GPII 1979 Insegnamenti - Le vere dimensioni della libertà religiosa

Il Papa non può certo dimenticare l'opera instancabile, ammirevole, intelligente di persone e di istituzioni benefiche, che si svolge nel seno della Chiesa, spesse volte con mezzi inadeguati a cui supplisce l'ansia della carità di Cristo che a tutto spinge (cfr. 2Co 5,14): e soprattutto il mio pensiero va all'azione dei missionari, la cui opera evangelizzatrice si dedica, nei suoi risvolti educativi e assistenziali, proprio all'elevazione e alla preparazione delle generazioni che salgono. E lodo tutto ciò che, nel mondo, uomini e donne, di ogni credo e di ogni convinzione religiosa, compiono con sforzo generoso e con retta intenzione per l'educazione e l'assistenza dell'infanzia.

Ma come non riaffermare solennemente che la vita dell'essere umano e sacra, fin dal suo sprigionarsi sotto il cuore della madre, al momento del concepimento? Come dimenticare che, proprio in quest'anno consacrato al fanciullo, il numero delle vite soppresse nel grembo materno ha raggiunto culmini paurosi? E' una silenziosa ecatombe, che non può lasciare indifferenti non dico noi uomini di Chiesa, noi cristiani e cristiane del mondo intero, ma altresi i responsabili della cosa pubblica, le persone pensose dell'avvenire delle Nazioni. Nel nome di Gesù "vivente in Maria" (venerabile Olier), da lei recato in grembo nel mondo indifferente e ostile - a Betlemme si rifiutarono di accoglierlo e nella reggia di Erode si tramo la sua morte -, nel nome di quel Bambino, Dio e uomo, io scongiuro gli uomini consapevoli della dignità insopprimibile di questi uomini non ancor nati, a prendere una posizione, degna dell'uomo, perché questo oscuro periodo che minaccia di avvolgere di tenebre la coscienza umana, possa essere finalmente superato.

Nei giovani la speranza del domani


10. L'Anno Internazionale del Bambino comprende altresi nei suoi scopi la promozione umana dei ragazzi e degli adolescenti dei due sessi, fino alla soglia della giovinezza. Il mio pensiero va perciò in questo momento alle schiere, vivaci e gioiose, di questi cari ragazzi e ragazze, che in tutto il mondo formano la speranza più lieta del domani. E oltre a essi, seguendo le generazioni che crescono, abbraccio altresi l'immensa schiera dei giovani e, delle giovani di tutto il mondo, tessuto connettivo delle società di ogni tipo, e riserva di energie per la costruzione di un domani più giusto e più sereno. Questa gioventù nelle sue varie fasce che vanno dall'adolescenza alle soglie del matrimonio è retta, è generosa, e assetata di verità, di giustizia; chiede agli adulti di essere accolta con comprensione e buona volontà nei settori operativi e nei gangli direzionali; essa si rivolge alla Chiesa con rinnovato interesse e col desiderio profondo di una chiara risposta ai fondamentali "perché" della vita. A questi giovani ancor oggi Cristo guarda negli occhi con simpatia, come al giovane del Vangelo (cfr. Mc 10,21).

Nella sua ricerca di certezze, la gioventù non può, non deve rimanere delusa. Ad essa io ripeto il grido del mio inizio di pontificato: "Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!" (22 ottobre 1978: AAS 70 (1978) 947). So di trovare accoglienza! Me lo confermano i contatti lietissimi ed esaltanti con tanti giovani, a cui in quest'anno, a Roma come in tutte le latitudini del mondo, ho parlato, ho stretto la mano, con cui ho scambiato lo sguardo affettuoso. Ad essi ripeto: ia Chiesa non vi tradirà mai, la Chiesa non vi deluderà mai, la Chiesa vi rispetterà sempre nella vostra integrale personalità umana. Non abbiate paura.

