GPII 1980 Insegnamenti


Giovanni Paolo II

1980 Insegnamenti


Omelia della messa nella solennità di Maria Madre di Dio - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La verità sull'uomo è forza della grande causa della pace



1. Oggi sull'orizzonte della storia dell'umanità è apparsa una nuova

Data: 1980.

E' apparsa appena poche ore fa e ci accompagnerà per tutti i giorni che si susseguiranno durante quest'anno, fino al 31dicembre prossimo. Salutiamo questo primo giorno e l'intero anno nuovo in tutti i luoghi della terra. Lo salutiamo qui, nella Basilica di san Pietro, nel cuore della Chiesa, con tutta la ricchezza del contenuto liturgico, che porta con sé questo primo giorno dell'anno nuovo.

Oggi ricorre anche l'ultimo giorno dell'ottava di Natale. La grande festa dell'incarnazione del Verbo eterno continua ad essere presente in esso e in un certo senso vi risuona con un'ultima eco. La nascita dell'uomo trova sempre la sua risonanza più profonda nella madre, e perciò quest'ultimo giorno dell'ottava di Natale, che è contemporaneamente il primo dell'anno nuovo, è dedicato alla Madre del Figlio di Dio. In questo giorno veneriamo la sua divina maternità, così come la venera tutta la Chiesa in oriente ed in occidente, rallegrandosi della certezza di tale verità, in particolare dai tempi del Concilio di Efeso, nel quattrocentotrentuno.

Ed inoltre vogliamo dedicare questo primo giorno dell'anno nuovo, che per la Chiesa è una festa così grande, alla grande causa della pace sulla terra.

Rimaniamo qui fedeli alla verità della nascita di Dio, perché infatti ad essa appartiene quel primo messaggio di pace nella storia della Chiesa, pronunciato a Betlemme: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14). Nella scia di quello si colloca anche l'odierno messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della pace, che la Chiesa indirizza a tutti gli uomini di buona volontà, per dimostrare che la verità è fondamento e forza della pace nel mondo. Insieme a questo messaggio di pace vanno anche i fervidi auguri, che la Chiesa porge a ogni uomo, a ciascuno, e a tutti senza eccezione, con le parole della prima lettura biblica della liturgia d'oggi.

"Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace" (Nb 6,24-26).


2. La verità, alla quale ci richiamiamo nel messaggio di quest'anno per il primo gennaio, è prima di tutto una verità sull'uomo. L'uomo vive sempre in una comunità, anzi appartiene a diverse comunità, e società. E' figlio e figlia della sua nazione, erede della sua cultura e rappresentante delle sue aspirazioni. In vari modi dipende da sistemi economico-sociali e politici. A volte ci pare che egli sia implicato in essi così profondamente, che sembra quasi impossibile vederlo e giungere a lui in persona, tanti sono i condizionamenti ed i determinismi della sua esistenza terrestre.

E tuttavia bisogna farlo, bisogna tentarlo incessantemente. Bisogna ritornare costantemente alle verità fondamentali sull'uomo, se vogliamo servire la grande causa della pace sulla terra. La liturgia di oggi accenna proprio a questa verità fondamentale sull'uomo, in particolare mediante la lettura forte e concisa della lettera ai Galati. Ogni uomo nasce da una donna, così come dalla Donna è nato anche il Figlio di Dio, l'uomo Gesù Cristo.

E l'uomo nasce per vivere! La guerra è sempre fatta per uccidere. E' una distruzione di vite concepite nel seno delle madri. La guerra è contro la vita e contro l'uomo. Il primo giorno dell'anno, che col suo contenuto liturgico concentra la nostra attenzione sulla maternità di Maria, è già per ciò stesso un annuncio di pace. La maternità, infatti, rivela il desiderio e la presenza della vita; manifesta la santità della vita. Invece, la guerra significa distruzione della vita. La guerra nel futuro potrebbe essere un'opera di distruzione, assolutamente inimmaginabile, della vita umana.

