GPII 1979 Insegnamenti - Al Patriarca armeno di Istanbul (Turchia)

Al Patriarca armeno di Istanbul (Turchia)

Titolo: Grande e misteriosa unione di ricchezze spirituali e culturali

Testo: Caro fratello in Cristo.

E' con santa emozione che ho appena varcato la soglia di questo edificio, che rappresenta per me la vostra antica Chiesa apostolica armena. Ripeto le parole "santa emozione", poiché la vostra Chiesa, con la sua storia, passata e presente, mi è sempre apparsa come il simbolo della grande e misteriosa unione delle ricchezze spirituali e culturali dell'Oriente e dell'Occidente, nel senso più ampio di questi termini.

Ed ora sono qui. Sono venuto a salutare voi, mio fratello in nostro Signore Gesù Cristo. Sono venuto a salutare, nella vostra persona, la Gerarchia e soprattutto Sua Santità Vasken I, il Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni. Sono venuto a salutare tutti i miei fratelli e le mie sorelle della vostra Chiesa.

La mia visita di oggi sarà la testimonianza di quell'unità che già esiste fra di noi, e la testimonianza della mia ferma decisione di perseguire, con la grazia di Dio, lo scopo di pervenire alla piena comunione fra le nostre Chiese.

E in questa occasione due ragioni mi spingono ad affermare questo.

La prima è una ragione fondamentale, che spesso si tende a dimenticare nello sforzo superficiale di scoprire perché il Vescovo di Roma unisce in modo così naturale il suo impegno nella cura pastorale della Chiesa cattolica con la sua responsabilità per l'unità di tutti i Cristiani. E la parola stessa del nostro Signore e Salvatore, che ha pregato per coloro che lo seguivano: "Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te" (Jn 17,21). Gesù Cristo desidera moltissimo la piena unità e la comunione fra tutti i Cristiani. Finché siamo divisi tra di noi, non possiamo adempiere a questo elemento essenziale della nostra chiamata. E così non dobbiamo guardare altrove per trovare la ragione della nostra ricerca di una comunione perfetta fra le nostre Chiese.

La seconda ragione è questa: gli sforzi compiuti finora per ristabilire la piena unità fra i Cristiani hanno dato dei risultati incoraggianti. Nel maggio del 1970, in occasione della visita di Sua Santità Vasken I, che proveniva dalla città santa di Echmiadzin, al mio predecessore Paolo VI, il Papa e il Catholicos hanno affermato, in una dichiarazione comune che "l'unità non può essere raggiunta finché tutti, pastori e fedeli, non si sforzano di conoscersi a vicenda. Perciò è necessario far si che i teologi si impegnino ad uno studio comune diretto ad una più profonda conoscenza del mistero di nostro Signore Gesù Cristo...".

Non erano parole vane. Esigevano una seria risposta da parte dei pastori e dei fedeli e da parte dei teologi di entrambe le Chiese, che stanno impegnandosi seriamente a tradurle in pratica. Si sono tenuti dibattiti teologici. Sono stati fatti studi comuni. Vi sono stati scambi di studenti. Sta diventando sempre più frequente fra di noi la condivisione delle gioie e dei dolori delle nostre comunità, e l'operare insieme affinché la parola di Cristo sia sempre più conosciuta e amata, affinché "la parola del Signore si diffonda e sia glorificata" (2Th 3,1).

Più tardi ci incontreremo per pregare insieme. Possa ciò essere espressione del nostro desiderio che la nostra collaborazione cresca e si sviluppi con la benedizione di Dio Padre, e con la guida dello Spirito Santo, che Cristo ha promesso a noi come Consolatore che ci insegna ogni cosa e ci ricorda tutto ciò che Cristo ci ha rivelato (cfr. Jn 14,26).

Data: 1979-11-29

Data estesa: Giovedì 29 Novembre 1979.





Alle comunità armeno-cattoliche - Istanbul (Turchia)

Titolo: Chiamati più degli altri ad essere artefici dell'unità

Testo: Caro fratello, cari fratelli e sorelle dell'arcidiocesi armeno-cattolica di Istanbul.

Nella gioia, rendo grazie a Dio che mi ha permesso di venire a Istanbul e di passare qualche momento con voi. Momenti troppo brevi sia per voi che per me.