Ma penso altresi alle oscure realtà che minacciano questo potenziale ricchissimo di vita, che è l'adolescenza e la gioventù odierna, che possono trasformarlo in materiale amorfo, anzi in potenziale distruttivo. Come non ricordare che tante richieste di lavoro, di formazione culturale, di occupazione professionale, rimangono inascoltate, lasciando forzatamente inoperosi tanti giovani, che pure hanno faticato e studiato, che hanno raggiunto una preparazione ormai degna di essere utilizzata per il bene comune della società? E come non alzare vibratamente la voce contro chi, nell'ombra, ignobilmente, con fini perversi, cerca di corrompere questa ricchezza stupenda con tremendi surrogati di valori traditi, con mortali allettamenti che, in un'esistenza in preda di delusioni e talora vuota di ideali, trovano facile esca? Come dimenticare le ormai innumerevoli vittime della droga, offerta fin dai primi anni dell'adolescenza, e diventata poi catena ferrea di una obbrobriosa schiavitù? Come dimenticare le devastazioni morali, che un'industria altrettanto ignobile, o una mentalità permissiva e edonistica che permea parte dell'editoria e degli strumenti di comunicazione attraverso l'immagine, han prodotto nell'animo di tanta gioventù con l'edonismo sfrenato, proposto a norma di vita? Come dimenticare la manipolazione della personalità dell'uomo in formazione mediante i mass-media, gli indottrinamenti ideologici, la presentazione parziale e distorta della verità, la pornografia? Su tutti questi sintomi preoccupanti di regressione morale si innesta il fattore della violenza, in tutti i suoi stadi, che obbedisce unicamente a una logica di distruzione e di morte, che potrebbe, Dio non voglia, paralizzare l'aspirazione comune all'ordinato progresso, alla concordia costruttiva, alla pace operosa. A questi giovani, che oggi non hanno paura di uccidere o di ferire, altri giovani, altri uomini, io rivolgo in ginocchio, come il mio predecessore Paolo VI, il grido di speranza e l'invito che ho fatto echeggiare a Drogheda (29 settembre 1979, n. 12: AAS 71 (1979) 1083): "Faccio appello ai giovani che possano essere stati irretiti in organizzazioni impegnate nella violenza. Io vi dico, con tutto l'amore che ho per voi, con tutta la fiducia che ho nei giovani: non ascoltate le voci che parlano il linguaggio dell'odio, della vendetta, della rappresaglia... Il vero coraggio consiste nel lavorare per la pace. La vera forza consiste nell'unirvi ai giovani e alle giovani della vostra generazione in ogni dove per costruire una società giusta, umana e cristiana, mediante le vie della pace. La violenza è la nemica della giustizia. Solo la pace può condurre alla vera giustizia".

Gli immensi valori della famiglia


11. La formazione della gioventù è inscindibilmente collegata col retto ingranaggio della vita familiare. La famiglia, "prima e vitale cellula della società", come l'ha definita il Concilio (AA 11), è la riserva delle fortune o delle sventure della società di domani: infatti essa ha continue e determinanti interferenze nella vita dei giovani, in senso sia negativo che positivo. Essa non può quindi essere assente dall'ordine di pensieri di questo messaggio natalizio, tanto più che il Natale è la festa per eccellenza delle famiglie cristiane, riunite intorno al Presepio nella semplice gioia che nasce dalla vera e profonda fusione dei cuori. La Sacra Famiglia celebrata nella domenica successiva al Natale, dà la chiave per comprendere tutti i valori che devono essere proclamati alle famiglie di oggi: amore, dedizione, sacrificio, castità, rispetto della vita, lavoro, serenità, letizia. Le fonti di squilibrio, a cui abbiamo accennato, fanno invece della famiglia la prima vittima, e, con essa, travolgono la gioventù. Tanti sbandamenti morali, come tanti fatti di violenza, nascono proprio dal disimpegno della famiglia, fatta purtroppo bersaglio di una coalizione di forze disgregatrici, che si servono di tutti i mezzi a disposizione.

Nei viaggi che ho compiuto quest'anno, se ho potuto vedere tanto bene attorno a me, è perché certamente la presenza e l'opera delle famiglie cristiane rimangono come il tessuto connettivo, la compagine e la struttura portante della vita civile ed ecclesiale di tutto il mondo. Ne ringrazio il Signore, e con lui tanti padri e madri di tutte le latitudini del globo.

