GPII 1979 Insegnamenti - Ai delegati delle Commissioni Ecumeniche - Città del Vaticano (Roma)

Ai delegati delle Commissioni Ecumeniche - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ecumenismo: vocazione a lavorare insieme sotto la guida dello Spirito

Testo: E' per me una gioia particolare dare il benvenuto a tanti Vescovi e sacerdoti impegnati direttamente nella grande opera di unità dei cristiani in molte parti del mondo. Su invito del Segretariato per l'Unione dei Cristiani siete venuti a Roma ad esprimere vivamente la stretta collaborazione che deve esistere tra le Chiese locali e la Santa Sede su questo e su molti altri argomenti.

Alcuni anni fa, il Segretariato, nel suo documento sulla collaborazione ecumenica, sottolineava da una parte l'iniziativa propria della Chiesa locale nel lavoro ecumenico a livello locale, e d'altro canto, la necessità di prendersi cura che tali iniziative vengano prese entro i limiti della dottrina e della disciplina di tutta la Chiesa cattolica. Questi principi sono chiaramente riflessi nella natura e nella composizione del vostro odierno convegno.

Voi, che provenite da nazioni tanto diverse, come anche i membri dello stesso Segretariato, sono certo vorrete trarre immenso beneficio dalle giornate di discussione e di preghiera. Il vostro è un compito difficile e talvolta solitario, pertanto sicuramente una lieta occasione di ritrovarsi tra fratelli. Sono grato per la presenza di tre ospiti della Chiesa ortodossa, della Comunione anglicana e della Federazione Mondiale Luterana. Li ricevo cordialmente come fratelli in Cristo.

Come sapete, tra pochi giorni mi rechero in visita da Sua Santità il Patriarca Ecumenico Dimitrios I. "Il ristabilimento dell'unità tra tutti i cristiani era uno degli scopi principali del Concilio Vaticano II (cfr. UR 1): e fin dalla mia elezione mi sono formalmente impegnato a promuovere l'adempimento delle sue norme e dei suoi orientamenti, giacché pensavo che questo fosse per me un compito preminente" (Giovanni Paolo II, "Discorso al Segretariato per l'Unione dei Cristiani", 18 novembre 1978). Il mio primo viaggio ecumenico vuole essere una evidente manifestazione di questo impegno, e sarà effettuato nella prima sede della Chiesa ortodossa. Spero di avere anche in seguito l'opportunità di incontrare altri pastori e guide cristiane con l'intento di cooperare con essi e di intensificare il nostro comune sforzo per l'unità.

Il positivo e promettente aspetto dell'attività ecumenica sembra implicito in ogni parola del tema scelto per il vostro Convegno: "Ecumenismo come priorità pastorale nell'attività della Chiesa". Sono lieto di poter confidare a voi, per pochi minuti, alcuni pensieri che questo tema mi suggerisce in questa settimana, nella quale ricordiamo il 15° anniversario di tre importanti documenti conciliari: la "Lumen Gentium", la "Orientalium Ecclesiarum" e la "Unitatis Redintegratio".

Voi siete qui per discutere dell'ecumenismo. Questa parola non dovrebbe evocare falsi timori degli adattamenti necessari ad ogni genuino rinnovamento della Chiesa (cfr. "Direttorio Ecumenico", I, 2). Ancor meno l'ecumenismo è un passaporto per l'indifferentismo o per trascurare tutto ciò che è essenziale nella nostra sacra tradizione. Piuttosto è una sfida, una vocazione ad operare sotto la guida dello Spirito Santo per la visibile e perfetta unità nella fede e nell'amore, nella vita e nel lavoro, di tutti quelli che professano la fede nell'unico Signore Gesù Cristo. Nonostante il rapido progresso degli ultimi anni, molto rimane ancora da fare.

A questo riguardo, il compito di incrementare il dialogo teologico e la cooperazione con le altre Chiese e Comunità, deve andare avanti. Inoltre, a stento si trova un Paese in cui la Chiesa cattolica non cooperi con gli altri cristiani nel lavoro per la giustizia sociale, i diritti umani, lo sviluppo e l'aiuto ai bisognosi; tale lavoro porta già in sé una comune testimonianza a Cristo, perché "la cooperazione tra i cristiani esprime con chiarezza il legame che già li unisce e pone in più luminoso rilievo i lineamenti di Cristo Servitore" (UR 12).