Il primo giorno dell'anno ci ricorda che l'uomo nasce alla vita nella dignità che gli è dovuta. E la prima dignità è quella derivante dalla sua umanità stessa. Su questa base poggia anche quella dignità, che ha rivelato e portato all'uomo il Figlio di Maria: "...quando venne la pienezza del tempo, Dio mando il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se sei figlio, sei anche erede per volontà di Dio" (Ga 4,4-7) La grande causa della pace nel mondo è delineata, nei suoi stessi fondamenti, mediante queste due grandezze: il valore della vita e la dignità dell'uomo. Ad esse dobbiamo richiamarci incessantemente, servendo questa causa.


3. L'anno 1980, che incomincia oggi, ci ricorderà la figura di san Benedetto, che Paolo VI ha proclamato patrono d'Europa. In questo anno si compiono quindici secoli dalla sua nascita. Sarà forse sufficiente un semplice ricordo, così come si commemorano i diversi anniversari anche importanti? Penso che non basti; questa data e questa figura hanno un'eloquenza tale che non basterà una comune commemorazione, ma sarà necessario rileggere ed interpretare alla loro luce il mondo contemporaneo.

Di che cosa, infatti, parla san Benedetto da Norcia? Parla dell'inizio di quel lavorio gigantesco, da cui è nata l'Europa. In un certo senso, infatti, essa è nata dopo il periodo del grande impero romano. Nascendo dalle sue strutture culturali, grazie allo spirito benedettino, essa ha estratto da quel patrimonio e ha incarnato nell'eredità della cultura europea e universale tutto ciò che altrimenti sarebbe andato perduto. Lo spirito benedettino è in antitesi con qualsiasi programma di distruzione. Esso è uno spirito di recupero e di promozione, nato dalla coscienza del piano divino di salvezza ed educato nella unione quotidiana della preghiera e del lavoro.

In questo modo san Benedetto, vissuto alla fine dell'antichità, fa da salvaguardia di quell'eredità che essa ha tramandato all'uomo europeo e all'umanità. Contemporaneamente, egli sta alla soglia dei tempi nuovi, agli albori di quell'Europa che nasceva allora, dal crogiuolo delle migrazioni di nuovi popoli. Egli abbraccia col suo spirito anche l'Europa del futuro. Non soltanto nel silenzio delle biblioteche benedettine e negli "scriptoria" nascono e si conservano le opere della cultura spirituale, ma intorno alle abbazie si formano anche i centri attivi del lavoro, in particolare di quello dei campi; così si sviluppano l'ingegno e la capacità umana, che costituiscono il lievito del grande processo della civiltà.


4. Ricordando tutto ciò già oggi, nel primo giorno del giubileo benedettino, dobbiamo rivolgerci con un ardente messaggio a tutti gli uomini e a tutte le nazioni, soprattutto a coloro che abitano sul nostro continente. I temi che hanno scosso l'opinione pubblica europea nel corso delle ultime settimane dell'anno appena terminato, richiedono da noi che si pensi con sollecitudine al futuro. Ci costringono a tale sollecitudine le notizie sui tanti mezzi di distruzione, della quale potrebbero essere vittima i frutti di questa ricca civiltà, elaborati con la fatica di tante generazioni a cominciare dai tempi di san Benedetto. Pensiamo alle città ed ai villaggi - in occidente ed insieme in oriente - che con i mezzi di distruzione già conosciuti potrebbero essere completamente ridotti a mucchi di macerie. In tal caso, chi mai potrebbe proteggere quei meravigliosi nidi della storia e centri della vita e della cultura di ogni nazione, che costituiscono la fonte ed il sostegno per intere popolazioni nel loro cammino talvolta difficile verso il futuro? Recentemente ho ricevuto da alcuni scienziati una previsione sintetica delle conseguenze immediate e terribili di una guerra nucleare. Ecco le principali: - la morte, per azione diretta o ritardata delle esplosioni, di una popolazione che potrebbe andare da 50 a 200 milioni di persone; - una drastica riduzione di risorse alimentari, causata dalla radioattività residuata in larga estensione di terre utilizzabili per l'agricoltura; - mutazioni genetiche pericolose, sopravvenienti negli stessi esseri umani, nella fauna e nella flora; - alterazioni considerevoli nella fascia di ozono dell'atmosfera, che esporrebbero l'uomo ad incognite maggiori, pregiudizievoli per la sua vita; - in una città investita da una esplosione nucleare la distruzione di tutti i servizi urbani e il terrore provocato dal disastro impedirebbero di offrire i minimi soccorsi agli abitanti, creando un incubo da apocalisse.

