GPII 1979 Insegnamenti - Alla Parrocchia di San Giovanni Evangelista - Spinaceto (Roma)

Alla Parrocchia di San Giovanni Evangelista - Spinaceto (Roma)

Testo: Carissimi fratelli e sorelle.

1. Sono venuto qui oggi per portare a termine la visita pastorale della parrocchia, che il Vescovo Ausiliare, Monsignor Clemente Riva, ha svolto all'inizio dello scorso mese di ottobre.

La visita alle singole comunità del Popolo di Dio appartiene ai fondamentali compiti di ogni Vescovo. Sono i compiti indicati in modo particolare a noi dagli Apostoli del Signore, che hanno visitato singole comunità cristiane, specie quelle a cui diedero inizio. Sotto questo aspetto, è particolarmente eloquente la testimonianza di san Paolo. Anche san Giovanni, patrono della vostra parrocchia, manifesta in diversi modi la sua sollecitudine apostolica per le singole chiese, sia nelle sue lettere, sia in modo particolare nell'Apocalisse, quando all'inizio si rivolge alle sette Chiese d'Asia: "A Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatira, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea" (Ap 1,11).

Come Vescovo di Roma e insieme con voi, Fratelli nell'Episcopato Cardinale Vicario, Arcivescovi e Vescovi Ausiliari, desidero mantenere fedeltà a questa tradizione apostolica.

In occasione della visita odierna, rivolgo un cordiale saluto a tutti i cari parrocchiani di San Giovanni Evangelista a Spinaceto; in particolare, voglio menzionare i benemeriti sacerdoti che si dedicano alla vostra cura spirituale, le Piccole Sorelle dell'Assunzione e le Ancelle dell'Amore Misericordioso, i Membri del Consiglio parrocchiale ed i vari Movimenti ecclesiali qui rappresentati. A tutti vada la mia parola di vivo incoraggiamento a proseguire sulla strada di un'autentica testimonianza cristiana.


2. Nella liturgia di questa domenica, il Signore ci rivolge, in modo particolare, una parola: "Vegliate". Cristo l'ha pronunciata parecchie volte e in diverse circostanze. Oggi la parola "vegliate" si collega con la prospettiva escatologica, con la prospettiva delle ultime realtà: "Vegliate e pregate in ogni tempo, affinché possiate presentarvi dinanzi al Figlio dell'Uomo" (cfr. Mt 24,42 Mt 24,44).

A questa invocazione corrispondono già le parole della prima lettura dal Libro del profeta Daniele. Soprattutto, pero, vi corrispondono le parole del Vangelo secondo Marco. Queste parole affermano che "il cielo e la terra passeranno" (cfr. Mc 13,31) e delineano anche il quadro di questo passare, riferendosi alla fine del mondo.

Questa realtà è costruita sull'immagine del cosmo propria di allora. Da duemila anni le nostre scienze naturali e cosmologiche hanno fatto passi in avanti. L'uomo d'oggi ha paura della distruzione del suo pianeta, e la collega soprattutto all'insieme di tutti quei mezzi di distruzione, che sono stati prodotti dalla scienza e dalla tecnica moderna. Mi permetto di riferirmi qui alle seguenti parole dell'enciclica "Redemptor Hominis". "L'uomo... vive sempre più nella paura. Egli teme che i suoi prodotti, naturalmente non tutti e non nella maggior parte, ma alcuni e proprio quelli che contengono una speciale porzione della sua genialità e della sua iniziativa, possano essere rivolti in modo radicale contro lui stesso; teme che possano diventare mezzi e strumenti di una inimmaginabile autodistruzione, di fronte alla quale tutti i cataclismi e le catastrofi della storia, che noi conosciamo, sembrano impallidire" (Giovanni Paolo II, RH 15, III).

Tale distruzione, o meglio autodistruzione del nostro mondo, il cui pericolo accompagna la coscienza dell'uomo contemporaneo, si delinea nello stesso tempo come una conseguenza della prevalenza dell'odio sull'amore e sulla giustizia, cioè del male sul bene nel senso morale. In questo contesto, il "vegliate" di Cristo acquista una particolare chiarezza. Diventa un grande imperativo umano, a dimensione internazionale e universale. Sentiamo un profondo dovere di pensare e di agire nello spirito di questo imperativo, ripetendo incessantemente l'invocazione alla giustizia e alla pace nel mondo d'oggi.


3. Spesse volte si accusa il cristianesimo perché, indirizzando l'uomo alle realtà ultime ed eterne, distoglierebbe la sua attenzione dalle cose temporali. Tale rimprovero suppone una erronea comprensione della invocazione di Cristo al "vegliare". Essa è pronunciata in una prospettiva escatologica, ma contemporaneamente si apre a tutta la pienezza dei problemi e dei compiti dell'uomo che vive su questa terra. L'esistenza temporale genera una serie di doveri, che costituiscono appunto il contenuto di quel "vegliate", secondo il Vangelo.

Il Concilio Vaticano II esprime questa idea in molti modi (particolarmente nella costituzione "Gaudium et Spes") ricordando che il compito dei cristiani, insieme con tutti gli uomini di buona volontà, è di far si che la vita dell'uomo sulla terra diventi sempre più "umana": e ciò in tutte le sfere dell'esistenza terrena. Questo dovere della Chiesa in tutta la sua universalità deve essere vivamente sentito in ogni comunità, ogni parrocchia, come in ogni particella e cellula di un organismo vivo; la Chiesa, infatti, è il Corpo di Cristo.


4. Nello stesso tempo, quel "vegliate" di Cristo, che con tale denso contenuto echeggia nella liturgia odierna, è indirizzato a ognuno di noi, ad ogni uomo.

