopra ricordato, di studiare Gesù da vicino, di apprendere direttamente da lui le eterne e salutari lezioni della mitezza dell'umiltà di cuore. Prima del "munus docendi", quale a lui competeva come Vescovo e Pastore, egli ebbe assai caro un tale "officium discendi". Noi crediamo, dunque, per la formale promessa del Signore ("et invenietis requiem"), che già su questa terra egli abbia trovato il sollievo e la pace per la sua anima; ma crediamo, altresi, per l'incommensurabile carità dello stesso Signore, che goda ora questi beni, in forma inalterabile e piena, nella gloria del cielo.

Così sia.

Data: 1979-09-22

Data estesa: Sabato 22 Settembre 1979.





Al pellegrinaggio dei Bolognesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La fede e la speranza per il futuro dell'umanità

Testo: Signor Cardinale, sorelle e fratelli carissimi! Sono veramente lieto per questo odierno festoso incontro con una rappresentanza così qualificata della diletta ed illustre arcidiocesi di Bologna! So come avete desiderato e, con quanta cura, preparato questo pellegrinaggio a Roma per venerare la tomba del Principe degli Apostoli e per esprimere il vostro affettuoso omaggio al suo successore. Eccomi con voi! Siate i benvenuti nella casa del Padre comune!

1. Il mio primo saluto va al vostro Pastore, il venerato Fratello Cardinale Antonio Poma, che da dodici anni si trova in mezzo a voi, guidandovi con illuminata saggezza verso la via del bene. A lui la mia sincera stima, il mio cordiale plauso e anche il mio apprezzamento per quanto egli ha operato, per tanti anni, come Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Con lui saluto anche i Vescovi Ausiliari, i Monsignori Benito Cocchi e Vincenzo Zarri.

Ai Sacerdoti, ai Religiosi, alle Religiose presenti si rivolge ancora il mio saluto. Con essi ricordo, in particolare, i Superiori, i Docenti e gli Alunni del Pontificio Seminario Regionale "Benedetto XV", sede dello Studio Teologico Accademico Bolognese; e, inoltre, le Religiose Ancelle del Sacro Cuore di Gesù e quelle dell'Istituto delle Missionarie dell'Immacolata "Padre Kolbe"; i membri del Comitato-cooperativa "Simpatia e Amicizia"; i soci dell'Arciconfraternita dei santi Giovanni Evangelista e Petronio dei Bolognesi in Roma; i sodali dell'Unione Campanari Bolognesi e gli altri Campanari della Romagna. A tutti il mio affettuoso saluto e il mio sincero ringraziamento!

2. Non è certo facile parlare ai rappresentanti di una diocesi come Bologna, che vanta una storia ed una tradizione di spiritualità, di cultura, di vita, di arte, ispirate al messaggio cristiano, e che, come è noto, specialmente nei secoli gloriosi del Medioevo è stata, per l'Europa e la Chiesa, un faro luminoso di dottrina, specie nel campo della Giurisprudenza.

In questo necessario, sguardo rivolto al passato, come non ricordare la fioritura della sua santità, i suoi diciannove santi e i suoi dodici beati, tra i quali i protomartiri Vitale ed Agricola, il primo Vescovo san Zama, san Petronio, Vescovo e patrono della diocesi, la beata Clelia Barbieri, elevata agli onori degli altari dal mio predecessore Papa Paolo VI di venerata memoria? E, inoltre, i sette Sommi Pontefici di origine bolognese, tra i quali Benedetto XIV, e i quattro Pastori di Bologna, elevati al Papato, tra i quali Benedetto XV, il Papa della prima guerra mondiale? Lo sguardo poi indirizzato al presente ci fa scoprire una comunità diocesana - la cui popolazione raggiunge quasi il milione - piena di spirituale fecondità e di giovanile dinamismo, tutta protesa e impegnata a vivere profondamente la propria realtà ecclesiale nelle varie dimensioni, sia attraverso una cosciente partecipazione dei fedeli alla liturgia - e in questo momento è doveroso rivolgere il nostro grato pensiero all'opera indefessa del compianto Cardinale Giacomo Lercaro -; sia all'impegno missionario, che ha avuto una felice manifestazione nel "gemellaggio" con la diocesi di Iringa, in Tanzania; sia nelle varie attività caritative ed educative, tra cui il benemerito Istituto Gualandi per sordomuti; sia nell'impegno catechistico, promosso nelle 477 parrocchie della vasta arcidiocesi; sia nelle complesse realizzazioni, che intendono coinvolgere, interessare ed impegnare i giovani a vivere in letizia le esigenze del messaggio evangelico.