Basterebbero solo duecento delle cinquantamila bombe nucleari, che si stima che già esistano, per distruggere la maggior parte delle più grandi città del mondo. E' urgente, dicono quegli scienziati, che i popoli non chiudano gli occhi su ciò che una guerra atomica può rappresentare per l'umanità.


5. Bastano queste poche riflessioni per farsi una domanda: possiamo continuare su questa strada? La risposta è chiara.

Il Papa discute il tema del pericolo della guerra e della necessità di salvare la pace, con molti uomini e in diverse occasioni. La via per tutelare la pace passa attraverso i colloqui ed i negoziati bilaterali, o multilaterali.

Tuttavia, alla loro base dobbiamo ritrovare e ricostruire un coefficiente principale, senza il quale essi da soli non daranno frutto e non assicureranno la pace. Bisogna ritrovare e ricostruire la fiducia reciproca! E questo è un problema difficile. La fiducia non si acquista per mezzo della forza. Neppure si ottiene con le sole dichiarazioni. La fiducia bisogna meritarla con gesti e fatti concreti.

"Pace agli uomini di buona volontà". Queste parole pronunciate una volta, al momento della nascita di Cristo, non cessano di essere la chiave della grande causa della pace nel mondo. Bisogna che le ricordino soprattutto coloro dai quali più dipende la pace.


6. Oggi è giorno di grande ed universale preghiera per la pace nel mondo. Noi colleghiamo questa preghiera al mistero della Maternità della Madre di Dio, e la Maternità è un messaggio incessante in favore della vita umana, poiché si pronuncia, anche senza parole, contro tutto ciò che la distrugge e la minaccia.

Non si può trovare niente che sia opposizione più grande alla guerra ed all'omicidio, se non proprio la maternità.

Così, dunque, eleviamo la nostra grande preghiera universale per la pace sulla terra ispirandoci al mistero della Maternità di Colei, che ha dato la vita umana al Figlio di Dio.

E infine esprimiamo questa preghiera servendoci delle parole della liturgia, che contengono un augurio di verità, di bene e di pace per tutti i popoli della terra: "Dio abbia pietà di noi e ci benedica, / su di noi faccia splendere il suo volto; / perché si conosca sulla terra la tua via, / fra tutte le genti la tua salvezza. / Ti lodino i popoli, Dio, / Ti lodino i popoli tutti. / Esultino le genti e si rallegrino, / perché giudichi i popoli con giustizia, / governi le nazioni sulla terra. / Ti lodino i popoli, Dio, / Ti lodino i popoli tutti. / La terra ha dato il suo frutto. / Ci benedica Dio, il nostro Dio, / ci benedica Dio / e lo temano tutti i confini della terra" (Ps 67).

Data: 1980-01-01Data estesa: Martedi 1Gennaio 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Più verità e più amore nei cuori degli uomini

1. Desidero iniziare l'Anno Nuovo insieme con voi, cari fratelli e sorelle, che amate questa preghiera comunitaria di mezzogiorno con il Papa. Desidero iniziare l'Anno del Signore 1980 con l'adorazione di Dio nella Santissima Trinità. Egli infatti è il Principio e la Fine di ogni cosa. A lui onore e gloria nei secoli.

Nessuna parte del nostro tempo e nessuna parte del nostro essere può essere sottratta a Colui "che si realizza interamente in tutte le cose" (Ep 1,23). Per di più, non può essere sottratto alla gloria di Dio Vivente quest'Anno che incominciamo oggi. Quando l'uomo si segna con il segno della croce e pronuncia le parole "Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo", manifesta che egli tutto intero è da Dio e che a Lui dirige il suo intelletto, il suo cuore, le sue braccia: tutta la sua umanità. così fa l'uomo prima della preghiera e del lavoro.