Ognuno di noi ha la propria parte nella storia del mondo e nella storia della salvezza, mediante la partecipazione alla vita della propria società, della nazione, dell'ambiente della famiglia. Possiamo e dobbiamo essere coscienti del fatto che questi cerchi di rapporti, nei quali ognuno esiste, si allargano e si concentrano: dai più ampi, che qualche volta è difficile abbracciare, fino a quelli più ristretti e vicini. Non c'è dubbio, pero, che da come ognuno di noi accetterà quell'evangelico "vegliate" nel cerchio più immediato, dipendono anche i cerchi più lontani e tutta l'immagine della vita dell'umanità.

Oggi, dunque, mentre sentiamo questa invocazione qui riuniti in occasione della visita alla parrocchia di San Giovanni Evangelista, ognuno di noi pensi alla sua vita personale. Pensi alla sua vita coniugale e familiare. Il marito pensi al suo comportamento verso la moglie; la moglie pensi al suo comportamento verso il marito; i genitori verso i figli, e i figli verso i genitori. I giovani pensino al loro rapporto con gli adulti e con tutta la società, che ha diritto di vedere in loro il proprio futuro migliore. I sani pensino agli ammalati e ai sofferenti; i ricchi ai bisognosi. I pastori delle anime a questi fratelli e sorelle, che costituiscono "l'ovile del Buon Pastore", ecc.

Questo modo di pensare, nato dal contenuto profondo e universale del "vegliate" di Cristo, è sorgente della vera vita interiore. E' la prova della maturità della coscienza. E' la manifestazione della responsabilità per sé e per gli altri. Attraverso tale modo di pensare e di agire, ognuno di noi come cristiano partecipa alla missione della Chiesa.


5. Il Vescovo giunge nella parrocchia per rendere consapevoli tutti e ognuno del fatto che i battezzati partecipano alla missione della Chiesa. Di più: che partecipano all'opera della salvezza, compiuta una volta per sempre da Cristo, e continuamente in via di compimento, nel più grande amore per Dio e per gli uomini. Parla di ciò anche l'Autore della lettera agli Ebrei, affermando che Gesù Cristo "con un'unica oblazione ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati" (He 10,14). Noi, mediante la fede, viviamo nella prospettiva di questo unico Sacrificio, e costantemente lo compiamo, ognuno per conto proprio e tutti in comunità con la nostra vita, con la nostra veglia.

Non possiamo, cari fratelli e sorelle, chiudere gli occhi sulle ultime realtà. Non possiamo chiudere gli occhi sul definitivo significato della nostra esistenza terrena. "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno" (Mc 13,31), dice il Signore. Dobbiamo vivere con gli occhi largamente aperti.

Tale apertura degli occhi, favorita dalla luce della fede, porta anche la pace e la gioia, come testimoniano le parole del Salmo responsoriale della liturgia odierna. La gioia deriva dal fatto che "il Signore è mia parte di eredità e mio calice" (Ps 16,5). Non viviamo nel vuoto, e non camminiamo verso il vuoto! "Il Signore è mia parte di eredità e mio calice / nelle tue mani è la mia vita. / Io pongo sempre innanzi a me il Signore, / sta alla mia destra, non posso vacillare. / Di questo gioisce il mio cuore, / esulta la mia anima" (Ps 5,8-9).


6. Non abbiamo quindi paura di accettare questa invocazione: "Vegliate, dunque, perché non sapete in qual giorno il Signore vostro verrà"; vegliate, "perché nell'ora che non immaginate il Figlio dell'uomo verrà" (Mt 24,42 Mt 24,44).

Questa invocazione plasmi la nostra vita sin dai fondamenti. Ci permetta di vivere nella piena misura della dignità dell'uomo: cioè nella libertà matura.

Dia alla vita di ognuno di noi quella splendida dimensione, la cui sorgente è Cristo.

Data: 1979-11-18

Data estesa: Domenica 18 Novembre 1979.





Federazione operatori tecnici ortopedici - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il medico, come ogni uomo, è collaboratore di Dio

Testo: Cari fratelli ed Amici della Federazione Italiana fra Operatori nella Tecnica Ortopedica! Ben volentieri ho corrisposto al vostro vivo desiderio di incontrarvi con me in una speciale udienza, dopo il duplice e importante convegno scientifico che avete tenuto in questi giorni a Firenze. Non soltanto sono lieto della vostra presenza, e grato dei sinceri sentimenti d'ossequio, a cui essa s'ispira; ma sono, altresi, compiaciuto per una serie di motivi, che vorrei subito esporre a dimostrazione della stima e dell'interesse che la vostra professione e la vostra specializzazione meritano anche da parte della Chiesa.

1. La prima parola, e cioè il primo motivo di compiacimento, va al carattere aperto ed ampio del Congresso: promosso dalla benemerita Associazione FIOTO, esso ha avuto una chiara e intenzionale dimensione internazionale, comprendendo, accanto agli sperimentatori ed ai clinici italiani, non pochi illustri colleghi di altre Nazioni e, segnatamente, dell'area mediterranea. Ciò vuol dire molto non solo dal punto di vista scientifico, ma anche dal punto di vista etico e spirituale. Un incontro così allargato significa, infatti, disponibilità alla collaborazione, scambio di esperienze e di metodiche, confronto dei risultati e oltre a questi dati oggettivi un incremento indubbiamente positivo delle relazioni interpersonali. Il vostro simposio, amici, ha certamente consentito non solo un fecondo contatto a livello specialistico, ma anche una migliore, diretta conoscenza reciproca, che si rivelerà molto utile anche in futuro. Avendo la responsabilità della Chiesa, che - come sapete - è essenzialmente una viva ed attiva comunione tra i credenti, io mi congratulo sentitamente per lo spirito comunitario e fraterno che ha animato il presente congresso.