Il vostro compito ha un altro aspetto, ugualmente vitale. "L'interesse per la restaurazione dell'unità coinvolge la Chiesa intera, fedeli e clero" (UR 5). Uno dei principali compiti delle commissioni ecumeniche ad ogni livello è quello di promuovere l'unità, ponendo davanti ai cattolici gli scopi dell'ecumenismo, aiutandoli a rispondere a questa urgente vocazione che essi devono considerare come integrante della loro vocazione battesimale. Tale vocazione è una chiamata al rinnovamento, alla conversione, a quel genere di preghiera che sola può portarci più vicini a Cristo e ai fratelli, e che il Concilio giustamente chiama "ecumenismo spirituale" e "anima del movimento ecumenico" (UR 8).

Ogni cristiano è chiamato a servire l'unità della Chiesa. Due compiti sono oggi particolarmente urgenti. Il primo è quello di aiutare i sacerdoti e i seminaristi ad apprezzare questa dimensione ecumenica della loro missione e ad annunciarla ai fedeli assegnati alle loro cure. Il secondo compito, come ho detto il mese scorso nella mia esortazione "Catechesi Tradendae", riguarda la dimensione ecumenica della catechesi: "La catechesi avrà una dimensione ecumenica... se saprà creare e alimentare il vero desiderio dell'unità. Ciò sarà tanto più vero quanto più stimolerà dei seri sforzi - compreso quello dell'autopurificazione nell'umiltà e nel fervore dello spirito per ottenere il discernimento - in vista non di un facile irenismo... ma di una perfetta unità quando e come il Signore vorrà" (Giovanni Paolo II, CTR 32).

Proprio per questa ragione il compito di promuovere l'unità deve essere visto essenzialmente come un compito pastorale. E' pastorale perché i Vescovi sono i principali ministri dell'unità nelle Chiese locali e perciò "hanno una speciale responsabilità nel promuovere il movimento ecumenico" ("Direttorio Ecumenico", II, 65). Inoltre è pastorale perché tutti quelli a cui è affidato tale lavoro, devono vederlo innanzitutto come ordinato alla costruzione del corpo di Cristo e alla salvezza del mondo. Fino a quando i cristiani saranno divisi, sarà ostacolata la predicazione del Vangelo; le divisioni fra i cristiani danneggiano la credibilità del Vangelo e la credibilità del Cristo stesso (cfr. Paolo VI, EN 77). Questo servizio dell'unità è un servizio a Cristo, al Vangelo, a tutta l'umanità; è dunque un servizio veramente pastorale.

Un'assoluta priorità è legata a questo vero lavoro pastorale. Il Concilio Vaticano stabilisce chiaramente l'urgenza del compito ecumenico. La divisione è uno scandalo, un impedimento all'annuncio del Vangelo; è nostro dovere, con la grazia di Dio, impegnarci a superarla quanto prima. Il profondo rinnovamento della Chiesa cattolica è un contributo indispensabile al lavoro dell'unità dei cristiani. Dobbiamo perciò presentare la chiamata alla santità e al rinnovamento come centrale per la vita della Chiesa. Nessuno si illuda che questo lavoro per la perfetta unità nella fede sia qualcosa di secondario, opzionale, periferico, qualcosa che possa essere indefinitamente posposto. La nostra fedeltà a Gesù Cristo ci spinge a fare di più, a pregare di più, ad amare di più. La via può ben essere lunga e richiede pazienza, ma noi dobbiamo pregare perché "la legittima pazienza nell'attendere l'ora di Dio non si trasformi mai in inerte accettazione dello "status quo" della divisione nella fede" (Giovanni Paolo II, "Discorso all'incontro ecumenico di preghiera negli Stati Uniti", 7 ottobre 1979).

Perciò voi, che siete rivestiti di particolare responsabilità nell'opera ecumenica della Chiesa cattolica nei vostri Paesi, dovete sempre vigilare su di essa, come una delle maggiori priorità nella missione della Chiesa oggi.

