GPII 1980 Insegnamenti - Omelia durante la veglia pasquale - Basilica Vaticana - Roma


2. Siamo il tuo corpo, siamo il tuo popolo. Siamo molti. Ci riuniamo in molti luoghi della terra in questa notte della santa veglia, presso la tua tomba, così come ci siamo riuniti nella notte della tua natività a Betlemme. Siamo molti, e tutti ci unisce la fede, nata dalla tua Pasqua, dal tuo passaggio attraverso la morte alla vita nuova, la fede nata dalla tua risurrezione.

"Questa notte è per noi santa".

Siamo molti, e tutti ci unisce un solo battesimo.

Il battesimo che immerge in Gesù Cristo (cfr. Rm 6,3).

Mediante questo battesimo "che ci immerge nella tua morte" siamo stati, insieme a te, Cristo, sepolti "nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,4).

Si. La tua risurrezione, Cristo, è la gloria del Padre.

La tua risurrezione rivela la gloria del Padre, al quale, nel momento della morte, hai affidato, fino alla fine, te stesso, consegnando il tuo spirito con queste parole: "Padre, nelle tue mani" (Lc 23,46). E insieme a te, hai affidato anche noi tutti, morendo sulla croce come Figlio dell'uomo: nostro fratello e redentore. Nella tua morte hai reso al Padre la nostra morte umana, hai reso l'essere di ogni uomo, che è segnato dalla morte.

Ecco, il Padre rende a te, Figlio dell'uomo, questa vita che gli avevi affidato fino alla fine. Risorgi dai morti grazie alla gloria del Padre. Nella risurrezione è glorificato il Padre, e tu sei glorificato nel Padre, al quale hai affidato fino alla fine la tua vita nella morte: sei glorificato con la vita. Con la vita nuova. Con l'identica vita e, nel medesimo tempo, nuova.

Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, che il Padre ha glorificato con la risurrezione e con la vita, in mezzo alla storia dell'uomo. Nella tua morte hai reso al Padre l'essere di ciascuno di noi, la vita di ogni uomo, che è segnata dalla necessità della morte, affinché, nella tua risurrezione ciascuno potesse riacquistare la consapevolezza e la certezza di entrare, per te ed insieme con te, nella vita nuova.

"Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione" (Rm 6,5).


3. Siamo molti a vegliare, in questa notte, presso il tuo sepolcro. Ci unisce tutti "una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio, Padre di tutti" (cfr. Ep 4,5-6).

Ci unisce la speranza della risurrezione, che scaturisce dall'unione di vita, in cui vogliamo rimanere con Gesù Cristo.

Ci rallegriamo di questa notte santa insieme con coloro che qui hanno ricevuto il battesimo. E' la stessa gioia che hanno vissuto i discepoli e i confessori di Cristo nella notte della risurrezione nel corso di tante generazioni. La gioia dei catecumeni sui quali è stata versata l'acqua del battesimo, è la grazia dell'unione con Cristo nella sua morte e risurrezione.

E' la gioia della vita che, nella notte della risurrezione, condividiamo reciprocamente tra noi come il mistero più profondo dei nostri cuori e la auguriamo a ogni uomo.

"La destra del Signore si è alzata, / la destra del Signore ha fatto meraviglie. / Non moriro, restero in vita / e annunziero le opere del Signore" (Ps 117,16-17).

Cristo, Figlio del Dio vivente, accetta da noi questa santa veglia nella notte pasquale e donaci quella gioia della vita nuova, che portiamo in noi, che soltanto tu puoi dare al cuore umano: Tu, risorto, Tu, nostra Pasqua!

Data: 1980-04-05 Data estesa: Sabato 5 Aprile 1980.


Messaggio pasquale - Basilica di san Pietro (Roma)

Titolo: Non respingete Cristo voi che costruite il mondo

1. "...e vide che la pietra era stata ribaltata" (Jn 20,1).

Nella registrazione degli avvenimenti del giorno che sussegui quel sabato, queste parole hanno un significato chiave.

