GPII 1980 Insegnamenti - Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La rivelazione e la scoperta del significato sponsale del corpo

1. Rileggendo ed analizzando il secondo racconto della creazione, cioè il testo jahvista, dobbiamo chiederci se il primo "uomo" (adam), nella sua solitudine originaria, "vivesse" il mondo veramente quale dono, con atteggiamento conforme alla condizione effettiva di chi ha ricevuto un dono, quale risulta dal racconto del capitolo primo. Il secondo racconto ci mostra infatti l'uomo nel giardino dell'Eden (cfr. Gn 2,8); ma dobbiamo osservare che, pur in questa situazione di felicità originaria, lo stesso Creatore (Dio Jahvè) e poi anche l'"uomo", invece di sottolineare l'aspetto del mondo come dono soggettivamente beatificante, creato per l'uomo (cfr. Gn 1,26-29), rilevano che l'uomo è "solo". Abbiamo già analizzato il significato della solitudine originaria; ora, pero, è necessario notare che per la prima volta appare chiaramente una certa carenza di bene: "Non è bene che l'uomo (maschio) sia solo"- dice Dio Jahvè- "gli voglio fare un aiuto..." (Gn 2,18). La stessa cosa afferma il primo "uomo"; anche lui, dopo aver preso coscienza fino in fondo della propria solitudine tra tutti gli esseri viventi sulla terra, attende un "aiuto che gli sia simile" (cfr. Gn 2,20). Infatti, nessuno di questi esseri (animalia) offre all'uomo le condizioni di base, che rendano possibile esistere in una relazione di reciproco dono.


2. così, dunque, queste due espressioni, cioè l'aggettivo "solo" e il sostantivo "aiuto", sembrano essere veramente la chiave per comprendere l'essenza stessa del dono a livello d'uomo, come contenuto esistenziale iscritto nella verità dell'"immagine di Dio". Infatti il dono rivela, per così dire, una particolare caratteristica dell'esistenza personale, anzi della stessa essenza della persona.

Quando Dio Jahvè dice che "non è bene che l'uomo sia solo" (Gn 2,18), afferma che da "solo" l'uomo non realizza totalmente questa essenza. La realizza soltanto esistendo "con qualcuno" - e ancor più profondamente e più completamente: esistendo "per qualcuno". Questa norma dell'esistere come persona è dimostrato nel Libro della Genesi come caratteristica della creazione, appunto mediante il significato di queste due parole: "solo" e "aiuto". Sono proprio esse che indicano quanto fondamentale e costitutiva per l'uomo sia la relazione e la comunione delle persone. Comunione delle persone significa esistere in un reciproco "per", in una relazione di reciproco dono. E questa relazione è appunto il compimento della solitudine originaria dell'"uomo".


3. Tale compimento è, nella sua origine, beatificante. Senza dubbio esso è implicito nella felicità originaria dell'uomo, e appunto costituisce quella felicità che appartiene al mistero della creazione fatta per amore, cioè appartiene all'essenza stessa del donare creativo. Quando l'uomo-"maschio", svegliato dal sonno genesiaco, vede l'uomo-"femmina" da lui tratta, dice: "questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa" (Gn 2,23); queste parole esprimono, in un certo senso, l'inizio soggettivamente beatificante dell'esistenza dell'uomo nel mondo. In quanto verificatosi al "principio", ciò conferma il processo di individuazione dell'uomo nel mondo, e nasce, per così dire, dalla profondità stessa della sua solitudine umana, che egli vive come persona di fronte a tutte le altre creature e a tutti gli esseri viventi (animalia). Anche questo "principio" appartiene quindi ad una antropologia adeguata e può sempre essere verificato in base ad essa. Tale verifica puramente antropologica ci porta, nello stesso tempo, al tema della "persona e al tema del "corpo-sesso".

Questa contemporaneità è essenziale. Se infatti trattassimo del sesso senza la persona, sarebbe distrutta tutta l'adeguatezza dell'antropologia, che troviamo nel Libro della Genesi. E per il nostro studio teologico sarebbe allora velata la luce essenziale della rivelazione del corpo, che in queste prime affermazioni traspare con tanta pienezza.