Conosco la vostra fedeltà nella fede, la vostra unione intorno al vostro Arcivescovo, il vostro sforzo incessante per mantenere viva la vostra comunità, le sue belle tradizioni, il suo ricco patrimonio di spiritualità. E conosco anche il vostro meritorio attaccamento alla persona del Papa, la vostra volontà di restare in piena comunione con la Sede Apostolica di Roma.

Questa fedeltà e questo attaccamento sono radicati in una lunga tradizione storica che, nel corso dei secoli, ha prodotto frutti cristiani ammirevoli in diversi Paesi d'Oriente, ma che è stata sovente segnata da grandi prove e anche da profonde sofferenze. Il ricordo di questa storia commovente è un motivo in più per rendervi oggi un fervido omaggio, per recarvi, come ai vostri fratelli, conforto e incoraggiamento ed augurarvi di progredire nella pace.

Per quanto mi riguarda, ho conosciuto bene e apprezzato i cristiani armeni nella mia patria, in Polonia. Fin dalla mia giovinezza, ho avuto familiarità con le loro comunità, come con quelle di altre Chiese orientali. Dio voglia che questa provvidenziale esperienza mi aiuti a lavorare per la comprensione e la stima reciproche e per rinsaldare i legami fraterni che dovrebbero unire tutte le Chiese di Cristo! Vi invito a partecipare anche voi a questo grande movimento dell'unità, nella vostra qualità di orientali e di cattolici. Qui voi vivete a contatto diretto con dei fratelli cristiani ortodossi; voi abitate la stessa città, avete di fronte gli stessi problemi pastorali, le stesse preoccupazioni sociali; voi celebrate la stessa liturgia. Realizzare la piena comunione fra tutti i cristiani è per voi un problema urgente nel quale vi imbattete nella vita di ogni giorno.

Chi più di voi dovrebbe essere idoneo a interpretare e applicare le sagge direttive del Concilio Vaticano II in questo campo? Siete chiamati più degli altri a essere gli artefici dell'unità. Lo afferma lo stesso Concilio Vaticano: "Alle Chiese Orientali aventi comunione con la Sede Apostolica Romana compete lo speciale ufficio di promuovere l'unità di tutti i cristiani, specialmente orientali, secondo i principi del decreto di questo Concilio "sull'Ecumenismo", in primo luogo con la preghiera, l'esempio della vita, la scrupolosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali, la mutua e più profonda conoscenza, la collaborazione e la fraterna stima delle cose e degli animi" (OE 24).

Di tutto cuore vi ringrazio della vostra calorosa accoglienza, della vostra disponibilità, del vostro amore, della vostra apertura al dialogo fraterno, della vostra sensibilità ai segni dei tempi e a quanto lo Spirito Santo chiede oggi alla Chiesa. Imploro su di voi i doni dello Spirito Santo e l'assistenza materna della Madre di Dio. Prego specialmente per quanti, tra voi o tra i vostri fratelli, sono provati, malati, vecchi, dispersi; prego anche per le giovani generazioni. Che Dio vi fortifichi nella fede, vi faccia perseveranti nella speranza, magnanimi nella carità! E vi colmi della sua pace! Questo augurio lo formulo anche per la grande famiglia armena sparsa nel mondo. Vi benedico con tutto il cuore nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1979-11-29

Data estesa: Giovedì 29 Novembre 1979.





Omelia nella Cattedrale dello Spirito Santo - Istanbul (Turchia)

Testo: Carissimi fratelli nel Signore.

"Pace ai fratelli e carità e fede da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo" (cfr. Ep 6,23). Questo augurio dell'apostolo Paolo ai cristiani di Efeso sia lo stesso che vi indirizzo.

Mi rivolgo subito al Patriarca ecumenico, Sua Santità Dimitrios I, e al Patriarca armeno, Sua Beatitudine Shnorhk Kalustian, fratelli venerati, che hanno voluto unirsi a questa celebrazione e onorare così noi e tutta la comunità locale.

Esprimo loro la mia gratitudine profonda.