Anche per la difesa dei valori, relativi alla famiglia, non ho tralasciato occasione di interessare le personalità che, in quest'anno ho avuto l'opportunità di incontrare, dai supremi responsabili della vita delle Nazioni, ai loro rappresentanti diplomatici, alle autorità civili e politiche. E in favore della famiglia non ho cessato di richiamare, per i vari e complessi problemi che essa propone alla coscienza e alla società, nelle mie allocuzioni e appelli: in Messico, nell'omelia a Puebla de Los Angeles, in Polonia a Jasna Gora, nell'appello e nel discorso agli operai, poi a Nowy Targ, indi a Limerick, in Irlanda, e al Capitol Mall, negli Stati Uniti. Né ho tralasciato l'accenno all'azione catechetica affidata alla famiglia, nell'esortazione "Catechesi Tradendae" (CTR 68); e mi permetto di ricordare la trattazione che sto svolgendo nelle Udienze Generali, in preparazione alla Sessione del Sinodo dei Vescovi, che si svolgerà nel prossimo anno, e sarà dedicata alla famiglia. Sarà un'occasione privilegiata, e da me tanto attesa, perché tutta la Chiesa, nei rappresentanti dei suoi Episcopati nazionali, si soffermi a meditare e ad approfondire la meravigliosa dignità della famiglia, la ricchezza dei suoi valori, l'importanza insostituibile della sua missione.

L'incontro con Cristo, con la famiglia, con l'uomo


12. Venerati fratelli! Il ritrovarci insieme in questa attesa natalizia ha permesso questa panoramica sui problemi più urgenti e attuali. So che è compito imprescrittibile del Supremo Pastore della Chiesa di indicare la via da seguire. E questa via è Cristo (cfr. Jn 14,6): egli solo; egli sempre: "Christus heri et hodie, ipse et in saecula" (He 13,8).

In questo anno di pontificato, "il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese" (2Co 11,28), sono stati unicamente quelli di incontrare l'uomo, per far incontrare l'uomo con Cristo: le folle che hanno assiepato ininterrottamente le udienze del Mercoledì, quelle incontrate nei miei pellegrinaggi, le visite settimanali alle parrocchie della mia diocesi di Roma, mi hanno concesso di stabilire questo contatto vivo, permettendo una catechesi costante del Magistero, le cui linee ho tracciato nel recente documento "Catechesi Tradendae", che riassume i voti emersi nel Sinodo dei Vescovi. E' stato un rapporto diretto con tutti: con uomini vivi, non con masse amorfe; con i bambini e i giovani; con gli uomini politici; con gli operai dei vari settori, che ho visitato anche nei loro luoghi di lavoro; con la gente dei campi e della montagna; con gli esponenti del mondo scientifico - fisici, giuristi, docenti e universitari -; con i membri di istituzioni di carattere culturale e turistico; con i marittimi; con gli aviatori e gli staffs aeronautici che mi hanno portato nel cielo dei vari Continenti; con i vari settori delle Forze Armate; ecc. E' stato veramente un incontro diretto e personale con l'uomo di ogni Paese.


13. Al tempo stesso vi è stato l'incontro con la Chiesa. Essa infatti è stata istituita da Cristo per la salvezza dell'uomo, di ogni uomo, nelle situazioni concrete della vita. La Chiesa conosce oggi un momento davvero esaltante di vitalità, ed è centro di orientamento, di interesse per tutto il mondo.

E' stata per me un'esperienza ricchissima quella di incontrare quest'anno gli Episcopati di larga parte dei vari continenti: e se il carisma di Pietro e dei suoi successori è quello di "confirmare fratres" (cfr. Lc 22,32), non meno grande è il conforto che io ricevo dalla fede di questi fratelli, che vengono "videre Petrum" e scambiare con lui il bacio di pace, nell'abbraccio fraterno, in un costante e rigoroso esercizio della collegialità episcopale, che tanto mi sta a cuore. E soprattutto è stato espressione di tale collegialità l'incontro con i Membri del Sacro Collegio, che tanta gioia, interesse e partecipazione ha suscitato per primi in voi, venerati fratelli che lo componete, in considerazione della singolarità dell'avvenimento.

E una grande letizia pervade ora il mio spirito, al ricordare che un Vescovo della Chiesa di Dio, il venerato Monsignor Tchidimbo, è stato restituito quest'anno alla sua piena libertà dopo un lungo periodo di sofferenza.

