GPII 1979 Insegnamenti - A Vescovi della Colombia in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

A Vescovi della Colombia in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Chiesa sia fedele al compito di evangelizzare

Testo: Venerabili fratelli nell'Episcopato.

Vi ricevo con profonda gioia, in questo incontro collettivo, che mi permette di allargare il mio sguardo, pieno d'affetto, alla amata Chiesa in Colombia che voi rappresentate qui, e che si è fatta e si fa pellegrina spirituale per vedere il successore di Pietro, con voi e con i fratelli Vescovi che vi hanno preceduto.

In questi momenti di comunione, riuniti nel nome del Signore, sentiamo anche la presenza dei vostri sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi, membri dei movimenti di apostolato e popolo dei fedeli, al cui servizio generoso e gioioso ci spinge il mandato di amore del Divino Maestro. In effetti, l'amor per l'uomo, immagine di Dio, è una dimostrazione della nostra fede nel Signore, dono che ci unisce nella Chiesa, sacramento universale di salvezza.

La visione di fede nel servizio dell'uomo, di tutti gli uomini, specialmente dei più bisognosi, implica che l'esercizio della missione assolutamente primordiale dell'evangelizzazione, e in questa della catechesi, "non ceda per nulla a qualunque altra preoccupazione ("Catechesi Traedendae", CTR 63).

L'evangelizzazione e la catechesi, adeguatamente concepite, costituiscono il centro stesso della vostra sollecitudine pastorale. Come giustamente lo esprime il Documento di Puebla, "il servizio ai poveri è la misura privilegiata, sebbene non esclusiva, della nostra imitazione di Cristo. Il miglior servizio al fratello è l'evangelizzazione, che lo predispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente" ("Documento de Puebla", n. 1145).

L'evangelizzazione occupa un posto insostituibile nella famiglia, a favore della quale dovete continuare ad operare con vigore e speranza. Nei focolari domestici si scopre il volto di Dio nella preghiera, si rafforzano i valori del vero umanesimo e cresce la Chiesa. All'inizio dell'anno in corso osservai: "I problemi umani più profondi sono messi in relazione con la famiglia.

La Chiesa desidera ricordare che vanno uniti alla famiglia i valori fondamentali che non possono essere violati se non con danni incalcolabili di natura morale...

E' necessario difendere tali valori fondamentali con tenacia e fermezza, perché la loro scomparsa porta con sé danni incalcolabili per la società e, infine, per l'uomo... Il primo è il valore della persona, che si esprime nella fedeltà mutua ed assoluta fino alla morte... La conseguenza di questa affermazione sul valore della persona, che si manifesta nella reciproca relazione fra i coniugi, deve essere vista anche nel rispetto del valore della nuova vita, cioè del bambino, dal primo momento del suo concepimento. La Chiesa non può assolutamente sentirsi dispensata dall'obbligo della salvaguardia di questi valori fondamentali, uniti alla vocazione della famiglia" (Giovanni Paolo II, "Omelia alla chiesa del Gesù", Roma, 31 dicembre 1978, 2: AAS 71 (1979) 92).

Conoscete la speranza che la Chiesa ripone e che il Papa possiede, nella gioventù. Ripetete ai vostri giovani ciò che dissi in Irlanda: "Credo nei giovani con tutto il mio cuore e con piena convinzione". Assicurate con tutti i mezzi la più accurata catechesi diretta dall'infanzia e alla gioventù: una catechesi integrale, fedele al contenuto totale al Vangelo, con un linguaggio adatto, che non appiattisca il contenuto del Credo, che non turbi gli spiriti e che formi cristiani saldi nell'essenziale e umilmente felici nella propria fede. Sono questi alcuni dei punti a cui ho fatto riferimento ampiamente nella recente esortazione apostolica sulla catechesi e che presento come criteri a coloro che sono impegnati in questo nobilissimo incarico che la Chiesa affida loro.

Continuate dunque, incoraggiando tutti i sani sforzi che si realizzano nel campo della catechesi. Sapete bene che, purtroppo, non sono neppure mancati "saggi e pubblicazioni equivoche e pregiudiziali per i giovani e per la vita della Chiesa" (Giovanni Paolo II, CTR 49). E' doloroso constatare che a volte si diffondono sottraendosi alla vigilanza dei Pastori. Lo Spirito ci spinge a comunicare le certezze della nostra fede. Le case editrici e le librerie cattoliche, fedeli alla missione e alle esigenze che comporta una tale denominazione, collaborino, nell'ampia misura in cui possono farlo, a questa importante opera.

