GPII 1980 Insegnamenti - Al personale del Governatorato Vaticano - Città del Vaticano (Roma)


2. Il primo sentimento che ho nell'animo, nei vostri riguardi, è quello della gratitudine. Sono certo che ognuno di voi attende, con senso di responsabilità e con dedizione generosa, ai propri compiti, impegnandosi a dare il proprio fattivo contributo al buon funzionamento dell'intero complesso, che non è solo edilizio, ma soprattutto sociale, che va sotto il nome di Vaticano.

Mi è caro, pertanto, cogliere questa occasione per manifestare a tutti il mio apprezzamento e per dire a ciascuno il mio grazie. Vorrei che l'espressione di questo mio sentimento di riconoscenza vi facesse meglio sentire la cordialità che caratterizza il mio rapporto con voi e che voi certo condividete da parte vostra: rapporto che non è, né può limitarsi ad essere quello che lega - come suol dirsi - un "datore di lavoro" ai prestatori d'opera, ma è piuttosto, e soprattutto, il rapporto di un padre, bisognoso di aiuto, con i figli che questo aiuto gli prestano. Ciò non significa, naturalmente, che in tale rapporto non debbano regnare sovrani i criteri della giustizia e il riguardo dovuto alla dignità del lavoro e alla personalità del lavoratore, sia esso impiegato o operaio: criteri e riguardo che, anzi, seguendo le orme dei miei grandi più vicini Predecessori, io intendo affermare sempre meglio, nei principii e nella pratica; ma vuol dire che, al di là e al di sopra di tali esigenze, io desidero essere per voi - e come tale voi certo volete vedermi e considerarmi - il padre che, oltre a quanto è a voi dovuto per giustizia, vuol darvi il suo affetto.


3. Ciò mi porta a testimoniarvi, in questo nostro incontro, un secondo sentimento: ed è quello della sollecitudine mia, sincera e profonda, per voi e per le vostre famiglie. E' un sentimento che provo per tutti coloro che, nel mondo, vivono del proprio lavoro e del lavoro sperimentano le soddisfazioni, ma anche le difficoltà; pero esso vale in particolare per voi, a me tanto vicini. E' un sentimento nel quale entra, in primo luogo, la considerazione dei problemi materiali della vostra esistenza, a cui è mio desiderio e proposito di venire incontro, per quanto mi è possibile e in quanto lo consentono le condizioni della Sede Apostolica, nelle forme e nei modi più adeguati.

Conosco tali problemi; conosco, in particolare, le preoccupazioni - e talvolta le angustie - di voi genitori per l'avvenire dei vostri figli.

La mia comprensione si traduce in preghiera; una preghiera, alla quale vi chiedo di unire le vostre, di cristiani, convinti che, se non è il Signore ad edificare la casa, faticano invano coloro che si sforzano di costruirla (cfr. Ps 126,1).

Voi non vi meraviglierete, certo, che il Papa si avvalga di questa occasione per esortarvi ad un impegno rinnovato di coerenza con i principii della fede che professate; se egli vi incoraggia a farvi conquistare sempre più profondamente dalla gioia di sapervi amati personalmente da Cristo, il quale s'è fatto piccolo bimbo, povero ed inerme, perché nessuno provasse timore di Lui, ma si sentisse invece attratto ad avvicinarGlisi con confidenza piena e con spontaneo amore. Andate anche voi a Cristo e siateGli fedeli innanzitutto nell'intimità dei vostri sentimenti personali, poi nella coraggiosa testimonianza delle vostre parole, infine - ed è ciò che più conta - nella limpida coerenza delle vostre azioni.

Non vergognatevi mai di dirvi cristiani e comportatevi in modo che Cristo non abbia mai a vergognarsi di voi. Possano i vostri figli, guardando a voi, provare la gioia di appartenere alla Chiesa e vibrare di entusiasmo per la nobiltà degli ideali che guidano la vostra esistenza. Fate loro capire con la serietà dei vostri costumi, con la rettitudine della vostra condotta, con la carità verso il prossimo e la sensibilità ai bisogni di ogni nostro fratello, chi sia un cristiano e quale società pacifica ed equa egli sia in grado di costruire.