4. C'è un forte legame tra il mistero della creazione, quale dono che scaturisce dall'Amore, e quel "principio" beatificante dell'esistenza dell'uomo come maschio e femmina, in tutta la verità del loro corpo e del loro sesso, che è semplice e pura verità di comunione tra le persone. Quando il primo uomo, alla vista della donna, esclama: "E' carne dalla mia carne, e osso dalle mie ossa" (Gn 2,23), afferma semplicemente l'identità umana di entrambi. così esclamando, egli sembra dire: ecco un corpo che esprime la "persona"! Seguendo un precedente passo del testo jahvista, si può anche dire: questo "corpo" rivela l'"anima vivente", quale l'uomo divento quando Dio Jahvè alito la vita in lui (cfr. Gn 2,7), per cui ebbe inizio la sua solitudine di fronte a tutti gli altri esseri viventi. Proprio attraverso la profondità di quella solitudine originaria, l'uomo emerge ora nella dimensione del dono reciproco, la cui espressione- che per ciò stesso è espressione della sua esistenza come persona- è il corpo umano in tutta la verità originaria della sua mascolinità e femminilità. Il corpo, che esprime la femminilità "per" la mascolinità e viceversa la mascolinità "per" la femminilità, manifesta la reciprocità e la comunione delle persone. La esprime attraverso il dono come caratteristica fondamentale dell'esistenza personale. Questo è il corpo: testimone della creazione come di un dono fondamentale, quindi testimone dell'Amore come sorgente, da cui è nato questo stesso donare. La mascolinità-femminilità - cioè il sesso - è il segno originario di una donazione creatrice di una presa di coscienza da parte dell'uomo, maschio-femmina, un dono vissuto per così dire in modo originario. Tale è il significato, con cui il sesso entra nella teologia del corpo.


5. Quell'"inizio"beatificante dell'essere e dell'esistere dell'uomo, come maschio e femmina, è collegato con la rivelazione e con la scoperta del significato del corpo, che conviene chiamare "sposale". Se parliamo di rivelazione ed insieme di scoperta, la facciamo in rapporto alla specificità del testo jahvista, nel quale il filo teologico è anche antropologico, anzi appare come una certa realtà coscientemente vissuta dall'uomo. Abbiamo già osservato che alle parole che esprimono la prima gioia del comparire dell'uomo all'esistenza come "maschio e femmina" (Gn 2,23) segue il versetto che stabilisce la loro unità coniugale (Gn 2,24), e poi quello che attesta la nudità di entrambi, priva di reciproca vergogna (Gn 2,25). Proprio questo significativo confronto ci permette di parlare della rivelazione ed insieme della scoperta del significato "sponsale" del corpo nel mistero stesso della creazione. Questo significato (in quanto rivelato ed anche cosciente, "vissuto" dall'uomo) conferma fino in fondo che il donare creativo, che scaturisce dall'Amore, ha raggiunto la coscienza originaria dell'uomo, diventando esperienza di reciproco dono, come si percepisce già nel testo arcaico. Di ciò sembra anche testimoniare - forse perfino in modo specifico - quella nudità di entrambi i progenitori, libera dalla vergogna.


6. Genesi 2,24 parla della finalizzazione della mascolinità e femminilità dell'uomo, nella vita dei coniugi-genitori. Unendosi tra loro così strettamente da diventare "una sola carne", questi sottoporranno, in certo senso, la loro umanità alla benedizione della fecondità, cioè della "procreazione", di cui parla il primo racconto (Gn 1,28). L'uomo entra "in essere" con la coscienza di questa finalizzazione della propria mascolinità-femminilità, cioè della propria sessualità. Nello stesso tempo, le parole di Genesi 2,25: "Tutti e due erano nudi ma non ne provavano vergogna", sembrano aggiungere a questa fondamentale verità del significato del corpo umano, della sua mascolinità e femminilità, un'altra verità non meno essenziale e fondamentale. L'uomo, consapevole della capacità procreativa del proprio corpo e del proprio sesso, è nello stesso tempo libero dalla "costrizione" del proprio corpo e sesso.