Questo è infatti il compito della Chiesa. L'impegno con cui il Concilio Vaticano II ha legato tutta la Chiesa cattolica a lavorare per l'ecumenismo, è stato frequentemente riaffermato sia da Paolo VI che da me. Il lavorare per l'unità non significa seguire la propria immaginazione o una preferenza personale; significa invece essere fedeli e veramente rappresentativi della posizione della Chiesa cattolica. Il Concilio ci ricorda che "questa attività ecumenica non può essere che veramente cattolica, cioè leale alla verità che abbiamo ricevuto dagli apostoli e dai padri, e che sempre tende verso quella pienezza in cui nostro Signore vuole che il suo corpo cresca nel corso del tempo" (UR 24). Questo fatto pone sulle vostre spalle una pesante responsabilità, ma ricordatevi sempre che esso vi assicura una grande grazia da Dio.

Voi sapete bene che la vostra vocazione vi richiama al lavoro, e io spero che durante questa settimana siate stati incoraggiati a conoscere quanto lavoro viene fatto in molte parti del mondo, e quanto ne venga fatto qui ogni giorno al Segretariato di Roma. Ma ultimamente questo lavoro è opera di Dio. Egli cerca la nostra cooperazione, e noi dobbiamo riporre in lui tutta la nostra speranza, poiché soltanto lui può condurci verso l'unità da lui voluta, unità che è il riflesso dell'unità tra le Persone Divine. Infatti non è forse la Chiesa di Cristo "un popolo nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (S. Cipriano, "De oratione dominica", 23: PL 4, 553; citata in LG 4)? Alla luce di questa fiducia profonda e orante nella potenza di Dio, io vi spingo ad affrontare con coraggio, fede e perseveranza le difficoltà e gli ostacoli inevitabili nel vostro lavoro. Nessuna difficoltà vi faccia desistere dall'opera di Dio. La strada della verità e della fedeltà porterà sempre impresso il segno della Croce: come disse l'Apostolo: "è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio" (Ac 14,22).

Da ultimo vi ringrazio tutti di nuovo per essere venuti a questo incontro del Segretariato e per aver dato il vostro contributo. Facendo ritorno ai vostri diversi Paesi d'origine per riprendere la vostra opera con un nuovo sguardo e fervore, desidero affidare voi tutti, insieme ai vostri collaboratori, all'intercessione di Maria, Madre di nostro Signore Gesù Cristo e Madre della sua Chiesa. Le chiedo di sostenervi nella grande causa dell'unità dei cristiani per la gloria della Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Data: 1979-11-23

Data estesa: Venerdì 23 Novembre 1979.





A imprenditori e dirigenti cristiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Esigenza di giustizia negli ambienti di lavoro

Testo: Cari e Illustri Signori! Sono molto lieto e onorato di accogliere in questa aula delle Benedizioni voi, qualificati membri del Consiglio Nazionale, e voi, Dirigenti Regionali e Provinciali dell'Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti. Saluto in voi tutti gli altri rappresentanti del vasto e complesso mondo degli organizzatori di imprese industriali, agricole e commerciali, cioè gli istitutori di lavoro, di impieghi e di addestramenti professionali.

Un saluto particolare va soprattutto al Cardinale Giuseppe Siri, vostro Consulente Morale Nazionale, che da oltre un trentennio vi assiste e vi incoraggia nel vostro sforzo nobile, si, ma tanto delicato e difficile di animazione cristiana del mondo dell'economia. Saluto altresi il vostro Presidente, il quale ha desiderato, con voi tutti, questo incontro per esprimere a me, come già avete fatto in numerose altre occasioni con i miei venerati predecessori Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, i sentimenti di fede e di devoto attaccamento alla Sede di Pietro, i quali hanno sempre ispirato ed ispirano codesta Unione fin dal suo sorgere, nel lontano 1947.

