GPII 1980 Insegnamenti - Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)


2. Si celebra oggi in tutta Italia la Giornata per la vita. Nell'esprimere il mio apprezzamento per ogni iniziativa volta a promuovere nell'opinione pubblica la considerazione ed il rispetto verso questo valore fondamentale, oggi particolarmente insidiato da tante forme di violenza, desidero levare ancora una volta la mia voce per "evangelizzare la vita", in comunione con ogni uomo e donna di buona volontà.

Dove è la vita, c'è lo spirito di Dio creatore, c'è la sua impronta, c'è il sigillo del suo amore. Ogni essere umano, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della Madre, porta in sé questa impronta divina, che fa di lui un soggetto capace di aprirsi responsabilmente a Dio ed ai fratelli.

Non dimentichiamo: quando il diritto alla vita di una persona è violato, un colpo viene inferto al cuore stesso dell'ordinamento morale e giuridico, che ha per scopo la tutela dei beni inviolabili dell'uomo. La Chiesa difende il diritto alla vita, non solo per rispetto alla maestà di Dio, primo datore di ogni vita, ma anche per rispetto al bene essenziale dell'uomo.

Nella Giornata per la vita, una consegna è affidata all'impegno di ogni persona, pensosa del vero bene sociale: quella di accogliere la vita, di difenderla, di promuoverla. Accogliere la vita come un dono inestimabile, che fa più ricca l'intera famiglia umana, recandole da parte di Dio un invito rinnovato alla speranza. Difendere la vita, specialmente la più debole ed inerme, opponendosi ad ogni attacco che miri ad umiliarla, ad opprimerla, a distruggerla.

Promuovere la vita, offrendo la propria collaborazione generosa ad ogni iniziativa che ne favorisca l'elevazione verso traguardi più degni di esseri umani, chiamati, in Cristo, a partecipare alla vita stessa di Dio.


3. Come già ho accennato domenica scorsa, oggi si celebra la "Giornata diocesana per l'assistenza religiosa alla periferia e per le Chiese nuove".

Basti pensare al fatto che in Roma ben 70 nuove parrocchie sono prive di una Chiesa vera e propria per comprendere appieno l'importanza e la necessità della preghiera incessante e della solidarietà generosa di tutti i cristiani per la soluzione di tale grave problema. Sono certo che vorrete raccogliere questo appello e corrispondervi con tutto il cuore.

Affido questa intenzione, come le altre sopra accennate, alla materna intercessione di Maria santissima.

Ad un gruppo di modenesi Desidero rivolgere un affettuoso saluto ai membri dell'associazione Famiglia modenese in Roma, i quali celebrano oggi la festa del loro celeste patrono, san Geminiano Vescovo.

A voi e ai fedeli dell'arcidiocesi di Modena va il mio sincero incoraggiamento ed il vivo auspicio che offriate sempre una limpida testimonianza di vita cristiana, animata da una fede schietta e da una carità operosa.

La mia benedizione apostolica confermi questi voti.

Data: 1980-02-03 Data estesa: Domenica 3 Febbraio 1980.


Nella parrocchia dell'Ascensione al Quarticciolo - Roma

Titolo: Gesù: profeta dell'amore

1. L'odierna domenica mi offre nuovamente la possibilità di incontrarmi con quella fondamentale comunità del Popolo di Dio che è, nella Chiesa, una parrocchia.

Questo è un incontro "con la comunità" e, nello stesso tempo, un incontro "nella comunità". Infatti, mediante la visita pastorale del vostro Vescovo, voi vi ritrovate, in un certo senso, in quella più grande comunità del Popolo di Dio che è la Chiesa romana, la chiesa "locale", cioé la diocesi. Essa è, nello stesso tempo, la Chiesa delle Chiese - se si può dire così - poiché Roma, come sede di san Pietro, costituisce il centro di tutte le Chiese "locali" del mondo, che mediante questo centro si collegano e uniscono nella comunità universale dell'unica Chiesa. così, dunque, il nostro incontro di oggi ha contemporaneamente queste tre dimensioni: parrocchiale, diocesana e universale.

Possa esso servire al rafforzamento dell'amore che san Paolo confessa ed annunzia in modo così meraviglioso nella liturgia di oggi.