4. Con questi sentimenti io vi rivolgo i miei auguri di Buon Anno. Gli auspici, sotto i quali il 1980 si è aperto, non sono purtroppo incoraggianti. Spaziando con l'occhio sulla scena del mondo, si è istintivamente portati ad applicare al nostro tempo le parole del testo profetico di Isaia, che ascolteremo domani: "Ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni" (Is 60,2). Noi, tuttavia, non possiamo e non vogliamo abbandonarci allo scoraggiamento dinanzi alle previsioni fosche, che da tante parti si levano. Ci soccorre l'annuncio che Isaia proclama in quel medesimo testo a quanti, nella fede, fanno parte del popolo di Dio, la nuova Gerusalemme: "Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te" (Is 60,1). La luce, a cui allude il Profeta, è Cristo. Durante questi venti secoli di storia, intere generazioni hanno trovato nel suo messaggio, costantemente echeggiato dalla Chiesa, la risposta appagante ai loro interrogativi, il conforto nelle loro ansie, la guida ed il sostegno nei momenti difficili. Davvero "i popoli hanno camminato nella sua luce"! (cfr. Is 60,3). Ebbene, non sono pochi i segni, che ci recano la testimonianza di un rinnovato interesse da parte di questa nostra generazione per la persona di Cristo e per il suo Vangelo. C'è dunque motivo di sperare e di sentirsi impegnati a cooperare più generosamente alla diffusione della luce che promana da Cristo "Redentore dell'uomo, centro del cosmo e della storia".

In questa prospettiva io rinnovo a voi ed ai vostri cari, soprattutto ai vostri bambini ai quali particolarmente va il nostro pensiero in questi giorni in cui contempliamo nel Presepe il Dio fatto bambino, i miei auguri più fervidi di interiore serenità, di benessere e di pace. Li avvalora la speciale Benedizione che con affetto paterno a tutti concedo di cuore.

Data: 1980-01-05 Data estesa: Sabato 5 Gennaio 1980.


Omelia durante l'ordinazione di tre nuovi Presuli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Vescovo: dispensatore dei misteri di Dio

1. "Offrirono i doni...".

Con questo gesto i tre re magi dall'oriente portano a compimento lo scopo del loro viaggio. Esso li ha condotti per le vie di quelle terre verso le quali anche gli avvenimenti contemporanei spesso richiamano la nostra attenzione.

La guida su queste vie per i tre re magi fu quella misteriosa stella "che avevano visto nel suo sorgere" (Mt 2,9), e che "li precedeva, finché giunse e si fermo sopra il luogo dove si trovava il bambino" (Mt 2,9). Proprio a questo bambino andarono quegli uomini insoliti, chiamati fuori dalla cerchia del popolo eletto verso le vie della storia di questo popolo.

La storia d'Israele aveva dato loro l'ordine di fermarsi a Gerusalemme e di porre - dinanzi a Erode - la domanda: "Dov'è il re dei Giudei che è nato"? (Mt 2,2). Infatti le vie della storia d'Israele erano state tracciate da Dio,e perciò era necessario cercarle nei libri dei profeti: di coloro cioè che a nome di Dio avevano parlato al popolo della sua particolare vocazione. E la vocazione del popolo dell'alleanza fu proprio colui al quale conduceva la via dei re magi dall'oriente. Appena essi ebbero posto quella domanda dinanzi a Erode, egli non ebbe nessun dubbio di chi - e di quale re - si trattasse, perché, come leggiamo "riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il messia" (Mt 2,4).

Così dunque la via dei re magi conduce al messia, a colui che il Padre "ha consacrato e mandato nel mondo" (Jn 10,36). La loro via è anche la via dello Spirito. E' soprattutto la via nello Spirito Santo. Percorrendo questa via - non tanto sulle strade delle regioni del medio oriente, quanto piuttosto attraverso i misteriosi cammini dell'anima - l'uomo è condotto dalla luce spirituale proveniente da Dio, raffigurata da quella stella, che seguivano i tre re magi.

I cammini dell'anima umana, che conducono verso Dio, fanno si che l'uomo ritrovi in sé un tesoro interiore. così leggiamo anche dei tre re magi, che giunti a Betlemme "aprirono i loro scrigni" (Mt 2,11). L'uomo prende coscienza di quali enormi doni di natura e di grazia Dio lo abbia colmato, ed allora nasce in lui il bisogno di offrirsi, di restituire a Dio ciò che ha ricevuto, di farne offerta come segno della elargizione divina. Questo dono assume una triplice forma - così come nelle mani dei tre re magi: "aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra" (Mt 2,11).