1. Il mio primo pensiero per voi, oggi, non può essere che di stima, di plauso e di incoraggiamento per la significativa presenza che voi, evitando ogni ostentazione, fate effettivamente sentire nella società. E' un compito, il vostro, nel quale vedo adombrato un vero e proprio "servizio" civile e sociale: servizio a quanti sono impegnati nei vari campi dell'attività imprenditoriale. Naturalmente, non sono in grado di entrare nel merito delle caratteristiche specificamente tecniche di tale attività; né voi, penso, vi aspettate questo da me, a cui il Signore ha affidato l'ufficio pastorale di indicare in tutte le forme operose della vita umana la norma suprema per raggiungere la salvezza eterna. In questa prospettiva, che non è d'ordine economico, ma neppure estranea a qualsiasi realtà che tocca l'uomo, ho letto con la dovuta attenzione la Nota informativa, che il Signor Presidente, nel domandare questa udienza, ha voluto gentilmente rimettere, insieme ad un'ampia documentazione. Mi compiaccio vivamente di codesta vostra attività, che sulla scia luminosa dei benemeriti fondatori del Sodalizio, porta avanti un discorso impegnato a far conoscere, accettare e applicare, da parte degli operatori economici, gli orientamenti della dottrina sociale della Chiesa nelle imprese, e a trovare in essa le ragioni capaci di giustificare, anzi di promuovere quell'ordine nuovo della società, fondato sul rispetto della persona umana e sulla promozione, armoniosa e fattiva, del bene comune, che risponde alle esigenze del Vangelo, e al quale anelano i popoli, delusi da tante promesse e da tante esperienze aliene o contrarie alla ispirazione di fede che è vostra. A questo tende il lavoro quotidiano della vostra Unione, sostenuta in questo dalla presenza dei suoi Consulenti Morali i quali, in mezzo ai Soci, hanno funzione di animatori e guide spirituali, discrete ed attive.

Ho preso conoscenza con altrettanto piacere del prezioso contributo che voi portate nelle analisi delle trasformazioni tecnologiche, economiche, politiche e culturali in atto in Italia, per apportarvi una visione cristianamente orientata. Tutto ciò voi fate mediante congressi, incontri, dibattiti e apprezzate pubblicazioni. Tra queste ultime mi piace ricordare la rivista "Operare", della quale Paolo VI di venerabile memoria lodo lo spirito di perspicacia per aver saputo essa superare molte difficoltà "con la competenza dei suoi collaboratori, con la pazienza della sua ricerca in ogni aspetto della realtà considerata, con la sincerità delle sue opinioni, con la moderazione delle sue affermazioni, con l'ampiezza delle sue visuali" (cfr. Paolo VI, "Allocutio ad Sodales", UCID, 7 febbraio 1966). Con non minor soddisfazione ho appreso l'impegno che voi mettete nel promuovere la ricerca metodica per la qualificazione dei futuri dirigenti o per la riqualificazione di quelli attuali mediante corsi di aggiornamento aziendale, seminari e attività congiunte con le Università di studi. Questo nobile intento, destinato ad aprire gli animi alla concezione moderna della società e a temprare le forze morali dei vostri associati, e di altri ancora, perché, oltre a possedere una rigorosa preparazione tecnica, imparino ad essere uomini cristianamente onesti, leali e generosi, merita apprezzamento e il pubblico riconoscimento. A voi perciò tutta la mia gratitudine e la mia paterna benevolenza!

2. Ma tutto ciò non basta! Voi considerate vostro dovere anche lo sforzo per venire incontro alle legittime istanze che salgono dai lavoratori delle vostre aziende. Occorre che l'imprenditore e i dirigenti di imprese facciano tutto quanto è in loro potere per dare udienza, debita udienza!, alla voce dell'operaio dipendente e per comprendere le sue legittime esigenze di giustizia ed equità, superando ogni tentazione egoistica tendente a rendere l'economia norma a se stessa. Voi sapete e volete ricordare a tutti che ogni disattenzione in questo settore è colpevole, ogni ritardo fatale. Tanti conflitti e antagonismi tra lavoratori e dirigenti affondano spesso le loro radici nel terreno infecondo del mancato ascolto, del dialogo rifiutato o indebitamente differito. Non è tempo perduto quello che vi fa incontrare personalmente i dipendenti, quello che vi permette di rendere i vostri rapporti con loro più umani e le vostre aziende più "a misura d'uomo".

A voi non sfugge la situazione di tanti operai delle fabbriche, i quali, se costretti a vivere come in un reticolato artificiale, corrono il pericolo di sentirsi atrofizzati nella loro spontaneità interiore. La macchina, con i suoi automatismi rigidi, è ingrata e avara di soddisfazioni. Le stesse relazioni tra colleghi di lavoro, quando diventino spersonalizzate, non possono dare il necessario conforto o sostegno; e gli apparati di produzione, di distribuzione e di consumo spesso costringono gli operai a vivere in modo "massificato", senza iniziative, senza scelte. A tale livello di disumanizzazione si può giungere quando la tavola dei valori viene rovesciata e si eleva il "produttivismo" a unico parametro del fenomeno industriale, quando viene negletta la dimensione interiore dei valori, quando si mira più alla perfezione dell'opera, che non alla perfezione di chi la compie, privilegiando così l'opera all'operatore, l'oggetto al soggetto.