2. Ma non basta: come potrei, infatti, dimenticare che il vostro interesse si è concentrato in maniera peculiare sulle malattie dell'infanzia e dell'adolescenza e sui problemi che il loro trattamento pone alla vostra professione? Ecco dunque che, nell'Anno Internazionale del fanciullo, voi avete inteso offrire un originale e specifico contributo, dibattendo numerosi argomenti, i quali vanno dalla conoscenza alle terapie, dall'indagine alle apparecchiature ortopediche, necessarie per prevenire o per guarire le non rare malformazioni dei minori. Ciò vi ha a buon diritto procurato l'onorifico patrocinio dell'UNICEF, ma vi fa parimenti meritare il plauso e la riconoscenza di tanti genitori, anzi dell'intera società, la quale non può non avvantaggiarsi dalla sanità e dall'integrità delle nuove generazioni. Quante volte abbiamo dolorosamente constatato come certe malformazioni, non essendo state diagnosticate o curate in tempo, hanno pregiudicato lo sviluppo del fanciullo e sono diventate irreversibili? Tale vostro impegno - ne sono certo - continuerà oltre la circostanza, che vi ha testé riuniti, e si rifletterà nel quotidiano esercizio della disciplina ortopedica all'interno dei vostri ambulatori e dei vostri ospedali. Non vi è, perciò, necessario un particolare incoraggiamento: desidero solo suggerirvi di aver sempre la chiara coscienza dell'alto valore umano e sociale del vostro lavoro, come pure delle ampie possibilità ch'esso presenta in ordine al sollievo di tante speranze, le quali devono ancor più sollecitare lo sforzo e dedizione di voi medici, dei vostri assistenti e di tutto il personale sanitario quando toccano chi si sta affacciando alla vita. Questo pensiero di sollevare il dolore altrui e - tanto spesso - il dolore innocente deve, a sua volta, sostenervi nei sacrifici e negli stessi rischi che la vostra professione comporta.


3. A questo punto si potrebbe pensare che le considerazioni, da me fatte, valgano per tutti i settori dell'arte medica e che abbiano, quindi, un carattere generale.

Certo, i principi della deontologia professionale e le norme etiche sono fondamentalmente eguali per le varie specializzazioni; ma a me sembra che il vostro lavoro, cari Amici, abbia non solo l'ovvia sua fisionomia e il suo definito campo di applicazione, ma anche una tipica capacità d'intervento nei riguardi di certi mali che colpiscono di più per il loro carattere, direi, macroscopico.

Voglio solo pronunciare due nomi: i mutilatini e i poliomielitici. Chi non ricorda l'opera mirabile ed esemplare che, dopo la seconda guerra mondiale, svolse in Italia il compianto Don Carlo Gnocchi, con l'indispensabile contributo dei medici e degli specialisti in ortopedia, per soccorrere le schiere dei fanciulli gravemente colpiti nel loro fisico e bloccati nel loro sviluppo? E se oggi, grazie al progresso della scienza, il terribile morbo della poliomielite ha cessato di essere una grave minaccia sociale, quante persone colpite rimangono tuttora da curare, quanti "esiti" ancora perdurano, quanta attività c'è ancora per voi ortopedici.

E dovrei parlare, inoltre, degli infortuni sul lavoro, degli incidenti della strada, dei crescenti pericoli della motorizzazione, per confermare quanto sia aumentato il campo di intervento da parte di voi specialisti. Lungi dall'essere induttivamente considerato uno dei tanti della medicina, il vostro è realmente un settore vasto e delicato di crescente importanza, nel quale le responsabilità morali sono pari alle intrinseche difficoltà della professione.


4. Nel "depliant" che annuncia e illustra i vari temi del vostro simposio, ho notato una litografia, la quale nella parte superiore rappresenta due mani con gli indici che si toccano. E certo tratta dalla scena michelangiolesca nella volta della Cappella Sistina, là dove con plastica evidenza è dipinto il dito ai Dio che trasmette l'esistenza, la vita e l'energià al dito del primo uomo. A me questo è piaciuto molto: ogni uomo, in realtà, come è creato da Dio a sua immagine e somiglianza (cfr. Gn 1,26), così da lui riceve una superiorità ontologica su tutte le cose create, e con essa un potere tale che gli consente di scrutare, di utilizzare, di dominare e di perfezionare, in certo modo la natura (cfr. Gn 1,28).

Sotto questo punto di vista, si può affermare che ogni uomo è un collaboratore di Dio. Anche nella vostra professione, nelle tecniche che genialmente sapete mettere a punto per il bene dei fratelli sofferenti, a questo dovete pensare e questo dovete dire a voi stessi: "Come medico sono anch'io collaboratore di Dio nel ridare la salute al corpo malato; lo sono anche come ortopedico, nel restaurare alcune parti del corpo, colpite da morbo o da dolorosi eventi, e nel riabilitarle in modo che possano svolgere la loro originaria funzione. Con l'aiuto di Dio, dunque, io posso, anzi voglio contribuire a ridare ai malati che ho in cura, oltre all'auspicato ripristino dell'efficienza delle membra fisiche la necessaria serenità interiore e la gioia di vivere una vita sana e libera accanto agli altri uomini".

A conferma di questo voto e a ricordo dell'odierno incontro, vi benedico di cuore, invocando sulle vostre persone e sulla vostra attività il superiore conforto dei celesti favori.

Data: 1979-11-19

Data estesa: Lunedì 19 Novembre 1979.





Al Cardinale Umberto Mozzoni - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lettera per il 25° di Episcopato

Testo: Al Nostro Venerabile Fratello Cardinale Umberto Mozzoni.

