GPII 1979 Insegnamenti - Omelia ad Efeso (Turchia)

Omelia ad Efeso (Turchia)

Titolo: L'intercessione di Maria per l'unità dei cristiani

Testo:

1. Col cuore traboccante di profonda commozione, prendo la parola in questa solenne liturgia, che ci vede riuniti intorno alla Mensa eucaristica per celebrare, nella luce di Cristo Redentore, la memoria gloriosa della sua santissima Madre. L'animo è dominato dal pensiero che, proprio in questa città, la Chiesa raccolta in Concilio - il terzo ecumenico - riconobbe ufficialmente a Maria il titolo di "Theotokos", già a lei tributato dal popolo cristiano, ma da qualche tempo contestato in alcuni ambienti, facenti capo soprattutto a Nestorio. Il giubilo, con cui la popolazione di Efeso accolse, in quel lontano 431, i Padri che uscivano dalla sala del Concilio ove era stata riaffermata la vera fede della Chiesa, si propago celermente in ogni parte del mondo cristiano e non ha cessato di riecheggiare presso le generazioni successive, che nel corso dei secoli hanno continuato a rivolgersi con slancio fiducioso a Maria, come a Colei che ha dato la vita al Figlio di Dio.

Anche noi, oggi, col medesimo slancio filiale e con la stessa intensa fiducia, ricorriamo alla Vergine Santa, in lei salutando la "Madre di Dio" e a lei affidando le sorti della Chiesa, sottoposta in questi tempi a prove singolarmente dure e insidiose, ma sospinta anche dall'azione dello Spirito su cammini aperti alle più promettenti speranze.

2. "Madre di Dio". Nel ripetere, oggi, questo termine carico di mistero, noi riandiamo con la mente al momento ineffabile dell'Incarnazione e affermiamo con tutta la Chiesa che la Vergine divenne Madre di Dio per aver generato secondo l'umanità un Figlio, che era personalmente il Verbo di Dio. Quale abisso di condiscendenza ci si apre dinanzi! All'animo pensoso si affaccia spontaneamente una domanda: perché il Verbo ha preferito nascere da una donna (Ga 4,4), piuttosto che scendere dal cielo con un corpo già adulto, plasmato dalla mano di Dio (cfr. Gn 2,7)? Non sarebbe stata, questa, una via più degna di lui? più adeguata alla sua missione di Maestro e di Salvatore dell'umanità? Sappiamo che, nei primi secoli soprattutto, non pochi cristiani (doceti, gnostici, ecc.) avrebbero preferito che le cose fossero andate così. Il Verbo tenne, invece, l'altra strada. Perché? La risposta ci si propone con la limpida e convincente semplicità delle opere di Dio. Cristo voleva essere un autentico germoglio (Is 11,1) della stirpe che veniva a salvare. Voleva che la redenzione sbocciasse come dall'interno dell'umanità, come qualcosa di suo. Cristo voleva soccorrere l'uomo non come un estraneo, ma come un fratello, facendosi in tutto simile a lui, tranne il peccato (cfr. He 4,15). Per questo volle una madre e la trovo in Maria. La missione fondamentale della Fanciulla di Nazaret fu, dunque, quella di essere il tramite d'unione del Salvatore col genere umano.

Nella storia della salvezza, tuttavia, l'azione di Dio non si svolge al di sopra della testa degli uomini: Dio non impone la salvezza. Non la impose neppure a Maria. Nell'Annunciazione egli si rivolse a lei in maniera personale, interpello la sua volontà ed attese una risposta che scaturisse dalla sua fede. I Padri hanno colto perfettamente questo aspetto, rilevando che "la beata Maria, Colui che partori credendo, credendo concepi" (S. Agostino, "Sermo 215", 4; S.

Leone Magno, "Sermo I in Nativitate", 1) e questo ha sottolineato pure il recente Concilio Vaticano II, asserendo che la Vergine "all'annunzio dell'Angelo accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio" (LG 53).

Il "fiat" dell'Annunciazione inaugura, così, la nuova alleanza tra Dio e la creatura: mentre incorpora Gesù alla nostra stirpe secondo la natura, incorpora Maria a lui secondo la grazia. Il legame tra Dio e l'umanità, interrotto dal peccato, è ora felicemente ripristinato.


3. Il consenso totale e incondizionato dell'"ancella del Signore" (Lc 1,38) al piano di Dio fu, dunque, un'adesione libera e consapevole. Maria acconsenti a diventare la Madre del Messia, venuto "per salvare il suo popolo dal peccato" (Mt

1,21; cfr. Lc 1,31). Non si tratto di un semplice consenso alla nascita di Gesù, ma della responsabile accettazione di partecipare all'opera della salvezza, che egli veniva ad attuare. Le parole del "Magnificat" offrono chiara conferma di questa lucida consapevolezza: "Ha soccorso Israele, suo servo - Maria dice - ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre" (Lc 1,54-55).