Qui il discorso, che d'altra parte a voi è familiare, tenderebbe ad ampliarsi, e porterebbe a parlare della questione più generale e universale dei diritti dell'uomo. Ma esso ci porterebbe lontano; mi limito perciò a ricordare un breve passaggio della mia prima enciclica, nella quale affermavo che la violazione dei fondamentali diritti umani "non può, in nessun modo, accordarsi con un qualsiasi programma che si autodefinisca "umanistico". E quale programma sociale, economico, politico, culturale potrebbe rinunciare a questa definizione?" (cfr. Giovanni Paolo II, RH 17).

Voi siete ben certi che solo in questa prospettiva l'uomo - ogni uomo, sia imprenditore o dirigente, oppure collaboratore nei diversi settori, impiegatizio ed operaio - può ritrovare il suo senso profondo, essendo messo così in grado di esprimere i suoi talenti, di collaborare, di partecipare e di cooperare al retto funzionamento dell'impresa, di cui tutti sono, insieme, collaboratori e artefici.

In tal modo recupera anche la sua importante significazione il tempo destinato al lavoro, non meno di quello riservato al riposo. L'uno e l'altro fanno riscoprire all'uomo se stesso e insieme quei valori superiori dell'amore e della solidarietà che gli permettono di realizzare uno sviluppo integrale, che lo affranchi da possibili e sempre imminenti frustrazioni.

Ecco, cari fratelli, qualche indicazione, che vi possa essere di utilità nell'adempimento della vostra non facile e responsabile attività imprenditoriale e dirigenziale. Nel concludere, mi piace far mio l'augurio che il mio grande predecessore, Paolo VI, vi rivolse nel suo ultimo discorso, a voi lasciato come testamento: "Che la vostra testimonianza cristiana contribuisca veramente a diffondere nell'ambiente imprenditoriale la convinzione della destinazione universale dei beni creati, i quali "devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo le regole della giustizia, che è inseparabile dalla carità" (GS 69). Possa il vostro esempio stimolare ad un uso dei redditi disponibili non arbitrario, né egoistico; possa soprattutto l'impostazione da voi data all'attività nell'impresa fare di questa una comunità di persone, nella quale ognuno si senta valorizzato nella propria dignità, mediante una responsabile partecipazione all'opera comune" (cfr. Paolo VI, "Allocutio ad Sodales UCUD", 12 febbraio 1977). Questo augurio desidero avvalorare con la preghiera, mentre, invocando l'aiuto del Signore sulle vostre persone, sui vostri cari, su tutti gli iscritti a codesta Unione e sulle loro famiglie, a tutti di cuore imparto la benedizione apostolica.

Data: 1979-11-24

Data estesa: Sabato 24 Novembre 1979.





Ai fioristi italiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il fiore immagine ed esempio di abbandono sereno alla Provvidenza

Testo: Sono lieto di accogliervi e di salutarvi, cari soci del "Club Fioristi d'Italia", convenuti qui a Roma per il vostro Congresso annuale e che avete desiderato incontrare il Papa per ricevere una parola di incoraggiamento e di benedizione.

Il mio pensiero, in questo momento, si rivolge cordiale a voi qui presenti e a tutti i vostri associati, che assolvono un servizio tanto gentile per l'umana convivenza. Infatti, lo scambio di sentimenti, di affetti e di intendimenti tra gli uomini, si svolge sempre attraverso segni e figure, di cui la parola è il più nobile e rappresentativo. Ma anche le cose, tutte le realtà del creato, e i fiori con speciale evidenza, posseggono una loro particolare forza evocativa, una loro capacità espressiva, specie quando giungono anche sugli altari, come manifestazione di amore e di fede.

Nella loro delicata e profumata eleganza, i fiori testimoniano la magnificenza del Creatore. La Sacra Scrittura si avvale spesso del linguaggio dei fiori, per invitare l'uomo alla lode di Dio. Ricordo le parole del Siracide: "Ascoltatemi, o figli timorati e crescete come rosa piantata lungo un rivo perenne... fiorite come il giglio, diffondete profumo ed intonate un canto di lode; benedite il Signore per tutte le opere sue" (Si 39,13-14).