Nel luogo dove era stato deposto Gesù, la sera del venerdi, giunge Maria di Magdala, giungono le altre donne. Gesù era stato deposto in una tomba nuova, scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora sepolto. La tomba era stata collocata ai piedi del Golgota, là dove Gesù spiro crocifisso, dopo che il centurione gli aveva trafitto il costato con la lancia per costatare con certezza la realtà della morte. Gesù fu avvolto in bende dalle mani caritatevoli ed affettuose delle pie donne che, insieme con la Madre e con Giovanni, il discepolo prediletto, avevano assistito al suo estremo sacrificio. Calando, pero, rapidamente la sera ed iniziandosi il sabato pasquale, le generose ed amorevoli discepole furono costrette a rinviare l'unzione del corpo santo e martoriato di Cristo alla prossima occasione, appena la legge religiosa di Israele lo avesse permesso.

Si recano, quindi, al sepolcro nel giorno dopo il sabato, di buon mattino, cioè al primo albeggiare, preoccupate di come rimuovere la grossa pietra che era stata messa all'ingresso del sepolcro, il quale, per di più, era stato anche sigillato.

Ed ecco, giunte sul posto, videro che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.


2. Quella pietra, collocata all'ingresso della tomba, era divenuta primariamente un muto testimone della morte del Figlio dell'uomo.

Con una simile pietra si concludeva il corso della vita di tanti uomini di allora, nel cimitero di Gerusalemme; anzi l'arco della vita di tutti gli uomini nei cimiteri della terra.

Sotto il peso della pietra tombale, dietro la sua massiccia barriera si compie, nel silenzio del sepolcro, l'opera della morte: cioè l'uomo tratto dalla polvere si trasforma lentamente in polvere (cfr. Gn 3,19).

La pietra, posta la sera del Venerdi Santo, sulla tomba di Gesù, è diventata, come tutte le pietre tombali, il testimone muto della morte dell'uomo, del Figlio dell'uomo.

Che cosa testimonia questa pietra il giorno dopo il sabato, nelle prime ore dello spuntare del giorno? Che cosa dice? Che cosa annunzia la pietra rimossa dal sepolcro? Nel Vangelo non vi è una pronta risposta umana adeguata. Essa non appare sulle labbra di Maria di Magdala. Quando, spaventata per l'assenza del corpo di Gesù nella tomba, la donna corre ad avvertire Simon Pietro e l'altro discepolo, quello che Gesù amava (cfr. Jn 20,2), il suo linguaggio umano trova soltanto queste parole per esprimere l'accaduto: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto" (Jn 20,2).

Anche Simon Pietro e l'altro discepolo si recarono in fretta al sepolcro; e Pietro, entratovi, vide le bende per terra, ed il sudario che era stato posto sul capo di Gesù in un luogo a parte (cfr. Jn 20,7).

Allora entro anche l'altro discepolo, e vide e credette; ambedue "non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti" (Jn 20,9).

Videro e compresero che gli uomini non erano riusciti a sopraffare Gesù con la pietra tombale, sigillandola col contrassegno della morte.


3. La Chiesa che oggi, come in ogni anno, con la domenica di risurrezione termina il suo triduo pasquale, canta con gioia le parole dell'antico salmo: "Celebrate il Signore, perché è buono; / perché eterna è la sua misericordia. / Dica Israele che egli è buono: eterna è la sua misericordia...; / la destra del Signore si è alzata, / la destra del Signore ha fatto meraviglie. / Non moriro, restero in vita / e annunziero le opere del Signore. / La pietra scartata dai costruttori / è diventata testata d'angolo; / ecco l'opera del Signore; / una meraviglia ai nostri occhi" (Ps 117,1-2 Ps 117,16-17 Ps 117,22-23).

Gli artefici della morte del Figlio dell'uomo "assicurarono il sepolcro con le guardie e misero alla pietra il sigillo" (Mt 27,66).

Spesse volte i costruttori del mondo, per il quale Cristo volle morire, hanno cercato di mettere una pietra definitiva sulla sua tomba.

Ma la pietra rimane sempre rimossa dal suo sepolcro; la pietra, testimone della morte, è diventata testimone della risurrezione: "La destra del Signore ha fatto meraviglie" (Ps 117,16).


4. La Chiesa annunzia sempre e di nuovo la risurrezione di Cristo. La Chiesa con gioia ripete agli uomini le parole degli angeli e delle donne, pronunciate in quel mattino radioso in cui la morte fu sconfitta.