Responsabili come siete delle comunità che il Signore vi affida, aiutati da tutti i vostri provvidi collaboratori, in primo luogo i sacerdoti, conducete la gioventù a Cristo, l'unico capace di offrire una piena risposta alle loro aspirazioni. Che, come annotarono i Vescovi nella Terza Conferenza Generale dell'Episcopato latino-americano, "La pastorale giovanile sia la pastorale della gioia e della speranza che trasmette il messaggio gioioso della salvezza ad un mondo molte volte triste, oppresso e senza più speranza, in cerca della sua liberazione" ("Documento de Puebla", n. 1205).

So bene che cercate di espletare questo ministero evangelizzatore in stretto contatto con i vostri fedeli e seguendo da vicino le concrete circostanze ambientali in cui si sviluppa la loro vita come cristiani. Questo vi rende testimoni di non poche situazioni penose, che derivano dalla mancanza di formazione morale e religiosa, di cultura, di lavoro, di tremende condizioni di ingiustizia, in cui si ingrandiscono sempre più le distanze fra coloro che hanno troppo e coloro che mancano dell'essenziale.

In vista di questo, non smettete mai di fare tutto il possibile a favore della formazione integrale delle persone, prestando tutta la debita attenzione alla dimensione sociale che deve essere parte del vostro ministero. Con quella particolare sensibilità che distingue oggi tante persone, soprattutto giovani desiderosi di vedere realizzato un sistema di relazioni sociali molto più giuste.

A partire da una grande fedeltà al Vangelo e con una chiara nozione di ciò che è la missione specifica della Chiesa, siate, con il vostro insegnamento, con la vostra opera, con l'incoraggiamento dato dai vostri collaboratori, efficaci promotori di autentica giustizia in tutti i campi, in accordo con le regole sottolineate dalla Chiesa nei suoi documenti sulla dottrina sociale.

Amati fratelli: confortati dalle mie parole e dal mio incoraggiamento, proseguite la vostra missione, e recate a tutti i membri delle vostre rispettive Chiese l'affetto e la benedizione del Papa. E con queste, il desiderio di pace, di gioia e speranza nella fedeltà a Cristo, il Salvatore.

Data: 1979-10-29

Data estesa: Lunedì 29 Ottobre 1979.


A vescovi del Messico in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La religiosità del popolo è auspicio alla diffusione del Vangelo

Testo: Signor Cardinale, cari fratelli nell'Episcopato.

1. Siate i benvenuti a questo incontro, con cui culmina la vostra visita alla sede degli Apostoli Pietro e Paolo. Con spirito di fede avete intrapreso il vostro pellegrinaggio a Roma, con il vivo desiderio di rafforzare la vostra comunione con il Pastore di tutta la Chiesa, e renderla partecipe dei vostri successi, propositi e speranze, così come delle difficoltà ed ostacoli che si interpongono nel quotidiano cammino del servizio apostolico alle vostre comunità ecclesiali.

Grazie per la speciale gioia che mi dà la vostra visita. Si, perché attraverso i vostri visi che ben conosco, dalle confidenze ricevute dai vostri cuori di Pastori e, sopratutto attraverso le espressive e sentite parole che ha appena pronunciato, a nome di tutti, il Presidente della vostra Conferenza Episcopale, il Signor Cardinal Arcivescovo di Guadalajara, sono state rese presenti insieme a voi, le ampie moltitudini dei vostri fedeli che rappresentano quasi la metà della Chiesa nel vostro Paese e di tutto il caro popolo del Messico, con cui ho vissuto giorni indimenticabili durante il mio primo viaggio apostolico e che occupa sempre nel mio cuore un posto particolare.

Vorrei che la sintonia di sentimenti che si creo in quelle giornate messicane e gli abbondanti semi evangelici depositati, avessero il proprio miglior frutto e completamento in un crescente approfondimento della fede e della vita cristiana nel vostro Paese.


2. Tutto ciò richiede da voi, aiutati da quanti collaborano alla missione apostolica, una perseverante e sistematica opera di evangelizzazione a tutti i livelli affinché ogni membro delle vostre comunità riceva la Buona Novella di salvezza, sviluppi in modo sempre più cosciente e personale la fede ricevuta e giunga alla pienezza della vita in Cristo. Opera difficile, urgente, ma nobilissima e meritoria, in cui mi rallegra il constatare lo spirito di aiuto reciproco che regna nelle vostre Chiese particolari, con adeguati progetti pastorali a livello regionale e con l'assistenza reciproca fra diocesi che possono soccorrere i più bisognosi con mezzi e sopratutto con agenti qualificati per la evangelizzazione.