Pronunciando il suo "fiat", Maria non diviene soltanto Madre del Cristo storico; il suo gesto la pone come Madre del Cristo totale, "Madre della Chiesa".

"Dal momento del f"iat" - osserva sant'Anselmo - Maria comincio a portarci tutti nel suo seno", per questo "il natale del Capo è anche il natale del Corpo", sentenzia san Leone Magno. Sant'Efrem ha, per parte sua, un'espressione molto bella a questo riguardo: Maria, egli dice, è "la terra nella quale è stata seminata la Chiesa".

In effetti, nel momento in cui la Vergine diventa Madre del Verbo incarnato, la Chiesa si trova costituita in modo segreto, ma germinalmente perfetto, nella sua essenza di corpo mistico: sono presenti, infatti, il Redentore e la prima dei redenti. D'ora innanzi l'incorporazione a Cristo implicherà un rapporto filiale non solo col Padre celeste, ma anche con Maria, la Madre terrena del Figlio di Dio.


4. Ogni madre trasmette ai figli la propria somiglianza: anche fra Maria e la Chiesa c'è un rapporto di profonda somiglianza. Maria è la figura ideale, la personificazione, l'archetipo della Chiesa. In lei si effettua il passaggio dall'antico al nuovo popolo di Dio, da Israele alla Chiesa. Lei è la prima tra gli umili e i poveri, rimasti fedeli, che aspettano la redenzione; e lei è ancora la prima tra i riscattati che, in umiltà e obbedienza, accolgono l'avvento del Redentore. La teologia orientale ha molto insistito sulla "katharsis" che si opera in Maria al momento dell'Annunciazione; basti qui ricordare la commovente parafrasi che ne fa il vescovo ortodosso Gregorio Palamas in una sua omelia: "Tu sei già santa e piena di grazia, o Vergine, dice l'Angelo a Maria. Ma lo Spirito Santo verrà di nuovo su di te, preparandoti mediante un aumento di grazia al mistero divino" (Gregorio Palamas, Omelia sull'Annunciazione: PG 151, 178).

A ragione, pertanto, nella Liturgia con cui la Chiesa orientale celebra le lodi della Vergine, ha un posto di rilievo il cantico che la sorella di Mosè, Maria, eleva al passaggio del Mar Rosso, quasi ad indicare che la Madonna è stata la prima ad attraversare il mare del peccato alla testa del nuovo popolo di Dio, liberato da Cristo.

Della Chiesa Maria è la primizia e l'immagine più perfetta: "portio maxima, portio optima, portio praecipua, portio electissima" (Ruperti, "In Apoc." I, VII, c. 72). "Associata a tutti gli uomini bisognosi di salvezza", proclama ancora il Vaticano II, essa è stata redenta "in modo più sublime in virtù dei meriti del Figlio suo" (LG 53). Maria sta, pertanto, dinanzi ad ogni credente come la creatura tutta pura, tutta bella, tutta santa, capace di "essere Chiesa" come nessun'altra creatura lo sarà mai quaggiù.


5. Anche noi, oggi, guardiamo a Maria con trasporto amoroso di figli, come al nostro modello. Guardiamo a lei per imparare dal suo esempio a costruire la Chiesa. A questo fine sappiamo di dovere, innanzitutto, crescere sotto la sua guida nell'esercizio della fede. Maria visse la sua fede in un impegno di approfondimento continuo e di progressiva scoperta, passando attraverso momenti difficili di tenebre, già dall'inizio (cfr. Mt 1,18ss), che ella supero grazie ad un atteggiamento responsabile di ascolto e di obbedienza nei confronti della Parola di Dio. Noi pure dobbiamo compiere ogni sforzo per approfondire e consolidare la nostra fede "ascoltando, accogliendo, proclamando, venerando la Parola di Dio, scrutando alla sua luce i segni dei tempi e interpretando e vivendo gli eventi della storia" (Paolo VI, "Marialis Cultus", 17).

Maria ci sta dinanzi come esempio di coraggiosa speranza e di carità operosa: ella cammino nella speranza, passando con docile prontezza dalla speranza giudaica alla speranza cristiana, e attuo la carità, accogliendone in sé le esigenze fino al dono più completo ed al sacrificio più grande. Sull'esempio suo, noi pure dobbiamo restare saldi nella speranza anche quando nembi tempestosi si addensano sulla Chiesa, che come nave avanza tra i flutti, non raramente avversi, delle vicende umane; anche noi dobbiamo crescere nella carità, coltivando l'umiltà, la povertà, la servizievolezza, la capacità dell'ascolto e della condiscendenza, in adesione a quanto ci ha insegnato lei con la testimonianza di tutta la sua vita.