Né posso dimenticare gli incontri e le concelebrazioni con i dilettissimi fratelli nel sacerdozio, che amo come la pupilla degli occhi, e ritengo veramente "il mio gaudio e la mia corona" (Ph 4,1) nella loro adesione gioiosa, totale, irrevocabile a Cristo, sommo ed eterno Sacerdote.

Ho scolpiti nel cuore gli incontri con i Religiosi di varie Congregazioni e Istituti e, tra essi, con i Religiosi laici, e mi compiaccio per la loro particolare testimonianza di amore a Cristo e alla Chiesa.

Così ricordo gli incontri con le Religiose, e ad esse ripeto tutta la fiducia e l'attesa che la Chiesa in esse ripone, nell'esercizio di una maternità spirituale di offerta e di dedizione, la cui fonte e ispiratrice è la Vergine santissima, chiamata all'altissima dignità di Madre di Dio e della Chiesa, e provvida Regina degli Apostoli, nel silenzio vigile di Nazaret, del Calvario, del Cenacolo.

Mancherebbe il tempo di ricordare le folle dei fedeli incontrate lungo l'anno, nei viaggi apostolici come nelle udienze e nelle visite, in Roma e in Italia.

Sulla via dell'unità fra tutti i cristiani Un cenno almeno voglio dedicare allo sforzo di intensificare i legami che uniscono ia Chiesa Cattolica alle Chiese sorelle dell'Oriente cristiano, in una ricerca di intesa e di comprensione, fondata sulla carità di Cristo e nella comune esaltazione della Gloria divina. Le consegne che il Concilio Vaticano II ha dato nel campo delicato, difficile e promettente dell'ecumenismo, come uno dei suoi principali intenti per il "ristabilimento dell'unità da promuoversi fra tutti i Cristiani" (UR 1), rimangono fra gli impegni principali del pontificato. In questo spirito ha acquistato particolare significato l'abbraccio scambiato di recente col Patriarca di Costantinopoli, Dimitrios I, nel quale ho voluto abbracciare tutti i Pastori e fratelli delle Chiese cristiane.

Un servizio di amore e di verità


14. La funzione del Supremo Magistero nella Chiesa, in questo momento di grandi tensioni ma di più grandi speranze, è quella di offrire all'uomo un servizio di amore e di verità. Questo è stato lo spirito dei viaggi che ho compiuto; e lo sarà per quelli che, con l'aiuto di Dio, affrontero nel prossimo anno, per i quali mi sono giunti gli inviti dalle Conferenze episcopali e dalle Autorità civili di numerosi Paesi. Mentre ringrazio di tanta delicatezza, assicuro che verro incontro a quanti potro.

Chiedo al Signore di aver la forza e l'aiuto per continuare sulla via tracciata dai miei indimenticabili Predecessori: dall'invincibile e invitta speranza di Giovanni XXIII alla pazienza e fermezza eroica e lungimirante di Paolo VI, che brillerà sempre per quanto ha compiuto in favore della Chiesa in applicazione del Concilio Vaticano II; fino al sorriso di Giovanni Paolo I, che nel suo fulmineo passare ha lasciato un solco profondissimo, a ricordarci ancor sempre che "le vie di Dio non sono le nostre" (cfr. Is 55,8).

Su questa linea continua il cammino della Chiesa, ora, per l'anno che sta per iniziare, come per l'avvenire. Cristo è con noi, non temiamo, non esitiamo: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20).

Affido la Chiesa a Maria

15. Tutto questo, "per Mariam". A lei ho affidato gli inizi del mio pontificato, e a lei ho portato nel corso dell'anno l'espressione della mia pietà filiale, che ho imparato dai miei genitori. Maria è stata la stella del mio cammino, nei suoi santuari più celebri o più silenziosi: la Mentorella e Santa Maria Maggiore, Guadalupe e Jasna Gora, Knock e il Santuario nazionale dell'Immacolata a Washington, Loreto, Pompei, Efeso. A lei affido me stesso. A lei affido la Chiesa tutta, al versante ormai di un anno che finisce e all'alba del nuovo. Con Maria, prendiamo insieme la via di Betlemme.