Desiderando accrescere la gioia di cui godrai il prossimo 5 dicembre, ti facciamo avere questa lettera, Venerabile nostro Fratello, per farti i nostri migliori auguri e esprimere per te i voti di ogni bene. Infatti si compiono venticinque anni da quando il tuo sacerdozio è arrivato alla sua pienezza, e ti è stato dato "di provvedere alla Chiesa cattolica" (S. Agostino. "Epist. 253": PL 33, 1069).

Innanzitutto ringraziamo Dio con te per gli insigni benefici di cui ha cosparso il tuo cammino, dal momento in cui ti ha manifestato la dignità e la responsabilità del sacerdozio di Cristo. Divenuto ministro dei misteri nascosti, hai insegnato teologia e diritto canonico nel seminario di Macerata, e in seguito sei stato parroco della Chiesa di Santo Stefano nella stessa diocesi. Dopo aver speso per alcuni anni le tue forze, con alacre sagacia, al servizio della Sede Apostolica, sei sembrato degno di essere ordinato Vescovo e di essere inviato come Nunzio Apostolico prima in Bolivia, poi in Argentina e in Brasile. Allora la tua dignità fu resa ancor più nobile dalle doti del tuo animo, dall'insigne religiosità, dalla fede intemerata e vivace, dall'amore e dalla osservanza verso questa Cattedra del beatissimo Pietro. Venuto a far parte del Collegio dei Cardinali, ti sei trovato ad essere ancor più strettamente congiunto con la Sede Apostolica, che hai sempre venerato con singolare ossequio.

Dunque ora vogliamo testimoniarti apertamente quanto stimiamo in te la fedeltà del tuo ministero, l'integrità della dignità sacerdotale ed episcopale, la tua vita dedicata alla causa del Vangelo e della Chiesa. Perciò ti accompagniamo con animo benevolo, e rivolgiamo a Dio incessanti preghiere perché ti fortifichi con l'aiuto della grazia divina, ti conforti e ti dia ancora lunga vita. Ti auguriamo questo, e desideriamo che tu cresca nello zelo di una fede sincera, nella sapienza dei buoni progetti e in ogni dignità e ornamento dell'animo, e così tu aggiunga nuovi meriti ancor più ricchi.

Perché tu possa avere felicemente tutto ciò, a te, Venerabile nostro Fratello, e a tutti coloro che parteciperanno alle solenni celebrazioni per il tuo giubileo, impartiamo volentieri la benedizione apostolica, auspice di aiuto divino.

Data: 1979-11-19

Data estesa: Lunedì 19 Novembre 1979.





A Vescovi della Colombia in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Intenso lavoro per le vocazioni native

Testo: Amatissimi Fratelli nell'Episcopato.

1. Una volta di più provo la gioia di vedere accanto a me un folto gruppo di Vescovi della Colombia, in questa rinnovata comunione di sentimenti ecclesiali e di mutuo affetto, obiettivo e frutto della visita "ad limina".

La vostra presenza, a me tanto gradita, mi fa ricordare istintivamente i membri dell'Episcopato del vostro Paese che vi hanno preceduto. Mi sembra di stare prolungando ora i momenti vissuti e le riflessioni che feci con loro e che ricevono ora un completamento con questo nostro incontro.


2. Una nota peculiare caratterizza la nostra riunione di oggi, poiché voi, cari fratelli, come Prelati dei diversi Vicariati apostolici e Prefetture apostoliche della Colombia, mi portate la presenza specifica della Chiesa missionaria nella vostra Patria. Perciò la prima parola vuole essere di stima e di ringraziamento per l'impegno che mettete nel lavoro di edificazione e consolidamento della Chiesa in ciascuna delle porzioni ecclesiali affidate alla vostra attenzione e responsabilità pastorali.

In questo incarico, tanto vitale e meritorio, ricevete un aiuto prezioso da parte di Congregazioni ed Istituti religiosi a cui sono raccomandate le vostre circoscrizioni missionarie. Desidero, di conseguenza, esprimere qui il mio profondo apprezzamento e gratitudine, a cui unisco la testimonianza della mia compiacenza e lode più vive, ai membri di queste benemerite famiglie religiose, che tante generose energie consumano in questo mandato, fra tante difficoltà ambientali e non poche privazioni. Che il Signore li ricompensi largamente! Sono sentimenti che estendo a tutti gli altri - religiose soprattutto - che prestano il loro generoso servizio in stretta collaborazione con voi.


3. So che siete impegnati nel coltivare intensamente le vocazioni native. Ciò mi rallegra davvero e vi incoraggio a non risparmiare energie nella prosecuzione di questo cammino, che va nella direzione delle necessità essenziali e prioritarie della Chiesa.

Tuttavia, osservando il panorama della Chiesa nella vostra Nazione, potremmo chiederci se altre diocesi più privilegiate non sarebbero in condizione di prestarvi un valido aiuto, mettendo generosamente a vostra disposizione gli agenti evangelizzatori, soprattutto sacerdoti e religiosi, che sembra siano in grado di darvelo.

Questo aiuto fraterno fra le diverse comunità ecclesiali, oltre ad essere un segno evidente di comunione in Cristo e di maturazione nel vivere la fede cattolica, oltre a contribuire a correggere dislivelli abbastanza notevoli per quanto riguarda le forze evangelizzatrici, favorirebbe molto l'elevazione delle vostre Circoscrizioni missionarie al ruolo di diocesi di diritto comune, obiettivo a cui io stesso guardo con fervore e che desidero vivamente si realizzi non appena le circostanze lo permetteranno.