6. Di una cosa, in particolare, noi vogliamo oggi assumere l'impegno ai piedi di questa nostra comune Madre: noi ci impegniamo a portare avanti, con ogni nostra energia e in atteggiamento di totale disponibilità ai suggerimenti dello Spirito, il cammino verso la piena unità di tutti i cristiani. Sotto i suoi occhi materni noi siamo pronti a riconoscere i nostri reciproci torti, i nostri egoismi, le nostre lentezze: ella ha generato un Figlio unico, noi purtroppo glielo presentiamo diviso. E' questo un fatto che ci crea disagio e pena: il disagio e la pena a cui dava espressione il mio predecessore di venerata memoria, il Papa Paolo VI, nelle parole iniziali del "Breve" che, in pieno accordo con il "Tomos" pubblicato nello stesso tempo dal Patriarca ecumenico Atenagora I, faceva cadere dalla memoria della Chiesa e destinava all'oblio le sentenze di reciproca scomunica scambiate, molto tempo prima, a Costantinopoli: "Ambulate in dilectione, sicut et Christus dilexit nos: haec hortatoria verba Apostoli gentium (Ep 5,2) nobis, qui e Salvatoris nomine christiani appellamur, observantur nosque permovent, praesertim hac aetate, quae vehementius impellit, ut dilatentur spatia caritatis (Paolo VI, "Ambulate in dilectione", 7 dicembre 1965: AAS 58 (1966) 40).

Molto cammino s'è fatto da quel giorno; altri passi, tuttavia, restano ancora da compiere. Noi affidiamo a Maria il sincero proposito di non darci pace fino a che la meta non sia felicemente raggiunta. Ci pare di udire dalle sue labbra le parole dell'Apostolo: "Non vi siano contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini" (Cfr. 2Co 12,20).

Accogliamo con cuore aperto questo suo ammonimento materno e chiediamo a lei di esserci accanto per guidarci, con mano dolce ma ferma, sulle strade della comprensione fraterna piena e duratura. Si compirà così il voto supremo, pronunciato dal Figlio suo nel momento in cui stava per versare il sangue per il nostro riscatto: "come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21).

Data: 1979-11-30

Data estesa: Venerdì 30 Novembre 1979.





All'aeroporto di Smirne (Turchia)

Testo: Signor Ministro, Eccellenze, Signore e Signori.

Non voglio lasciare il vostro Paese senza esprimere un cordiale ringraziamento al popolo turco e ai suoi governanti. Grazie a loro ho potuto effettuare felicemente questo viaggio, che mi stava tanto a cuore. Ho beneficiato della loro cortese ospitalità, di un servizio d'ordine ben organizzato, e dei diversi mezzi posti a mia disposizione per questo viaggio. Ho anche potuto intrattenermi cordialmente e utilmente con le Autorità, e io le saro grato, Signor Ministro, se in particolare vorrà assicurare nuovamente a Sua Eccellenza il Presidente della Repubblica e ai membri del Governo, il mio ricordo e la mia gratitudine. Come il mio caro predecessore Paolo VI, son venuto quale messaggero di pace e come amico. La Sede Apostolica di Roma non cessa di esprimere la sua volontà di contribuire, nei modi che le sono propri, ad instaurare pacifiche e fraterne relazioni tra i popoli, al progresso umano e spirituale di tutte le nazioni senza distinzione, a promuovere la difesa dei diritti umani delle persone e delle comunità nazionali, etniche, religiose. Ne è ben convinta la Repubblica di Turchia, che intrattiene relazioni diplomatiche con la Santa Sede dal 1960.

Sono lieto di questa occasione che mi è stata offerta per manifestare al popolo turco la mia stima.

Lo sapevo già e ne ho fatto esperienza in questi giorni: è una Nazione giustamente fiera di se stessa e intenzionata a risolvere i suoi problemi politici, economici e sociali con dignità, nella democrazia e nell'indipendenza.

E' ricca di una gioventù molto numerosa, ed è decisa ad utilizzare tutte le risorse del progresso moderno. Formulo per il suo avvenire gli auguri cordiali.

Non ho potuto fare a meno di meditare sul suo passato. Dopo alcuni millenni - si può risalire almeno agli Ittiti - questo Paese è stato un punto d'incontro e un crogiolo di civiltà, e la cerniera fra l'Asia e l'Europa. Quante ricchezze culturali radicate, non soltanto nelle sue vestigia archeologiche e nei suoi venerabili monumenti, ma nell'anima, nella memoria più o meno chiara delle sue popolazioni! Quante avventure, anche gloriose o penose, hanno formato il tessuto della sua storia! L'unità della Turchia moderna si fonda oggi sulla promozione del bene comune, sul quale lo Stato ha la missione di vegliare. La chiara distinzione tra la sfera civile e quella religiosa può consentire a ciascuno di esercitare le proprie specifiche responsabilità, nel rispetto della natura di ciascun potere e nella libertà delle coscienze.