Quella nudità originaria, reciproca e ad un tempo non gravata dalla vergogna, esprime tale libertà interiore dell'uomo. E', questa, la libertà dall'"istinto sessuale"? Il concetto di "istinto" implica già una costrizione interiore, analogicamente all'istinto che stimola la fecondità e la procreazione in tutto il mondo degli esseri viventi (animalia). Sembra, pero, che tutti e due i testi del Libro della Genesi, il primo e il secondo racconto della creazione dell'uomo, colleghino sufficientemente la prospettiva della procreazione con la fondamentale caratteristica della esistenza umana in senso personale. Di conseguenza l'analogia del corpo umano e del sesso in rapporto al mondo degli animali - che possiamo chiamare analogia "della natura" - in tutti e due i racconti (benché in ciascuno in modo diverso) è elevata anch'essa, in un certo senso, a livello di "immagine di Dio", e a livello di persona e di comunione tra le persone.

A questo problema essenziale occorrerà dedicare ancora altre analisi.

Per la coscienza dell'uomo - anche per l'uomo contemporaneo - è importante sapere che in quei testi biblici che parlano del "principio" dell'uomo, si trova la rivelazione del "significato sponsale del corpo". Pero è ancor più importante stabilire che cosa esprima propriamente questo significato.

Data: 1980-01-09 Data estesa: Mercoledi 9 Gennaio 1980.


Al capitolo generale delle Figlie della Carità

Titolo: I poveri sono sempre tra noi

Reverenda madre, sorelle.

Immaginate con me che san Vincenzo de' Paoli e santa Luisa di Marillac, i due vostri fondatori così uniti nella loro passione evangelica di servire i poveri e che ritornarono al Signore a qualche mese di distanza or sono già più di tre secoli, siano presenti a questo incontro di famiglia! Ma essi sono con noi in modo misterioso. Permettetemi di lasciar loro la parola, facendomi solamente loro interprete.

Quando voi proseguirete i lavori dell'assemblea generale della Compagnia, coloro che voi venerate come vostro padre e vostra madre vogliono in primo luogo confermarvi nell'attualità della vostra vocazione. Il calore della carità è proprio ciò di cui la persona umana ha il più grande bisogno oggi come sempre. Certo, le miserie sociali del XVII secolo e dell'epoca della Fronda sono ben lontane. Ma "i poveri sono sempre in mezzo a noi"! Chi ci potrà fornire delle statistiche precise sulla povertà reale in ciascun paese e su scala mondiale? Vengono spesso pubblicate delle cifre che concernono il commercio, l'agricoltura, l'industria, le banche, gli armamenti, ecc... Ma, all'epoca degli ordinatori, sappiamo il numero preciso di analfabeti, di bambini abbandonati, di sotto-alimentati, di ciechi, di infermi, di focolari smembrati, di prigionieri, di emarginati, di prostitute, di disoccupati, di persone viventi nelle bidonvilles del mondo intero!... Care sorelle non abbiate occhi e cuore che per i poveri, come il signor Vincenzo e la signorina Legras! E per stimolarvi ancora - se ce ne fosse bisogno - vi dicono: Contemplate nostro Signore Gesù Cristo, ascoltatelo ripetervi il senso della sua missione: "Lo Spirito del Signore è su di me... Egli mi ha inviato a portare la buona novella ai poveri, ad annunciare la liberazione ai prigionieri e ai ciechi il ritorno alla vista, rendere la libertà agli oppressi..." (Lc 4,18). E' vero, il Vangelo ci presenta quasi sempre il Cristo tra i poveri. E' il centro della sua vita.