Così inizia ogni giorno. Facciamo lo stesso. E abbracciamo con il segno della salvezza quest'anno intero nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, affinché esso non ci allontani da Dio, ma ci avvicini a Lui.


2. Il segno della croce è il segno di Cristo. A lui appartiene il tempo umano e ogni sua misura, perché Egli ci ha redenti pagando il prezzo del suo Sangue per l'impareggiabile dignità dell'uomo in tutte le sue generazioni.

Quest'Anno 1980 diventi la nuova tappa nella storia della nostra salvezza. Porti più verità e più amore nei cuori degli uomini. Nelle tensioni internazionali, che proprio nelle ultime settimane, ed ancora più in questi giorni, sembrano farsi più gravi, specialmente nel Continente Asiatico, prevalgano il senso di responsabilità, e la considerazione del supremo interesse della pace, nel rispetto dei principii che regolano la convivenza internazionale, e soprattutto dei diritti di tutti i popoli.

Incominci bene questo penultimo decennio del nostro secolo. Sia l'Anno della Pace! Per questo, soprattutto, preghiamo oggi nel nome di Gesù Cristo. A ciò dirigiamo i pensieri e le opere di tutti gli uomini di buona volontà nel mondo. A ciò deve anche servire il messaggio, il quale ricorda che alla base della pace si trova la verità. Essa è la sua forza. Se non faremo riferimento a questa forza, i molteplici calcoli e le dichiarazioni potranno deluderci terribilmente. L'orrore della guerra nel futuro è così grande che non è permesso a noi di correre il rischio della non-verità, perché questa, anche se direttamente non provoca la guerra, tuttavia prepara in vari modi la via ad essa.


3. Iniziamo quindi quest'anno nello spirito di quel richiamo alla verità, che ci ha insegnato Cristo. E lo iniziamo ancora con un altro stato di dedizione a Colei, che è la Madre di Cristo. A Colei, che ha dato la vita umana al Figlio di Dio.

Vorremmo stendere su tutti gli uomini il manto di questa Maternità, che la Chiesa circonda con particolare venerazione nel primo giorno dell'Anno Nuovo, dato che esso è contemporaneamente l'ultimo giorno dell'ottava di Natale.

Vorremmo quindi con questa Maternità proteggere l'umanità intera da ogni male che la minaccia. Poiché Essa è molto potente. Lo testimoniano continuamente la Parola Divina e la vita della Chiesa. Non c'è al mondo un'altra cosa che più della maternità richieda protezione e sicurezza. E non c'è nient'altro che meglio possa assicurare la pace se non essa.

Recitiamo per la prima volta in questo Anno Nuovo l'"Angelus". Meditiamo la maternità della Genitrice di Dio, raccomandiamo a Dio in questa preghiera la grande causa della pace nel mondo.

Data: 1980-01-01Data estesa: Martedi 1Gennaio 1980.


Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La creazione come dono fondamentale e originario

1. Ritorniamo all'analisi del testo della Genesi (2,25), iniziato alcune settimane fa.

Secondo tale passo, l'uomo e la donna vedono se stessi quasi attraverso il mistero della creazione; vedono se stessi in questo modo, prima di conoscere "di essere nudi". Questo reciproco vedersi, non è solo una partecipazione all'"esteriore" percezione del mondo, ma ha anche una dimensione interiore di partecipazione alla visione dello stesso Creatore - di quella visione di cui parla più volte il racconto del capitolo primo: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gn 1,31). La "nudità" significa il bene originario della visione divina. Essa significa tutta la semplicità e pienezza della visione attraverso la quale si manifesta il valore "puro" dell'uomo quale maschio e femmina, il valore "puro" del corpo e del sesso. La situazione che viene indicata, in modo così conciso e insieme suggestivo, dall'originaria rivelazione del corpo come risulta in particolare dal Genesi 2,25, non conosce interiore rottura e contrapposizione tra ciò che è spirituale e ciò che è sensibile, così come non conosce rottura e contrapposizione tra ciò che umanamente costituisce la persona e ciò che nell'uomo è determinato dal sesso: ciò che è maschile e femminile.