Penso che il segreto interiore di tanto entusiasmo e di tanta vitalità sia da ricercarsi fondamentalmente nella radicata e secolare devozione a Cristo Eucaristia, che nella vostra diocesi ha trovato peculiari ed esemplari manifestazioni nelle cosiddette "Decennali Eucaristiche", che si svolgono presso ogni parrocchia, e nei Congressi Eucaristici diocesani e vicariali. E come tacere della intensa venerazione dei bolognesi alla Madonna santissima? In ben 40 Santuari mariani della vostra diocesi voi confidate le vostre speranze, le vostre ansie, i vostri propositi, le vostre preghiere più segrete alla Madre di Dio; ma la pietà mariana dei bolognesi trova la sua più nota espressione nella devozione alla "Beata Vergine di san Luca". Anch'io, umile e devoto pellegrino, sono salito commosso a quel meraviglioso tempio, per pregare la Vergine Santa e per ripeterLe, con tutto il cuore: "Totus tuus sum ego!".


3. Il nostro comune sguardo deve rivolgersi oggi in particolar modo, al futuro, riconoscendo ed analizzando, con sereno realismo, le difficoltà che voi incontrate, nel vostro ambiente sociale, per l'annuncio del messaggio di Gesù.

Tali difficoltà oggettive, serie, gravi, sono note a tutti. Le ideologie materialistiche e la mentalità edonistica, che si diffondono in larghi strati della popolazione specialmente giovanile, tentano con ogni mezzo di ostacolare e di svuotare l'annuncio del Vangelo. Bisognerà forse rassegnarsi di fronte a queste difficoltà? A voi qui presenti, a tutti i bolognesi, oggi dico: "Vigilate, stati saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti!" (1Co 16,13). La fede cristiana, questo dono della benevolenza divina, tramandatavi come il più prezioso tesoro dai vostri padri deve essere conservata, protetta, amata, difesa! State saldi nella fede! La fede, che ci spalanca gli infiniti spazi della trascendenza; la fede, che ci fa chinare la fronte dinanzi a Dio; la fede, che ci unisce intimamente a Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo; la fede, che apre i nostri cuori alla speranza ed alla gioia; la fede, che ci fa amare i nostri simili come fratelli, perché essa opera mediante la carità (cfr. Ga 5,6); la fede, che ci dà la chiave per comprendere il valore autenticamente rivoluzionario delle Beatitudini evangeliche; la fede, che ci costituisce in Popolo di Dio! Fede in Dio, Creatore e Padre; fede in Cristo, unico Salvatore e vero Liberatore: fede nella Chiesa, Madre e Maestra di verità. In mezzo alle continue e periodiche crisi delle ideologie umane, la vostra fede e la vostra speranza siano fisse in Dio (cfr. 1P 1,21).

Allora si potrà ripetere di voi quello che si diceva con ammirazione nei secoli del Medioevo: "Bononia docet" (Bologna insegna). Si! Bologna deve insegnare, col suo esempio, come si crede, come si vive da autentici cristiani; come si amano i poveri e gli emarginati; cioè, deve insegnare come il Vangelo è sempre attuale e come, con la grazia di Dio, può essere vissuto per la piena felicità dell'uomo.

A voi tutti qui presenti, a tutti i bolognesi, alle persone che vi sono care assicuro la mia preghiera alla Madonna, alla cui materna protezione affido le vostre famiglie, e, in particolare, i poveri, gli ammalati, i giovani, i bimbi.

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1979-09-22

Data estesa: Sabato 22 Settembre 1979.





Recita dell'Angelus - "Affido a Maria il mio pellegrinaggi di pace"



1. Venerdì prossimo, 28 settembre, cade il primo anniversario della morte di Giovanni Paolo I, che ricorderemo con una solenne Liturgia Eucaristica nella Basilica di San Pietro e con la visita alla tomba di quel Papa, al quale la Provvidenza ha affidato solo per trentatré giorni l'esercizio del supremo servizio nella Chiesa.

Il giorno immediatamente seguente, sabato 29 settembre, mi rechero in viaggio in Irlanda, da dove il primo ottobre proseguiro per gli Stati Uniti d'America. Come ho già precedentemente accennato, il primo stimolo per questo viaggio è stato l'invito del Segretario Generale dell'ONU, Dr. Kurt Waldheim; esso mi fu rivolto da questo illustre statista poco dopo l'inizio del pontificato, e fu rinnovato poi durante l'incontro del maggio di quest'anno. Al compito che mi impone la presenza davanti all'assemblea delle Nazioni Unite, attribuisco una grande importanza, e oggi, ancora una volta, chiedo a tutti l'aiuto spirituale della preghiera.