Voi che arrivate da terre che hanno legato strettamente il loro nome a così validi documenti sull'evangelizzazione, non avete bisogno che mi trattenga a lungo su questo punto, in cui so che siete impegnati con tutte le vostre forze e convinzioni. Permettetemi tuttavia, che vi incoraggi ancora una volta nell'adepimento di questa grave responsabilità ecclesiale, affinché la Chiesa compia fedelmente la sua missione, poiché desidera sempre essere "una buona madre, seguire le anime in tutte le loro necessità, annunciando il Vangelo, amministrando i Sacramenti, salvaguardando la vita delle famiglie mediante il sacramento del matrimonio, riunendo tutti nella comunità eucaristica per mezzo del Sacro Sacramento dell'altare, accompagnandoli amorosamente dalla culla fino all'entrata nell'eternità" (Giovanni Paolo II, "Omelia nella Basilica di Guadalupe", 27 gennaio 1979: AAS 71 (1979) 176).


3. Come punto di partenza che faciliterà molto la vostra fatica, potete contare sulla profonda religiosità del vostro popolo, che lo evidenzia in tanti modi.

Questo, nonostante le lacune che presenta, offre un campo ben disposto alla recezione del Vangelo, che occorre saper valorizzare e utilizzare con opportuna disponibilità.

In quei casi in cui la fede si presenta unita a forme meno perfette di religiosità popolare, si impone un prudente criterio pastorale, per non spegnere la fede più o meno autentica bensì - partendo da questa - occorre purificarla, irrobustirla e integrarla gradualmente nel vivere coscientemente il mistero integrale di Cristo.


4. Un posto di rilievo singolare fra i vostri fedeli, è occupato dalla devozione alla Vergine Maria, che da Guadalupe - vero "Santuario del popolo messicano" - e anche da Zapopan o da tanti altri luoghi così amati dall'anima del Messico mariano, accompagna i figli nella loro peregrinazione di fede. La vostra storia vi insegna che ruolo primordiale abbia avuto ed abbia ancora la figura di Maria nella vita cristiana del popolo.

Coltivate perciò, questo aspetto religioso dei vostri fedeli che sentono e che vivono la devozione a Maria santissima come qualcosa che appartiene alla propria identità. Sia lei che, mediante una perfetta comprensione del suo posto nel mistero della grazia, e con il suo esempio di perfetta cristiana, conduca i vostri fedeli, attraverso il cammino dei veri discepoli di Gesù, il Salvatore. E siano i suoi santuari, mediante una pastorale ben curata e orientata, "luoghi privilegiati per l'incontro di una fede ogni volta più purificata" (Giovanni Paolo II, "Omelia nel Santuario di Nostra Signora di Zapopan", 30 gennaio 1979, 5: AAS 71 (1979) 231).


5. Una delle note più caratteristiche del vostro ambiente ecclesiale è la giovinezza della popolazione, di cui il 60 per cento, non arriva ai vent'anni. Ciò rappresenta per voi una vera e propria sfida che la Chiesa non può perdere. Questi giovani di oggi sono la Chiesa e la società del domani, sono il suo futuro, la sua speranza. Bisogna saperli condurre a Cristo, presentandoglielo come l'unico grande ideale che può colmare le loro inquietudini, le loro speranze di libertà, di giustizia, di autenticità, di trasformazione di cuori e, con ciò, di una società spesso ingiusta e malata. Solo così, con nobili idee nella loro mente, e con un vissuto generoso nei loro cuori, potranno superare vuoti esistenziali che stanno alla radice di tristi fenomeni di violenza, di droga o sesso, o di deviazioni verso ideologie che alla fine risultano contraddittorie con i degni ideali per i quali si credeva di lottare.


6. La causa di una profonda educazione morale della coscienza, soprattutto negli ambiti della parrocchia, della famiglia, dei centri di formazione, non può essere dissociato da questo orientamento morale e sociale, per cui la Chiesa ha insistito con tanta frequenza nei documenti a ciò dedicati, e che sono una parte importante del suo insegnamento.