1. Vi saluto cordialmente, fratelli e figli della Chiesa cattolica, vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, fedeli laici, appartenenti alle varie comunità e ai vari riti cattolici della città. Saluto anche, attraverso voi, tutti i cattolici di questo grande Paese. Vi ringrazio per la vostra calorosa e filiale accoglienza, così come per la gioia che mi date. Vorrei ugualmente rivolgere i miei vivi ringraziamenti a tutti quanti hanno reso possibile questo viaggio e, in modo particolare, alle Autorità di questo Paese, che mi hanno accolto con tanta cortesia. Il mio incontro con voi, fratelli e sorelle nel Signore, mi riempie di gioia immensa. Apprezzo la vostra presenza attiva in questa splendida storica citta, ricca di tante ammirevoli testimonianze cristiane. E come dimenticare che i punti essenziali della nostra fede hanno trovato la formulazione dogmatica nei Concili ecumenici tenuti in questa città, o nelle città vicine, di cui ormai portano il nome: Nicea, Costantinopoli, Efeso, Calcedonia? Come non rievocare con emozione i Padri della Chiesa d'Oriente, Pastori e Dottori, nati in questa regione o che vi hanno esercitato un incomparabile apostolato, lasciandoci scritti luminosi che sono oggi nutrimento e riferimento per tutta la Chiesa, in Occidente come in Oriente? Penso specialmente a san Giovanni Crisostomo, Vescovo di Costantinopoli, di cui il coraggio, la chiarezza, la profondità, l'eloquenza ne hanno fatto il modello del pastore e del predicatore. Penso a tutta questa vita contemplativa fiorita qui nel corso dei secoli, alla scuola dei maestri spirituali, penso alla fedeltà nella fede attraverso tante prove. Cari fratelli e sorelle, oggi ereditate in un certo modo questo tesoro e questi esempi che debbono fruttificare nelle vostre anime. Sono lieto di vedervi professare questa fede con convinzione, con perseveranza, con spirito di sacrificio. In vari campi e in diversi modi, voi rendete un apprezzato servizio alla Chiesa e a questo Paese. Sia che operiate direttamente nel campo ecclesiale sia che siate impegnati in attività culturali più generali, o nell'educazione della gioventù, o nelle opere di carità, volete esprimere la vostra fede servendo sempre l'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,26-27), e contribuendo a costruire la Chiesa di Dio, edificata sul fondamento degli Apostoli e sulla pietra angolare che è il Cristo (cfr. Ep 2,20).


2. Fratelli e sorelle, ho desiderato celebrare con voi questa santa liturgia, particolarmente in questa felice circostanza della festa dell'apostolo sant'Andrea. Andrea fu chiamato per primo a seguire Gesù. "Venite e vedete" aveva detto il Signore (Jn 1,39). E Andrea si mise in cammino, lo segui, e dimoro "presso di lui in quel giorno". E non solo "in quel giorno"; lo segui durante tutta la sua vita; lo vide operare miracoli, guarire gli ammalati, rimettere i peccati, rendere la vista ai ciechi, risuscitare i morti; conobbe la sua dolorosa passione e la sua morte, e lo vide risuscitato. E continuo a credere in lui, fino alla testimonianza finale del martirio.

La celebrazione della festa di un santo ci ricorda la nostra particolare vocazione alla santità. San Pietro, il fratello di Andrea, ce lo ricorda in maniera stimolante nella sua lettera scritta appunto ai cristiani dell'Asia Minore: "Ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta" (1P 1,15).

La vocazione cristiana è sublime ed esigente, e sarebbe per noi irrealizzabile se lo Spirito di Dio non ci desse la luce per capire e la forza necessaria per agire. Ma Cristo ci ha anche assicurati della sua assistenza: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20).

Si, la vocazione cristiana è vocazione alla perfezione, per edificare il corpo di Cristo "finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Ep 4,13). Saldi nella fede, possiamo crescere in tutti i modi "vivendo secondo la verità nella carità" (Ep 4,15).


3. Estendiamo ora la nostra meditazione al mistero della Chiesa. Sant'Andrea, il primo chiamato, patrono della Chiesa di Costantinopoli, è il fratello di san Pietro, il corifeo degli apostoli, fondatore con san Paolo della Chiesa di Roma e suo primo Vescovo. Per un aspetto, questo fatto ci ricorda un dramma del cristianesimo, la divisione fra l'Oriente e l'Occidente, ma ci richiama anche la profonda realtà della comunione esistente, nonostante ogni divergenza, fra le due Chiese.