La Chiesa annunzia che è vivo colui che è diventato la nostra Pasqua, colui che è morto sulla croce, rivela la pienezza della vita.

Questo mondo che, purtroppo, oggi in diversi modi, sembra volere la "morte di Dio", ascolti il messaggio della risurrezione.

Voi tutti che annunziate "la morte di Dio", che cercate di estromettere Dio dal mondo umano, sostate e pensate che "la morte di Dio" può portare in sé fatalmente anche la "morte dell'uomo"! Cristo è risorto perché l'uomo trovi l'autentico significato dell'esistenza, perché l'uomo viva con pienezza la propria vita: perché l'uomo, che viene da Dio, viva in Dio.

Cristo è risorto. Egli è la pietra angolare. Già allora si tento di rigettarlo e di sopraffarlo con la vigilata e sigillata pietra del sepolcro. Ma quella pietra fu ribaltata. Cristo è risorto.

Non respingete Cristo, voi che costruite il mondo umano.

Non respingetelo voi che, in qualsiasi modo ed in qualsiasi settore, costruite il mondo d'oggi e di domani: il mondo della cultura e della civiltà, il mondo dell'economia e della politica, il mondo della scienza e dell'informazione.

Voi che costruite il mondo della pace... o della guerra? Voi che costruite il mondo dell'ordine... o del terrore? Non rifiutate Cristo: egli è la pietra angolare! Non lo rifiuti nessun uomo, perché ognuno è responsabile del suo destino: costruttore o distruttore della propria esistenza.

Cristo è risorto prima ancora che il suo angelo avesse ribaltato la pietra tombale. Egli poi si rivelo come pietra angolare, sulla quale si costruisce la storia dell'umanità intera e quella di ognuno di noi.


5. Cari fratelli e sorelle! Con sincera letizia accogliamo questo giorno tanto atteso! Con viva gioia condividiamo il messaggio pasquale noi tutti che accogliamo Cristo come pietra angolare.

In virtù di questa pietra angolare che unisce, costruiamo la nostra comune speranza con i fratelli in Cristo d'oriente e di occidente, con i quali non ci unisce ancora la piena comunione e la perfetta unità.

Accettate, cari fratelli, da noi il bacio pasquale della pace e dell'amore. Cristo risorto risvegli in noi un desiderio ancor più grande di questa unità per la quale egli ha pregato nella vigilia della sua passione.

Non cessiamo di supplicare per essa insieme con lui. Poniamo la nostra fiducia nella forza della croce e della risurrezione; tale forza è più potente della debolezza di ogni divisione umana! Fratelli diletti! Annuntio vobis gaudium magnum, quod est "Alleluia"! 6. La Chiesa si avvicina oggi ad ogni uomo con l'augurio pasquale: l'augurio di costruire il mondo su Cristo; augurio che estende all'intera famiglia umana.

Vogliano accogliere tale augurio coloro che condividono con noi il messaggio della risurrezione e la gioia pasquale; e anche coloro che, purtroppo, non ne sono partecipi. Cristo, "nostra Pasqua", non cessa di essere pellegrino con noi sul cammino della storia, ed ognuno può incontrarlo perché egli non cessa di essere fratello dell'uomo in ogni epoca ed in ogni momento.

Nel suo nome mi rivolgo oggi a tutti, ed a tutti porgo l'augurio più fervido e santo.

[Omissis. Seguono gli auguri pasquali nelle varie lingue.]

Data: 1980-04-06 Data estesa: Domenica 6 Aprile 1980.


Lettera alla Chiesa ungherese - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La catechesi momento fondamentale nella missione della Chiesa

Al Cardinale Laszlo Lékai, Arcivescovo di Esztergom, agli Arcivescovi, ai Vescovi, al clero, ai religiosi e religiose ed a tutti i fedeli di Ungheria.