Guardando al futuro, se non mancano i motivi di ansia, più forti e preminenti sono quelli di fiducia e di speranza. Sorretta da questa speranza, la Chiesa continua la sua opera. Rimane fedele a Cristo, al suo Vangelo, al suo invito alla conversione "perché il Regno di Dio è vicino" (Mc 1,15). Essa non si stancherà mai di intercedere davanti a Dio per l'umanità, né di interporsi e di pagare di persona per la difesa e l'ascesa dell'uomo. Dell'uomo integrale, anima e corpo. Di ogni uomo, fin dal nascituro, perché ciascun uomo è corona del creato (cfr. Gn 1,27ss), ciascun uomo è vivente gloria di Dio (cfr. Ep 1,12-14 S. Ireneo, "Adv. Haer." IV, Ep 20,7).

La Chiesa continua ad annunciare al mondo questa straordinaria realtà: e senza stancarsi, senza perdersi d'animo, raccoglie le sue forze, avanza nel mondo, proclamando la santità, l'onore, i diritti di Dio e la grandezza dell'uomo. Essa cammina nella luce di Dio, nella gioia di Dio. Siamo tutti coinvolti in questo pellegrinare. Andiamo avanti, camminiamo e cantiamo, come ci dice sant'Agostino: "Non per appagare la tranquillità, ma per confortare la fatica. Facciamo come son soliti cantare i viandanti: canta, ma cammina; consola col canto la fatica, non accontentarti dell'ozio; canta e cammina... Avanza nel bene, avanza nella retta fede, avanza nella vita buona; "canta et ambula"" (S. Agostino, "Serm. 256", 3: PL 38, 1193).

In questo camminare ci guidi sempre la stella di Natale, che porta a Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria; a Gesù, Redentore dell'uomo.

Con la mia più effusa benedizione.

Data: 1979-12-22

Data estesa: Sabato 22 Dicembre 1979.





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Che Dio sia con noi

Testo:

1. Tutto l'Avvento è un periodo di attesa e di preparazione alla venuta del Salvatore. L'ultima settimana dell'Avvento si potrebbe chiamare il tempo dell'invito. Nel corso di questi giorni, che precedono immediatamente il Natale, la Chiesa invita. Invita mediante tutta la sua liturgia, nella quale occupano un posto particolare, nel corso di questi giorni, le cosiddette "Antifone Maggiori", unite al canto del "Magnificat" durante i Vespri.

Sono bellissime e, nello stesso tempo, semplici e profonde nel loro contenuto. L'Antifona odierna, l'ultima di questo ciclo (domani infatti è la vigilia), si rivolge con queste parole a Colui che deve venire: "O Emmanuel, rex et legifer noster, exspectatio gentium et salvator earum: veni ad salvandum nos, Domine Deus noster". "O Emmanuele, Dio-con-noi, nostro re e legislatore, attesa dei popoli e loro liberatore: vieni a salvarci con la tua presenza, Signore Dio nostro".

Emmanuel! E' l'ultima invocazione; l'ultima parola di quelle antifone invitanti. Sembra testimoniare che l'invito è stato accettato perché "Emmanuel" parla di Dio che è con noi. così dunque l'ultima di queste grandi antifone d'Avvento esprime la certezza della venuta del Signore. Parla già della sua presenza in mezzo a noi.

Quando ci rendiamo conto delle circostanze della nascita di Dio, quando ci ricordiamo che "non c'era posto per loro nell'albergo" (Lc 2,7), capiremo ancor meglio quell'invito della liturgia dell'Avvento e lo esprimeremo con la pace interiore più profonda. Con l'amore più grande per Colui che sta per venire.

Nello spirito di queste parole dell'antifona di Avvento mi rivolgo già oggi a tutti i presenti, a tutti gli abitanti di Roma: Emmanuele! Che cosa possiamo augurarci di più, se non che Dio sia con noi? Allora, questo vi auguro con tutto il cuore. E chiedo a tutti di accettare questi auguri. Essi ci dispongano a ricevere meglio il Cristo. Aiutino tutti ad aprirsi reciprocamente gli uni agli altri.


2. Vorrei poi ricordare il fraterno incontro che, nei giorni scorsi, ho avuto con i Vescovi dell'Ecuador, venuti a Roma per la loro visita "ad limina Apostolorum".

Questo diretto contatto - sia privato, sia collegiale - con quei Presuli, si iscrive nel quadro della comunione profonda che lega l'Episcopato del mondo intero col successore di Pietro e con la Sede Apostolica, e mi ha permesso di conoscere più da vicino la vita della Chiesa in quel Paese.