Come dobbiamo ringraziare il Signore di aver fatto sorgere, nel corso degli ultimi decenni, illuminati pionieri e artefici instancabili dell'unità, come il Patriarca Athenagoras, di venerata memoria, e i miei grandi predecessori, Papa Giovanni XXIII - di cui questa città e questa Chiesa conservano con onore il ricordo - e Papa Paolo VI che è venuto per incontrarvi prima di me! La loro azione fu feconda per la vita della Chiesa e per la ricerca della piena unità tra le nostre Chiese, che si appoggiano sull'unica pietra angolare che è Cristo e sono edificate sul fondamento degli apostoli. I contatti sempre più intensi di questi ultimi anni hanno fatto riscoprire la fraternità tra le nostre due Chiese e la realtà di una comunione, anche se non perfetta, fra loro. Lo Spirito di Dio ci ha mostrato anche in maniera sempre più chiara l'esigenza che si impone di realizzare la piena unità per rendere una più efficace testimonianza per il nostro tempo.

La mia visita al Patriarca ecumenico e il mio pellegrinaggio ad Efeso, dove Maria fu proclamata "Theotokos", Madre di Dio, ha come fine servire - nella misura in cui posso e per quanto lo permetterà il Signore - questa santa causa.

Ringrazio la Provvidenza d'aver guidato i miei passi sino a questi luoghi.

Siamo alla vigilia dell'apertura del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Si tratta di un'altra fase importante del processo verso l'unità. Questo dialogo sarà chiamato, partendo da ciò che abbiamo in comune, ad identificare, affrontare e risolvere tutte le difficoltà che ci vietano ancora la piena unità. Domani saro presente alla celebrazione della festa di sant'Andrea nella chiesa del Patriarcato ecumenico.

Non potremo concelebrare. E' qui il segno più doloroso del danno prodotto dalla divisione nell'unica Chiesa di Cristo. Ma, grazie a Dio, celebriamo ormai insieme, da qualche anno, la festa dei patroni delle nostre Chiese, quale pegno ed effettiva volontà della piena concelebrazione; a Roma, celebriamo la festa dei santi Pietro e Paolo in presenza di una delegazione ortodossa, e si celebra al Patriarcato ecumenico la festa di sant'Andrea con una presenza cattolica.

La comunione nella preghiera ci condurrà alla piena comunione nell'Eucaristia. Oso sperare che questo giorno sia vicino. Personalmente, l'augurerei molto vicino. Non abbiamo forse già in comune la stessa fede eucaristica e i veri sacramenti, in virtù della successione apostolica? Auguriamo che la nostra comunione totale nella fede, particolarmente nel campo ecclesiologico, permetterà presto questa piena "communicatio in sacris". Già il mio venerato predecessore, il Papa Paolo VI, aveva desiderato vedere questo giorno, come il Patriarca Atenagora I; e così si esprimeva parlando di quest'ultimo subito dopo la sua morte: "Sempre egli riassumeva i suoi sentimenti in una sola e suprema speranza: quella di poter "bere nello stesso calice" con noi, cioè di poter celebrare insieme il sacrificio eucaristico, sintesi e corona della comune identificazione ecclesiale con Cristo. Noi pure lo abbiamo tanto desiderato! Ora questo incompiuto desiderio deve rimanere la sua eredità e il nostro impegno" (Paolo VI, Angelus, 19 luglio 1972). Riprendendo da parte mia tale eredità, condivido ardentemente questo desiderio, che il tempo e i progressi nell'unione non fanno che ravvivare.


4. So che anche voi, cattolici di questa città e di tutta la Turchia, siete coscienti dell'importanza che riveste la ricerca della piena unità tra i cristiani. So che pregate e lavorate in questo senso e che avete contatti fraterni con la Chiesa ortodossa e con gli altri cristiani della vostra città e del vostro Paese. Ve ne sono profondamente riconoscente. So anche che cercate rapporti di amicizia con gli altri credenti che invocano il nome dell'unico Dio, e che siete cittadini attivi e leali di questo Paese ove siete una minoranza. A questo vi incoraggio con tutto il cuore.