Ma soprattutto, come non richiamare a voi, che vivete tra i fiori, l'indimenticabile ricordo che ne ha fatto il Signore Gesù nel Vangelo per invitarci alla fiducia in Dio Padre? "Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone con tutta la sua gloria vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?" (Mt 6,28-30). Il fiore del campo, alimentato solo dalle linfe feconde della terra che lo sostiene, è additato dal Signore quale immagine ed esempio di abbandono sereno e coraggioso alla Provvidenza, atteggiamento necessario agli uomini di ogni epoca, sempre sottoposti alla tentazione della sfiducia e dello scoraggiamento a causa delle avversità personali e dei turbamenti della natura e della storia.

Di qui traggo il mio auspicio per voi: sappiate improntare il vostro lavoro a sentimenti di gratitudine, di lode, di venerazione, e particolarmente a questa fiducia in Dio e insieme a propositi di bontà e di disponibilità verso il prossimo, così che la vostra attività divenga sempre più una iniziativa atta a recare agli uomini un messaggio di serena bellezza e di fraternità.

Vi accompagni la mia benedizione! Data: 1979-11-24

Data estesa: Sabato 24 Novembre 1979.





Angelus 25 nov: Il regno di Cristo è il regno dell'uomo

Testo:

1. I nostri pensieri e i nostri cuori si rivolgono oggi a Colui, che alla domanda di Pilato: "Tu sei re?", risponde: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità" (Jn 18,37).

I tempi in cui viviamo esigono da noi di pensare sempre più spesso a questa risposta; ci chiedono di cercare quel re insolito, di sentire nostalgia di lui, di desiderarlo sempre più fervidamente. Come è meraviglioso, infatti, questo re che rinuncia a tutti i segni del potere, agli strumenti del dominio, alla forza e alla prepotenza, e desidera regnare soltanto con la forza della verità e dell'amore, con la forza della convinzione interiore e del puro abbandono. Quanto è insolito questo re! Quanto deve desiderarlo l'uomo d'oggi, stanco di quei sistemi di esercizio del potere, i quali in tanti luoghi del globo non risparmiano all'uomo oppressione e violenza. Sono forme di potere che cercano di condizionare l'uomo anche nelle sue dimensioni più interiori, lo subordinano a sistemi ideologici, senza tener conto se essi corrispondano o no alle sue convinzioni e fanno dipendere la sua vita civica e sociale più dall'accettazione di quei sistemi che non dai meriti reali della persona.

Quanto è meraviglioso questo Re, Gesù Cristo, che rifiuto simili metodi di guidare l'uomo. Egli ha detto a Pilato: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù" (Jn 18,36). Ha rifiutato non soltanto tutti i mezzi di esercitare il potere sugli altri mediante la forza e la violenza, ma si è privato perfino del legittimo sostegno della difesa dinanzi ai suoi persecutori.

Tutto ciò per entrare nella vita dell'uomo con la sola forza della verità e dell'amore, per ottenere il regno dei cuori umani, in tutti coloro che sono capaci di ascoltare la sua voce e di percepire la sua chiamata. E costoro non mancano; anzi, sono numerosi anche là dove c'è assoluto silenzio nei loro confronti, dove sono trattati come se non esistessero, dove vengono privati di elementari diritti umani, che pure sono per lo più a loro garantiti teoricamente, dove vengono incarcerati e processati perché si riuniscono insieme nella preghiera e nella lettura della Parola di Dio, o perché hanno trascritto testi liturgici ad uso dei fedeli che vogliono pregare.

E neppure possono, certamente, conquistare i cuori umani quei sistemi che non riconoscono l'uguaglianza tra gli uomini, i quali sono tutti figli di Dio, e si avvalgono per negarla di pretesti di razza, di cultura, di opinioni, anche pacificamente espresse, oppure non rispettano le esigenze della dignità fisica e morale delle persone, a cominciare dal diritto, quando sono imputate, alla propria difesa.

In tutti i sistemi di oppressione e di persecuzione non mancano gli uomini che, a prezzo di coraggio e di sofferenza, rendono testimonianza a Cristo e scelgono questo insolito Re, che regna nei cuori umani con la sola forza della verità e dell'amore. Uniamoci oggi a loro, in modo particolare nella preghiera.