Con gli zelanti Pastori delle ventidue circoscrizioni ecclesiastiche equatoriane ho avuto modo, in particolare, di soffermarmi su alcune questioni alle quali essi dedicano tanta cura: la comunione del Vescovo con i propri sacerdoti e con quanti collaborano all'opera di evangelizzazione, centrata nel Cristo, Figlio di Dio, Redentore e speranza dell'uomo; la dimensione sociale della Buona Novella, che è annunziata per la dignità effettiva di ogni essere umano, considerato alla luce del piano di Dio; le ansie e le speranze dei giovani, che attendono dalla Chiesa una risposta ai loro inquietanti interrogativi e un annunzio sempre più autentico del Vangelo.

Chiediamo l'intercessione della "Virgen de las Mercedes", Patrona dell'Ecuador, mentre imploriamo i più abbondanti doni del Signore su quella diletta Nazione.

Data: 1979-12-23

Data estesa: Domenica 23 Dicembre 1979.




All'ospedale "Santo Spirito" - Roma

Titolo: Una parola di consolazione, di fiducia, di solidarietà, di affetto

Testo: Carissimi fratelli e figli dell'Ospedale di Santo Spirito! Se breve e rapido è stato il tragitto che ho dovuto fare per recarmi in mezzo a voi, più intenso ed affettuoso è il saluto che desidero rivolgervi nel momento in cui vi incontro per la prima volta.

A voi, illustri membri del Consiglio di Amministrazione; a lei, Monsignor Fiorenzo Angelini, incaricato tanto premuroso per l'assistenza spirituale negli Ospedali e nelle Case di cura cittadine; a voi, valenti Sanitari, Personale infermieristico ed impiegatizio; a voi, zelanti Cappellani e brave Suore, che in vario modo prestate qui la vostra apprezzata attività e, in particolare, a voi cari malati: a tutti io desidero porgere, nella dolcissima atmosfera spirituale del Santo Natale, il tipico saluto cristiano: "Sia lodato Gesù Cristo"! Si, è proprio lodando Cristo, cioè esaltando e ringraziando Colui che è venuto tra noi come Salvatore; è proprio considerando e meditando l'opera da lui compiuta per tutta l'umanità e per ogni singolo uomo, che noi ritroviamo le vere radici della nostra profonda unità e più chiaramente avvertiamo le ragioni per cui stiamo e ci sentiamo e ci diciamo fratelli.

1. Venendo in questa Sede, non posso non ricordare la storia singolare e plurisecolare che in essa s'è svolta. Sorto come un punto di convegno e di accoglienza per i pellegrini Sassoni (la "gens Saxonum"), i quali fin dal più remoto Medioevo venivano a Roma, patria della Fede come tanti altri pellegrini delle varie "nazioni" dell'Europa cristiana per venerare le memorie apostoliche, il primitivo ospizio di Santo Spirito si qualifico ben presto come una efficiente e provvidenziale istituzione, divenendo luogo di preghiera, di assistenza e di cura. Già la sua vicinanza alla Tomba di san Pietro gli conferiva una posizione privilegiata; poi il successivo sviluppo e il suo adeguarsi alle crescenti esigenze non solo dei pellegrini, ma anche dei cittadini di Roma lo trasformarono in un grande Ospedale, voluto e protetto dai Sommi Pontefici, che lo dotarono dei beni necessari perché potesse svolgere la sua attività, e in vario modo anche la collaborazione di rappresentanti personali e degli Abati commendatari gli riservarono premurose attenzioni.

Ma di una tale significativa funzione storica basta solo questo accenno.

Più importante, invero, a me sembra il rilevare una connotazione costante: qui la carità cristiana "è stata sempre di casa" nel corso dei secoli; qui le opere di misericordia l'hanno tradotta in pratica quotidiana; qui l'una e le altre hanno registrato un consolante, ininterrotto, esemplare esercizio. Quanti Ospedali di Santo Spirito sorsero ad imitazione di questo Arciospedale? Ce ne fu uno anche nella mia Cracovia. Un tale esercizio ha assunto, certo, forme diverse secondo le circostanze, ma ha sempre mantenuto il carattere di una prestazione preferenziale in soccorso degli infermi, dei bisognosi e dei poveri. E questa non è solo storia di ieri...