Nello spirito di questo amore, che è il vincolo della comunità e la fonte della nostra unità - soprattutto con Dio stesso in Cristo - vi saluto cordialmente, carissimi fratelli e sorelle, venuti da ogni parte del quartiere per testimoniare il vostro affetto e la vostra devozione al Papa. Saluto anche coloro che avrebbero partecipato volentieri a questo incontro, ma sono stati trattenuti a casa o dall'infermità o da qualche impegno non differibile. Affido a voi il compito di portare loro il mio saluto ed il mio augurio.

Una menzione particolare voglio ora riservare al Vescovo ausiliare, monsignor Giulio Salimei, che con tanto zelo ha svolto nei giorni scorsi in questa parrocchia la visita pastorale. Da lui il pensiero passa spontaneamente al parrocco ed agli altri sacerdoti del presbiterio, che il Concilio ha designato come "cooperatori del Vescovo" (cfr. PO 2 PO 4 PO 7): essi sono in mezzo a voi per costruire una comunità viva che, alimentandosi alla mensa del pane eucaristico e della parola di Dio, sappia testimoniare Cristo con l'esempio della coerenza personale e dell'amore disinteressato.

Saluto poi le religiose battistine, che hanno in questo quartiere una fiorente scuola materna ed elementare: ad esse vada l'espressione del mio apprezzamento per la generosa dedizione ai compiti educativi e per la fattiva collaborazione alle iniziative parrocchiali. Il mio saluto si rivolge altresi agli esponenti delle associazioni, dei movimenti, dei gruppi catechistici, che si adoperano per animare cristianamente l'ambiente dei giovani e degli adulti, favorendone una formazione interiore sempre più profonda e matura.

Una speciale parola di saluto vorrei far giungere anche a coloro che si sentono psicologicamente lontani dalla comunità parrocchiale, nei confronti della quale nutrono sentimenti di indifferenza o forse anche di ostilità. Sappiano essi che è desiderio del Papa, come dei sacerdoti della parrocchia e di ogni altro ministro di Dio, di aprire con loro un dialogo che possa dissipare equivoci e consentire una migliore conoscenza reciproca ed un discorso approfondito su Cristo e sul suo Vangelo.


2. Certo, il messaggio di Gesù è destinato a "far problema" nella vita di ogni essere umano. Ce lo ricordano anche le letture della liturgia di oggi, e soprattutto il testo del Vangelo di Luca, che abbiamo or ora ascoltato. Esso ci induce a ritornare ancora una volta col pensiero alle parole che ha lasciato nella nostra memoria la solennità di ieri. Nel momento della Presentazione di Gesù al tempio, che ebbe luogo il quarantesimo giorno dopo la nascita, il vecchio Simeone aveva pronunziato sul Bambino le seguenti parole: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione" (Lc 2,34).

Oggi siamo testimoni della contraddizione che Cristo incontro all'inizio stesso della sua missione - nella sua Nazaret -. Ecco: quando in base alle parole del profeta Isaia, rilette nella sinagoga di Nazaret, Gesù fece capire ai suoi compaesani che la predizione si riferiva proprio a lui - e cioé che era lui il preannunciato messia di Dio (l'unto nella potenza dello Spirito Santo) - sorse dapprima lo stupore, poi l'incredulità ed infine gli ascoltatori "furono pieni di sdegno" (Lc 4,28), e si trovarono concordi nella decisione di gettarlo giù dal monte sul quale era costruita la città di Nazaret... "Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne ando" (Lc 4,30).

Ed ecco che la liturgia di oggi - sullo sfondo di questo avvenimento - ci fa udire nella prima lettura la voce lontana del profeta Geremia: "Ti muoveranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti" (Jr 1,19).


3. Gesù è il profeta dell'amore - di quell'amore che san Paolo confessa ed annunzia nelle parole così semplici e nello stesso tempo così profonde del brano tratto dalla lettera ai Corinzi. Per conoscere che cosa sia l'amore vero, quali siano le sue caratteristiche e qualità, bisogna guardare a Gesù, alla sua vita ed alla sua condotta. Le parole non renderanno mai così bene la realtà dell'amore come la rende il suo modello vivo. Perfino parole, così perfette nella loro semplicità, come quelle della prima lettera ai Corinzi, sono soltanto l'immagine di tale realtà: di quella realtà, cioé, di cui troviamo il modello più completo nella vita e nel comportamento di Gesù Cristo.