2. Desidero poi farvi partecipi dei sentimenti che ho provato incontrandomi recentemente con gruppi di Vescovi della Colombia, venuti per la loro visita "ad limina". Il nome della Colombia oggi ci fa purtroppo pensare con trepidazione e commozione al terremoto che ha sconvolto due giorni fa quella terra, seminando morte e distruzione. Dio accolga nella sua Casa quanti sono rimasti vittime, e la solidarietà cristiana e umana si impegni ad alleviare le sofferenze di quanti si trovano nel dolore e senza abitazione.

In Colombia il seme gettato secoli fa dai missionari è cresciuto, e oggi quella Nazione, che ha quasi ventotto milioni di abitanti, è cattolica nella stragrande maggioranza, con una organizzazione ecclesiastica di 59 circoscrizioni.

Non mancano, certo, problemi, ma mi è di conforto sapere che la Chiesa può contare in Colombia sulla preziosa opera di 3.150 sacerdoti diocesani, di 3.650 religiosi e di oltre 18.000 religiose, oltre alle migliaia di laici aderenti a movimenti apostolici, tutti generosamente impegnati nella evangelizzazione e nella promozione umana, coordinate dall'Episcopato. Ci sono anche segni di una certa ripresa delle vocazioni: funzionano 19 seminari maggiori con più di 1.000 alunni, mentre 450 aspiranti religiosi e 750 novizie si preparano alla loro consacrazione alla Chiesa.

Sulla diletta Nazione colombiana imploriamo, per l'intercessione della Madonna santissima, che là è invocata particolarmente sotto il titolo di "Virgen de Chiquinquiera", le più larghe benedizioni del Signore.

(Recita l'Angelus e prosegue:) Oggi pomeriggio, nella Basilica di San Pietro, si riuniranno attorno a me, loro Vescovo, gli appartenenti ai vari settori dell'apostolato dei laici di tutte le parrocchie di Roma, per riflettere sulla loro vocazione, alla luce dei documenti conciliari, e per rinnovare l'impegno di essere - seguendo il Signore Gesù - "testimoni fedeli" della signoria di Dio nella creazione e nella storia dell'uomo, costruendo una vera comunità cristiana, capace di annunciare il Vangelo con generosità e coerenza, partecipando a ogni sfera della vita contemporanea per formarla ed animarla cristianamente.

Chiedero a loro e chiedo ora a tutti di non tirarsi indietro di fronte alle responsabilità apostoliche, derivanti dal Battesimo e dalla Cresima e confermate dalla partecipazione all'Eucaristia, ma di dare il proprio apporto alla costruzione di quel Regno, che, pur non essendo di questo mondo, esiste tuttavia quaggiù perché è per noi e in mezzo a noi.

Alla banda musicale del Dopolavoro Postelegrafonici di Milano Un paterno cordiale saluto rivolgo ai componenti il Corpo Musicale del Dopolavoro Postelegrafonici di Milano, dipendente dal Ministero italiano delle Poste e delle Telecomunicazioni, qui presenti, come abbiamo sentito bene, in Piazza San Pietro.

Nel manifestarvi la mia viva riconoscenza, carissimi, per tale attestazione di bontà e per la bella esecuzione musicale, di cui avete voluto farmi omaggio, mi è particolarmente gradito impartire a voi, all'intera grande famiglia postelegrafonica e alle rispettive persone care la desiderata benedizione apostolica.

Data: 1979-11-25

Data estesa: Domenica 25 Novembre 1979.





Ai vincitori del "Concorso Veritas" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Portate nel mondo il messaggio di Cristo

Testo: Carissimi Giovani, vincitori del "Concorso Veritas".

E' con una gioia tutta particolare che vi accolgo in questo speciale incontro, a voi appositamente riservato, e vi do il mio paterno e affettuoso benvenuto.

Voi, infatti, siete i vincitori di quella interessante e significativa iniziativa, lanciata dall'Azione Cattolica all'inizio di ogni anno in tutte le diocesi d'Italia tra gli studenti delle Scuole Superiori e che ormai ha raggiunto la sua trentesima edizione, per rendere più dinamico, appassionato e fecondo lo studio della fede cristiana. Vi esprimo pertanto il mio compiacimento per la diligenza che avete impiegato nello studio e nell'approfondimento del tema assegnato; e al tempo stesso estendo il mio grato saluto a tutti i sacerdoti e insegnanti che vi hanno illuminati e guidati con metodo e con amore.