2. Venendo in questa Sede, penso infatti anche a quello che Santo Spirito è ai nostri giorni, cioè alla presente sua funzione di "centro motore" nell'ordinamento ospedaliero di Roma. Esso presenta una struttura ben articolata nella varietà dei suoi reparti, dei suoi laboratori e delle sue divisioni nosologiche, la quale non solo si affianca, ma coordina e stimola l'attività degli altri Ospedali dell'Urbe.

Ad esso, infatti, fa capo l'amministrazione ospedaliera di Roma, sotto il nome di Pio Istituto di Santo Spirito, a cui sono demandate la direzione generale, l'organizzazione dell'assistenza e le relative decisioni. Né posso dimenticare che qui esiste una ricca Biblioteca Medica, intitolata al nome del grande Giovanni Maria Lancisi, oltre all'omonima rinomata Accademia e che c'è anche l'annesso Museo Storico dell'Arte Sanitaria. Santo Spirito insomma alla luce di ciò che è stato in passato ed è tuttora offre il quadro eloquente di un'alta qualificazione scientifica e della conseguente capacità di rispondere egregiamente alle moderne esigenze terapeutiche, diagnostiche e cliniche, secondo una tradizione che tanto ha distinto e illustrato di fronte al mondo la Scuola Medica Romana.


3. Venendo in questa Sede penso soprattutto ai fratelli malati, a cui essa è istituzionalmente destinata. Si, penso a voi, carissimi malati, che siete, purtroppo, costretti a star qui in questi giorni. Sono giorni di santa letizia, e tali debbono essere anche per voi, nonostante lo stato di malattia. A voi fratelli, provati nel corpo e nello spirito, sono venuto a portare la parola immutabile del Vangelo: una parola di consolazione, di fiducia, di solidarietà e - se mi consentite - di speciale affetto. Voi conoscete la mia predilezione per tutti coloro che soffrono, ed è un atteggiamento, questo, che risponde al dovere fondamentale e primario di chi, succedendo a Pietro sulla Cattedra Romana, ha la formidabile qualifica di "Vicario di Cristo". Come potrei far io le veci di Cristo, se dimenticassi la sua costante preoccupazione per gli infermi, il suo prodigarsi per loro, le grandi parole di fede a loro rivolte, i suoi taumaturgici interventi, di cui sono piene le pagine evangeliche? Leggiamo che sordi e ciechi, zoppi e storpi, paralitici e lebbrosi accorrevano a Gesù da ogni parte della Palestina, "perché da lui usciva una forza che sanava tutti" (Lc 16,19 cfr. Mc 1,32-34). Come potrei io dimenticare quella "morale identificazione", che Gesù stabilisce tra sé e i sofferenti, ed inserisce quale criterio di giudizio - un giudizio esigente e severo - in quel codice che regolerà il nostro "status" per l'eternità? "Ero ammalato e mi avete visitato... Ma quando, Signore?... Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,36 Mt 25,39-40).

Avendo dinanzi agli occhi quegli esempi e questa direttiva del Signore, è naturale che io vi cerchi, vi senta vicini, vi rivolga la parola stessa di Gesù: "Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati"; "Coraggio, figliola, la tua fede ti ha salvato" (Mt 9,2 Mt 9,22). Nelle vostre persone vive e si nasconde Cristo, come nelle vostre sofferenze rivivono e continuano le sue stesse sofferenze, sicché quel valore, a noi derivante dal sangue di Cristo, perdura e si accresce mediante il vostro stesso dolore, secondo quanto ci dice san Paolo: "Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo, che è la Chiesa" (Col 1,24 cfr. 2Co 1,5 2Co 12,9). Ecco, fratelli, il punto di arrivo: il vostro soffrire non è sterile, non è un pianto che si perde nel vento del deserto, non è una crudeltà cieca e inspiegabile. Il Vangelo, infatti, lo spiega e lo interpreta: il dolore è partecipazione diretta al sacrificio redentivo di Cristo e, come tale, ha una funzione preziosa nella vita della Chiesa. Esso è un tesoro misterioso, ma reale per tutti i fedeli in virtù di quella circolazione di grazia, che Cristo-capo diffonde nel suo mistico corpo e che le membra di questo corpo si scambiano tra loro.