Vedendosi reciprocamente, quasi attraverso il mistero stesso della creazione, uomo e donna vedono se stessi ancor più pienamente e più distintamente che non attraverso il senso stesso della vista, attraverso cioè gli occhi del corpo. Vedono infatti, e conoscono se stessi con tutta la pace dello sguardo interiore, che crea appunto la pienezza dell'intimità delle persone. Se la "vergogna" porta con sé una specifica limitazione del vedere mediante gli occhi del corpo, ciò avviene soprattutto perché l'intimità personale è come turbata e quasi "minacciata" da tale visione. Secondo Genesi 2,25, l'uomo e la donna "non provavano vergogna": vedendo e conoscendo se stessi in tutta la pace e tranquillità dello sguardo interiore, essi "comunicano" nella pienezza dell'umanità, che si manifesta in loro come reciproca complementarietà proprio perché "maschile" e "femminile". Al tempo stesso, "comunicano" in base a quella comunione delle persone, nella quale, attraverso la femminilità e la mascolinità essi diventano dono vicendevole l'una per l'altra. In questo modo raggiungono nella reciprocità una particolare comprensione del significato del proprio corpo.

L'originario significato della nudità corrisponde a quella semplicità e pienezza di visione, nella quale la comprensione del significato del corpo nasce quasi nel cuore stesso della loro comunità-comunione. La chiameremo "sponsale". L'uomo e la donna in Genesi 2,23-25 emergono, al "principio" stesso appunto, con questa coscienza del significato del proprio corpo. Ciò merita un'analisi approfondita.


2. Se il racconto della creazione dell'uomo nelle due versioni, quella del capitolo primo e quella jahvista del capitolo secondo ci permette di stabilire il significato originario della solitudine, dell'unità e della nudità, per ciò stesso ci permette anche di ritrovarci sul terreno di un'adeguata antropologia, che cerca di comprendere e di interpretare l'uomo in ciò che è essenzialmente umano.

I testi biblici contengono gli elementi essenziali di tale antropologia, che si manifestano nel contesto teologico dell'"immagine di Dio". Questo concetto nasconde in sé la radice stessa della verità sull'uomo, rivelata attraverso quel "principio", al quale Cristo si richiama nel colloquio con i farisei (cfr. Mt 19,3-9), parlando della creazione dell'uomo come maschio e femmina. Bisogna ricordare che tutte le analisi che qui facciamo, si ricollegano, almeno indirettamente, proprio a queste sue parole. L'uomo, che Dio ha creato "maschio e femmina", reca l'immagine divina impressa nel corpo "da principio"; uomo e donna costituiscono quasi due diversi modi dell'umano "esser corpo" nell'unità di quell'immagine.

Ora, conviene rivolgersi nuovamente a quelle fondamentali parole di cui Cristo si è servito, cioè alla parola "creo" e al soggetto "Creatore", introducendo nelle considerazioni fatte finora una nuova dimensione, un nuovo criterio di comprensione e di interpretazione, che chiameremo "ermeneutica del dono". La dimensione del dono decide della verità essenziale e della profondità di significato dell'originaria solitudine-unità-nudità. Essa sta anche nel cuore stesso del mistero della creazione, che ci permette di costruire la teologia del corpo "da principio", ma esige, nello stesso tempo, che noi la costruiamo proprio in tale modo.