2. L'episcopato, che oggi, venerati e amatissimi fratelli, riceverete dalle mie mani, è un sacramento in cui si deve manifestare in modo particolare il dono.

L'episcopato infatti è la pienezza del sacramento dell'ordine, mediante il quale la Chiesa apre sempre davanti a Dio il suo più grande tesoro - e da questo tesoro offre a lui i doni di tutto il Popolo di Dio. Il più grande tesoro della Chiesa è il suo sposo: Cristo. Sia il Cristo deposto sul fieno in una mangiatoia, come pure il Cristo che muore sulla croce. Egli è un tesoro inesauribile. La Chiesa continuamente stende la mano a questo tesoro per attingere ad esso. E attingendo non lo diminuisce, ma lo aumenta.

Tali sono i principi della economia divina. Stende la mano, dunque, la Chiesa al tesoro della natività e della crocifissione, al tesoro della incarnazione e della redenzione. Ed attingendo ad esso, non impoverisce quel tesoro ma lo moltiplica.

Il Vescovo è l'amministratore, nello stesso tempo, di quell'attingere e di quel moltiplicare.

"E' amministratore dei misteri di Dio" (1Co 4,1). Non è soltanto un mago che cammina per le strade impraticabili del mondo verso la soglia del mistero. E' collocato nel suo stesso cuore. Il suo compito è di aprire questo mistero ed attingere ad esso. Più generosamente attinge, più grandemente moltiplica.

Ricordate, carissimi, che lo Spirito Santo vi costituisce oggi in mezzo alla Chiesa affinché, attingendo abbondantemente al tesoro della natività e della redenzione, lo moltiplichiate con la vostra vita e il vostro ministero.


3. Da questo tesoro si trae sempre oro, incenso e mirra. Di tale triplice dono deve rivestirsi la vostra vita, dato che siete chiamati per offrire a Dio in Cristo e nella Chiesa il vostro amore, la vostra preghiera e la vostra sofferenza. Tuttavia, essendo voi costituiti in mezzo al Popolo di Dio come Pastori ed insieme come servi, il vostro dono personale deve crescere in questo popolo. "Fecit eum Dominus crescere in plebem suam". La vostra vocazione è il dono di tutto il popolo. Ognuno di voi deve rimanere il pastore ed il servo di quest'amore, della preghiera e della sofferenza, che si elevano da tutti i cuori a Dio in Cristo. Tali doni non debbono essere sprecati né andare perduti. Essi debbono invece trovare la strada per Betlemme come i doni nelle mani dei magi, che seguirono la stella dall'oriente. Ogni Vescovo è l'amministratore del mistero e il servo del dono che si prepara incessantemente nei cuori umani. Questo dono proviene dalle esperienze della generazione alla quale il Vescovo stesso appartiene. Proviene dalla vita di centinaia, migliaia e milioni di uomini, suoi fratelli e sorelle. Egli stesso, il Vescovo, è il servo del dono. Colui che custodisce e che moltiplica. Dovete penetrare profondamente in tutta la complessità della vita degli uomini contemporanei, affinché ciò che la costituisce non si scomponga nelle loro opere, nei cuori, nelle relazioni sociali, nelle correnti di civilizzazione, ma ritrovi costantemente il suo senso come dono. E' Cristo stesso Pastore e Vescovo delle nostre anime, di tutto ciò che è umano. che vuole fare di noi un sacrificio perenne gradito a Dio (cfr. "Prex Eucharistica III"), un dono al Padre.

Il Vescovo è colui che custodisce il dono, è colui che risveglia il dono nei cuori, nelle coscienze, nelle esperienze difficili della sua epoca, nelle sue aspirazioni e nei suoi smarrimenti, nella sua civilizzazione. nell'economia e nella cultura.


4. Oggi vengono a Betlemme i tre magi dall'oriente. Giungono per la strada della fede. Dell'episcopato non si può forse dire che esso è un sacramento della strada? Voi ricevete questo sacramento per trovarvi sulla strada di tanti uomini, ai quali vi manda il Signore; per intraprendere insieme con loro questa strada, camminando, come i magi, dietro la stella; e quanto spesso per fare loro vedere la stella, che in qualche parte ha cessato di splendere, in qualche parte si è smarrita... per mostrarla ad essi di nuovo! Entrate anche voi, cari fratelli, su questa grande strada della Chiesa, che è tracciata dalla successione apostolica alle singole sedi vescovili.