Il principio di questa libertà di coscienza, come quella di religione, di culto, di insegnamento, è riconosciuto nella costituzione di questa Repubblica.

Auguro che tutti i credenti e le loro comunità ne possano beneficiare sempre di più. Le coscienze, quando sono ben formate, attingono nei fatti dalle loro profonde convinzioni religiose, diciamo dalla loro fedeltà a Dio, una speranza, un ideale, qualità morali di coraggio, di lealtà, di giustizia, di fratellanza necessarie alla felicità, alla pace e all'anima dell'intero popolo. In questo senso, mi sia permesso di esprimere la mia stima per tutti i credenti di questo Paese.

Io sono venuto tra voi anzitutto come Capo religioso, e voi comprenderete facilmente come io sia stato particolarmente lieto di ritrovare in questo Paese fratelli e figli cristiani che aspettavano la mia visita e questi scambi spirituali, divenuti in certo modo necessari. Le loro comunità cristiane ridotte di numero ma ferventi, profondamente radicate nella storia e nell'amore della loro patria, mantengono viva, nel rispetto di tutti, la fiamma della fede, della preghiera e della carità di Cristo. Con esse ho anche ricordato queste regioni o queste città onorate dall'evangelizzazione dei grandi apostoli di Cristo, Paolo, Giovanni, Andrea, dalle prime comunità cristiane, dai grandi concili ecumenici.

Si, come successore dell'Apostolo Pietro, il mio cuore, come quello di tutti i cristiani del mondo, resta molto legato a questi luoghi famosi dove i nostri pellegrini continuano a recarsi con emozione e gratitudine. Fa onore al vostro Paese l'accoglierli e ospitarli.

Ringrazio in particolare vostra Eccellenza di avermi amabilmente accompagnato. Saluto anche le autorità civili, religiose e culturali presenti.

Formulo i migliori voti augurali per voi e per ciascuno dei vostri connazionali.

Desidero che la mia visita sia per tutti un messaggio di pace e di amore fraterno, senza i quali non esiste vera felicità né autentico progresso, e meno ancora fedeltà a Dio. Continuero a pregare l'Altissimo perché ispiri il popolo turco e i suoi governanti nella ricerca della sua volontà, perché li assista nelle loro gravi responsabilità, perché li colmi dei suoi doni di pace e di fraternità.

Data: 1979-11-30

Data estesa: Venerdì 30 Novembre 1979.





Nella festa di sant'Andrea, ad Al Fanar - Istanbul (Turchia)

Titolo: Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e di Dimitrios I

Testo: Noi, Giovanni Paolo II, Papa, e Dimitrios I, Patriarca ecumenico, rendiamo grazie a Dio che ci ha fatto il dono di incontrarci per celebrare insieme la festa dell'apostolo Andrea, primo chiamato e fratello dell'apostolo Pietro. "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo" (Ep 1,3).

Nella ricerca della sola gloria di Dio attraverso il compimento della sua volontà, noi affermiamo di nuovo la nostra ferma volontà di fare tutto ciò che è possibile per affrettare il giorno nel quale sarà ristabilita la piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, e nel quale potremo finalmente concelebrare la divina Eucaristia.

Siamo riconoscenti ai nostri predecessori, il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora I, per tutto quanto hanno fatto per riconciliare le nostre Chiese e farle progredire nell'unità.

I progressi compiuti nella tappa preparatoria ci permettono di annunciare prossimo l'inizio del dialogo teologico e di rendere pubblica la lista dei membri della commissione mista cattolico-ortodossa che ne avrà l'incarico.

Questo dialogo teologico non solo ha per scopo di progredire verso il ristabilimento della piena comunione tra le Chiese-sorelle cattolica e ortodossa, ma anche di contribuire ai molteplici dialoghi che si sviluppano nel mondo cristiano alla ricerca della propria unità.

Il dialogo della carità (cfr. Jn 13,34 Ep 4,1-7), radicato in una completa fedeltà all'unico Signore Gesù Cristo e alla volontà della sua Chiesa (Cfr. Jn 17,21), ha aperto la via ad una migliore comprensione delle reciproche posizioni teologiche e quindi a nuovi approcci del lavoro teologico e a un nuovo atteggiamento nei confronti del passato comune alle nostre Chiese. Questa purificazione della memoria collettiva delle nostre Chiese è un frutto importante del dialogo della carità e una condizione indispensabile dei progressi futuri.

Questo dialogo della carità deve continuare e intensificarsi nella complessa situazione ereditata dal passato e che costituisce la realtà nella quale deve compiersi oggi il nostro sforzo.