Mi sembra ugualmente che questi due grandi santi della carità vi supplicano con tenerezza e fermezza di difendere e di sviluppare la vostra appartenenza radicale a Gesù Cristo, secondo le promesse che voi rinnovate ogni anno il 25 marzo. La castità, a causa del Cristo e del Vangelo, ne è il segno più profondo. E lungi dall'essere un'alienazione della persona è una sorprendente promozione della capacità e del bisogno di maternità di ogni donna! Voi siete madri. Voi collaborate alla protezione, all'orientamento, al rasserenamento, alla guarigione, alla fine pacifica di tante vite umane, sul piano fisico, morale e religioso! Vedete sempre il vostro celibato consacrato come un cammino di vita per gli altri, e rivelate questo segreto ai giovani che esitano ad intraprendere la via che voi avete seguito. Vogliate non solamente amare i poveri ma desiderare voi stesse di essere povere, nello spirito e negli atti. San Vincenzo de' Paoli e santa Luisa di Marillac hanno detto molto di più con il loro servizio concreto dei poveri - di giorno e di notte - che con lunghi trattati sulla povertà. Ugualmente san Francesco di Assisi è stato più eloquente spogliandosi dei suoi vestiti che se avesse fatto pubblicare una rivista periodica sul distacco dai beni terreni. E Charles de Foucauld ci ha dato di più col suo sorriso e la sua bontà in mezzo ai poveri che pubblicando la sua autobiografia di giovane ufficiale convertito che ha scelto di essere all'ultimo posto e tra i poveri. Si potrebbe così ricordare che il mio molto venerato predecessore Paolo VI, abbandonando la sua tiara, ha posto un gesto che non ha ancora smesso di portare i suoi frutti nella Chiesa.

Ascoltate infine i vostri due modelli di vita sollecitarvi di non lasciar svanire lo spirito della dipendenza, quando la tendenza attuale è di riservarsi uno spazio libero in cui non si dipenda da nessuno, per meglio abbandonarsi alla propria immaginazione e alla propria fantasia. L'ubbidienza religiosa, voi lo sapete, è senza dubbio il più acuto dei tre chiodi d'oro che attaccano alla volontà di Gesù Cristo i suoi imitatori e le sue imitatrici. E' possibile guardare la croce del Signore Gesù senza conformarsi al suo mistero di obbedienza al Padre? Che i superiori religiosi siano umani e comprensivi, è il loro dovere! Ma che i soggetti siano essi stessi sempre più adulti e responsabili, al punto di approfondire e di vivere il valore oblativo dell'obbedienza! In una parola, i vostri fondatori dicono a voi e a tutti i vostri compagni: "Siate nel mondo, senza mai lasciarvi contaminare dallo spirito del mondo di cui parla san Giovanni". Voi sapete che il sale, una volta diluito, diventa insipido. Ciò che risplende, è la purezza del cristallo! A voi, mia reverenda madre, che siete stata appena rieletta, io sono particolarmente felice di indirizzare i miei auguri di un fruttuoso servizio della Compagnia. Ai membri del capitolo che io ringrazio della loro visita, e a tutte le Figlie della Carità che servono Cristo attraverso il mondo intero - senza dimenticare il loro servizio molto apprezzato al Vaticano - io do la mia affettuosa benedizione apostolica.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-01-11Data estesa: Venerdi 11Gennaio 1980.


Ai membri del consiglio nazionale dell'Azione Cattolica

Titolo: Con serena speranza e carità operosa realizzate gli insegnamenti del Concilio

Carissimi fratelli e sorelle! "Grazia a voi e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo" (2Th 1,2).

1. Con sincera letizia e con viva soddisfazione mi incontro oggi con voi, membri del consiglio nazionale dell'Azione Cattolica Italiana, riuniti in questi giorni a Roma per meditare insieme sul tema: "Costruire da laici la comunità ecclesiale per animare da cristiani la società italiana". Un cordiale saluto rivolgo al presidente nazionale, professor Mario Agnes, all'assistente generale, monsignor Giuseppe Costanzo, ai vice-presidenti, ai responsabili dei vari movimenti, a tutti voi singolarmente, che con dedizione ed impegno ricoprite le cariche centrali, e quindi le più onerose, della grande famiglia dell'Azione Cattolica Italiana.

Siate i benvenuti nella casa del Papa e sappiate che egli vi stima, vi vuol bene; segue ed apprezza il complesso lavoro, che dovete continuamente svolgere, perché il laicato cattolico italiano, ben organizzato nelle varie strutture, continui a dare alla Chiesa ed alla società civile quel contributo concreto ed efficace di collaborazione e di vitalità, felicemente espresso nel tema del vostro incontro dai due termini: "costruire" e "animare"; sono parole che - come è noto - sintetizzano il luminoso magistero del Concilio Vaticano II in merito ai compiti, alle funzioni e ai doveri dei laici nell'ambito della comunità ecclesiale e in quello della comunità civile, in cui conducono, giorno per giorno, la loro vita.