La coscienza attiva dell'aiuto che una Chiesa particolarmente può e deve prestare all'altra meno favorita, tramite agenti pastorali e persino con mezzi materiali, lontani dal diminuire energie proprie, farà rinvigorire i meccanismi a partire dal loro vigore interno, suscitando nuove forze di generosità e fecondità cristiane, che sono il premio per la propria apertura nella carità dinamica del Vangelo e il seme per sicure benedizioni divine.

Dunque, se la dimensione missionaria è una conseguenza necessaria della vocazione cristiana e se "la Chiesa intera è missionaria e l'opera di evangelizzazione, un dovere fondamentale del Popolo di Dio" (AGD 35), ogni comunità diocesana - con il suo rispettivo Pastore, i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i seminaristi e i laici - deve realizzare questa ampiezza di mire ecclesiali, che si estendono alle altre comunità sorelle nella fede.

Quello che faro ora presente è un importante impegno evangelizzatore per tutti e più specificatamente per i Pastori, ossia, come ben ricorda il Concilio Vaticano II, "suscitando, promuovendo e dirigendo l'opera missionaria nella propria diocesi, il Vescovo rende presente e quasi visibile lo spirito e l'ardore missionario del Popolo di Dio, in modo che tutta la diocesi si faccia missionaria" (AGD 38).


4. Concludendo la vostra visita alla Sede di Pietro, vi preparate ora a tornare nel seno delle vostre comunità, per continuare l'opera evangelizzatrice.

Quest'opera in cui si armonizzano i due aspetti della predicazione perseverante del messaggio salvifico di Cristo e dell'aiuto a coloro che vivono nelle ristrettezze e nelle privazioni.

Vorrei che la parola del Papa giungesse, personale e colma di affetto, ad ogni membro ecclesiastico che lavora con voi nella vigna del Signore. Per incoraggiarlo nel suo operare per il Regno di Cristo, per la diffusione della fede e per la sua sopravvivenza, per la gioiosa fermezza nell'attesa del compimento della nostra speranza. Ed allo stesso tempo, per manifestare il mio plauso per la dedizione encomiabile che viene prestata ai più bisognosi, ai più poveri, a tutti coloro a cui arriva forse solo l'appoggio e l'aiuto che ispira la carità in nome di Cristo. Sappiamo tutti che in questo modo realizzano la presenza sollecita della Chiesa, che il Papa li accompagna, li incoraggia, è loro vicino.

Concludo, amati fratelli, assicurandovi che queste intenzioni saranno fatte preghiera, affinché la grazia divina si diffonda in abbondanza su ogni membro delle vostre Chiese locali e sulle loro iniziative.

Sia il Datore di ogni bene perfetto colui che porti a piena conclusione l'opera cominciata. Sia la Madre della Chiesa, la Stella della evangelizzazione, il modello perfetto di vita cristiana, colei che consoli il coraggioso camminare, e lo aiuti a lasciare una scia feconda di realizzazioni evangeliche ed umane, in una proiezione totale verso Cristo e il fratello. Perché così sia, vi imparto la mia benedizione, che si allarga a tutti i vostri collaboratori e fedeli.

Data: 1979-11-20

Data estesa: Martedì 20 Novembre 1979.



Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Valore del matrimonio uno e indissolubile

Testo:

1. Ricordiamo che Cristo, interrogato sull'unità e indissolubilità del matrimonio, si è richiamato a ciò che era "al principio". Egli ha citato le parole scritte nei primi capitoli della Genesi. Cerchiamo perciò, nel corso delle presenti riflessioni, di penetrare il senso proprio di queste parole e di questi capitoli.

Il significato dell'unità originaria dell'uomo, che Dio ha creato "maschio e femmina", si ottiene (particolarmente alla luce di Genesi 2,23) conoscendo l'uomo nell'intera dotazione del suo essere, cioè in tutta la ricchezza di quel mistero della creazione, che sta alla base dell'antropologia teologica.

Questa conoscenza, la ricerca cioè dell'identità umana di colui che all'inizio è "solo", deve passare sempre attraverso la dualita, la "comunione".

Ricordiamo il passo di Genesi 2,23: "Allora l'uomo disse: "Questa volta essa è carne dalla mia carne e ossa dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta"". Alla luce di questo testo, comprendiamo che la conoscenza dell'uomo passa attraverso la mascolinità e la femminilità, che sono come due "incarnazioni" della stessa metafisica solitudine, di fronte a Dio e al mondo - come due modi di "essere corpo" e insieme uomo, che si completano reciprocamente - come due dimensioni complementari dell'autocoscienza e dell'autodeterminazione e, nello stesso tempo, come due coscienze complementari del significato del corpo. così come già dimostra Genesi 2,23, la femminilità ritrova, in certo senso, se stessa di fronte alla mascolinità, mentre la mascolinità si conforma attraverso la femminilità. Proprio la funzione del sesso, che è, in un certo senso, "costitutivo della persona" (non soltanto "attributo della persona"), dimostra quanto profondamente l'uomo, con tutta la sua solitudine spirituale, con l'unicità e irripetibilità propria della persona, sia costituito dal corpo come "lui" o "lei". La presenza dell'elemento femminile, accanto a quello maschile e insieme con esso, ha il significato di un arricchimento per l'uomo in tutta la prospettiva della sua storia, ivi compresa la storia della salvezza. Tutto questo insegnamento sull'unità è già stato espresso originariamente in Genesi 2,23.

2. L'unità, di cui parla Genesi 2,23 ("i due saranno una sola carne"), è senza dubbio quella che si esprime e realizza nell'atto coniugale. La formulazione biblica, estremamente concisa e semplice, indica il sesso, femminilità e mascolinità, come quella caratteristica dell'uomo - maschio e femmina - che permette loro, quando diventano "una sola carne", di sottoporre contemporaneamente tutta la loro umanità alla benedizione della fecondità. Tuttavia l'intero contesto della lapidaria formulazione non ci permette di soffermarci alla superficie della sessualità umana, non ci consente di trattare del corpo e del sesso al di fuori della piena dimensione dell'uomo e della "comunione delle persone", ma ci obbliga fin dal "principio" a scorgere la pienezza e la profondità proprie di questa unità, che uomo e donna debbono costituire alla luce della rivelazione del corpo.