E' nostro desiderio che i progressi nell'unità aprano nuove possibilità di dialogo e di collaborazione con i credenti delle altre religioni, e con tutti gli uomini di buona volontà, affinché l'amore e la fraternità prevalgano sull'odio e le contrapposizioni fra gli uomini. Speriamo così di contribuire all'avvento di una vera pace nel mondo. Imploriamo questo dono da Colui che è stato, che è e che viene, Cristo nostro unico Signore e nostra vera pace.

Data: 1979-11-30

Data estesa: Venerdì 30 Novembre 1979.





Al rientro dalla Turchia, all'aeroporto di Fiumicino (Roma)

Titolo: Momento di comunione nella fede e nella carità

Testo: Col cuore ancor pervaso da intense emozioni e portando nell'animo immagini indimenticabili di luoghi resi cari da venerande tradizioni, metto nuovamente il piede sul suolo d'Italia.

Sono grato al Signore per l'assistenza che mi ha concesso anche in questo pellegrinaggio, che si è svolto all'insegna di due peculiari "note" della Chiesa, quella dell'apostolicità e quella dell'unità. Sono stato, infatti, a far visita a Sua Santità il Patriarca Dimitrios I, per rendere omaggio, insieme con lui, al fratello dell'apostolo Pietro e per confermare così che l'ascendenza apostolica rimane indelebilmente iscritta sul volto della Chiesa come uno dei tratti salienti. Con questo viaggio ho inteso, altresi, testimoniare la mia ferma volontà di andare avanti sulla strada che conduce alla piena unità di tutti i cristiani e recare, al tempo stesso, un contributo all'avvicinamento degli uomini fra loro, nel rispetto di ciò che è essenzialmente e profondamente umano.

Ora il mio pensiero si volge con memore benevolenza alle Autorità turche, che tanta cortesia hanno voluto dimostrarmi durante il mio soggiorno in quella Nazione; al caro fratello Sua Santità Dimitrios I, ai Metropoliti, ai Vescovi, al Clero e ai fedeli del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, con cui ho avuto la gioia di vivere un momento significativo di comunione nella fede e nella carità; ai venerati fratelli nell'Episcopato, ai Sacerdoti, al Popolo di Dio della Chiesa cattolica che è in Turchia; e all'intera popolazione turca, che con spontanee manifestazioni di simpatia mi ha fatto capire quale desiderio di intesa e di fratellanza vi sia nel cuore di ogni uomo.

Esprimo, adesso, il mio grato compiacimento innanzitutto al Signor Ministro degli Interni, Onorevole Virginio Rognoni, per le nobili parole con cui ha voluto porgermi il benvenuto, a nome anche del Governo e del popolo italiano.

Saluto, poi, e ringrazio i membri del Sacro Collegio, le Autorità civili ed ecclesiastiche, come anche il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la loro gentile presenza, nella quale ravviso l'attestazione del favore con cui è stato seguito questo mio pellegrinaggio. Una particolare parola di compiacimento e di riconoscenza voglio, infine, rivolgere ai dirigenti, ai piloti e al personale della Società Aerea, alla cui dedizione esperta e premurosa è dovuta la perfetta riuscita della trasvolata.

Nell'assicurare che per tutti ho avuto un ricordo nella preghiera alla Vergine santissima, specie nella città di Efeso, voglio ancora una volta affidare alla sua materna intercessione quanti ho incontrato in questi giorni sul mio cammino e, mentre invoco su tutti la benevolenza di Cristo Redentore, sono lieto di impartire a voi qui presenti, ai figli dilettissimi dell'Urbe e all'intera umanità la mia apostolica benedizione, con l'augurio più cordiale di prosperità e di pace.

Data: 1979-11-30

Data estesa: Venerdì 30 Novembre 1979.





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Un pellegrinaggio compiuto in spirito di comunione

Testo:

1. Voglio innanzitutto esprimere nuovamente la mia gioia per la visita, che mi è stato dato di compiere alla Chiesa sorella di Costantinopoli e al Patriarca Dimitrios I nella solennità di sant'Andrea apostolo, che è patrono di quella Chiesa.

La tradizione di Andrea, che fu fratello di Pietro, rievoca nella mia anima l'immagine della Chiesa, che si costruisce e cresce sopra la pietra angolare che è Gesù Cristo, e al tempo stesso sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti (cfr. Ep 2,20), con la forza della sua originaria unità, e insieme col desiderio di quell'unità perfetta, che dovrà essere raggiunta in un tempo conosciuto solo da Dio, per opera dello Spirito Santo, perché egli è lo Spirito della verità e dell'amore. La Chiesa, nella sua storia bimillenaria, si è sviluppata dalla sua primitiva culla sulla via di distinte, grandi tradizioni: quelle orientali e quella occidentale. Durante molti secoli queste due tradizioni manifestarono la comune ricchezza del Corpo di Cristo, completandosi reciprocamente nel cuore del Popolo di Dio e anche nelle istituzioni gerarchiche, nei riti liturgici, nella dottrina dei Padri e dei teologi.