3. La parola "creo", in bocca a Cristo, contiene la stessa verità che troviamo nel Libro della Genesi. Il primo racconto della creazione ripete più volte questa parola, da Genesi 1,1("in principio Dio creo il cielo e la terra") fino a Genesi 1,27 ("Dio creo l'uomo a sua immagine"). Dio rivela se stesso soprattutto come Creatore. Cristo si richiama a quella fondamentale rivelazione racchiusa nel Libro della Genesi. Il concetto di creazione ha in esso tutta la sua profondità non soltanto metafisica, ma anche pienamente teologica. Creatore è colui che "chiama all'esistenza dal nulla", e che stabilisce nell'esistenza il mondo e l'uomo nel mondo, perché Egli "è amore" (1Jn 4,8). A dire il vero, non troviamo questa parola amore (Dio è amore) nel racconto della creazione; tuttavia questo racconto ripete spesso: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona". Attraverso queste parole noi siamo avviati ad intravvedere nell'amore il motivo divino della creazione, quasi la sorgente da cui. essa scaturisce: soltanto l'amore infatti dà inizio al bene e si compiace del bene (cfr. 1Co 13). La creazione perciò, come azione di Dio, significa non soltanto il chiamare dal nulla all'esistenza e lo stabilire l'esistenza del mondo e dell'uomo nel mondo, ma significa anche, secondo la prima narrazione "beresit bara", donazione; una donazione fondamentale e "radicale", vale a dire, una donazione in cui il dono sorge proprio dal nulla.


4. La lettura dei primi capitoli del Libro della Genesi ci introduce nel mistero della creazione, dell'inizio cioè del mondo per volere di Dio, il quale è onnipotenza e amore. Di conseguenza, ogni creatura porta in sé il segno del dono originario e fondamentale.

Tuttavia, nello stesso tempo, il concetto di "donare" non può riferirsi ad un nulla. Esso indica colui che dona e colui che riceve il dono, ed anche la relazione che si stabilisce tra di loro. Ora, tale relazione emerge nel racconto della creazione nel momento stesso della creazione dell'uomo. Questa relazione è manifestata soprattutto dall'espressione: "Dio creo l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creo" (Gn 1,27). Nel racconto della creazione del mondo visibile il donare ha senso soltanto rispetto all'uomo. In tutta l'opera della creazione, solo di lui si può dire che è stato gratificato di un dono: il mondo visibile è stato creato "per lui". Il racconto biblico della creazione ci offre motivi sufficienti per una tale comprensione e interpretazione: la creazione è un dono, perché in essa appare l'uomo che, come "immagine di Dio", è capace di comprendere il senso stesso del dono nella chiamata dal nulla all'esistenza. Ed egli è capace di rispondere al Creatore col linguaggio di questa comprensione.

Interpretando appunto con tale linguaggio il racconto della creazione, si può dedurne che essa costituisce il dono fondamentale e originario: l'uomo appare nella creazione come colui che ha ricevuto in dono il mondo, e viceversa può dirsi anche che il mondo ha ricevuto in dono l'uomo.

Dobbiamo, a questo punto, interrompere la nostra analisi. Ciò che abbiamo detto finora è in strettissimo rapporto con tutta la problematica antropologica del "principio". L'uomo vi appare come "creato", cioè come colui che, in mezzo al "mondo", ha ricevuto in dono l'altro uomo. E proprio questa dimensione del dono noi dovremo sottoporre in seguito ad una profonda analisi, per comprendere anche il significato del corpo umano nella sua giusta misura. Sarà, questo, l'oggetto delle nostre prossime meditazioni.

Data: 1980-01-02Data estesa: Mercoledi 2Gennaio 1980.


Ai religiosi e alle religiose impegnati nella diocesi di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Necessaria collaborazione per una più organica pastorale

Sorelle e fratelli carissimi! "Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (2Co 1,2).

1. E' una profonda gioia per me potermi incontrare in questo periodo natalizio ed all'inizio del nuovo anno con voi, religiosi e religiose, che vivete e operate in Roma, la diocesi del Papa.

Vorrei, in questo momento, salutare tutti voi, non solo per famiglie religiose, ma anche singolarmente, per dirvi, con grande semplicità ed autentica schiettezza, il mio apprezzamento per le vostre persone e per la scelta fondamentale che avete fatto della vostra esistenza, donandovi totalmente ed incondizionatamente a Dio, a Cristo, alla Chiesa; per esprimervi, altresi, il mio incoraggiamento affinché continuiate ad offrire, con lo stesso impegno e con lo stesso entusiasmo dei primi giorni, la vostra testimonianza di vita religiosa ed evangelica nella società contemporanea, sempre più affamata di Dio ed alla ricerca di dare un senso profondo e vero alle proprie scelte.