1. Nel dicembre 1978, a qualche settimana appena dalla mia elezione al supremo pontificato, volli inviarvi una lettera che vi recasse il mio saluto e la mia benedizione apostolica nonché i miei fervidi voti di bene a voi, cattolici, ed a tutto il nobile popolo ungherese. Nel documento ricordavo altresi i particolari legami storici ed affettivi che a voi mi uniscono, esaltavo la grande figura di santo Stefano, padre della patria ed apostolo di Cristo e della fede cattolica, ed auspicavo che la Chiesa cattolica, che ebbe una parte di tanto rilievo nella storia della vostra nazione, potesse anche nel futuro continuare ad illuminare il volto spirituale dell'Ungheria.


2. All'inizio di aprile dello scorso anno ricevetti il signor Cardinale Laszlo Lékai, attorniato da diversi presuli e da un gruppo di sacerdoti e di fedeli convenuti a Roma per celebrare il IV centenario di fondazione del Pontificio Collegio Ungarico - unito fin dai primi anni al Pontificio Collegio Germanico - nonché il 50° di erezione del Pontificio Istituto Ecclesiastico Ungherese: due istituzioni che hanno formato santi e dotti sacerdoti, assurti non di rado ad alte responsabilità nella Chiesa.

Rivolgendo la mia parola ai presenti, affermavo tra l'altro di aver appreso con viva soddisfazione che Vescovi e clero si dedicano, con speciale ed accresciuto impegno, alla formazione della gioventù. E sono ora lieto di constatare che, oltre al Pontificio Istituto Ecclesiastico Ungherese, anche il Pontificio Collegio Ungarico ha ripreso la sua attività con la presenza di due studenti seminaristi inviati a Roma per compiere la loro formazione ecclesiastica.


3. Desidero pure ricordare che, durante questo mio primo periodo di pontificato, ho avuto la possibilità di ricevere in udienza privata diversi vostri presuli ed anche gruppi di pellegrini ungheresi nelle udienze generali. Voglio esprimere anche qui la mia gioia per tali incontri ed il conforto che ho ricevuto in essi.


4. Sento ora il dovere di intrattenermi con voi su di un argomento di primaria importanza per la vita e lo sviluppo della Chiesa cattolica ovunque, e quindi anche in Ungheria, argomento che mi sta particolarmente a cuore: la catechesi dei fedeli e specialmente dei ragazzi e dei giovani.

La catechesi è stata sempre considerata dalla Chiesa come uno dei suoi doveri fondamentali, scaturito dall'ultimo comando del Signore risorto: di rendere discepoli tutte le genti, ed insegnar loro ad osservare tutto ciò che egli aveva prescritto. La Chiesa, nella sua vita quasi bimillenaria, ha costantemente consacrato a questo scopo le sue energie.

Limitandomi a ricordare i tempi a noi più vicini, debbo dire che i Papi hanno riservato alla catechesi un posto eminente nella loro sollecitudine pastorale. Paolo VI ha servito in modo esemplare la catechesi della Chiesa con la sua predicazione, la sua autorevole interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano Il da lui considerato come il grande catechismo dei tempi moderni, e con la sua stessa vita. Tra i diversi documenti da lui approvati o emanati, desidero ricordare l'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" dell'8 dicembre 1975; e fu Paolo VI a volere che la catechesi, specialmente quella che si rivolge ai fanciulli ed ai giovani, fosse il tema della IV assemblea generale del sinodo dei Vescovi, celebrata durante il mese di ottobre 1977, alla quale io stesso ebbi la sorte e la gioia di partecipare.

Questo sinodo ha lavorato in un'atmosfera eccezionale di speranza ed ha ravvisato con gratitudine, nel rinnovamento catechistico, un dono prezioso dello Spirito Santo alla Chiesa contemporanea, un dono al quale ovunque le comunità cristiane rispondono con generosità e dedizione.

E nel medesimo clima di fede e di speranza che il 16 ottobre 1979 ho indirizzato ai Vescovi, al clero ed ai fedeli di tutta la Chiesa la mia esortazione apostolica "Catechesi Tradendae".

Con questo documento ho ripreso, nella sostanza, le considerazioni che Papa Paolo VI aveva preparato, utilizzando la documentazione lasciata dal sinodo, e che l'indimenticabile Papa Giovanni Paolo I, catechista per eccellenza, stava per pubblicare quando venne richiamato inopinatamente alla casa del Padre.