Nella storia della vostra comunità ecclesiale non sono mancati esempi e figure che, muovendosi dalle intenzioni della dottrina sociale dei Papi, specialmente da Leone XIII, hanno dato prova - persino fra difficili circostanze esterne - di un fecondo inserimento nel campo sociale e associativo, sostenendo le giuste rivendicazioni dei settori bisognosi, operai e contadini, in una linea di vero umanesimo e di ispirazione ai principi cristiani. Opera che continua, che deve proseguire con forza e impegno rinnovati, grazie all'impulso dell'Episcopato.

Quanti lavorano in questo campo, sacerdoti, religiosi, laici cattolici, si attengano a questi criteri, affinché il loro sforzo sia fecondo ed ecclesiale, senza creare stridori, tensioni o dannose rotture.

Su questo terreno non smetto di raccomandarvi una speciale attenzione ad un settore particolare del vostro gregge: le comunità di indios. Ricordo con affetto il mio incontro di Cuilapan con alcuni gruppi di aborigeni e vi rimando a quanto dissi in quell'occasione.


7. Cari fratelli: altri punti meriterebbero la nostra attenzione, ma non posso continuare oltre questo incontro. A questi mi riferiro ricevendo gli altri membri dell'Episcopato messicano.

Continuate con rinnovato brio ed entusiasmo la vostra missione di Maestri, Pastori e Padri. Mantenete fra di voi ed anche come Conferenza Episcopale una stretta unione nello sviluppo delle vostre responsabilità personali e collettive, per l'edificazione nella fede delle vostre Chiese.

A tutti ed a ciascun loro membro, o dei gruppi che incontrai nei diversi momenti del mio pellegrinaggio in Messico, a quanti non poterono vedermi per malattia o per altri motivi, estendo il mio pensiero pieno di affetto e allargo le mie braccia per benedirli.

Concludo con un gran desiderio che si fa preghiera; sia la dolce Signora del Tepeyac, la Madre di Guadalupe, al cui Santuario il Papa continua a pellegrinare spiritualmente e la cui immagine conserva molto vicino, ad indicare a tutti: "andate a Gesù", via verità, vita. Amen.

Data: 1979-10-30

Data estesa: Martedì 30 Ottobre 1979.







Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Gli atti di violenza offuscano i valori umani

Testo:

1. Recitiamo l'"Angelus", questa splendida e insieme semplice meditazione sul mistero dell'Incarnazione. Alla fine aggiungiamo ad essa una triplice venerazione della Santissima Trinità e anche l'"eterno riposo" per i morti.

Oggi questa venerazione di Dio nell'inscrutabile mistero della sua vita e della sua gloria sembra avere una particolare eloquenza, poiché la esprime la Chiesa, la quale, mediante la sua solennità, confessa la gloria di Dio che vive in tutti i suoi santi.

Davvero la gloria di Dio è l'uomo, sono gli uomini che vivono questa pienezza della vita, che è in Dio e che è da Dio. Questi uomini - i santi - vivono la pienezza della Verità. Questi uomini rimangono uniti con l'Amore nella stessa sua divina fonte.

E' l'unione che supera ogni desiderio dei cuori e, nello stesso tempo, lo completa in sovrabbondanza. E' la verita, che terge ogni lacrima (cfr. Ap 7,17 Ap 21,4) dagli occhi degli esseri creati a somiglianza di Dio. E' l'Amore, che unisce gli uomini senza più riguardo di differenze e distanze, che potevano dividerli durante la loro vita terrena. Veramente una dimensione definitiva dell'esistenza umana: la dimensione divina.


2. La luce di questo Mistero scende oggi su tutta la Chiesa. E noi che con la stessa gratitudine, come sempre, meditiamo sull'Incarnazione del Figlio di Dio, recitando l'"Angelus" vediamo oggi quest'Incarnazione nei suoi frutti definitivi.

Pensiamo alle parole della Vergine di Nazaret, con le quali essa ha acconsentito che il Verbo si facesse carne. Ed ammiriamo quell'impenetrabile disegno dell'amore paterno che non ha "risparmiato" l'Eterno figlio per sollevare l'uomo. Veramente per i meriti della sua Passione e della Croce giungono alla gloria della Risurrezione i figli e le figlie del genere umano. Dal peccato trasferiti alla grazia. Dalla morte alla vita e alla grazia. Quale gratitudine dobbiamo mettere oggi nelle parole della preghiera dell'"Angelus", in questa semplice meditazione del Mistero dell'Incarnazione, la meditazione che ci ricorda, sempre, l'inizio della vita e della gloria, alla quale Dio ci chiama eternamente nel suo Figlio.