Non sono mancati e non mancano, nel susseguirsi delle generazioni, uomini e donne che hanno imitato efficacemente questo modello perfettissimo. Tutti siamo chiamati a fare lo stesso. Gesù è venuto soprattutto per insegnarci l'amore.

Esso costituisce il contenuto del più grande comandamento che egli ci ha lasciato.

Se impareremo ad attuarlo, otterremo il nostro scopo: la vita eterna. L'amore, infatti, come insegna l'apostolo "non avrà mai fine"(1Co 13,8). Mentre altri carismi ed anche le virtù essenziali nella vita del cristiano finiscono insieme con la vita terrena e in questo modo passano, l'amore non passa, non ha mai fine.

Esso costituisce proprio l'essenziale fondamento e contenuto della vita eterna. E perciò "più grande è la carità" (1Co 13,13).


4. Questa grande verità sull'amore, mediante la quale portiamo in noi il vero lievito della vita eterna nell'unione con Dio, deve essere da noi profondamente associata alla seconda verità della liturgia di oggi: l'amore si acquista nella fatica spirituale. L'amore cresce in noi e si sviluppa anche tra le contraddizioni, tra le resistenze, che gli si oppongono dall'interno di ognuno di noi, e nello stesso tempo "dal di fuori", tra le molteplici forze cioé che sono ad esso estranee e perfino ostili.

Per questo san Paolo scrive che "la carità è paziente". Non incontra essa forse in noi tanto spesso la resistenza della nostra impazienza, e perfino semplicemente della inavvertenza? Per amare bisogna saper "vedere" l'"altro", bisogna saper "tener conto" di lui. Bisogna a volte "sopportarlo". Se vediamo solo noi stessi, e l'"altro" "non esiste" per noi, siamo lontani dalla lezione dell'amore che Cristo ci ha dato.

"La carita è benigna", noi leggiamo in seguito: non solo sa "vedere" l'"altro", ma si apre verso di lui, lo cerca, gli va incontro. L'amore dona con larghezza e proprio questo vuol dire: "è benigno" (sull'esempio dell'amore di Dio stesso, che si esprime nella grazia)... E quanto spesso, tuttavia, noi ci chiudiamo nel guscio del nostro "io", non sappiamo, non vogliamo, non cerchiamo di aprirci verso l'"altro", di dargli qualcosa del nostro proprio "io", oltrepassando i limiti del nostro ego-centrismo o addirittura dell'egoismo, e sforzandoci di diventare uomini, donne "per gli altri", sull'esempio di Cristo.


5. E così via di seguito, rileggendo la lezione di san Paolo sull'amore, e meditando il significato di ogni parola di cui l'apostolo si è servito per descrivere le caratteristiche di tale amore, noi tocchiamo i punti più importanti della nostra vita e della nostra convivenza con gli altri. Tocchiamo non solo i problemi personali o familiari, cioé quelli che hanno importanza nella piccola cerchia dei nostri rapporti interpersonali, ma tocchiamo anche i problemi sociali di primaria attualità.

I tempi nei quali viviamo non costituiscono forse già una pericolosa lezione di ciò che può diventare la società e l'umanità, quando la verità evangelica sull'amore è ritenuta superata? quando essa viene emarginata dal modo di vedere il mondo e la vita, dall'ideologia? quando essa viene esclusa dall'educazione, dai mezzi di comunicazione sociale, dalla cultura, dalla politica? I tempi, nei quali viviamo, non sono diventati già una lezione sufficientemente minacciosa di quel che prepara un tale programma sociale? E tale lezione non potrà diventare ancor più minacciosa col passare del tempo? A questo proposito, non sono già abbastanza eloquenti gli atti di terrorismo che sempre si rinnovano, e la crescente tensione bellica nel mondo? Ogni uomo - e l'umanita intera - vive "tra" l'amore e l'odio. Se non accetta l'amore, l'odio troverà facilmente accesso nel suo cuore e comincerà ad invaderlo sempre di più, portando frutti sempre più velenosi.


6. Dalla lezione paolina ora ascoltata occorre logicamente dedurre che l'amore è esigente. Esso esige da noi lo sforzo, esige un programma di lavoro su noi stessi - così come, nella dimensione sociale, esige una educazione adeguata, e programmi adatti di vita civica ed internazionale.