2. Il Concilio Vaticano II ci ha fatto presente che questa ricchezza e questa tradizione non cessano di essere un bene comune di tutta la cristianità e che - in base ad esso e sotto l'azione dello Spirito Santo - dobbiamo superare la divisione che grava su di noi dal secolo XI e cercare di nuovo l'avvicinamento e l'unione.

A questo proposito mi piace qui ricordare quanto riconobbero i Padri del Concilio, rilevando che "le Chiese d'Oriente hanno fin dall'origine un tesoro, dal quale la Chiesa d'Occidente molte cose ha prese nel campo della liturgia, della tradizione spirituale e dell'ordine giuridico" (UR 14) e, in special modo, nel campo del culto alla Vergine Santa che "gli Orientali magnificano con splendidi inni" e in quello della spiritualità monastica "dalla quale, come da sua fonte, trasse origine la regola monastica dei latini" (UR 15).

Le Chiese Orientali, pertanto - concludevano autorevolmente i Padri conciliari -, "quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e l'Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli" (UR 15).

Mi è caro qui ricordare i meriti particolari che la Chiesa di Costantinopoli ebbe nella evangelizzazione degli Slavi. Fu la Chiesa di Costantinopoli che, rispondendo all'invito del principe Rastislav, invio i fratelli Cirillo e Metodio nella Grande Moravia, ove essi iniziarono un'opera di approfondita evangelizzazione, portata avanti dai loro discepoli.

E' precisamente in questo spirito di comunione che ho intrapreso e portato a termine, con l'aiuto di Dio, il recente pellegrinaggio. Mi auguro che esso abbia a recare frutti copiosi per la causa ecumenica. Invito tutti a pregare secondo questa intenzione.


3. La riconoscenza è il sentimento più vivo che in questo momento si impone al mio animo. Sento il bisogno di ringraziare, innanzitutto, Cristo Signore e la sua santissima Madre, che mi sono stati particolarmente vicini in questo pellegrinaggio. Devo ringraziare, poi, il carissimo fratello Sua Santità Dimitrios I, i Metropoliti, i Vescovi, il Clero e i fedeli del Patriarcato ecumenico, che mi hanno riservato tratti di squisita e commovente carità. E con loro voglio ringraziare, altresi, il Patriarca Shnorhk Kalustian e i cristiani della Comunità armena, coraggiosamente fedeli alle proprie tradizioni. Un ringraziamento, ancora, ai venerati fratelli nell'Episcopato, ai sacerdoti e al popolo dei vari riti cattolici, che sono in Turchia, per le ripetute prove di fraterna comunione e di sincera deferenza.

Il mio saluto, rispettoso e grato, va anche ai Reggitori della nobile Nazione turca, di cui ho apprezzato la delicata cortesia e le attenzioni premurose sia nel predisporre le accoglienze che nell'assicurare un soggiorno confortevole e sereno.

Ad Ankara ho tenuto un particolare discorso sulle relazioni tra la Chiesa cattolica e l'Islam, basandomi su quanto affermato nella Dichiarazione "Nostra Aetate" del Concilio Vaticano II.

Invito tutti a ringraziare la Madonna per la protezione con cui mi ha guidato in questo viaggio, recitando ora l'"Angelus".

Giornata del Migrante Oggi ha inizio il tempo liturgico dell'Avvento, che vuole essere di intensa preparazione spirituale alle festività natalizie. In tale periodo viene generalmente promossa dagli Episcopati di tutto il mondo anche la celebrazione della "Giornata del Migrante", allo scopo di richiamare l'attenzione di tutti i figli della Chiesa di fronte alle necessità spirituali, psicologiche, fisiche ed economiche di coloro che si trovano lontani dalla patria e forse anche dalla famiglia, alla ricerca di un lavoro o per altri motivi.

Esorto tutti i singoli fedeli, le parrocchie, le organizzazioni cattoliche, le comunità religiose ad esprimere generosamente e concretamente la loro solidarietà verso questi nostri fratelli, che si sentono spesso estranei nei luoghi in cui vivono e provano gravi difficoltà di inserimento.

Agli emigranti sparsi in tutto il mondo desidero oggi rivolgere un affettuoso saluto e l'augurio che, pur lontani dalla loro casa e dai loro affetti più cari, trovino dei volti amici e dei cuori aperti, capaci di ridare ad essi fiducia nella vita e negli uomini.

Data: 1979-12-02

Data estesa: Domenica 2 Dicembre 1979.





Omelia a San Clemente - Roma

Titolo: L'Avvento ci prepara all'esame della nostra umanità

Testo:

1. Desidero salutare tutta la vostra parrocchia nel nome di colui che è il suo patrono: San Clemente, uno dei primi successori di san Pietro, Vescovo di Roma, vissuto alla fine del primo secolo dopo Cristo, testimone della fede apostolica, esule e martire. Diriga egli i nostri passi ed accompagni questa visita che, dopo 19 secoli, compie, nella parrocchia a lui dedicata, il suo successore in Roma.