2. Vorrei, inoltre, in questo momento così significativo rinnovare pubblicamente il mio plauso a tutti i membri dell'Azione Cattolica Italiana, la quale ormai ha superato il secolo di vita. In questi oltre cento anni di storia, quanti esempi mirabili di impegno apostolico, di profonda vita spirituale; quanti sacrifici, quanti eroismi sono stati compiuti da uomini e donne, giovani, ragazzi e ragazze, bambini e bambine seriamente consapevoli che la loro adesione all'Azione Cattolica significava una personale, vitale e dinamica partecipazione alla stessa missione salvifica della Chiesa! L'Azione Cattolica Italiana, nata in un periodo particolarmente delicato e difficile per i rapporti tra la Sede apostolica e la nazione italiana, ha dimostrato che si può contemporaneamente professare profondo amore alla Chiesa e leale rispetto per la patria. La vostra associazione è stata una fucina di esemplari padri e madri di famiglia, professionisti, operai, uomini politici: tutti costoro, fermamente convinti che "ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di spargere, quanto gli è possibile, la fede" (cfr. LG 17 AA 3), hanno dato al mondo e, in particolare, all'Italia contemporanea una luminosa testimonianza di vita cristiana ed hanno realizzato, a costo di tanti sacrifici e di costante dedizione, quanto afferma il Concilio Vaticano II: "I laici... sono da Dio chiamati a contribuire, quasi all'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico e, in questo modo, a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita, e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità" (cfr. LG 31).


3. Ho letto con particolare attenzione gli schemi, concernenti la sessione di studio, nella quale state affrontando problemi di grande interesse per la vita dell'associazione. Tra i tanti elementi, così ricchi e pertinenti, meritevoli tutti di doveroso approfondimento, io oggi desidero sottolinearne uno in maniera speciale: la fedeltà alla vostra identità.

Si, carissimi fratelli e sorelle! L'Azione Cattolica Italiana sia sempre fedele a se stessa, cioé alle finalità, agli impegni, agli ideali, che essa ha assunto, fin dalla sua fondazione, nei confronti della Chiesa e per ciò stesso nei confronti dei propri aderenti. A tale proposito faccio mie le parole che il mio predecessore Paolo Vl vi rivolgeva l'11gennaio 1975: "La Chiesa vi chiede di assumere le vostre responsabilità nel mondo contemporaneo conservando la vostra identità, ma essendo intimamente presenti alla vita sociale, culturale, politica e economica dei connazionali, senza tuttavia dimenticare la dimensione universale delle varie realtà e la comunità internazionale dei popoli" (Insegnamenti di Paolo VI, XIII, 1975, p. 45ss.).

Fedeltà alla vostra identità significa, anzitutto, offrire una chiara testimonianza delle virtù cristiane, della fede ardente, della serena speranza e della carità operosa, in una profonda, vitale unione con Cristo. "così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre che è nei cieli" (Mt 5,16 cfr. 1P 2,12).

Essere fedeli alla vostra identità significa porre l'evangelizzazione e l'educazione permanente alla fede tra gli impegni prioritari e fondamentali, come ho insistito nella mia esortazione apostolica sulla catechesi: le varie associazioni e movimenti raggiungeranno meglio i loro specifici scopi e serviranno meglio la Chiesa se, nella loro organizzazione interna e nel loro metodo di azione, sapranno dare un posto importante ad una seria formazione religiosa dei loro membri: "In questo senso, ogni associazione di fedeli in seno alla Chiesa ha il dovere di essere, per definizione, educatrice della fede" (Ioannis Pauli PP. II CTR 70).

Essere fedeli alla vostra identità significa - come dice il vostro nome - operare apostolicamente e sempre in perfetta, lieta, leale, amorosa sintonia con la gerarchia, proprio perche l'Azione Cattolica è uno di quei modi, con cui i laici sono chiamati "a collaborare più immediatamente con l'apostolato della gerarchia" (cfr. LG 33). Significa altresi non indulgere ad orientamenti diversi o addirittura contrari alle indicazioni dell'episcopato e tanto meno a forme di debolezza nei confronti di ideologie e prassi contrastanti con la fede cattolica. "Non fate nulla senza il Vescovo!", raccomandava vivamente sant'Ignazio di Antiochia ("Ep. ad Trallianos", 2,1: Funk, 1,242).