Che Dio vi benedica! Che benedica le vostre comunità, le vostre famiglie, le vostre persone, specialmente coloro che soffrono e per i quali avro un'intenzione particolare. E vi conceda sempre tutto ciò di cui avete bisogno per rendergli, nella vita, una testimonianza sempre più fedele.


5. E ora, cari fratelli e sorelle, vi invito a pregare con fervore, nel corso di questo sacrificio eucaristico, per la piena comunione delle nostre Chiese. Il progresso dell'unità si fonderà sui nostri sforzi, sulle nostre ricerche teologiche, sui nostri ripetuti tentativi, e specialmente sulla nostra mutua carità; ma nello stesso tempo è una grazia del Signore.

Supplichiamolo di appianare gli ostacoli che hanno ritardato sino ad oggi il cammino verso la piena unità. Supplichiamolo di dare, a tutti quelli che collaborano al riavvicinamento, il suo Spirito Santo che li guiderà verso l'intera verità, elargirà loro la carità, li renderà impazienti di raggiungere l'unità.

Supplicatelo perché noi, pastori delle Chiese-sorelle, si sia i migliori strumenti del suo disegno, noi che la Provvidenza ha scelto, in quest'ora della storia, per reggere queste Chiese, cioè per servire come vuole il Signore, e servire così l'unica Chiesa che è il suo Corpo. Nel corso del secondo millennio, le nostre Chiese si erano come fissate nella loro separazione. Ecco che il terzo millennio del cristianesimo è alle porte. Possa l'alba di questo nuovo millennio sorgere su una Chiesa che ha ritrovato la piena unità, per meglio testimoniare, in mezzo alle esacerbate tensioni del mondo, il trascendente amore di Dio, manifestato nel Figlio Gesù Cristo.

Dio solo conosce i tempi e i momenti. Da parte nostra, vegliamo e preghiamo, nella speranza, con la Vergine Maria, la Madre di Dio, che non cessa di vegliare sulla Chiesa di suo Figlio, così come ha vegliato sugli Apostoli. Amen.

Data: 1979-11-29

Data estesa: Giovedì 29 Novembre 1979.





Alla comunità polacca di Istanbul (Turchia)

Titolo: Il significato eccezionale della colonia polacca in Turchia

Testo: Cari connazionali!

1. Nel programma della mia attuale visita non poteva mancare l'incontro con voi.

E' un incontro insolito per le circostanze nelle quali viene effettuato. Quando, qualche anno fa, venne a Cracovia il Professor L. Biskupski a incontrarmi, nel corso del colloquio egli mi avanzo anche la proposta di visitare la vostra Comunità ad Adampol in Turchia. Era pero difficile prevedere le possibilità in proposito. La Provvidenza divina ha fatto si che oggi quell'invito si stia realizzando e in un modo che, durante quell'incontro, nessuno di noi poteva prevedere.


2. La colonia polacca in Turchia non è numerosa, essa tuttavia ha un significato eccezionale, ha una particolare eloquenza storica. Prima di tutto, la vostra presenza qui ricorda un fatto che ad ogni polacco è molto caro. Ecco, dopo la spartizione della Polonia, quando diverse corti reali europee avevano preso atto della violenza fatta sul vivo corpo del nostro Paese, soltanto la Turchia non condivise tale violenza. Eppure abbiamo avuto alle nostre spalle secoli difficili.

Le reiterate guerre, condotte con alterna fortuna fino a Vienna nel 168


3. Se dunque, dopo tutto ciò, proprio qui ad Istanbul dai Sultani non è stata accettata la spartizione della Polonia, allora questo fatto dobbiamo ritenerlo come qualcosa di insolito.

"Il Nunzio dal Lechistan (Polonia) non è ancora arrivato", veniva annunciato per molti anni in questa corte durante i ricevimenti dei rappresentanti degli altri Stati. E finalmente è venuto il momento dell'arrivo di questo Nunzio.