Interceda per noi e parli a noi con l'eloquenza di quella testimonianza apostolica, nella quale è vissuta questa citta ai suoi tempi, appena qualche decina di anni dopo i santi Pietro e Paolo.

La città di una particolare scelta da parte di Dio: potessimo noi sempre meritare, con la nostra vita e con la nostra condotta, questa scelta insolita! Possa servire a tale scopo anche la visita odierna alla vostra parrocchia! In conformità con la tradizione apostolica, inizio questa visita con un saluto rivolto a Dio e al nostro Signore Gesù Cristo "che è, che era e che viene" (Ap 1,8). E, nello stesso tempo, con un saluto rivolto a tutta la vostra comunità in Cristo.

Anzitutto, un cordiale saluto al vostro zelante parroco, Monsignor Vincenzo Pezzella, e ai sacerdoti che con lui collaborano nella cura pastorale; alle buone Suore della Congregazione del "Divino Amore" e a tutte le Religiose, che vivono ed operano nell'ambito della parrocchia; alle 6.000 famiglie, ai padri, alle madri, a tutti i 24.000 fedeli, che formano la Chiesa viva in questa zona di Roma, e che dal 1956, cioè da 23 anni, costituiscono la parrocchia.

Il mio paterno saluto va anche ai bambini, agli adolescenti, ai giovani, alle giovani coppie, agli anziani, agli ammalati. Un saluto di compiacimento e di incoraggiamento a tutti coloro che, sacrificando generosamente il loro tempo, si dedicano, secondo le proprie possibilità e capacità, ad essere disponibili per il vario e complesso lavoro che si svolge in questa comunità, così vivace, dinamica e attiva. Un plauso, in particolare, a quanti si consacrano con impegno alla catechesi parrocchiale a tutti i livelli.

Ed aggiungo, anche, in questa gioiosa circostanza, l'augurio che siano presto superate tutte le difficoltà e che siano trovati i mezzi adeguati perché possiate avere un tempio, non più provvisorio, e accomodato, ma bello e definitivo, quale lo sognate e lo desiderate, insieme con i vostri sacerdoti, da tanti anni.


2. Avvento: Prima domenica d'Avvento. "Ecco verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali io realizzero le promesse..." (Jr 33,14): leggiamo oggi queste parole del libro del profeta Geremia e sappiamo che esse annunziano l'inizio del nuovo anno liturgico e, nello stesso tempo, annunziano il momento imminente, già in questa liturgia, della natività del Figlio di Dio dalla Vergine. A tale momento nell'anno liturgico della Chiesa, a questa grande e gioiosa solennità, ci prepariamo ogni anno. Desidero che anche la mia odierna visita nella parrocchia di San Clemente serva a questa preparazione. Infatti, il giorno in cui nasce Cristo deve portarci (come annuncia lo stesso profeta Geremia) questa gioiosa certezza che "il Signore è la nostra giustizia" (cfr. Jr 33,16).


3. Per il Natale la Chiesa si prepara in modo del tutto particolare. Ci ricorda lo stesso evento, che ha presentato recentemente, alla fine quasi dell'anno liturgico. Ci ricorda, cioè, il giorno dell'ultima venuta di Cristo. Vivremo in modo giusto il Natale, cioè la gioiosa prima venuta del Salvatore, quando saremo consapevoli della sua ultima venuta "con potenza e gloria grande" (Lc 21,27), come dichiara il Vangelo di oggi. In questo brano c'è una frase, sulla quale voglio richiamare la vostra attenzione: "Gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra" (Lc 21,26).

Richiamo l'attenzione perché anche nella nostra epoca la paura "di ciò che dovrà accadere sulla terra" si comunica agli uomini.

Il tempo della fine del mondo nessuno lo conosce "ma solo il Padre" (Mc 13,32), e perciò da quella paura, che si comunica agli uomini del nostro tempo, non deduciamo alcuna conseguenza per quanto riguarda il futuro del mondo. Invece, è bene fermarsi su questa frase del Vangelo odierno. Per vivere bene il ricordo della memoria della nascita di Cristo, bisogna tener bene in mente la verità sull'ultima venuta di Cristo; su quell'ultimo Avvento. E quando il Signore Gesù dice: "State bene attenti... che quel giorno non vi piombi addosso improvviso, come un laccio" (Lc 21,34), allora giustamente sentiamo che egli parla qui non solo dell'ultimo giorno di tutto il mondo umano, ma anche dell'ultimo giorno di ogni uomo.

Quel giorno, che chiude il tempo della nostra vita sulla terra e apre davanti a noi la dimensione dell'eternità, è anche l'Avvento. In quel giorno verrà a noi il Signore come Redentore e Giudice.