5. Non è mia intenzione ripetere quanto ho scritto nella mia recente esortazione; qui richiamo qualche punto di particolare interesse per la Chiesa in Ungheria, mentre vi invito ed esorto a meditare tutto l'insegnamento contenuto in questo mio documento.

Nella catechesi è Cristo, Verbo incarnato e Figlio di Dio, che viene insegnato, e tutto il resto lo è in riferimento a lui. Solo Cristo è il nostro maestro; ogni altro lo fa nella misura in cui è il suo portavoce, consentendo a Cristo d'insegnare per bocca sua.

L'azione catechetica è un compito assolutamente primordiale della missione della Chiesa. La Chiesa deve consacrare alla catechesi le sue migliori energie. Questo è un atteggiamento di fede e Dio non mancherà di rispondere.

La catechesi è un'opera di cui tutta la Chiesa deve sentirsi e voler essere responsabile. Ma i membri della Chiesa hanno responsabilità distinte, che derivano dalla missione di ciascuno ed anche dalle particolari circostanze. Ma su questo punto, ritornero nel seguito di questa mia lettera.

La catechesi, essendo prima di tutto una strada che deve rendere possibile un incontro vitale con la persona di Cristo mediante la fede, comprende in special modo l'insegnamento della dottrina di Cristo, al fine di iniziare gli ascoltatori - fanciulli, giovani ed adulti - alla vita cristiana ed al suo arricchimento. Se è vero che essere cristiani significa dire "si" a Gesù Cristo, occorre ricordare che questo "si" ha due livelli: esso consiste nell'abbandonarsi alla parola di Dio appoggiandosi ad essa; ma significa ancora, in una seconda istanza, sforzarsi di conoscere meglio il senso profondo di questa parola. La catechesi è necessaria sia per la maturazione della fede dei cristiani, come anche per la loro testimonianza nel mondo.

Tutti hanno bisogno di essere catechizzati. Un momento spesso decisivo è quello in cui il bambino riceve dai genitori e dall'ambiente familiare i primi elementi della catechesi, che forse non saranno altro che una semplice rivelazione del Padre celeste, buono e provvidente, verso il quale egli impara a volgere il proprio cuore. Brevissime preghiere, che il bambino imparerà a balbettare, saranno l'inizio di un dialogo amoroso con questo Dio nascosto. Non potrei mai insistere troppo presso i genitori cristiani su questo dovere della prima iniziazione; opera capitale, che richiede un grande amore e un profondo rispetto per il bambino, il quale ha diritto ad una presentazione semplice e vera della fede cristiana.

Seguirà, parallelamente all'apertura di una cerchia sociale più larga, il momento di una catechesi destinata ad introdurre il fanciullo, in modo organico, nella vita della Chiesa e comprendente anche una preparazione immediata alla celebrazione dei sacramenti: catechesi didattica, ma rivolta anche a dare una testimonianza nella fede; catechesi iniziale, ma non frammentaria, poiché dovrà rivelare - sia pure in maniera elementare - tutti i principali misteri della fede e la loro incidenza nella vita morale e religiosa del ragazzo; catechesi che dà un senso ai sacramenti, ma che allo stesso tempo riceve dai sacramenti vissuti una dimensione vitale, che le impedisca di rimanere soltanto dottrinale, e comunica al fanciullo la gioia di essere testimone di Cristo nel particolare ambiente in cui vive.

Viene poi il momento della adolescenza. Sarà necessaria una catechesi capace di condurre l'adolescente ad una revisione della propria vita, una catechesi che non ignori i suoi grandi problemi. La rivelazione di Gesù Cristo come amico, come guida e modello; la rivelazione del suo messaggio capace di dare risposta agli interrogativi fondamentali della vita.

Con la giovinezza giunge l'ora delle prime grandi decisioni. Bene e male, grazia e peccato, vita e morte spirituale si scontrano sempre più nel giovane come opzioni fondamentali che egli dovrà accogliere o rigettare con lucidità e con senso di responsabilità. La catechesi assume un'importanza considerevole poiché è il momento in cui il Vangelo potrà essere presentato, compreso e accolto come capace di dare un senso alla vita; la catechesi prepara così ai grandi impegni cristiani della vita di adulto.

Dalla prima infanzia alle soglie della maturità, la catechesi deve essere una scuola permanente della fede e seguire le grandi tappe della vita, come un faro che rischiara la strada al bambino, all'adolescente, al giovane.