3. Adampol (Polonezköy) deve la sua denominazione al principe Adam Jerzy Czartoryski, che nel 1842 diede inizio a questa colonia polacca, fondata sui terreni che i polacchi avevano comprato dai missionari di san Vincenzo de Paul (Lazzaristi). Pero la storia della presenza della colonia polacca nell'antica capitale della Turchia ad Istanbul risale a un passato molto più lontano, e conta circa 400 anni. Raramente è accaduto altrove nel mondo che un raggruppamento di polacchi potesse sopravvivere così a lungo lontano dalla Patria. Qui hanno trovato rifugio gli insorti polacchi del 1830-31, i prigionieri di guerra riscattati dai Turchi dalle armate dello zar, i soldati polacchi della divisione di Zamoyski sciolta nel 18

56. Nel 1855 è venuto ad Istanbul Adam Mickiewicz, il nostro più grande poeta, per sostenere qui lo spirito patriottico tra i polacchi e formare una legione polacca, che, secondo la concezione del romanticismo, doveva servire alla liberazione della Patria, la quale, dopo l'insurrezione del novembre, fu ancor più soggiogata.

La colonia polacca in Turchia ha vissuto diverse vicende e ha affrontato diverse difficoltà. Il fatto che oggi ci incontriamo qui e parliamo con la lingua dei nostri avi costituisce la migliore testimonianza del suo atteggiamento.


4. Voi siete eredi di quei Polacchi che, più di cento anni fa, hanno dato inizio a questa oasi polacca sul Bosforo. Io, come vostro Connazionale e insieme "primo Papa della stirpe dei Polacchi", vi incontro oggi con grande commozione. Ringrazio Dio per questo incontro.

Contemporaneamente vi rivolgo i più cordiali auguri di ogni grazia di Dio nella vostra vita personale, familiare, sociale, civica.

Insieme con voi, raccomando alla protezione della Genitrice di Dio la Polonia, Patria dei nostri antenati e nostra Patria. Rimanete saldi nella fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, che ci accompagna, attraverso tutta la storia, di generazione in generazione. Vi benedico nel nome della Santissima Trinità e saluto ciascuno di voi e tutta la vostra Comunità.

Data: 1979-11-30

Data estesa: Venerdì 30 Novembre 1979.





Durante la liturgia a San Giorgio al Fanar - Istanbul (Turchia)

Testo: Santissimo e molto amato fratello.

"Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!" (Ps 132). Queste parole del salmista scaturiscono dal mio cuore oggi che sono con voi. Si, quanto è buono, quanto è soave essere tutti insieme fratelli.

Noi siamo riuniti per celebrare sant'Andrea, un apostolo, il primo chiamato fra gli apostoli, fratello di Pietro, corifeo degli apostoli. E questa circostanza sottolinea il significato ecclesiale del nostro incontro odierno.

Andrea era un apostolo, vale a dire uno degli uomini scelti dal Cristo per essere trasformati dal suo Spirito ed essere inviati nel mondo come lui stesso era stato inviato dal Padre (Jn 17,19). Gli apostoli sono stati inviati per annunciare la Buona Novella della riconciliazione in Cristo (cfr. 2Co 5,18-20), per chiamare gli uomini ad entrare in comunione con il Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo (cfr. 1Jn 1,1-3) e per riunire così gli uomini, divenuti figli di Dio, in un grande popolo di fratelli (cfr. Jn 11,52). Riunire tutto in Cristo a lode e gloria di Dio (cfr. Ep 1,10-12) tale è la missione degli apostoli, tale è la missione di quelli che, dopo di loro, furono scelti ed inviati, tale è la vocazione della Chiesa.

Noi celebriamo dunque oggi un apostolo, il primo chiamato fra gli apostoli, e questa festa ci ricorda l'esigenza fondamentale della nostra vocazione, la vocazione della Chiesa.

Questo apostolo, patrono dell'illustre Chiesa di Costantinopoli, è il fratello di Pietro. Certamente tutti gli apostoli sono legati tra loro dalla nuova fraternità che unisce coloro il cui cuore è rinnovato dallo Spirito del Figlio (cfr. Rm 8,15) e ai quali è stato affidato il ministero della riconciliazione (cfr. 2Co 5,18), ma questo non annulla i legami specifici creati dalla nascita e dall'educazione in una stessa famiglia. Andrea è il fratello di Pietro. Andrea e Pietro erano fratelli e, in seno al collegio apostolico, doveva unirli una intimità più grande e una collaborazione più stretta nell'azione apostolica.