E che cosa dire qui della meravigliosa, ricca successione alla sede di sant'Ambrogio, e poi di san Carlo a Milano? Essa risale, press'a poco, ai primi decenni del cristianesimo e abbonda in vescovi martiri... e, solo nel nostro secolo, ha dato alla Chiesa due papi: Pio XI e Paolo VI. E' qui presente il Cardinale Giovanni Colombo, che ha ricevuto questa sede di Milano proprio dopo Paolo VI, l'allora Cardinale Giovanni Battista Montini, per trasmetterla oggi, quando si affievoliscono le sue forze, al suo successore. Con gioia la Chiesa di Milano saluta questo successore, degno figlio di sant'Ignazio, stimato rettore del "Biblicum" e poi dell'Università Gregoriana a Roma. Con gioia e fiducia la Chiesa di Milano saluta colui che deve essere il suo nuovo Vescovo e Pastore, il nuovo amministratore del dono, di cui ho parlato, e il nuovo testimone della stella, di quella stella che conduce infallibilmente a Betlemme.

Anche la santa Sede saluta con compiacimento il suo benemerito figlio, già officiale della cancelleria apostolica e da lunghi anni dedito al servizio della segreteria di Stato, come pure zelante ministro di Dio in tante opere di apostolato, che oggi riceve l'ordinazione episcopale come Arcivescovo titolare di Serta, per svolgere le mansioni di delegato per le rappresentanze pontificie.

Salutiamo poi il figlio dell'Africa, il nuovo Pastore della giovane e cara Chiesa di Yagoua nel Cameroun, che fino ad oggi si è prodigato, nella sua diocesi d'origine, come rettore del seminario regionale maggiore di Bambui e come collaboratore generoso in svariate attività pastorali; e con lui rivolgiamo il nostro cordiale pensiero all'intero continente africano.


5. L'episcopato è il sacramento della strada. E' il sacramento delle numerose strade, che percorre la Chiesa, seguendo la stella di Betlemme, insieme con ogni uomo.

Entrate su queste strade, venerati e cari fratelli, portate su di esse oro, incenso e mirra. Portateli con umiltà e con fiducia. Portateli con prodezza e con costanza. Mediante il vostro servizio si apra il tesoro inesauribile a nuovi uomini, a nuovi ambienti, a nuovi tempi, con l'ineffabile ricchezza del mistero che si è rivelato agli occhi dei tre magi, venuti dall'oriente, alla soglia della stalla di Betlemme.

Data: 1980-01-06 Data estesa: Domenica 6 Gennaio 1980.


Angelus Domini, solennità dell'Epifania del Signore - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La luce della fede giunga ad ogni uomo

1. "Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra" (salmo responsoriale).

La solennità odierna ci parla mediante il ricordo di alcuni uomini, i magi venuti dall'oriente, i quali, giunti da lontano fino a Betlemme seguendo la luce della stella, hanno trovato Gesù nato da poco. In questi uomini vediamo rappresentati tutti coloro che, da qualunque luogo e in qualunque tempo, sono andati a Gesù e lo hanno trovato e gli hanno offerto il dono della loro fede, sia nelle generazioni passate, sia nella nostra, sia in quelle future.

Quei magi venuti dall'oriente simboleggiano i figli e le figlie di tutti i popoli della terra, che adorano Dio nel mistero della sua incarnazione, cioè nel suo amore inscrutabile verso l'uomo per il quale il Verbo Eterno si è fatto carne ed è nato dalla Vergine Maria.

Di tutti questi uomini ci parla la solennità odierna, l'Epifania del Signore, che si celebra dappertutto: in ogni luogo della terra, in ogni cuore umano, in cui la luce interna della fede conduce a Cristo.

Oggi desideriamo salutare in modo particolare tutti questi uomini e unirci a ciascuno ed a tutti in un caloroso ringraziamento per questa luce.


2. In pari tempo, desideriamo auspicare la luce della fede ad ogni uomo di ogni nazione della terra. Auguriamo agli uomini ed ai popoli che trovino Cristo, così come lo hanno trovato i magi venuti da oriente. Lo auguriamo a tutte le generazioni, dalle più anziane alle più giovani. Lo auguriamo soprattutto ai sofferenti, agli ammalati, agli agonizzanti. Lo auguriamo anche a tutti coloro per i quali la stella si è spenta.

Nella solennità del Capodanno la Chiesa ha espresso l'augurio di pace a tutte le nazioni ed ai popoli della terra. Oggi fa un augurio di fede.