3. Contemporaneamente già oggi i nostri cuori si dirigono verso tanti cimiteri del mondo, nei quali si avvera la verità delle parole che parlano della morte dell'uomo: "polvere tu sei e in polvere tornerai" (Gn 3,19). Tutti i cimiteri del mondo sono una incessante conferma di queste parole. Sia quelli in cui riposano i papi, i vescovi, i sacerdoti, sia quelli nei quali preghiamo per i nostri cari: i genitori, i fratelli e le sorelle, gli amici, i benefattori. I cimiteri nei quali riposano gli uomini grandi e benemeriti di ogni nazione e quelli nei quali giacciono i semplici, forse talvolta sconosciuti, dimenticati, i quali non hanno più nessuno, che nel giorno dei morti accenda una candela sulla loro tomba. In tutti questi luoghi della terra, lontani e vicini, giunge la stessa preghiera per la pace e per la luce. Questa pace e questa luce eterna sono la speranza degli uomini che vivono sulla terra. Esse, la pace e la luce, sono l'espressione della vita, nella quale permangono gli uomini avvolti dalla morte del corpo. Questa pace e questa luce sono frutto del mistero dell'Incarnazione di Dio, che meditiamo ogni volta quando recitiamo l'"Angelus".


4. In particolare desidero invitarvi ad associare alla preghiera propiziatrice per tutti i defunti, di ogni tempo e di ogni luogo, anche le numerose vittime che quest'anno la violenza ha provocato nelle sue varie forme.

Non posso, a tale riguardo, non rinnovare la mia più decisa e accorata deplorazione per questi crimini che, specie negli ultimi tempi, hanno avuto esplosioni particolarmente gravi destando nella pubblica opinione ansie ed allarmi sempre più preoccupanti.

Mi riferisco anche al tristissimo episodio accaduto domenica scorsa allo Stadio romano, in cui ha perduto la vita un onesto e pacifico lavoratore, e hanno corso pericolo altri spettatori. Gli atti di violenza, ripeto, offuscano i valori umani e cristiani della persona umana e sono un continuo attentato alla civile convivenza.

Mentre eleviamo la nostra supplica alla bontà di Dio perché accolga presso di sé questo nostro fratello, esprimo alla famiglia, tanto desolata, il mio paterno cordoglio.

Data: 1979-11-01

Data estesa: Giovedì 1 Novembre 1979.





Omelia al cimitero del Verano - Roma

Titolo: Celebriamo con i nostri morti la speranza della vita eterna

Testo:

1. Noi tutti ci siamo riuniti oggi nel principale camposanto di Roma. Sono venuti qui tutti coloro per i quali questo cimitero ha un valore e un'eloquenza particolari. Esso ci parla dei Morti che vivono in noi: nella nostra memoria, nel nostro amore, nei nostri cuori. Ci parla dei nostri Genitori, di quelli cioè che ci hanno dato la vita terrestre, grazie ai quali tutti noi siamo diventati partecipi dell'umanità. Questo cimitero ci parla anche di molti altri uomini, il cui amore, esempio e influenza hanno lasciato nelle nostre anime durevoli tracce.

Noi viviamo sempre nell'ambito della verità da loro vissuta, nell'ambito dei problemi che loro hanno servito. Siamo, in un certo senso, la loro continuità.

Essi vivono in noi; e noi non possiamo cessare dal vivere in loro.

Venendo oggi in questo camposanto, noi vogliamo manifestare tutto ciò.

In questo modo il cimitero di Roma, così come tutti i cimiteri in Italia e nel mondo, diventa luogo di una mirabile assemblea: un luogo che rende testimonianza che i morti non cessano di vivere in noi vivi, perché noi, viventi, non cessiamo di vivere da essi e in essi.


2. Se questa verità psicologica, in certo qual modo soggettiva, non può essere fallace, noi, seguendo le parole della odierna festività liturgica, dobbiamo confessare la stessa cosa che, con tanta semplicità e forza, annuncia il Salmo responsoriale: "Del Signore è la terra e quanto contiene, l'universo e i suoi abitanti" (Ps 24,1).

E' del Signore!...

Se il mondo, questa terra e tutto ciò che essa contiene, e se infine l'uomo stesso non hanno quel Signore, se non appartengono a lui, se non sono le sue creature... allora il nostro senso della comunione con i morti, il nostro ricordo e il nostro amore si rompono nello stesso punto in cui nascono. Allora dobbiamo abbandonare ciò in cui ciascuno di noi esprime così fortemente se stesso; dobbiamo cancellare ciò che così fortemente decide di ciascuno di noi.