Qui ancora l'odierna celebrazione ci ricorda che fra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli esistono particolari legami di fraternità e d'intimità, e che una collaborazione più stretta è naturale tra queste due Chiese.

Pietro, fratello di Andrea, è il corifeo degli apostoli. Grazie all'ispirazione del Padre, ha pienamente riconosciuto in Gesù il Cristo, il Figlio del Dio vivente (cfr. Mt 16,16); a causa di questa fede egli ha ricevuto il nome di Pietro, affinché la Chiesa potesse fondarsi su questa roccia (cfr. Mt 16,18).

Egli è stato incaricato di assicurare l'armonia della predicazione apostolica.

Fratello tra i fratelli, ha ricevuto la missione di riconfermarli nella fede (cfr. Lc 22,32); egli ha per primo la responsabilità di vegliare sull'unione di tutti, di assicurare la sinfonia delle sante Chiese di Dio nella fedeltà "alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte" (Jud 1,3).

Con questo spirito animato da questi sentimenti, il successore di Pietro ha voluto in questo giorno rendere visita alla Chiesa che ha per patrono sant'Andrea, al suo venerato Pastore, a tutta la sua gerarchia e a tutti i suoi fedeli. E ha voluto partecipare alla sua preghiera. Questa visita alla prima sede della Chiesa ortodossa mostra chiaramente la volontà di tutta la Chiesa cattolica di andare avanti nel cammino verso l'unità di tutti, e anche la convinzione che il ristabilimento della piena comunione con la Chiesa Ortodossa è una tappa fondamentale per il progresso decisivo di tutto il movimento ecumenico. La nostra divisione non ha potuto essere priva di influenze sulle altre divisioni che sono seguite.

La mia iniziativa si pone nel solco aperto realizzato da Giovanni XXIII.

Essa riprende e prolunga le iniziative memorabili del mio predecessore Paolo VI, quella che lo conduceva prima a Gerusalemme, ove ebbe luogo per la prima volta l'abbraccio commovente e il primo dialogo orale con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, nel luogo stesso dove si compi il mistero della Redenzione per la riunione dei figli di Dio dispersi; poi l'incontro avvenne qui, oltre dodici anni fa, in attesa che il Patriarca Atenagora venisse a sua volta a rendere visita a Paolo VI nella sua sede di Roma. Queste due grandi figure ci hanno lasciato per raggiungere Dio: essi hanno compiuto il loro ministero, l'uno e l'altro protesi verso la piena comunione e quasi impazienti di realizzarla finché erano ancora in vita. Da parte mia non ho voluto tardare ancora per venire a pregare con voi, presso di voi; fra i miei viaggi apostolici già realizzati o progettati, questo rivestiva ai miei occhi un'urgenza e un'importanza particolari. Oso anche sperare che, di nuovo, noi potremo pregare insieme, Sua Santità il Patriarca Dimitrios I e io, e questa volta sulla tomba dell'apostolo Pietro. Tali iniziative esprimono davanti a Dio e davanti a tutto il Popolo di Dio la nostra impazienza per l'unità.

Nel corso di quasi un millennio le due Chiese-sorelle sono fiorite l'una accanto all'altra, come due grandi tradizioni vitali e complementari della stessa Chiesa di Cristo, conservando non soltanto relazioni pacifiche e fruttuose, ma l'aiuto dell'indispensabile comunione nella fede, nella preghiera e nella carità, che a nessun costo volevano rimettere in discussione, malgrado le differenti sensibilità. Il secondo millennio, al contrario, è stato offuscato, a parte qualche fuggevole schiarita, dalla distanza che le due Chiese hanno preso reciprocamente con tutte le funeste conseguenze. La piaga non è ancor guarita.

Ma il Signore può guarirla, e ci ingiunge di fare il meglio possibile.