4. A quindici anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, voi avete presentato ai soci un motto, che intende essere un programma e una consegna: "1980. Il Concilio oggi". Si, occorre ancora studiare, approfondire, riflettere sull'insegnamento conciliare, contenuto in modo preminente nella costituzione dogmatica "Lumen Gentium" e nel decreto "Apostolicam Actuositatem". Ma questo insegnamento deve altresi animare il concreto quotidiano, ai vari livelli, nella vita spirituale, anzitutto, che sia fortificata dai sacramenti, dai quali, specialmente dall'eucaristia, viene comunicata ed alimentata quella carità verso Dio e gli uomini, che è "l'anima di tutto l'apostolato" (cfr. LG 33); tale insegnamento deve quindi essere realizzato nella vita di relazione, in famiglia, nella scuola, nel posto di lavoro, nell'associazione, nella parrocchia, nei gruppi, nel quartiere, nella cultura, negli strumenti della comunicazione sociale, in mezzo ai fanciulli, ai giovani, ai poveri, agli emarginati, ai sofferenti. Il campo della vostra attività apostolica si allarga a perdita d'occhio; è vasto quanto la missione stessa della Chiesa, chiamata ad essere "in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (cfr. LG 1).

Coraggio! La Chiesa attende molto da voi; il Papa conta sul vostro entusiasmo sempre giovanile, carico di promesse. "Veri et germani estote christiani; - vi ripeto con sant'Agostino - nolite imitari nomine christianos, opere vacuos": cioé "Siate veri e autentici cristiani; non imitate i cristiani di nome, ma vuoti di opere" (Sant'Agostino "Serm." 363, IV: PL 39,1562).

A voi, a tutti i membri dell'Azione Cattolica Italiana l'assicurazione del mio affetto, della mia fiducia, della mia speranza, che confermo con una speciale benedizione apostolica.

Data: 1980-01-12Data estesa: Sabato 12Gennaio 1980.


Ai fratelli religiosi degli Istituti clericali di Roma - Roma

Titolo: Dio ama chi dona con gioia

Figli carissimi!

1. Sono veramente lieto di incontrarmi con voi stamani nella familiarità di questa udienza. Attribuisco a questo colloquio una particolare importanza di significato e di affetto. In realtà esso è oggi tutto per voi, fratelli laici delle varie congregazioni, il cui contributo è così importante per la vita e per l'attività delle rispettive famiglie religiose, e, più in generale, per la vita di tutta la Chiesa. E, nel ricevervi, è mia intenzione sottolineare l'apprezzamento che la Chiesa ha per la vostra funzione, e dare spazio a qualche riflessione, che metta a fuoco gli aspetti propri della vostra scelta di vita.

Nell'aprirvi, pertanto, le porte della mia casa, fratelli carissimi, vi spalanco anche quelle del mio cuore e vi rivolgo un saluto affettuoso che, attraverso le vostre persone, intende raggiungere tutti i religiosi laici sparsi nel mondo, e recare loro la testimonianza della mia stima sincera e del mio alto apprezzamento.


2. Voi siete chiamati a camminare verso la perfezione sulla via dei consigli evangelici, professati con generosa totalità d'impegno. Voi siete infatti a pieno titolo dei "religiosi". Il Concilio Vaticano II, come sapete, ha ribadito solennemente il principio secondo cui la vostra scelta di vita "costituisce uno stato in sé completo di professione dei consigli evangelici" (PC 10) ed ha speso una particolare parola per "confermarvi" nella vostra vocazione (cfr. PC 10), perché dalla rinnovata "sicurezza" circa la validità del vostro impegno potesse derivare un consolidamento dei propositi ed un più generoso slancio di dinamismo creativo.

Ravvivate perciò in voi la consapevolezza e la gioia del vostro stato di persona consacrata: Cristo deve essere lo scopo e la misura della vostra vita.

Dall'incontro con lui ha avuto origine la vostra vocazione: la fede in lui ha determinato il "si" del vostro impegno, la speranza del suo aiuto ne sorregge ora il perseverante adempimento, l'amore che egli ha acceso nei vostri cuori alimenta lo slancio necessario per il superamento delle inevitabili difficoltà e per il quotidiano rinnovarsi della vostra offerta.