E contemporaneamente la Chiesa augura a se stessa di essere veramente missionaria: che sappia avvicinare Cristo nelle difficili e complicate circostanze della nostra epoca, e che sappia indicare ad ogni uomo la via a lui.

Auguriamo tutto ciò ai missionari e alle missionarie. Lo auguriamo a tutti i pastori di anime. Lo auguriamo a tutte le comunità religiose maschili e femminili. Lo auguriamo ad ogni famiglia e a tutti i laici.

Porgiamo questo augurio anche ai teologi, poiché essi hanno una particolare responsabilità nell'indicare agli uomini contemporanei la via a Cristo.


3. Ed ancora, tra tutti questi auguri di fede, che sono i tipici voti augurali dell'Epifania, desideriamo ricordare in modo speciale la Chiesa di Milano, la quale, mediante l'odierna consacrazione episcopale nella Basilica di san Pietro, riceve il suo nuovo Pastore.

Quanto insolita è questa gioia per me, che con la Chiesa ambrosiana sono legato da un vincolo molto personale a motivo del nome di san Carlo, Vescovo di Milano, che porto dal giorno del mio battesimo.

Gli stessi auguri di fede formulo agli altri due Presuli oggi ordinati: uno viene da vicino, era assessore della segreteria di Stato, e l'altro viene dal Cameroun, in Africa.


4. E mi sia permesso ancora ricordare, tra i Vescovi che nel corso dell'anno passato sono venuti in visita "ad limina Apostolorum", quelli del Pakistan, con il Cardinale Cordeiro. Come è noto, la Chiesa nel Pakistan conta trecentocinquantamila cattolici su circa settanta milioni di abitanti. Ci sono cinque diocesi con duecentoventiquattro preti e cinquecentoottanta religiose. E' una comunità piccola, caratterizzata da una vivente pratica religiosa, e molto dinamica nell'impegno apostolico e nelle opere assistenziali.

Nella nostra preghiera non manchi un ricordo anche per quella cara comunità ecclesiale.

[Ai pellegrini dell'arcidiocesi milanese] Ed ora mi è caro rivolgere uno speciale saluto ai numerosi fedeli dell'arcidiocesi ambrosiana, che sono venuti a Roma per assistere all'ordinazione episcopale del loro nuovo Arcivescovo.

Carissimi milanesi, vedendo voi, penso alla vostra città, immensa e celebre per la sua storia e per la sua dinamica attività, crocevia dello splendido e drammatico travaglio della civiltà moderna! Penso alla vasta diocesi, ricca del patrimonio millenario delle tradizioni cristiane e ansiosa di testimoniare oggi la sua fede in Cristo, e che ebbe come Pastori sant'Ambrogio, san Carlo, e insigni Presuli che dalla sede ambrosiana furono poi chiamati alla sede di Pietro.

Milano occupa nel mio cuore e nel mio ricordo un posto particolare.

Accogliete il mio saluto più affettuoso e, ritornando alle vostre case, portatelo a tutti i milanesi! Il Papa pensa a voi e prega per voi! Desidero, in particolare, invitarvi ad accogliere con gioia il vostro nuovo Pastore, che in nome di Cristo il Papa vi manda. Amatelo, seguitelo, aiutatelo, state a lui uniti, ricordando le celebri parole di sant'Ambrogio: "Io desidero seguire in ogni cosa la Chiesa di Roma... Io non faccio che seguire l'apostolo Pietro, sto fedelmente attaccato alla sua pietà" (S.Ambrosii "De Sacramentis", III, 5,6).

Egli viene a voi come padre e maestro, come amico e testimone! Viene per amarvi e per illuminarvi con la sua luce che è Cristo stesso; per essere al vostro servizio e guidarvi alla salvezza.

E vi sia sempre di conforto e di incoraggiamento la mia particolare benedizione! [Omissis. Seguono i saluti a "Teleradio Centro Italia"]

Data: 1980-01-06 Data estesa: Domenica 6 Gennaio 1980.


Ai giovani di Casal del Marmo

Titolo: Sono venuto tra voi perché vi voglio bene

Carissimi ragazzi, Sono veramente lieto di essere qui, in mezzo a voi, in questa Festa dell'Epifania del Signore, per porgervi con sincera effusione il mio augurio per un anno nuovo, che auspico sereno, felice e costruttivo.