Allora infatti si svela - con una quasi implacabile necessità - questa seconda alternativa: soltanto la terra, che per un certo tempo accetta il dominio dell'uomo, in fin dei conti si dimostra invece la sua padrona. Allora il cimitero è luogo della definitiva sconfitta dell'uomo. E' il luogo in cui si manifesta una definitiva e irrevocabile vittoria della "terra" su tutto l'essere umano, pur tanto ricco; il luogo del dominio della terra su colui che, durante la propria vita, pretendeva di essere il suo padrone.

Queste sono le inesorabili conseguenze logiche della concezione del mondo che rifiuta Dio e riduce tutta la realtà esclusivamente alla materia. Nel momento in cui l'uomo, nella sua mente e nel suo cuore, fa morire Dio, deve tener conto di avere condannato ad una morte irreversibile se stesso, di aver accettato il programma della morte dell'uomo. Questo programma purtroppo, e spesso senza una riflessione da parte nostra, diventa il programma della civiltà contemporanea.


3. Noi qui riuniti siamo venuti oggi in questo camposanto per confessare la presenza di Dio e la sua signoria sul mondo creato: per confessare la sua presenza salvifica nella storia dell'uomo. Noi siamo, come dice il Salmo, la generazione che lo cerca, che cerca il volto del Dio di Giacobbe (cfr. Ps 24,6).

Si, siamo venuti qui per confessare il mistero dell'Agnello di Dio, nel quale siamo dotati della salvezza e della vita eterna. Anzi, il Figlio di Dio, Dio vero, divento uomo e come uomo accetto la morte, per donare a noi la partecipazione alla vita di Dio stesso. Di questa partecipazione ci parla oggi l'apostolo Giovanni con le parole della sua prima Lettera: "Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente" (1Jn 3,1).

Tale coscienza ci accompagna oggi, venendo per pregare sulle tombe dei nostri cari e per celebrare, in mezzo a queste tombe, il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Cristo. Offrendolo, pensiamo insieme con l'Autore dell'Apocalisse a coloro che "hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello" (Ap 7,14).

Veniamo qui con la fede. La fede solleva i sigilli di queste tombe e ci permette di pensare a quelli che sono morti come a persone che, per opera di Cristo, vivono in Dio. Con tale coscienza, con tale fede noi tutti, il Vescovo di Roma e i Parroci delle singole parrocchie romane, celebriamo qui oggi il Sacrificio di Cristo. Lo celebriamo con la speranza della vita eterna, che ci ha donato Cristo. "Chiunque ha questa speranza in lui purifica se stesso, come egli è puro" (1Jn 3,3).

Il cristianesimo è un programma pieno di vita. Dinanzi all'esperienza quotidiana della morte, di cui la nostra umanità diventa partecipe, esso ripete instancabilmente: "Credo nella vita eterna". E in questa dimensione di vita si trova la definitiva realizzazione dell'uomo in Dio stesso: "Sappiamo... che... noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1Jn 3,2).


4. Perciò anche oggi siamo chiamati a ritrovarci intorno a Cristo, quando egli pronunzia il suo discorso della montagna. Il Vangelo delle otto Beatitudini tocca queste due dimensioni della vita, di cui l'una appartiene a questa terra ed è temporale, mentre l'altra porta in sé la speranza della vita eterna.

Ascoltando queste parole, si può guardare verso la vita eterna a partire dalla temporalità. Ma si può anche e si deve guardare la temporalità, la nostra vita sulla terra, attraverso la prospettiva della vita eterna. E dobbiamo domandarci anche come deve essere questa nostra vita, affinché la speranza della vita eterna possa svilupparsi e maturare in essa. Allora comprendiamo in modo giusto che cosa vuol dire Gesù quando proclama "beati" i poveri in spirito, i miti, e quelli che sono afflitti con una afflizione buona, e quelli che hanno fame e sete della giustizia, e i misericordiosi, e i puri di cuore, e gli operatori di pace, e quelli che sono perseguitati per causa della giustizia.

Cristo vuole che noi siamo tali. E come tali ci attende il Padre. Non allontaniamoci da questo camposanto senza un profondo sguardo sulla nostra vita.

Guardiamola nella prospettiva di Dio vivo, nella prospettiva dell'eternità. Allora anche il nostro incontro con quelli che ci hanno lasciato portera pieno frutto: "La loro speranza è piena di immortalità" (Sg 3,4).

Data: 1979-11-01

Data estesa: Giovedì 1 Novembre 1979.