3. In Cristo, che "per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo", voi avete scoperto altresi la ragione profonda del vostro dono ai fratelli. Questo è un punto che merita una sosta di riflessione. La vostra consacrazione religiosa non solo ha rafforzato il dono battesimale di unione con la Trinità, ma vi ha anche chiamati ad un maggiore servizio al Popolo di Dio.

Voi dovete vivere il vostro servizio, qualunque esso sia, con l'animo aperto su tutta la Chiesa: alla sua vita voi contribuite con la vostra attività e con la vostra testimonianza (cfr. LG 44). Qui è opportuno scendere al concreto, nel tentativo di lumeggiare qualche aspetto caratteristico della ricchezza, che per la Chiesa rappresenta la vostra vita religiosa laicale.

La vostra professione religiosa si pone, innanzitutto, nella linea della consacrazione battesimale, ed esprime la bipolarità del sacerdozio universale, che in tale consacrazione si fonda. Nella vita religiosa laicale, infatti, si attua l'offerta del sacrificio spirituale, l'esercizio del culto in spirito e verità, a cui ogni cristiano è chiamato; al tempo stesso, in essa risuona davanti al mondo la proclamazione chiarissima delle meraviglie della salvezza. Una duplice direzione, dunque, verso Dio e verso gli uomini, caratterizza la vostra vita; ed alla base dell'una e dell'altra vi è lo stesso unico sacerdozio battesimale, nell'una e nell'altra si esprime il medesimo amore diffuso nel cuore dallo Spirito (cfr. Rm 5,5), in ambedue è vissuto in pienezza l'identico carisma del "laicato", conferito dalla grazia dei sacramenti dell'iniziazione cristiana.

C'è di più, il testo del decreto "Perfectae Caritatis" segnala una particolare forma di "servizio ecclesiale" che i religiosi laici sono chiamati a svolgere. Essi partecipano in maniera utilissima "all'attività pastorale della Chiesa nell'educazione della gioventù, nell'assistenza agli infermi ed in altri ministeri" (PC 10), che non vengono ulteriormente specificati, ma che ognuno di voi può ben esemplificare, pensando all'attività che svolge. Orbene, è importante che ognuno di voi sia pienamente cosciente del carattere essenzialmente ecclesiale del suo lavoro, qualunque esso sia.

Ciò è soprattutto vero secondo il dinamismo interiore della grazia, giacché la vostra consacrazione religiosa, per natura sua, orienta alla vita del Corpo mistico ogni forma di attività, alla quale siete chiamati in virtù di obbedienza. Il credente sa bene che l'importanza del proprio contributo alla vita della Chiesa non dipende tanto dal tipo di attività che egli svolge, quanto piuttosto dalla carica di fede e di amore che egli sa porre nell'adempimento del proprio servizio, per quanto umile esso possa apparire.

Mi preme poi sottolineare la "complementarietà" che esiste tra la vostra testimonianza e quella del laicato "secolare". Infatti, la testimonianza dei laici, i quali vivono nel mondo, può essere utile a voi per ricordarvi che la vostra consacrazione non deve rendervi indifferenti alla salvezza degli uomini né al progresso terreno, che è pur voluto da Dio. D'altra parte, al laico impegnato nel mondo la vostra testimonianza può rammentare proficuamente che il progresso terreno non è fine a se stesso.

Questo vi pone, se mi si consente l'espressione, al punto di "saldatura" tra realtà umane ed ecclesiali, tra regno dell'uomo e regno di Dio: con i vostri compiti materiali che condizionano il buon andamento dell'intera comunità, con il vostro servizio apostolico accanto ai confratelli sacerdoti, con la vostra presenza nel mondo della scuola, del lavoro, della tecnologia, voi siete chiamati a svolgere una funzione di raccordo sia all'interno delle rispettive famiglie religiose in vista di una migliore unità organica, sia nel mondo esterno delle professioni e del lavoro, ove potete giocare un ruolo importantissimo per favorire un riavvicinamento di quegli ambienti alla Chiesa.


4. E' chiaro che la delicatezza di una simile posizione reca con sé anche dei rischi: sussiste, infatti, sempre la tentazione di perdere di vista le "cose eterne", di "laicizzarsi", lasciando raffreddare i rapporti vitali con Dio e perdendo così il contatto con la fonte, da cui deriva l'alimento ed il sostegno di ogni attività.