2. Contemporaneamente il mio cuore, già oggi, si rivolge all'Irlanda, a questo Paese che, attraverso le prove di tutta la sua storia, si è legato così profondamente alla Chiesa cattolica. In questo anno la Chiesa in Irlanda celebra il centenario del santuario di Maria santissima, a Knock. Questa solennità è stata per l'Episcopato di Irlanda e poi per il Presidente di quella Repubblica l'occasione immediata per l'invito fatto al Papa. Mi reco dunque in Irlanda come pellegrino, così come ho fatto prima in Messico e poi in Polonia, mia Patria. Già oggi manifesto la gioia di potermi trovare mediante questo pellegrinaggio in quelle strade lungo le quali, da secoli, cammina verso il Signore tutto il Popolo di Dio dell'Isola Verde. Desidero che la mia presenza diventi per tutti i figli e le figlie dell'Irlanda una conferma della loro fedeltà e dedizione a Cristo nella sua Chiesa; che diventi un segno eloquente di quanto la Sede Apostolica e tutta la Chiesa sia con loro e di quanto condivida i loro meriti, ma anche le sofferenze e le prove. Davanti alla Madre della Chiesa, alla quale affido questo pellegrinaggio, esprimo l'incrollabile fiducia che esso servirà alla grande causa della pace e della conciliazione, tanto desiderata da tutta la Nazione Irlandese.


3. E' bene che la nostra strada verso New York, alla sessione dell'ONU, passi attraverso l'Irlanda, così da diventare, in questo modo, un nuovo pellegrinaggio sulle vie del servizio papale alla Chiesa. Ed è bene che questo pellegrinaggio si protragga negli Stati Uniti, come visita di quella Chiesa e di quella società.

Sono grato per l'invito della Conferenza Episcopale degli USA, come anche per l'invito, che insieme ad essa, mi indirizzo il Signor Jimmy Carter, Presidente degli Stati Uniti d'America. Prevedendo il soggiorno nella terra americana fino a domenica 7 ottobre (più a lungo non posso, poiché i miei doveri mi chiamano a Roma), non sono in grado di rispondere a tutti i singoli inviti che, nelle ultime settimane, in grande numero affluiscono alla Segreteria di Stato. Oggi invece desidero ringraziare con tutto il cuore per questi inviti e per le molte prove di benevolenza.

Percorrendo le vie scelte dal pellegrinaggio, cerchero di rispondere all'appello che da tante comunità e da tanti cuori giunge all'indegno successore di san Pietro a Roma. A tutti chiedo una preghiera, affinché possa compiere questo mio servizio nella terra di Washington, a gloria di Dio e per il bene degli uomini, miei amati fratelli e sorelle.

Il dolore per il terremoto in Umbria Esprimo ancora una volta il mio profondo dolore per la terribile calamità da cui sono state provate le popolazioni dell'Italia centrale e, in particolare, quelle di Norcia e di Cascia, in seguito al terremoto di questi giorni, che ha causato cinque morti e numerosi feriti, oltre alle gravissime distruzioni in quella ridente regione.

Mentre rinnovo la preghiera di suffragio per le vittime di San Marco e di Chiavano perché il Signore le accolga nella luce e nella pace del cielo, assicuro la mia paterna e concreta solidarietà a quanti ora soffrono per le conseguenze del sisma. Su tutti invoco la provvida assistenza divina.

Ai membri dell'Unione Mastri Campanari Bolognesi e Romagnoli Sono presenti nella piazza San Pietro i membri dell'Unione Campanari Bolognesi e Romagnoli, i quali ci hanno fatto ascoltare un melodioso concerto di campane. A nome di tutti i presenti vi esprimo, fratelli carissimi, il mio grato compiacimento per questo vostro omaggio armonioso e auspico che sia sempre accolto il suono delle campane che invita all'elevazione dell'anima, alla preghiera fervorosa, a sentimenti di amore vicendevole e di pace universale.

Data: 1979-09-23

Data estesa: Domenica 23 Settembre 1979.





All'Associazione "La Nostra Famiglia" - Nella carità rifulge la bellezza del cristianesimo


Cari fratelli e sorelle.

Mentre vivamente ringrazio la Responsabile Generale delle Piccole Apostole della Carità e Presidente dell'Associazione "La Nostra Famiglia" per le parole rivoltemi, voglio salutarvi tutti con la più calorosa cordialità e darvi il più sincero benvenuto in questa casa, che più volentieri si apre a coloro i quali, in Cristo, sanno armoniosamente congiungere la sofferenza con la carità. Saluto, perciò, con affetto i Confratelli nell'Episcopato qui presenti, e soprattutto i numerosi e cari bambini, venuti dal Papa, insieme con i loro genitori, e poi le Piccole Apostole, i vari Operatori e Amici dell'Opera fondata da Don Luigi Monza, e i sacerdoti che vi prestano il proprio ministero. Sappiate che la vostra visita mi è veramente gradita.