Eccoci ormai al termine del secondo millennio: non sarebbe tempo di affrettare il passo verso la perfetta riconciliazione fraterna affinché l'alba del terzo millennio ci trovi di nuovo fianco a fianco, nella piena comunione, per testimoniare insieme la salvezza di fronte al mondo, la cui evangelizzazione attende questo segno di unità? Sul piano concreto, la visita odierna dimostra anche l'importanza che la Chiesa cattolica attribuisce al dialogo teologico che sta per iniziare con la Chiesa ortodossa. Con realismo e saggezza, in conformità all'auspicio della Sede Apostolica di Roma e anche al desiderio delle Conferenze panortodosse, era stato deciso di riannodare tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse relazioni e contatti che avessero permesso di riconoscersi e di creare l'atmosfera necessaria per un fruttuoso dialogo teologico. Bisognava ricostituire il contesto prima di tentare di rifare insieme i testi. Questo periodo è stato giustamente chiamato il dialogo della carità. Questo dialogo ha permesso di prendere coscienza della profonda comunione che già ci unisce, e fa si che possiamo guardarci e trattarci come Chiese-sorelle. Molto è già stato realizzato, ma bisogna continuare questo sforzo. Bisogna trarre le conseguenze di questa reciproca riscoperta teologica, in ogni luogo ove cattolici e ortodossi vivono insieme.

Bisogna superare le abitudini all'isolamento per collaborare in tutti i settori dell'azione pastorale, ove una tale collaborazione è resa possibile dalla comunione quasi totale che già esiste fra noi. Non bisogna aver paura di riconsiderare, da una parte e dall'altra, e in consultazione reciproca, le regole canoniche stabilite quando la coscienza della nostra comunione - ormai stretta anche se ancora incompleta - era ancora oscurata, regole che forse non corrispondono più ai risultati del dialogo della carità e alle possibilità che sono state aperte. E' importante perché i fedeli dell'una e dell'altra parte si rendano conto dei progressi compiuti, e sarebbe auspicabile che quanti stanno per essere incaricati del dialogo abbiano la preoccupazione di trarne le conseguenze, per la vita dei fedeli, dei progressi futuri.

Questo dialogo teologico che sta per iniziare avrà lo scopo di superare i malintesi e i disaccordi che esistono ancora fra noi se non a livello di fede, almeno a livello della formulazione teologica. E dovrebbe svolgersi non soltanto nell'atmosfera del dialogo e della carità che deve svilupparsi e intensificarsi, ma anche in un'atmosfera di adorazione e di disponibilità.

E' soltanto nell'adorazione, con un senso acuto della trascendenza del mistero indicibile che "sorpassa ogni conoscenza" (Ep 3,19) che si potranno situare le nostre divergenze e "niente imporre che non sia necessario" (cfr. UR 18).

Mi sembra in effetti che la domanda che dobbiamo porci non è tanto di sapere se possiamo ristabilire la piena comunione, ma ancor più se abbiamo il diritto di restare separati. Questa domanda dobbiamo porcela in nome anche della nostra fedeltà alla volontà di Cristo sulla sua Chiesa, cui una preghiera incessante deve renderci gli uni e gli altri sempre più disponibili nel corso del dialogo teologico.

Se la Chiesa è chiamata a riunire gli uomini nella lode di Dio, sant'Ireneo, grande Dottore dell'Oriente e dell'Occidente, ci ricorda che "la gloria di Dio è l'uomo vivente" (S. Ireneo, "Adv. Haer.", IV, 20,7). Tutto nella Chiesa è ordinato per permettere che l'uomo viva veramente in questa piena libertà che deriva dalla comunione con il Padre, attraverso il Figlio, nello Spirito.

Sant'Ireneo in effetti afferma "e la vita dell'uomo è la visione di Dio", la visione del Padre manifestata nel Verbo.

La Chiesa non può pienamente rispondere a questa vocazione se non testimoniando con la sua l'unità la novità di questa vita data nel Cristo. "Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me" (Jn 17,23).

Sicuro che la nostra speranza non può essere delusa (cfr. Rm 5,5), torno a dirvi, fratelli amatissimi, la gioia di trovarmi fra voi, e con voi ne rendo grazie al Padre da cui viene ogni dono perfetto (cfr. Jc 1,17).

Data: 1979-11-30

Data estesa: Venerdì 30 Novembre 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Al Patriarca armeno di Istanbul (Turchia)