Ringrazio anzitutto il vostro Padre Cappellano per le cordiali parole con le quali ha voluto manifestare i vostri sentimenti di benvenuto. A voi rivolgo il mio saluto bene augurante con l'invito del profeta Isaia, che ha risuonato nella liturgia odierna e che egli indirizzava alla città santa, a Gerusalemme: "Alzati! Rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te" (Is 60,1).

Cari giovani, destatevi e gioite, perché è sorta per tutti la luce; la gloria del Signore si è manifestata; la sua misericordia ed il suo amore brillano sopra ciascuno di noi per fugare e disperdere qualunque ombra, che possa velare ed appesantire i cuori. La sua radiosa stella è sorta per illuminare tutti gli uomini, tutti noi. E' il Salvatore "la luce vera che illumina ogni uomo che viene al mondo" (Jn 1,9), ed ha portato a tutti "la grazia e la verità" (Jn 1,17), offrendo così a ciascuno la capacità di individuare il bene e di realizzarlo, mediante la comunicazione della vita divina.

Gioisco nel riflettere insieme con voi su queste certissime verità rivelate, perché il Papa si sente particolarmente vicino a quanti si trovano, in qualche modo, in una condizione di disagio e di bisogno.

Desidero che ciascuno di voi si senta destinatario di questo mio saluto, che vuol costituire un momento di incontro personale, un istante di colloquio e di intimità. Conosco i vostri problemi, comprendo le vostre difficoltà; so, in particolare, quanto sia difficile per voi uscire dalle vostre intime e spesso inconfessate angosce e guardare all'avvenire con fiducia; tuttavia vorrei che prendeste coscienza della forza, imprevedibile e nascosta, insita nella vostra giovinezza, che è tale da poter sbocciare in un domani operoso. Talvolta siamo lampade senza luce, con possibilità non realizzate, non ardenti. Ebbene, io sono venuto per accendere nei vostri cuori una fiamma, se le delusioni sofferte, le attese mancate l'avessero spenta. Voglio dire a ciascuno che voi avete delle capacità di bene, di onestà, di laboriosità; capacità reali, profonde, spesso insospettate, rese talvolta anche maggiori e più vigorose dalla vostra stessa faticosa esperienza.

Sappiate che io sono venuto tra voi perché vi voglio bene, ed ho fiducia in voi; per manifestarvi di persona questo mio affetto, questa mia fiducia; e per dirvi che non tralascio di innalzare la mia preghiera a Dio, affinché vi sorregga sempre con quell'amore che ci ha manifestato inviandoci al suo Figlio unigenito, Gesù Cristo, nostro fratello, che ha conosciuto anche Lui la sofferenza e il bisogno, ma ci ha indicato la strada e ci offre il suo aiuto per superarli. Se talvolta foste colti dalla tristezza di pensare: sono riguardato con occhi che umiliano e mortificano; forse anche le persone care non hanno fiducia in me; ebbene sappiate che il Papa si rivolge a voi con stima, come a giovani che hanno la capacità di fare domani tanto bene nella vita, e fa assegnamento sul vostro responsabile inserimento nella società.

A questo proposito, desidero esprimere il mio più vivo compiacimento a tutti coloro che, in particolare in questo Istituto, con dedizione vi circondano di cure ed attenzioni, avendo presente la vostra formazione umana e soprattutto l'evocazione di quelle energie positive, di quegli slanci generosi, che devono in voi preparare l'uomo maturo di domani capace di operare ciò che è bene e di mettersi al servizio degli altri.

E' un compito necessario, delicato e difficile, che richiede dimenticanza di sé e vigoroso impegno. Il Papa dà il suo fervido riconoscimento a quanti attendono con zelo ad una mansione tanto importante di ammaestramento e di disciplina, di ammonimento e di guida.

Così, non posso dimenticare, insieme alla dedizione del personale dell'Istituto, a tutti i livelli, l'apporto specializzato degli operatori professionali, che dedicano alle vostre specifiche esigenze gli accorgimenti della loro preparazione scientifica e soprattutto le risorse del loro cuore.

Un pensiero di sincera soddisfazione rivolgo al Cappellano, generosamente messo a disposizione dalla Congregazione dei Terziari Cappuccini di Nostra Signora Addolorata, ed a quanti con lui hanno cura delle vostre anime e si preoccupano di offrirvi il dono della parola di Dio, dei Sacramenti e di tutti quei sussidi spirituali che agevolano il vostro impegno di ripresa e di coraggiosa, comunitaria iniziativa di bene.