Punto importante è il problema centrale della catechesi degli adulti.

E', questa, la principale forma della catechesi, in quanto si rivolge a persone le quali hanno la più grande responsabilità e la capacità di vivere il messaggio cristiano nella sua forma pienamente sviluppata. La comunità cristiana non potrebbe fare una catechesi permanente senza la diretta e sperimentata partecipazione degli adulti, siano essi i destinatari o i promotori dell'attività catechetica. Per essere efficace, la catechesi deve essere permanente, e sarebbe davvero vana se si arrestasse alle soglie della maturità poiché essa non si rivela meno necessaria agli adulti, anche se certamente sotto una diversa forma.

Comunità sotto la direzione della gerarchia. Nella mia esortazione apostolica "Catechesi Tradendae" ho indicato e suggerito alcune vie e mezzi della catechesi: mezzi di comunicazione sociale, pellegrinaggi, missioni tradizionali, circoli biblici, gruppi caritativi, gruppi di preghiera, gruppi di riflessione cristiana.

Ho pure ricordato le riunioni delle comunità ecclesiali di base, nella misura in cui esse corrispondono ai criteri esposti nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi", e cioè: a) restino fermamente unite alle Chiese locali nelle quali sono inserite e alla Chiesa universale, evitando così il pericolo di isolarsi e di credersi poi la sola Chiesa autentica di Cristo; b) conservino una sincera comunione con i pastori che il Signore ha preposto alla Chiesa e con il magistero che lo Spirito di Cristo ha a loro affidato; c) crescano ogni giorno nel senso di responsabilità, di zelo e dedizione missionaria; d) non si credano mai l'unico destinatario o l'unico agente di evangelizzazione, cioè l'unico depositario del Vangelo, ma accettino che la Chiesa si incarni anche in forme che non sono le loro; e) cerchino il proprio alimento nella parola di Dio senza lasciarsi imprigionare da polarizzazione politica o da ideologie di moda; f) evitino la tentazione della contestazione sistematica e dello spirito ipercritico, sotto pretesto di autenticità e di spirito di collaborazione; g) si mostrino universali e non settarie.

Viviamo in un mondo difficile, nel quale l'angoscia derivante dal vedere le migliori realizzazioni dell'uomo sfuggirgli di mano e rivoltarsi contro di lui, crea un clima di incertezza. E' entro questo mondo che la catechesi deve aiutare i cristiani ad essere, per la loro gioia e per il servizio di tutti, "luce" e "sale". La catechesi deve insegnare ai giovani ed agli adulti delle nostre comunità ad essere lucidi e coerenti nella loro fede, ad affermare con serenità la loro identità cristiana e cattolica, ad aderire così fortemente all'assoluto di Dio, da poterlo testimoniare ovunque ed in ogni circostanza.

Il dono più prezioso che la Chiesa possa offrire al mondo contemporaneo, disorientato ed inquieto, è di formare in esso cristiani sicuri nell'essenziale e umilmente lieti nella loro fede. La catechesi questo insegnerà loro, ed il mondo ne trarrà vantaggio per primo. "L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo - non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere - deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e la sua morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in lui con tutto se stesso, deve "appropriarsi" ed assimilare tutta la realtà dell'incarnazione e della redenzione per ritrovare se stesso" (Ioannis Pauli PP. II RH 10).

Il compito della catechesi riguarda prima di tutto i Vescovi. Il Concilio Ecumenico Vaticano Il ha già ricordato questo grave dovere (CD 14) ed i padri della IV assemblea generale del sinodo lo hanno fortemente sottolineato. I Vescovi sono i primissimi responsabili della catechesi; voi, cari fratelli nell'episcopato, siete i catecheti per eccellenza. L'impegno di promuovere una catechesi attiva ed efficace non deve cedere in nulla a qualsiasi altra preoccupazione. Il vostro ruolo principale sarà quello di suscitare e di mantenere nelle vostre Chiese una autentica passione per la catechesi, una passione che si incarni in un'organizzazione adeguata ed efficace. Se la catechesi è ben fatta nelle Chiese locali, tutto il resto si farà più facilmente.