Le parole della Presidente hanno tracciato un quadro già da solo eloquente e bastante per conoscere l'ampiezza, l'intensità di dedizione e l'efficacia dei risultati, che "La Nostra Famiglia", nata dal cuore zelante di un Prete milanese, dimostra con la sua luminosa testimonianza cristiana. Sono veramente contento di conoscere questa singolare Associazione, che vive il comandamento evangelico dell'amore in forme concretissime, e si sforza di esservi quotidianamente fedele, anche avvalendosi dei più moderni metodi di cura e dispiegando una accurata serietà professionale.

Da parte mia, vorrei ora rivolgermi prima agli ammalati e poi a chi li cura. Ai primi dico innanzitutto di ringraziare il Signore, perché si trovano in buone mani. Ma soprattutto li invito a considerare sempre la loro sofferenza alla luce di Cristo, poiché, se è vero che il dolore umano resta un grande mistero, esso riceve tuttavia un senso, anzi una fecondità dalla Croce di Gesù. Cari bambini, e anche voi cari genitori che condividete le loro pene: sappiate che agli occhi del Signore è preziosa in particolar modo proprio la sofferenza del giusto e dell'innocente più di quella del peccatore; questi, infatti, soffre solo per sé, per un'autoespiazione, mentre l'innocente fa del dolore un capitale di redenzione per gli altri. così è di Cristo, che, secondo la Lettera agli Ebrei, "si è offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti" (He 9,28). Anche per questo noi siamo cristiani; per assimilarci a lui nella gioia e nel dolore.

Perciò ripetiamo con san Paolo, sentendone l'intima verità: "Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione" (2Co 1,5). Anche voi, quindi, potete ripetere con l'apostolo: "Siamo sconosciuti, eppure notissimi; moribondi, ed ecco viviamo... afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto (2Co 6,9-10). Questi sono paradossi che si comprendono soltanto con la fede in Colui il quale per primo li ha vissuti fino in fondo; e io vi esorto a rinnovare la vostra ogni giorno, poiché in essa risiede la vostra forza e in definitiva la vostra gioia.

La mia parola è, poi, per voi, Piccole Apostole, Collaboratori e Amici tutti dell'Opera di Don Luigi Monza. E non può essere che una parola di sincero plauso e di vivo incoraggiamento per ciò che fate. Se l'atteggiamento fondamentale degli ammalati è quello della fede, il vostro dev'essere quello della carità, cioè dell'amore, che è della fede soltanto una manifestazione (cfr. Ga 5,6). Una cosa è certa: più il vostro amore è puro e generoso, più rifulge la bellezza del cristianesimo e quasi la seduzione del Vangelo. E di ciò il mondo odierno ha bisogno: di vedere, cioè, il miracolo dei miracoli, cioè il prendersi cura dei bisognosi nel modo più disinteressato, per sconfiggere l'individualismo egoistico; nel modo più totale, per superare le meschine parzialità del calcolo e dell'opportunismo; nel modo più concreto, per non limitarsi alla sterilità delle buone intenzioni e delle belle parole; e anche nel modo più nascosto, e direi quasi pudico, per non svilire la sincerità del proprio dono con l'ostentazione, in cui altri possono essere maestri, ma non certo i discepoli di Gesù. Infatti l'amore cristiano, secondo la celebre pagina paolina, "non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità" (1Co 13,4-6).

Perseverate, dunque, con lieto coraggio nella vostra dedizione. E anche se incontrate delle difficoltà frapposte al vostro impegno, non solo non dovete intimorirvi, ma aumentare il vostro zelo, che del resto è interamente rivolto ad un servizio altamente sociale, e quindi anche umanamente apprezzabile. Gli ostacoli non possono raffreddare la carità, ma devono essere come scintille con cui se ne attizza ancora la fiamma, poiché "omnia vincit amor" (Virgilio, "Ecloca X", 69).

Che "il Dio dell'amore e della pace" (2Co 13,11) benedica largamente la vostra attività, la fecondi con la sua grazia e ne moltiplichi i frutti, a beneficio degli assistiti, a conforto dei loro parenti, e a vostra salvezza, e perché gli uomini "vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 6,16). E su tutti voi qui presenti e su quanti voi rappresentate o vi sono cari, scenda pure la mia più cordiale benedizione apostolica, in pegno del conforto celeste e della mia sincera benevolenza.

Data: 1979-09-24

Data estesa: Lunedì 24 Settembre 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Alle "quipes Notre-Dame" - Città del Vaticano (Roma)