Sia ringraziato il Signore per la vostra giovinezza limpida e ardente, che ha saputo e sa tuttora entusiasmarsi delle realtà sublimi e salvifiche! Sappiate che il Papa è contento di voi; ma soprattutto è contento Gesù, l'amico divino, che oggi la liturgia ci fa contemplare come "Re dell'Universo".

Voi ricordate il toccante episodio nel Vangelo di san Giovanni. Gesù al governatore Ponzio Pilato, che gli chiede la sua reale identità, risponde: "Io sono Re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". E Pilato soggiunge pensieroso: "E che cos'è la verità?" (Jn 18,37-38).

Cari giovani: siate nel mondo i portatori del "messaggio della Verità", siate i testimoni di Cristo via, verità e vita, luce del mondo e salvezza dell'umanità! Col vostro esempio, sappiate dimostrare davanti a tutti che la verità deve essere amata! la verità deve essere conosciuta e perciò cercata con amore, con dedizione, con metodo, e soprattutto che la verità deve essere vissuta.

Il Cristianesimo non è soltanto una dottrina: è prima di tutto una Persona: Gesù Cristo, che deve essere amato e in conseguenza imitato e realizzato nella vita di ogni giorno, mediante la fede totale nella sua parola, la vita di grazia, la preghiera, la carità verso i fratelli.

Carissimi giovani! Continuate a vivere nella Verità e per la Verità! Vi assista, vi illumini, vi conforti Maria santissima, Sede della Sapienza, Madre del Verbo che illumina ogni uomo.

Con questi voti vi imparto la mia apostolica benedizione, che con particolare benevolenza estendo ai vostri Sacerdoti e a tutte le persone care.

Data: 1979-11-25

Data estesa: Domenica 25 Novembre 1979.





Ai laici impegnati nell'apostolato - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La testimonianza di Cristo alla verità, misura delle nostre opere

Testo:

1. Oggi la Basilica di San Pietro risuona della liturgia di una solennità insolita. Nel calendario liturgico postconciliare la solennità di nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo è stata collegata con l'ultima domenica dell'anno ecclesiastico. Ed è bene così. Infatti le verità della fede che vogliamo manifestare, il mistero che vogliamo vivere racchiudono, in un certo senso, ogni dimensione della storia, ogni tappa del tempo umano e aprono, insieme, la prospettiva "di un nuovo cielo e di una nuova terra" (Ap 21,1), la prospettiva di un regno, che "non è di questo mondo" (Jn 18,36). E' possibile che si capisca erroneamente il significato delle parole sul "Regno", pronunciate da Cristo davanti a Pilato, sul regno cioè che non è di questo mondo. Tuttavia il contesto singolare dell'avvenimento, nell'ambito del quale esse sono state pronunciate, non permette di comprenderle così. Dobbiamo ammettere che il regno di Cristo, grazie al quale si aprono davanti all'uomo le prospettive extraterrestri, le prospettive dell'eternità (Jn 18,37), si forma nel mondo e nella temporalità. Esso, quindi, si forma nell'uomo stesso mediante "la testimonianza alla verità" che Cristo ha reso in quel momento drammatico della sua Missione messianica: davanti a Pilato, davanti alla morte sulla croce, chiesta al giudice dai suoi accusatori. così dunque la nostra attenzione deve essere attirata non solo dal momento liturgico della solennità d'oggi, ma anche dalla sorprendente sintesi di verità, che questa solennità esprime e proclama. Perciò mi sono permesso, insieme al Cardinale Vicario di Roma, di invitare oggi gli appartenenti ai vari settori dell'apostolato dei laici di tutte le parrocchie della nostra Città, tutti coloro cioè che insieme al Vescovo di Roma e ai pastori delle anime di ogni parrocchia accettano di far propria la testimonianza di Cristo Re e cercano di far posto al suo regno nei loro cuori e di diffonderlo tra gli uomini.


GPII 1979 Insegnamenti - Ai delegati delle Commissioni Ecumeniche - Città del Vaticano (Roma)