All'Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La "scuola per l'uomo" favorisca l'incontro con Cristo

Testo: Carissimi Soci dell'Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi!

1. Sono molto lieto di incontrarmi oggi con voi, perché, grazie a questo primo contatto, posso conoscere da vicino una valida e fiorente Associazione professionale che opera all'interno della Scuola Italiana per arricchirla con l'apporto dei valori etici e pedagogici della fede cristiana.

Ho apprezzato il vostro vivo desiderio di essere ricevuti in udienza speciale durante il Convegno, che state celebrando. E', questo, il 92° della serie, e basterebbe già un tale dato numerico per capire quale sviluppo abbia avuto il vostro Sodalizio, e quale sia lo spirito che lo anima: spirito non solo organizzativo, ma anche e soprattutto comunitario, aperto alla mutua collaborazione, disposto al confronto delle esperienze e delle iniziative in vista di un fine unico: servire la gioventù studentesca promovendone la formazione integrale.


2. Ma oltre ad aver fatto la vostra conoscenza e aver rilevato la frequenza delle riunioni, io ho anche appreso con soddisfazione che il tema sul quale state discutendo in questi giorni è dedicato o, meglio, è incentrato sull'uomo. Di questa scelta mi compiaccio sinceramente: dire infatti "una scuola per l'uomo" significa toccare nel vivo una problematica di fondamentale importanza, che riguarda la stessa ragion d'essere della Scuola e l'intrinseca sua destinazione ad essere una struttura di servizio. Ma dire "una scuola per l'uomo" significa anche offrire a me, che vi parlo, l'opportunità di svolgere, nella presente circostanza, alcune considerazioni a conferma della fiducia che la Chiesa in Italia ripone nel vostro lodevole impegno di docenti e di educatori cristiani, e ad incoraggiamento, altresi, perché vogliate continuarlo con generosità e coerenza, nonostante le difficoltà di questi anni cruciali.


3. Nel sottotitolo del tema da voi prescelto, ho trovato un esplicito e intenzionale riferimento a quello che come ben sapete è il "Leitmotiv" dell'enciclica "Redemptor Hominis", che ho pubblicato nella scorsa primavera, pochi mesi dopo che il Signore mi aveva chiamato alla suprema responsabilità nella sua Chiesa visibile. Voglio confidarvi, in proposito, che la riflessione sull'uomo e, prima ancora, un interesse peculiare e diretto per l'uomo concreto, per ogni singolo uomo - come creatura costituita in dignità naturale e soprannaturale, grazie alla convergente e provvidente azione di Dio Creatore e del Figlio Redentore - è per me un "habitus" mentale, che ho avuto da sempre, ma che ha acquistato più lucida determinazione dopo le esperienze della mia giovinezza e dopo la chiamata alla vita sacerdotale e pastorale. Ma, ovviamente, nell'enciclica non c'è soltanto questo componente di ordine psicologico e personale, ossia il riflesso della mia interiore sensibilità "de homine atque pro homine": in essa c'è anche l'obiettiva e ben più ampia alta ragione che l'uomo è e resterà sempre la via della Chiesa (cfr. Giovanni Paolo II, RH 14).

Notate bene: non dice forse Gesù nel Vangelo che egli è "la via, la verità e la vita" (Jn 14,6)? Prima di essere verità e vita, egli si definisce via, cioè la strada maestra, l'itinerario obbligato e insieme sicuro per chi vuol andare al Padre e raggiungere così la salvezza. E' certo un'immagine analoga a quella che presenta Gesù come luce (cfr. Jn 8,12), o come porta (cfr. Jn 10,7).

Alla base di queste immagini c'e un insegnamento sostanzialmente identico: bisogna camminare seguendo la via tracciata da Gesù, illuminata da Gesù; o, più semplicemente, bisogna seguire Gesù, che dall'Incarnazione al Calvario ha cercato costantemente l'uomo e solo l'uomo, per redimerlo dal peccato e restituirlo alla vita divina della grazia.

Ora la Chiesa, se è - come deve essere, pena la perdita della sua identità - la fedele continuatrice dell'opera di Gesù, deve procurare di farsi essa stessa via per l'uomo. Come già tra Cristo e la Chiesa, anche tra la Chiesa e l'uomo la connessione è tanto stretta che l'una non può stare senza l'altro. E' per questo che è giusta e vera anche l'espressione reciproca: l'uomo è la via della Chiesa; come ho ritenuto opportuno spiegare nel citato documento, egli è la "prima e fondamentale via", che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione.