Io confido che questi richiami avranno il potere di destare in voi, cari fratelli, rinnovate energie spirituali, che gioveranno anche - lo spero fermamente - all'auspicata ripresa della vostra salute fisica.


4. Venendo in questa Sede, penso, infine, al Santo Natale imminente. Parlando or ora della sofferenza il nostro sguardo è arrivato fino alla Croce e al Calvario; ma prima c'è stata Betlemme con la sua culla, con la sua stalla. E' qui che Cristo uomo ha incominciato la sua opera, destinata all'universale salvezza: un inizio fatto di umiliazione, di nascondimento, di povertà; un inizio che contrasta singolarmente con la sua personalità di vero Figlio di Dio. Oh! che mirabile lezione offre a noi il Natale di Gesù Salvatore! Se egli, Figlio di Dio, si è fatto uomo "per noi uomini e per la nostra salvezza" percorrendo le strade dell'umiltà e della carità, come possiamo noi insistere negli atteggiamenti dell'orgoglio e dell'egoismo? Il Natale cristiano, per essere un'autentica celebrazione della Nativita di Gesù, deve ispirarsi alle sue stesse virtù e deve aprirci a sentimenti di pace e di comprensione, di fratellanza e di carità verso il nostro prossimo.

In questa fervida vigilia, in questo luogo di speranza e di dolore, la mia visita non soltanto vuol essere un segno augurale per gli infermi, onde si affretti la loro guarigione, ma un'occasione, altresi, di incitamento per tutti coloro che, sul piano sia terapeutico che spirituale, si occupano di loro. Oh! il trattamento delle malattie e l'assistenza ai malati escono davvero trasformati, quando siamo permeati di quelle virtù e di quei sentimenti che il Natale ci insegna. Davvero, la prestazione professionale diventa allora servizio attento, sensibile, specifico alla singola persona del fratello che soffre in quel letto, in quella corsia. Per questo la mia visita si conclude con la preghiera perché in ciascuno di voi - infermi e infermieri, assistenti e professori, Cappellani e Suore - lo Spirito di Gesù Salvatore effonda quei doni celesti. così la prossima festività sarà per voi fonte di consolante serenità e di santa letizia.

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1979-12-23

Data estesa: Domenica 23 Dicembre 1979.





Ai soci del Circolo San Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Preghiera, azione, sacrificio nell'impegno quotidiano dei laici

Testo: Carissimi.

E' per me motivo di gioia e di soddisfazione ricevere oggi, alla vigilia del Santo Natale, una schiera così numerosa e qualificata di laici romani, i quali portano nel loro cuore la ricca e molteplice esperienza di una Associazione, che ha ormai ben centodieci anni di vita, e si fregia del nome del primo Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale.

1. Si, fratelli carissimi, voi siete gli eredi spirituali di quel gruppo di giovani profondamente cristiani, che si riunirono il 28 aprile del 1869 nel Palazzo Lancellotti per fondare il primo Circolo della "Gioventù Cattolica Italiana" in Roma, assumendo il titolo di "San Pietro". E l'impegno, manifestato da quei giovani al mio venerato predecessore Pio IX: "Padre Santo, comandate, che i vostri figli sono pronti ad obbedire", e realizzato con autentica dedizione in tutti gli anni del Sodalizio, lo leggo oggi nei vostri volti luminosi di letizia.

Non erano certo tempi facili per la Chiesa, per la Santa Sede, per il Papa, per l'Episcopato, per i cattolici, quelli nei quali nacque la vostra Associazione. Ma le varie difficoltà anziché scoraggiare i primi fondatori del vostro Circolo, furono stimolo e sprone per accrescere in essi quella franchezza e quel coraggio, necessari per professare e praticare apertamente la religione cattolica. E questa "lealtà" e questa limpida coerenza senza tentennamenti sono state sempre alla base del Sodalizio, che si è battuto e ha lavorato, con giovanile baldanza e con oculata intelligenza, per la causa di Dio, di Cristo, della Chiesa, che è la causa delle anime e della stessa società civile, per la sua serena e pacifica convivenza.


GPII 1979 Insegnamenti - Le vere dimensioni della libertà religiosa