Quindi, prima di tutto, l'espressione prospettica che dice: "l'uomo... si unirà a sua moglie" così intimamente che "i due saranno una sola carne", ci induce sempre a rivolgerci a ciò che il testo biblico esprime antecedentemente riguardo all'unione nell'umanità, che lega la donna e l'uomo nel mistero stesso della creazione. Le parole di Genesi 2,23 or ora analizzate, spiegano questo concetto in modo particolare. L'uomo e la donna, unendosi tra loro (nell'atto coniugale) così strettamente da divenire "una sola carne", riscoprono, per così dire, ogni volta e in modo speciale, il mistero della creazione, ritornano così a quell'unione nell'umanità ("carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa"), che permette loro di riconoscersi reciprocamente e, come la prima volta, di chiamarsi per nome. Ciò significa rivivere, in certo senso, l'originario valore verginale dell'uomo, che emerge dal mistero della sua solitudine di fronte a Dio e in mezzo al mondo. Il fatto che divengano "una sola carne" è un potente legame stabilito dal Creatore attraverso il quale essi scoprono la propria umanità, sia nella sua unità originaria, sia nella dualità di una misteriosa attrattiva reciproca. Il sesso, pero, è qualcosa di più della forza misteriosa della corporeità umana, che agisce quasi in virtù dell'istinto. A livello di uomo e nella reciproca relazione delle persone, il sesso esprime un sempre nuovo superamento del limite della solitudine dell'uomo insita nella costituzione del suo corpo, e ne determina il significato originario. Questo superamento contiene sempre in sé una certa assunzione della solitudine del corpo del secondo "io" come propria.


3. Perciò essa è legata alla scelta. La stessa formulazione di Genesi 2,24 indica non solo che gli esseri umani creati come uomo e donna sono stati creati per l'unità, ma pure che proprio questa unità, attraverso la quale diventano "una sola carne", ha fin dall'inizio un carattere di unione che deriva da una scelta.

Leggiamo infatti: "L'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie". Se l'uomo appartiene "per natura" al padre e alla madre, in forza della generazione, "si unisce" invece alla moglie (o al marito) per scelta. Il testo di Genesi 2,24 definisce tale carattere del legame coniugale in riferimento al primo uomo e alla prima donna, ma nello stesso tempo lo fa anche nella prospettiva di tutto il futuro terreno dell'uomo. Perciò, a suo tempo, Cristo si richiamerà a quel testo, come ugualmente attuale nella sua epoca. Formati ad immagine di Dio, anche in quanto formano un'autentica comunione di persone, il primo uomo e la prima donna debbono costituirne l'inizio e il modello per tutti gli uomini e donne, che in qualunque tempo si uniranno tra di loro così intimamente da essere "una sola carne". Il corpo, che attraverso la propria mascolinità o femminilità, fin dall'inizio aiuta ambedue ("un aiuto che gli sia simile") a ritrovarsi in comunione di persone, diviene, in modo particolare, l'elemento costitutivo della loro unione, quando diventano marito e moglie. Ciò si attua, pero, attraverso una reciproca scelta. E' la scelta che stabilisce il patto coniugale tra le persone (GS 48), le quali soltanto in base ad essa divengono "una sola carne".


4. Ciò corrisponde alla struttura della solitudine dell'uomo, e in concreto alla "duplice solitudine". La scelta, come espressione di autodeterminazione, poggia sul fondamento di quella struttura, cioè sul fondamento della sua autocoscienza.

Soltanto in base alla struttura propria dell'uomo, egli "è corpo" e, attraverso il corpo, è anche maschio e femmina. Quando entrambi si uniscono tra di loro così intimamente da diventare "una sola carne", la loro unione coniugale presuppone una matura coscienza del corpo. Anzi, essa porta in sé una particolare consapevolezza del significato di quel corpo nel reciproco donarsi delle persone. Anche in questo senso, Genesi 2,24 è un testo prospettico. Esso dimostra, infatti, che in ogni unione coniugale dell'uomo e della donna viene di nuovo scoperta la stessa originaria coscienza del significato unitivo del corpo nella sua mascolinità e femminilità; con ciò il testo biblico indica, nello stesso tempo, che in ciascuna di tali unioni si rinnova, in certo modo, il mistero della creazione in tutta la sua originaria profondità e forza vitale. "Tolta dall'uomo" quale "carne dalla sua carne", la donna diventa in seguito, come "moglie" e attraverso la sua maternità, madre dei viventi (cfr. Gn 3,20), poiché la sua maternità ha anche in lui la propria origine. La procreazione è radicata nella creazione, ed ogni volta, in certo senso, riproduce il suo mistero.


5. A questo argomento sarà dedicata una speciale riflessione: "La conoscenza e la procreazione". In essa occorrerà riferirsi ancora ad altri elementi del testo biblico. L'analisi fatta finora del significato dell'unità originaria dimostra in che modo "da principio" quella unità dell'uomo e della donna, inerente al mistero della creazione, viene pure data come un impegno nella prospettiva di tutti i tempi successivi.

Ad un gruppo della diocesi di Treviso Sono particolarmente grato a Monsignor Antonio Mistrorigo, Vescovo di Treviso, e alle Autorità cittadine che hanno accompagnato il numeroso pellegrinaggio della diocesi trevigiana per porgermi il loro rinnovato ringraziamento per la mia visita del 26 agosto scorso.