Quanto a voi, sacerdoti, ecco un campo nel quale siete i collaboratori immediati dei vostri Vescovi. Siete "educatori nella Fede" (PO 6). La Chiesa attende da Voi che non trascuriate nulla in ordine ad un'opera catechetica ben strutturata e ben ordinata. Tutti i credenti hanno il diritto alla catechesi, tutti i pastori hanno il dovere di provvedervi. Non permettete mai che, per mancanza di zelo, i fedeli restino privi di catechesi.

Molte famiglie religiose, maschili e femminili, sono sorte per l'educazione cristiana dei fanciulli e dei giovani, soprattutto dei più abbandonati. Nel corso della storia, i religiosi e le religiose si sono trovati molto impegnati nella attività catechetica della Chiesa, svolgendo in essa un lavoro particolarmente adatto ed efficace. E sono certo che i religiosi e le religiose anche ora continueranno a dedicarsi nel miglior modo possibile e con tutte le loro energie, al compito catechetico.

Mi piace ricordare che anche i fedeli laici, uomini e donne, si dedicavano in passato all'insegnamento della religione; tale impegno rendeva la loro fede sempre più profonda e li faceva partecipi della gioia e della gloria di diffondere sempre più il dolce regno di Cristo.

L'azione catechetica della famiglia ha un carattere particolare e, in certo senso, insostituibile. Questa educazione alla fede da parte dei genitori, educazione che deve iniziare fin dalla più tenera età dei figli, si esplica già quando i membri di una famiglia si aiutano vicendevolmente a crescere nella fede, grazie alla loro testimonianza cristiana. Essa si fa più incisiva quando, in coincidenza con gli avvenimenti familiari - come la ricezione dei sacramenti, la celebrazione di grandi feste liturgiche, la nascita di un bambino, una circostanza luttuosa - ci si preoccupa di esplicitare in seno alla famiglia dei credenti il contenuto religioso di tali avvenimenti. Occorre, pero, andare più lontano: i genitori cristiani si sforzeranno di seguire e di riprendere, nel contesto familiare, la formazione più metodica da loro ricevuta. La catechesi familiare, pertanto, precede, accompagna ed arricchisce ogni altra forma di catechesi. I genitori cristiani non si sforzeranno mai abbastanza per prepararsi ad un tale ministero di catechisti dei loro figli e per esercitarlo con uno zelo instancabile.

A fianco della famiglia, la scuola può offrire alla catechesi possibilità non trascurabili. Mi riferisco anzitutto, com'è ovvio, alle otto scuole cattoliche esistenti nella vostra patria. Ma io penso altresi alla scuola statale.

Esprimo il vivissimo auspicio che i genitori cattolici, usufruendo delle possibilità offerte dalle disposizioni legali, chiedano per i loro figli l'insegnamento religioso impartito nelle scuole statali, in modo che essi possano progredire nella loro formazione spirituale. Ho la ferma convinzione che il rispetto manifestato alla fede cattolica dei giovani - sino al punto di consentirne l'educazione, il consolidamento, la libera espressione e la pratica - farà certamente onore anche alle vostre autorità civili.

Al termine di questa mia lettera, vi esorto a rivolgere il vostro cuore verso colui che è il principio ispiratore di tutta l'opera catechetica, e di coloro che la compiono: lo Spirito Santo. La catechesi, che è crescita nella fede e maturazione della vita cristiana verso la pienezza, è opera che egli soltanto può suscitare ed alimentare nella Chiesa. Pertanto quando la Chiesa, ed ogni suo membro, adempie la missione di far catechesi, deve essere pienamente cosciente di agire come strumento vivente e docile dello Spirito Santo. E' pure da dire che il desiderio di comprendere meglio l'azione dello Spirito e di abbandonarsi maggiormente a lui, non può non suscitare un risveglio catechetico.

Invoco di gran cuore sulla Chiesa catechizzante in Ungheria lo Spirito del Padre e del Figlio, e lo supplico di rinnovare in essa il dinamismo catechetico.

Che la Vergine della Pentecoste - "catechismo vivente", "madre e modello dei catechisti" - vi ottenga tutto questo con la sua validissima intercessione.

Con la mia speciale apostolica benedizione.

Pasqua di risurrezione 1980.