L'amore è esigente. E' difficile. E' attraente, certo, ma è anche difficile. E perciò esso incontra resistenza nell'uomo. E questa resistenza aumenta quando dal di fuori operano ancora programmi nei quali è presente il principio dell'odio e della violenza distruttrice. Cristo, la cui missione messianica incontra fin dal primo momento la contraddizione dei propri compaesani a Nazaret, riconferma la veracità delle parole pronunciate su di lui dal vecchio Simeone nel giorno della Presentazione al tempio: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione" (Lc 2,34). Queste parole camminano con Cristo per tutte le vie della sua esperienza umana, fino alla croce.

Questa verità su Cristo è anche la verità sull'amore. Anche l'amore incontra la resistenza, la contraddizione. In noi e fuori di noi. Ma ciò non ci deve scoraggiare. Il vero amore - come insegna san Paolo - "tutto copre" e "tutto sopporta" (1Co 13,7).

Cari fratelli e sorelle, questo nostro odierno incontro serva, almeno in piccola parte, alla vittoria di questo amore, verso il quale continuamente cammina, tra le prove di questa terra, la Chiesa di Cristo con lo sguardo fisso alla testimonianza del suo Maestro e Redentore.

Data: 1980-02-03 Data estesa: Domenica 3 Febbraio 1980.


Alla Sacra Romana Rota - Essere fedeli alla legge di Dio


Il vedervi intorno a me, diletti figli, convenuti per l'inaugurazione del nuovo anno giudiziario, è per il mio animo un motivo di letizia e di conforto, come lo è pure l'aver ascoltato dal degnissimo vostro decano, monsignor Heinrich Ewers, la conferma dei vostri sentimenti di comune gratitudine. Anch'io vi ringrazio di cuore e vi confermo i sentimenti di benevolenza che già manifestai ad ognuno di voi nella visita, a cui ha accennato monsignor decano.

1. L'8 dicembre scorso, come sapete, ho reso pubblico il mio messaggio per la celebrazione della XIII Giornata mondiale della pace, il cui contenuto si compendia in queste parole: "La verità, forza della pace". Vorrei trattenermi con voi, in questa occasione, sviluppando un particolare aspetto dello stesso argomento, che ha stretto rapporto col vostro ministero.

La verità non diventa forza della pace se non per il tramite della giustizia. La Sacra Scrittura, parlando dei tempi messianici, da una parte asserisce che la giustizia è fonte e compagna della pace: "Nei suoi giorni fiorirà la giustizia e abbonderà la pace" (Ps 72,2), dall'altra sottolinea ripetutamente il vincolo che associa la verità alla giustizia: "La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo" (Ps 85,12), ed ancora: "Giudicherà il mondo con giustizia, e con verità tutte le genti" (Ps 96,13). Ispirandosi a questi e ad altri testi dei libri sacri, teologi e canonisti, sia medievali che moderni, giungono ad affermare che la giustizia ha un suo rapporto di dipendenza nei confronti della verità: "Veritas - asserisce un famoso assioma canonistico - est basis, fundamentum seu mater iustitiae" (A. Barbosa "De Axiomatibus Iuris usufrequentioribus", Axioma 224, "Veritas", 5; "Tractatus varii", Lugduni 1678, 136); e parimenti si sono espressi i teologi, con a capo san Tommaso (S.Thomae I 21,2,c), il cui pensiero sintetizzo Pio XII affermando con vigore che "la verità è la legge della giustizia", e poi commentando: "Il mondo ha bisogno della verità che è giustizia, e di quella giustizia che è verità" (Pii XII "Allocutio ad Sacram Romanam Rotam, die 1 oct. 1942, in AAS 34 [1942] 342,5).


2. Per riferirmi al campo, che è propriamente vostro, in tutti i processi ecclesiastici la verità deve essere sempre, dall'inizio fino alla sentenza, fondamento, madre e legge della giustizia. E poiché oggetto prevalente della vostra attività è "la nullità o meno del vincolo matrimoniale" - come ha testé affermato monsignor decano - mi è sembrato opportuno dedicare, in questo nostro incontro, alcune riflessioni ai processi matrimoniali di nullità.

Fine immediato di questi processi è di accertare l'esistenza o meno dei fatti che, per legge naturale, divina od ecclesiastica, invalidano il matrimonio, cosicché si possa giungere all'emanazione di una sentenza vera e giusta circa l'asserita non esistenza del vincolo coniugale.