Il vostro lavoro, infatti, risulta un'espressione vivente della consacrazione al Signore solo se riferito esplicitamente a lui con un proposito coscientemente rinnovato di vita consacrata. Ciò suppone, innanzitutto, una quotidiana revisione di vita circa la fedeltà agli impegni assunti con la professione religiosa. Siate generosi, figli carissimi, nel corrispondere alla voce di Cristo, che vi chiama a seguirlo da vicino mediante la pratica della povertà, della castità e dell'obbedienza.


5. Sappiate inoltre conservare quel "primato della vita spirituale" di cui parla il decreto "Perfectae Caritatis" (cfr. PC 6). La vita interiore si alimenta - è ivi ricordato - mediante il ricorso assiduo alle fonti genuine della spiritualità cristiana, che sono la Sacra Scrittura e la liturgia.

A proposito di quest'ultima, ricordate sempre che la partecipazione consapevole alla preghiera liturgica vi aiuterà a capire più a fondo voi stessi ed il senso della vostra presenza nella Chiesa. E' necessario aggiungere, tuttavia, che una simile partecipazione non sarebbe possibile, se mancasse l'abitudine alla preghiera personale. Bisogna che ciascuno impari a pregare anche dentro di sé e da sé. La devozione personale, la meditazione coltivata nell'intimità del proprio spirito, il colloquio filiale e spontaneo con Dio Uno e Trino, inabitante nelle profondità dell'anima, costituiscono il presupposto di una preghiera autenticamente liturgica.

Ancora una condizione desidero indicare per l'autenticità della vostra testimonianza e per la sua piena efficacia apostolica: offrire la vostra adesione cordiale e responsabile alla vita comune. Il vivere in una comunità religiosa è espressione concreta di amore per gli altri, ed è segreto di maturazione personale serena ed armoniosa. L'accettazione del fratello con le sue qualità e con i suoi limiti, lo sforzo di coordinamento delle proprie iniziative con le decisioni maturate insieme, l'autocritica imposta dal confronto continuato con le valutazioni ed i punti di vista altrui, diventano non soltanto un'efficacissima palestra di virtù umane e cristiane, ma anche un'occasione preziosa di costante verifica della serietà con cui ci si impegna a tradurre nella vita gli obblighi assunti nella professione religiosa.


6. Figli carissimi, che spendete le migliori energie della mente e del cuore nell'educazione della gioventù; e voi che con fraterna e paziente dedizione attendete alla cura degli infermi, vedendo in essi Cristo sofferente (cfr. Mt 25,36); e voi ancora che prestate la vostra opera, tanto preziosa quanto umile, accanto ai confratelli sacerdoti, siate consapevoli della particolare missione a voi affidata dal Signore nella vita della sua Chiesa.

Sappiate coltivare una spiritualità che, aprendosi alla percezione dell'azione di Dio nel mondo, si assuma responsabilmente il compito di cooperare all'attuazione dei suoi disegni di salvezza. Voi dovete adoperarvi con tutte le risorse della vostra perspicacia a cogliere le esigenze degli uomini, vostri contemporanei, per poi cercare di corrispondervi con tutta la ricchezza del vostro cuore. A voi spetta di impegnarvi nel mettere a frutto tutte le doti della vostra intelligenza, perché il vostro servizio sia sempre più qualificato e quindi più degno di quel Gesù, che voi sapete di incontrare in ogni fratello, verso il quale andate, sospinti dall'amore.

E siate lieti nell'esercizio quotidiano delle vostre mansioni, perché sta scritto che "Dio ama chi dona con gioia" (2Co 9,7). Con questo augurio, io affido i generosi propositi che custodite nei vostri cuori alla materna intercessione della Vergine santissima, vostra particolare patrona e continuo modello nella vita nascosta di Nazaret; e, mentre invoco su di voi e sul vostro lavoro l'abbondanza dei doni e dei conforti celesti, a tutti concedo la mia apostolica benedizione, quale pegno della mia speciale benevolenza.

Data: 1980-01-12Data estesa: Sabato 12Gennaio 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)