In tale prospettiva, ritengo meritevole di ricordo e di elogio il gruppo di volontari che cooperano anche nell'interno della vostra dimora, per tessere con voi rapporti di famiglia e per creare attorno a voi una più grande comunità di amici, preoccupati del vostro bene spirituale e materiale.

Coloro che provvedono alla vostra educazione sono certamente consapevoli che anche voi costituite - come tutti i vostri coetanei - la speranza degli anni a venire. Essi non possono dimenticare che esistono nei vostri cuori - l'esperienza ce ne fa edotti - un impeto emotivo, spesso esasperato da solitudini amare, una vitalità affettiva, densa di acute intuizioni, una fantasiosa genialità, la cui mancata legittima affermazione, dovuta spesso a circostanze avverse, può avervi condotti su sentieri scabrosi e pericolosi. Si deve quindi dare a voi ed a quanti si trovano nella vostra situazione - studiata con penetrante perspicacia e sicura competenza - una vera possibilità di reintegrazione e di ripristino, affinché possiate, con l'assistenza di tutte le componenti valide della società, mettere a frutto ed a servizio quel veemente vigore che ospitate in cuore.

Cari giovani, questa riflessione, attinente piuttosto ai compiti di quanti si prendono generoso e doveroso carico della vostra educazione fisica, intellettuale, morale, spirituale, mi sospinge di nuovo a voi, nel conchiudere questo mio affettuoso colloquio.

Voi avanzate nei confronti della società dei fondati diritti, voi attendete aiuti, voi siete consapevoli che non sono sufficienti le leggi ed i tribunali per formare uomini nuovi, capaci di agire rettamente, ma che è necessaria una compagine civile che operi nel senso della fraternità, nel rispetto dei valori etici e morali, in una illuminata esemplarità, nell'ossequio della legge di Dio, Sommo Bene, per cui si deve a qualunque costo evitare il male, cioè quanto offende, nelle più concrete situazioni, Dio stesso e il nostro prossimo.

Una società che non sia attraversata da un forte afflato morale, che non sia illuminata da una luce superiore, che non tenga nel dovuto rispetto tutte le espressioni della vita umana e della sua dignità, non potrà offrire validi apporti di ripresa, una partecipazione operante, una mano sicura a quanti sono stati spesso vittime di egoismi o di carenze delle quali non sono responsabili.

Anche dalla Chiesa, dalla comunità di coloro che vogliono testimoniare Cristo, voi attendete una coerenza di fede e di opere, che li abiliti a trasfondere vitalmente certezze e comportamenti umani, degni di Colui che si è dato completamente ai fratelli fino all'estremo sacrificio. Voi sollecitate giustamente una solidarietà spirituale e materiale che vi consenta un felice inserimento nel consorzio civile.

Tuttavia - e qui ciascuno di voi rientri in se stesso per una matura riflessione - il vostro avvenire, sicuro e prospero come voi lo volete, non potrà costruirsi senza di voi, senza la vostra responsabile cooperazione. Siete, anzi, voi i veri artefici e i principali responsabili - sul piano umano - del vostro avvenire.

La luce della stella di Betlemme, che è la luce di Gesù, vi faccia comprendere la profondità dell'impegno che si richiede da voi; vi illumini circa i vostri doveri. La vita è un vero dono di Dio, che vale sempre la pena di accogliere con gratitudine e coraggio, nella coscienza che da una esistenza vissuta con onestà, fedeltà e speranza, voi potrete trarre frutti concreti di soddisfazione personale e assicurare preziosi vantaggi alla società.

Tale compito potrà sembrarvi superiore alle vostre forze, ma non siete soli nell'affrontarlo, dal momento che il Signore, nostro Padre ed Amico, ha a cuore il vostro personale destino in maniera molto più efficace ed amorevole di quanto forse riuscite a immaginare. Egli, presente in noi mediante la grazia ricevuta nel Battesimo, ci ama fedelmente anche quando cadiamo nella colpa e non ci lascia mai soli, in nessuna circostanza. Perciò, con estrema fiducia, rivolgetevi con la preghiera a Colui che è accanto a voi, in voi, ed affidatevi con particolare devozione alla Vergine Santissima, che, con tenerezza e sollecitudine materna, vuole accompagnarvi e sostenervi ad ogni passo del vostro cammino.