Nel manifestarvi la mia cordiale soddisfazione per questo incontro, che mi richiama alla mente le tante spirituali emozioni di quella tarda serata, desidero ripetervi che il Papa è sempre in mezzo a voi, vi sostiene con la sua preghiera, vi incoraggia nel cammino regale della carità e della solidarietà fraterna, vi addita le altezze del sacrificio cristiano che s'illumina della luce della grazia, infinitamente di più delle bellissime montagne che ho visto in quel giorno indimenticabile.

Esprimo poi un paterno augurio alla Comunità parrocchiale della Città di San Donà di Piave, che celebra il quinto centenario della sua erezione canonica. A voi e a tutti i partecipanti al pellegrinaggio la mia benedizione apostolica, estensibile alle rispettive famiglie.

Ai Rettori dei Santuari Mariani d'Italia Partecipa a questa udienza il folto gruppo dei Rettori di molti Santuari italiani, riuniti in Roma per il loro quindicesimo convegno, organizzato dal Collegamento mariano, sul tema: "l Santuari per una pastorale di speranza dell'uomo che soffre".

La vostra presenza, carissimi Sacerdoti, mi offre motivo di sincera soddisfazione: non solo perché mi ricordate i bei Santuari, che ho finora visitato; ma soprattutto perché voi, insieme con i vostri collaboratori, nell'assiduo ascolto e nella meditazione della Parola di Dio nella sua Casa, traete continua forza e coraggio per rispondere alle tante attese dei pellegrini, che accorrono ai Santuari per momenti di riflessione e di preghiera. Vi accompagna nel vostro santificante ministero la mia paterna benedizione.

Ai piccoli del Coro dell'Antoniano Un cordiale e paterno saluto desidero rivolgere al "Piccolo Coro" dell'Antoniano di Bologna, che in questi giorni ha voluto celebrare il ventennale della proclamazione dei diritti del fanciullo.

Carissimi ragazzi! Vi esprimo il mio plauso e il mio incoraggiamento per il messaggio di bontà, di solidarietà e di pace, che diffondete con i vostri canti, non soltanto tra i vostri coetanei, ma anche tra gli adulti. Conservate sempre intatta nel vostro cuore questa carica di entusiasmo, che vi viene dalla sincera e profonda amicizia con Gesù.

A voi tutti e ai vostri cari la mia benedizione apostolica.

Ai giovani Saluto e benedico i giovani e le giovani, i ragazzi e le ragazze presenti a questo incontro. Vorrei raccomandare ad essi di essere sempre grati a Dio per la loro grande fortuna, che non è solo quella della giovinezza, ma soprattutto quella di essere cristiani, figli di Dio; e questa fortuna è eterna, condizione di eterna giovinezza: siatene felici, cari giovani. Il Papa prega per voi, perché non venga mai meno nella vostra vita, in qualsiasi vicenda, questa luce dell'anima, e perché sia sempre viva in voi questa interiore sensibilità e letizia.

Agli ammalati Un pensiero particolarmente affettuoso e rispettoso rivolgo agli ammalati. Come potrei non provare affetto, sincero, paterno, per chi, in qualsiasi famiglia o istituto, forse in solitudine, è provato da penose afflizioni fisiche e spirituali? Ma il mio saluto a voi, cari ammalati, oltre che affettuoso, è anche rispettoso, perché voi siete tra noi una speciale presenza del Signore; voi possedete una particolare somiglianza con il cristo redentore; voi avete una singolare missione di salvezza e di santificazione, per voi stessi e per gli altri.

Il Signore vi conforti con la ricchezza della sua grazia; vi liberi, se è sua volontà, dalle vostre tribolazioni; vi dia serenità e coraggio, e tanta fede e tanta speranza. A voi, cordialissima, la mia benedizione.

Agli sposi E ora il mio saluto agli sposi novelli, le mie felicitazioni e i miei voti per la loro nuova vita e per la loro presente e futura famiglia. Voi, cari sposi, avete voluto Gesù nel Sacramento del Matrimonio; siete venuti dal Papa, Vicario di Gesù, per ricevere da lui la benedizione; se avete inziato così bene, da veri cristiani, la vostra convivenza, io non posso augurarvi nulla di meglio di questo: state sempre con Gesù, nella fede e nella vita di ogni giorno; abbiatelo sempre in mezzo a voi, Gesù, anche con la vostra comune preghiera: così vi sarà non difficile camminare insieme nell'amore, nella fedeltà, nel mutuo accordo, nella reciproca comprensione e pazienza, nella pace; e i vostri figli riceverano da voi la migliore educazione, il miglior buon esempio, il più caro e salutare ricordo. Sempre, dunque, con Gesù, e Gesù sia sempre con voi. Con voi, pure, la mia benedizione.

Ai Carabinieri Un sincero ed affettuoso saluto desidero adesso rivolgere ai componenti della "Banda dell'Arma dei Carabinieri", che ha ora dato un'ulteriore conferma di quella bravura musicale, che l'ha resa celebre in tutto il mondo.

Carissimi Carabinieri! Membri di quell'Arma, che giustamente il diletto Popolo italiano ha chiamato e continua a chiamare "La Benemerita"! Siate sempre degni della gloriosa divisa che indossate; siate sempre coerenti testimoni delle virtù tipiche del vostro Corpo: la fedeltà assoluta alla Patria; la cura tempestiva della giustizia; il rispetto premuroso per i cittadini; l'attenta solidarietà per i deboli.

Gli italiani e con essi anche il Papa vi amano, vi stimano, vi apprezzano perché sanno di trovare in voi non soltanto i tutori dell'ordine pubblico, ma i fratelli, forti e generosi, sempre pronti e solleciti a donarsi senza riserva per il bene della comunità.