Il mio fraterno saluto va a voi, religiosi e religiose, che, unendo, in sintesi feconda la contemplazione e l'azione, dedicate tutte le vostre energie all'annuncio del messaggio evangelico nella catechesi e nella scuola, o alle varie forme di amore verso l'uomo nelle molteplici iniziative caritative, sgorgate dal cuore dei vostri fondatori e delle vostre fondatrici, in particolare ai diversi tipi di assistenza ai bambini, agli anziani, agli ammalati, agli emarginati, ecc... In essi voi, illuminati dalla fede, scorgete l'immagine del Cristo; quel Cristo che voi, rispondendo ad un interiore impulso, avete seguito con generosità sulla strada della croce, della donazione e della sofferenza. Voi avete ben compreso e realizzato le parole di sant'Agostino: "Ille unus quaerendus est, qui et redemit, et liberos fecit, et sanguinem suum ut eos emeret dedit, et servos suos fratres fecit" (Deve esser cercato soltanto colui che ha redento e ha reso liberi ed ha versato il suo sangue per riscattarli ed ha fatto fratelli quelli che erano servi) (Sant'Agostino "Enarr. in Ps." 34,15, Serm.I: PL 36,333).

Cercando e seguendo il Cristo, in particolare nella castità, nella povertà e nell'obbedienza, voi date al mondo una concreta testimonianza del primato della vita spirituale, come ha efficacemente sottolineato il Concilio Vaticano II: "Coloro che fanno professione dei consigli evangelici, prima di ogni cosa cerchino ed amino Iddio che per primo ci ha amati (cfr. 1Jn 4,10), e in tutte le circostanze si sforzino di alimentare la vita nascosta con Cristo in Dio (cfr. Col 3,3), donde scaturisce e riceve impulso l'amore del prossimo per la salvezza del mondo e l'edificazione della Chiesa" (PC 6). E date altresi testimonianza della speranza nel Cristo Risorto.


2. In questi giorni voi siete riuniti per un convegno di studio e di orientamento, che ha come tema la presenza e la missione dei religiosi e delle religiose nella diocesi di Roma, al fine di meditare e riflettere insieme sul documento "Mutuae Relationes". Tale convegno, il primo del genere, è stato suggerito, proposto e voluto da voi. Non posso non esprimere il mio cordiale compiacimento per questa vostra lodevole ed esemplare sensibilità pastorale ed ecclesiale.

Non v'è dubbio che i religiosi e le religiose costituiscano una grande ricchezza ed una forza considerevole per la Chiesa universale e per le Chiese particolari, a motivo, innanzitutto, del bene spirituale immenso che essi hanno fatto e continuano a fare ispirandosi alle specifiche finalità dei loro istituti, ma anche a motivo delle varie opere e strumenti di cui dispongono per il bene delle anime. Tale forza e tale ricchezza possono e debbono essere utilizzate in maniera sempre più efficace per l'apostolato e possono e debbono diventare elementi vivi e vitali nella globalità della pastorale diocesana, a tutti i livelli.


3. Come è noto, il Concilio Vaticano II, nel trattare della vita religiosa, ha affrontato a varie riprese il problema dell'inserimento e della collaborazione dei religiosi - e quindi analogamente anche delle religiose - nella vita delle singole diocesi. Il Concilio parla esattamente della "necessaria unità e concordia nel lavoro apostolico" (LG 45); definisce i religiosi-sacerdoti "provvidenziali collaboratori dell'ordine episcopale" (CD 34), ed afferma che "anche gli altri religiosi, tanto gli uomini come le donne, appartengono anch'essi sotto un particolare aspetto alla famiglia diocesana, recano un notevole aiuto alla sacra gerarchia e, nelle accresciute necessità dell'apostolato, lo possono e lo devono recare ancor maggiore per l'avvenire" (CD 34). Questa cooperazione pastorale deve, evidentemente, avvenire nel rispetto dell'indole e delle costituzioni di ciascun istituto religioso.

Tale collaborazione nell'ambito della Chiesa particolare porterà certamente ad un coordinamento di iniziative, che farà evitare duplicati talvolta inutili e costosi in personale ed energie; ma specialmente darà il senso unitario di una finalità coerente da raggiungere "collatis consiliis" e "viribus unitis".