4. così dunque, come vediamo, è molteplice il significato dell'Avvento, che, come tempo liturgico, ha inizio con la domenica odierna. Sembra pero che soprattutto la prima delle quattro domeniche di questo periodo voglia parlarci con la verità del "passare", a cui sono sottoposti il mondo e l'uomo nel mondo. La nostra vita nel mondo è un "passare", che inevitabilmente conduce al termine. Tuttavia, la Chiesa vuol dire a noi - e lo fa con tutta la perseveranza - che questo passare e quel termine sono, nello stesso tempo, avvento: noi non solo passiamo, ma contemporaneamente ci prepariamo! Ci prepariamo all'incontro con lui.

La fondamentale verità sull'Avvento è, nello stesso tempo, seria e gioiosa. E' seria: risuona in essa lo stesso "vegliate" che abbiamo sentito nella liturgia delle ultime domeniche dell'anno liturgico. Ed è, nello stesso tempo, gioiosa: l'uomo infatti non vive "nel vuoto" (lo scopo della vita dell'uomo non è "il vuoto"). La vita dell'uomo non è soltanto un avvicinarsi al termine, che insieme alla morte del corpo significherebbe l'annientamento di tutto l'essere umano. L'Avvento porta in sé la certezza della indistruttibilità di questo essere.

Se ripete: "Vegliate e pregate..." (Lc 21,36), lo fa perché possiamo essere preparati a "comparire davanti al Figlio dell'uomo" (Lc 21,36).


5. In questo modo, l'Avvento è anche il primo e fondamentale tempo di scelta; accettandolo, partecipando ad esso, scegliamo il principale senso di tutto la vita. Tutto ciò che avviene tra il giorno della nascita e quello della morte di ognuno di noi, costituisce, per così dire, una grande prova: l'esame della nostra umanità. E perciò, quell'ardente richiamo di san Paolo nella seconda lettura di oggi: il richiamo a potenziare l'amore, a rendere saldi e irreprensibili i nostri cuori nella santità; l'invito a tutto il nostro modo di comportarci (in linguaggio d'oggi si potrebbe dire "a tutto lo stile di vita"), all'osservanza dei comandamenti di Cristo. L'Apostolo insegna: se noi dobbiamo piacere a Dio, non possiamo perseverare nella stasi, dobbiamo andare avanti, cioè "per distinguerci ancora di più" (cfr. 1Th 4,1). Ed è così infatti. Nel Vangelo vi è un invito al progresso. Oggi tutto il mondo è pieno di inviti al progresso. Nessuno vuole essere un "non-progressista". Si tratta, tuttavia, di sapere in che modo si debba e si possa "essere progressisti", in che cosa consista il vero progresso. Non possiamo passare tranquillamente al di sopra di queste domande. L'Avvento porta in sé il significato più profondo del progresso. L'Avvento ci ricorda ogni anno che la vita umana non può essere una stasi. Deve essere un progresso. L'Avvento ci indica in che cosa consiste questo progresso.


6. E perciò aspettiamo il momento della nuova nascita di Cristo nella liturgia.

Poiché egli è Colui che - come dice il Salmo di oggi - "addita la via giusta ai peccatori; guida gli umili secondo giustizia, insegna ai poveri le sue vie" ().

E quindi verso Colui che verrà - verso Cristo - ci rivolgiamo con piena fiducia e convinzione. E diciamo a lui: guida! Guidami nella verità! Guidaci nella verità! Guida, o Cristo, nella verità i padri e le madri di famiglia della parrocchia: spronati e fortificati dalla grazia sacramentale del matrimonio e consapevoli di essere sulla terra il segno visibile del tuo indefettibile amore per la Chiesa, sappiano essere sereni e decisi nell'affrontare con coerenza evangelica le responsabilità della vita coniugale e dell'educazione cristiana dei figli.

Guida, o Cristo, nella verità i giovani della parrocchia: che non si lascino attrarre dai nuovi idoli, quali il consumismo ad oltranza, il benessere ad ogni costo, il permissivismo morale, la violenza protestataria, ma vivano con gioia il tuo messaggio, che è il messaggio delle Beatitudini, il messaggio dell'amore verso Dio e verso il prossimo, il messaggio dell'impegno morale per la trasformazione autentica della società.

Guida, o Cristo, nella verità tutti i fedeli della parrocchia: che la fede cristiana animi tutta la loro vita e li faccia diventare, di fronte al mondo, coraggiosi testimoni della tua missione di salvezza, membri coscienti e dinamici della Chiesa, lieti di essere figli di Dio e fratelli, con te, di tutti gli uomini! Guidaci, o Cristo, nella verità! Sempre! Data: 1979-12-02

Data estesa: Domenica 2 Dicembre 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Omelia ad Efeso (Turchia)