4. Proviamo adesso a trasferire questi rapidi richiami nel mondo scolastico, in cui voi esercitate una funzione delicatissima. La scuola può essere davvero via per l'uomo? E, viceversa, l'uomo è davvero la via della scuola? La risposta è senz'altro affermativa: se alla scuola è connaturale la funzione educativa, è chiaro che essa non può esistere se non per l'uomo. Che cosa sarebbe una scuola che dimenticasse questa sua originaria dimensione? Sarebbe vuota di contenuto e priva di utilità: non potrebbe, infatti, bastare assolutamente una comunicazione ripetitiva e alla lunga stucchevole di nozioni e di formule! La scuola deve servire in concreto la vita e preparare alla vita: ciò vuol dire che deve formare, non semplicemente informare, l'uomo; deve contribuire ad elevarlo; deve farlo crescere nell'ordine dell'essere.

Ma c'è di più: so bene che sto parlando agli Insegnanti delle Scuole Secondarie di primo e secondo grado, i cui alunni sono compresi tra gli 11-12 e i

18-19 anni: sono i cosiddetti "teen-agers", i quali si trovano in quella decisiva stagione della vita che "media" il passaggio dalla fanciullezza alla prima maturità. E' proprio sotto i vostri occhi, cari amici e fratelli, che avviene un tale arduo passaggio, nel quale le trasformazioni fisiologiche si intrecciano - in reciproco condizionamento - con le modifiche di ordine psicologico. A poco a poco vien meno il fanciullo e, con lui, il suo tipico ed irripetibile mondo di sogno, di gioco e di innocenza; e parallelamente, secondo quella linea di gradualità che è tipica della natura ("natura non facit saltus"), nasce - quasi nuova creatura - l'uomo nella raggiunta solidità del suo fisico e nella più sviluppata e complessa area della sua spiritualità: fantasia, ragione, volontà, amore, libertà.

In questo processo voi non potete limitarvi a guardare, non potete rimanere passivi, o tutt'al più incuriositi: voi in esso siete coinvolti in prima persona, come educatori responsabili per l'espresso incarico che vi è conferito, prima ancora che dai pubblici poteri, dai naturali titolari del diritto-dovere di impartire l'educazione, cioè i genitori dei vostri allievi, nel rapporto attivo tra educatore ed educando deve scaturire un incremento di "humanitas": l'uomo adulto è chiamato a seguire, ad orientare, ad aiutare evitando del pari forzature e negligenze l'adolescente che si va facendo uomo. Quando poi l'educatore è cristiano, che ha la fede come un felice possesso, non potrà non trarre ispirazione da essa nell'attività pedagogica, a cui attende. Sarà allora l'ideale dell'"humanitas christiana", al quale riguarderà come possibilità per favorire l'incontro dell'allievo, uomo "in fieri", con la persona di Cristo, Figlio di Dio ed uomo perfetto (cfr. Ep 4,13), affinché colui che sta entrando nella vita possa accoglierlo per la fede, nel suo cuore, e sia in grado "di comprendere... quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondita, cioè conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza" (Ep 3,17-19).


5. E' troppo alta questa meta per un educatore? No certamente per un cristiano, il quale, convinto che già sul piano umano il suo lavoro è una missione, deve trovare nella realtà della sua appartenenza alla Chiesa, il motivo e lo stimolo per dare alla medesima attività un'impostazione cristocentrica. L'auspicio, anzi l'appello che ivi ho rivolto agli "educatori qualificati", Sacerdoti, Religiosi e Laici, io lo rinnovo ora anche a voi, perché proprio nell'ambiente scolastico ai giovani sia consentito "di approfondire l'esperienza religiosa", perché "il Vangelo sia assorbito nella mentalità degli alunni sul terreno della loro formazione e l'armonizzazione della loro cultura sia fatta alla luce della fede" (Giovanni Paolo II, "Catechesi Traedendae", 69).

Per voi io prego il Signore che vi dia la luce e la forza necessaria per mantenervi sempre a questo livello ideale nella vostra professione: servire lui, Cristo, è lo stesso che servire gli uomini, suoi fratelli! E nel suo nome vi benedico affettuosamente, insieme con tutti i Colleghi della vostra benemerita Associazione.

Data: 1979-11-03

Data estesa: Sabato 3 Novembre 1979.

A due pellegrinaggi di Modena e Legnano - Città del Vaticano (Roma)


GPII 1979 Insegnamenti - A Vescovi della Colombia in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)