Data: 1980-04-09 Data estesa: Mercoledi 9 Aprile 1980.





Al termine dell'udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Annuncio della visita in Francia

Desidero ora annunciarvi che, a Dio piacendo, dal pomeriggio di venerdi 30 maggio alla sera di lunedi 2giugno mi rechero in Francia per una breve visita pastorale, soffermandomi soprattutto a Parigi.

Corrispondero così all'invito rivoltomi dal presidente della Conferenza episcopale di quella nazione e dal Cardinale Arcivescovo di Parigi, come pure all'analogo invito espressomi dal signor presidente della repubblica francese ed a quello del direttore generale dell'Unesco, presso la cui sede andro lunedi 2giugno per rivolgere la mia parola.

Sarà un viaggio rapido, durante il quale avro nel cuore e nell'ansia del mio animo le aspirazioni di tutti gli abitanti della cara e nobile nazione francese, come pure le alte finalità perseguite dall'Unesco nel campo dell'educazione, della scienza e della cultura. Anche voi, carissimi fedeli presenti a quest'udienza, assistetemi con la vostra preghiera affinché questo viaggio che, come tutti gli altri, vuole essere esclusivamente apostolico, cioè religioso e pastorale, sia ricco degli auspicati frutti.

Data: 1980-04-09 Data estesa: Mercoledi 9 Aprile 1980.


Omelia alla messa per i i ministranti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ascoltate il Signore che vi chiama

Cari amici.

Sono felice di celebrare l'eucaristia, circondato da tutti voi, bambini, giovani, adulti. Abitualmente, nei diversi paesi dell'Europa che sono i vostri, compite questo ufficio attorno ai vostri preti, o ai vostri Vescovi che sono i successori degli apostoli. E questa sera: attorno al Vescovo di Roma, che è il successore di Pietro, il pastore dato da Cristo a tutti i suoi discepoli.

1. Voi siete venuti qui per partecipare alle gioie pasquali della Chiesa, che festeggia la risurrezione del Signore con i cristiani di ogni paese. Ma voi stessi, portate in voi questa gioia di Pasqua. Non solo credete in Gesù vivente, avete ricevuto in voi la sua grazia, ma anche siete in modo particolare disponibili a servire il Cristo nel compimento del vostro servizio liturgico, rivivete pressoché continuamente questa prossimità alla quale il Signore Gesù, soprattutto in questo periodo pasquale, invita e conduce i suoi discepoli, incontrandoli e rivelando ad essi la sua risurrezione.

Lo sapete, si tratta innanzitutto di donne, venute alla sua tomba il mattino di Pasqua e che Gesù saluta e rassicura, domandando loro di portare la novella agli apostoli. E' Maria Maddalena che cerca il suo corpo e che vorrebbe trattenere Gesù quando egli la chiama per nome. Sono i discepoli di Emmaus che camminano con lui, gli domandano di restare con loro e lo riconoscono alla frazione del pane. Sono gli apostoli, e in particolare Tommaso, ai quali Gesù risuscitato mostra le sue mani e i suoi piedi e affida il Vangelo per il mondo intero. E' Pietro ed è Giacomo. (Sono ancora gli apostoli che lo scorsero durante la loro pesca laboriosa e che Gesù accoglie al suo pasto al bordo del lago. Sono i cinquecento discepoli ai quali egli apparve, come dice san Paolo, il convertito).

Gesù li ha fatti entrare gli uni e gli altri nella fede plenaria, al punto che essi hanno potuto dire come Tommaso: "Mio Signore e mio Dio". Egli li ha preparati a vivere continuamente nella sua invisibile presenza, nella pace e nella gioia.

Egli ha donato loro il suo Spirito. Li ha resi suoi testimoni agli occhi degli altri. In breve, li ha introdotti nella sua vita intima e gloriosa.

Oggi, lo stesso Signore Gesù, asceso al cielo, è presente e agisce nei sacramenti della Chiesa, soprattutto nell'eucaristia. E voi, associati al servizio liturgico dell'altare, avete l'onore e la felicità di accostarvi intimamente a questo Cristo.


GPII 1980 Insegnamenti - Omelia durante la veglia pasquale - Basilica Vaticana - Roma