E in questo momento non possiamo non rivolgere il nostro commosso pensiero e non elevare la nostra accorata preghiera di suffragio per tutti quei Carabinieri che hanno perduto la vita nell'adempimento del loro dovere: e in particolare quei numerosi commilitoni padri di famiglia o giovani nel fiore degli anni che in quest'anno sono stati trucidati.

Proprio stamane, a Genova, due Carabinieri sono stati barbaramente assassinati: per il riposo eterno delle loro anime e per il conforto cristiano dei loro congiunti noi eleviamo la nostra supplica a Dio, vindice supremo della giustizia. L'orrore per questo disumano ed efferato crimine, che ancora una volta colpisce ed insanguina la vostra Arma, deve unire sempre più i buoni in una decisa volontà contro la violenza. E non possiamo dimenticare i 2100 vostri colleghi che sono rimasti feriti sempre durante il loro duro lavoro.

Su voi, su tutti i Carabinieri d'Italia, sull'Ordinario Militare, Monsignor Mario Schierano, sul vostro Comandante, il Generale Pietro Corsini, su tutti gli Alti Ufficiali presenti, sui vostri cari invoco, per l'intercessione della Madonna "Virgo Fidelis", vostra celeste protettrice, l'abbondanza dei favori divini, e vi imparto di cuore la benedizione apostolica, segno della mia costante benevolenza.

A un gruppo di albergatori Agli albergatori riuniti in un Congresso Internazionale a Roma e che hanno desiderato rendermi visita, rivolgo il mio saluto e il mio ringraziamento.

Permettetemi anche di esprimervi i miei auguri sinceri. Vi auguro che le vostre Pensioni e i vostri Alberghi - del resto ve lo augurate voi stessi - favoriscano, in condizioni di sana e gradevole ospitalità, l'accoglienza, il rispetto, la discrezione, ed anche uno stile di fraternità tra chi vi soggiorna.

Le vostre Case siano prima di tutto delle comunità di lavoro dove Direzione e Personale si sforzano di vivere i loro esigenti compiti in uno spirito di comprensione e di collaborazione! Infine, tutti coloro che assicurano il buon funzionamento delle vostre strutture alberghiere o che vengono a cercarvi il riposo e il piacere, si guardino dal dimenticare le sofferenze dei meno favoriti e i richiami dei loro fratelli nel bisogno! Con questi sentimenti invoco su di voi l'aiuto di Dio.

Ai membri della Confederazione internazionale dei Quadri Saluto in modo particolare i membri della Confederazione internazionale dei Quadri che terranno a Roma il loro Congresso sul tema "I dirigenti d'azienda europei nella società degli anni 80". Nell'attuale contesto economico, spesso precario, non mancano le difficoltà di equilibrare o mantenere la produzione, di regolarizzare gli scambi, e dunque di assicurare la vitalità e la promozione delle vostre aziende. Tutto ciò comporta gravi conseguenze nell'occupazione, nella vita delle persone, per cui bisogna che misuriate i rischi e pesiate bene le soluzioni con le altre forze sociali. Anche altri Paesi, meno sviluppati a livello industriale, si dibattono in gravi problemi. E' vostro onore affrontare al meglio le vostre responsabilità e, per questo, illuminarvi a vicenda durante il vostro Congresso. Prego Dio di assistervi in quello che è un servizio indispensabile, esigente e delicato, della società attuale.

A un gruppo di Religiosi e Religiose Desidero rivolgere un saluto particolare ai sacerdoti e ai fratelli che partecipano a un corso di aggiornamento a Nemi. C'è un'intima relazione tra la parola di Dio e ogni teologia, tra la parola di Dio e ogni lavoro missionario. La mia preghiera particolare per voi oggi è che lo Spirito Santo vi doni un sempre più profondo amore della parola di Dio e una sempre più grande apertura a tutte le sue applicazioni nella vostra vita. E da Nemi possiate partire con rinnovato fervore per proclamare il Vangelo della salvezza. Miei cari fratelli, ricordiamoci sempre che la parola di Dio è lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino (cfr. Ps 119,105). Dà significato al nostro ministero e gioia alla nostra vita.

Ai membri di un'Associazione di giornalisti della Germania Federale Saluto i partecipanti alla settimana per giornalisti cattolici a Roma organizzata dalla società di pubblicisti cattolici della Repubblica Federale Tedesca, così come i responsabili dell'agenzia di informazione cattolica, che insieme lavorano nel "Centrum Informationis Catholicum" romano. Era vostro desiderio, attraverso questo incontro nel centro della Chiesa mondiale, informare riguardo l'odierna vita ecclesiastica. E' mia speranza che, attraverso gli innumerevoli contatti e le nuove esperienze voi ampliate non solo le vostre conoscenze sulla Chiesa, ma approfondiate anche la comprensione del vostro ruolo, quali giornalisti cattolici, nella Chiesa e nella società del nostro tempo. Le numerose conquiste tecniche nel campo della comunicazione possono essere usate a beneficio o a danno degli uomini; oggi, voi siete - come cristiani responsabili - chiamati ancora di più ad usare questo particolare servizio per la verità e per incoraggiare e proteggere l'uomo e i suoi inestimabili valori. Accompagno il vostro lavoro non sempre facile ma quasi di importanza vitale per la Chiesa e la società, con simpatia e grande interesse e chiedo per voi, con la mia benedizione apostolica, il forte ed illuminante aiuto e sostegno di Dio.

Data: 1979-11-21

Data estesa: Mercoledì 21 Novembre 1979.




Ai delegati delle Commissioni Ecumeniche - Città del Vaticano (Roma)


GPII 1979 Insegnamenti - Alla Parrocchia di San Giovanni Evangelista - Spinaceto (Roma)