Vi sia di incoraggiamento e di conforto l'affettuosa Benedizione che ora vi imparto insieme con l'amatissimo Cardinale, mio Segretario di Stato e sempre vostro caro "Padre Agostino", che da tanti anni vi segue e vi ama, e trasfonde in voi, con fedeltà, le risorse del suo spirito sacerdotale. Insieme vi auguriamo un anno ricco di favori celesti, e insieme invochiamo su di voi la Benedizione del Signore, che imploriamo anche sulle vostre famiglie, perché Dio le assista e le aiuti in tutte le loro necessità e dia loro, in voi, le consolazioni che da voi sono in diritto di attendersi; così come su tutti coloro che a voi dedicano le loro attenzioni e le loro cure, a cominciare dai Superiori e dagli assistenti che vicino a voi passano tanta parte della loro vita.

Data: 1980-01-06 Data estesa: Domenica 6 Gennaio 1980.


Al personale di Casal del Marmo

Titolo: Senso morale, dedizione e sacrificio per un prezioso servizio sociale

Signor Ministro, La ringrazio sinceramente, anzitutto, per la possibilità offertami di compiere una visita in questo Istituto al fine di incontrarmi con adolescenti e giovani, carissimi al mio cuore, i quali hanno particolarmente bisogno di profondo affetto e di grande comprensione.

Le esprimo, inoltre, un vivo apprezzamento per le nobili parole, con le quali Ella ha sinteticamente presentato le varie iniziative prese o in via di elaborazione affinché, pur nella salvaguardia della giustizia e del diritto, si dia a coloro che vivono in questo luogo o in analoghi istituti, la possibilità di guardare con serenità al futuro, di maturare positivamente la loro personalità nel bene, nello studio, nella disciplina, nel lavoro, per potere un giorno dare, anch'essi, alla società un valido e concreto contributo di esemplare operosità.

Ella ha giustamente sottolineato come sia dovere di tutti - in quanto corrisponde allo stesso interesse generale della Nazione - operare in modo che ai giovani, soprattutto a quelli meno favoriti, siano assicurate possibilità di sviluppo e di completa realizzazione della loro personalità. I giovani sono la speranza del mondo, perché sono sempre portatori di idee nuove e di entusiasmo, anche quelli "meno favoriti" da situazioni familiari dissestate, da condizioni economiche e sociali di particolare precarietà, anche quelli che, per debolezza, per mancanza di un adeguato e tempestivo orientamento, o per colpa degli esempi degli "adulti", si sono posti contro o al di fuori della legge: saggiamente indirizzati e formati, potranno esprimere positivamente se stessi, potranno far emergere dalla loro personalità le capacità di bene, di generosità, di altruismo, che sono spesso latenti nell'uomo.

Ecco perché, come Ella ha ancora rilevato, la Chiesa nutre un geloso rispetto nei confronti dell'uomo ed una immensa fiducia nelle sue potenzialità.

Sarà compito, impegno, dovere della società, nelle sue strutture e nelle sue leggi, far si che la doverosa tutela della comune sicurezza non si trasformi in offesa per l'uomo, e questa fiducia non si muti in umiliazione per la persona.

La mia presenza in questo luogo vuole essere pertanto anche un incoraggiamento per tutte quelle sagge riforme dell'ordinamento giudiziario e amministrativo, che tendano non a deprimere chi ha mancato, ma ad aiutarlo a ritrovare se stesso, a reinserirsi con serenità e consapevolezza nell'ordinato concerto della civile convivenza.

Con questi voti, porgo il mio deferente saluto a Lei, Signor Ministro, e a tutti coloro che - a diversi livelli - prestano la loro opera in questo ambiente, consapevoli certamente che il loro lavoro non è un mestiere, ma un compito delicato ed un prezioso servizio sociale, che esige in tutti uno spiccato senso morale e professionale, una maturata e sperimentata competenza, un profondo senso di responsabilità, una grande capacità di dedizione e di sacrificio, una intensa umanità: ma ancor più - vorrei aggiungere - ed alla base di tutto, una solida e operosa fede in Dio, Padre di tutti, ed un grande amore per l'uomo, creatura fragile ma pur sempre figlio di Dio.

Con la mia Apostolica Benedizione.

Data: 1980-01-06 Data estesa: Domenica 6 Gennaio 1980.


GPII 1980 Insegnamenti - Al personale del Governatorato Vaticano - Città del Vaticano (Roma)