Tutto ciò, non possiamo nascondercelo, potrà anche comportare e richiedere dei sacrifici: la piena disponibilità per la realizzazione di un disegno pastorale più organico e più funzionale, cioè di quella "ratio pastoralis" di cui parla la costituzione apostolica "Vicariae Potestatis" (Pauli VI "Vicariae Potestatis", 2,7); la capacità di rinunciare ad iniziative e a progetti particolari, che forse non si inserirebbero adeguatamente in un disegno di "pastorale d'insieme". Ma questi sono sacrifici certamente fecondi per il bene autentico delle anime e per l'edificazione della Chiesa.


4. In questi giorni di comune preghiera e di intenso studio, vari specialisti approfondiranno i testi conciliari da me accennati, come pure il citato documento "Mutuae Relationes", perché nella vasta e complessa diocesi di Roma la presenza numericamente rilevante di religiosi e di religiose costituisca una prova ed un segno di ardore apostolico ed un valido aiuto per affrontare e risolvere, con realismo, gli svariati problemi che emergono dal contesto socio-culturale dell'urbe e che sono analizzati dai vostri gruppi di studio; i problemi della catechesi permanente; della cultura; del mondo del lavoro; della scuola; della politica; dell'assistenza alle borgate; degli istituti educativo-assistenziali; dei centri di preghiera; delle vocazioni sacerdotali e religiose; della droga; delle missioni; e tanti altri, che certamente affioreranno nelle vostre serene e franche discussioni.

Conto molto sulla vostra sperimentata generosità e sul vostro amore alla Chiesa, perché, mediante la vostra solerte ed efficace collaborazione anche ai romani di oggi si possano applicare le parole che san Paolo rivolgeva ai primi cristiani della capitale dell'impero: "Rendo grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo" (Rm 1,8).

Coraggio! Si tratta, ancora una volta, di seguire il Cristo, di camminare con Lui, nonostante gli immancabili sacrifici. Ma ascoltiamo e facciamo tesoro della raccomandazione di sant'Agostino: "Ambula securus in Christo, ambula; ne offendas, ne cadas, ne retro respicias, ne in via emaneas, ne a via recedas" (Cammina sicuro in Cristo, cammina; non inciampare, non cadere, non guardare indietro, non ti fermare per via, non cambiare strada) (Sant'Agostino "Sermo" 170,11: PL 38,932).

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1980-01-04 Data estesa: Venerdi 4 Gennaio 1980.


Al personale del Governatorato Vaticano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Sono un padre che ha bisogno dell'aiuto dei suoi figli

Fratelli carissimi, 1. A voi tutti il mio saluto cordiale! Sono lieto di questo speciale incontro, che si svolge nel clima così caratteristico delle festività natalizie e che ci offre la possibilità - da voi e da me desiderata - di scambiarci gli auguri per il nuovo anno, da poco iniziato.

Eccovi raccolti insieme, voi che prestate i vostri servizi alle dipendenze del Governatorato, con i vostri cari e gli operai delle Ditte che prestano servizio in Vaticano, con le rispettive famiglie. Il ritrovarci uniti consente a voi ed a me di avere la percezione anche fisica della realtà umana di questa vostra comunità, che opera quotidianamente entro l'ambito di questo Stato, minuscolo per territorio ma tanto rilevante dal punto di vista spirituale. Ciò dà al vostro lavoro - e voi ne avete certamente la consapevolezza - un "significato" del tutto particolare; quello cioè di una collaborazione che vi rende, sia pure su piani diversi, parte attiva di un complesso organismo che si muove intorno al Papa e ne rende possibile e ne coadiuva in certo modo l'opera, nella sua universale missione di Vicario di Cristo.

Simile consapevolezza, che si aggiunge a quella della nobiltà e dignità della vostra quotidiana fatica, quale che essa sia, può darvi la legittima fierezza di essere così, più che altri, strettamente legati al Successore di Pietro, a cui tutto il mondo cattolico guarda come al centro della propria comunione nella carità.


GPII 1980 Insegnamenti