Il giudice canonico deve perciò stabilire se quello celebrato è stato un vero matrimonio. Egli è, quindi, legato dalla verità, che cerca di indagare con impegno, umiltà e carità.

E questa verità "renderà liberi" (cfr. Jn 8,32) coloro che si rivolgono alla Chiesa, angosciati da situazioni dolorose, e soprattutto dal dubbio circa l'esistenza o meno di quella realtà dinamica e coinvolgente tutta la personalità di due esseri, che è il vincolo matrimoniale.

Per limitare al massimo i margini di errore nell'adempimento di un servizio così prezioso e delicato qual è quello da voi svolto, la Chiesa ha elaborato una procedura che, nell'intento di accertare la verità oggettiva, da una parte assicuri le maggiori garanzie alla persona nel sostenere le proprie ragioni, e, dall'altra, rispetti coerentemente il comando divino: "Quod Deus coniunxit homo non separet" (Mc 10,3).

Importanza degli atti istruttori


3. Tutti gli atti del giudizio ecclesiastico, dal libello alle scritture di difesa, possono e debbono essere fonte di verità; ma in modo speciale debbono esserlo gli "atti della causa", e, tra questi, gli "atti istruttori", poiché l'istruttoria ha come fine specifico quello di raccogliere le prove sulla verità del fatto asserito, affinché il giudice possa, su questo fondamento, pronunziare una sentenza giusta.

A questo scopo e dietro citazione del giudice compariranno, per essere interrogati, le parti, i testi, ed eventualmente i periti. Il giuramento di dire la verità, che viene richiesto a tutte queste persone, sta in perfetta coerenza con la finalità dell'istruttoria: non si tratta di creare un evento che non è mai esistito, ma di mettere in evidenza e far valere un fatto verificatosi nel passato e perdurante forse ancora nel presente. Certamente ognuna di queste persone dirà la "sua verità", che sarà normalmente la verità oggettiva o una parte di essa, spesso considerata da diversi punti di vista, colorata con le tinte del proprio temperamento, forse con qualche distorsione oppure mescolata con l'errore; ma in ogni caso tutte dovranno agire lealmente, senza tradire né la verità che credono sia oggettiva, né la propria coscienza.

Dalla certezza morale alla sentenza


4. Alessandro II osservava nel sec. XII: "Saepe contingit quod testes, corrupti praetio, facile inducantur ad falsum testimonium proferendum" (C. 10, X, "De Praesumptionibus", II,23). Purtroppo nemmeno oggi i testi sono immuni dalla possibilità di prevaricare. Per questo Pio XII, nella allocuzione sull'unità di fine e di azione nelle cause matrimoniali, esortava non soltanto i testimoni, ma tutti coloro che partecipano al processo a non scostarsi dalla verità: "Mai non avvenga che nelle cause matrimoniali dinanzi ai tribunali ecclesiastici abbiano a verificarsi inganni, spergiuri, subornazioni o frodi di qualsiasi specie!" (Pii XII "Allocutio ad Sacram Romanam Rotam", die 2 oct 1944, AAS 36 [1944] 282).

Se questo pero avvenisse, gli atti istruttori non sarebbero certamente sorgenti limpide di verità, che potrebbero portare i giudici, nonostante la loro integrità morale e il loro leale sforzo per scoprire la verità, a errare nel pronunziare la sentenza.


5. Finita l'istruttoria, inizia per i singoli giudici, che dovranno definire la causa, la fase più impegnativa e delicata del processo. Ognuno deve arrivare, se possibile, alla certezza morale circa la verità o esistenza del fatto, poiché questa certezza è requisito indispensabile affinché il giudice possa pronunziare la sentenza: prima, per così dire, in cuor suo, poi dando il suo suffragio nell'adunanza del collegio giudicante.

Il giudice deve ricavare ideale certezza "ex actis et probatis". Anzitutto "ex actis", poiché si deve presumere che gli atti siano fonte di verità. perciò il giudice, seguendo la norma di Innocenzo III, "debet universa rimari" ("Iudex... usque ad prolationem sententiae debet universa rimari", C. 10, X, "De Fide instrumentorum", II,22), cioè deve scrutare accuratamente gli atti, senza che niente gli sfugga. Poi "ex probatis", perché il giudice non può limitarsi a dar credito alle sole affermazioni; anzi deve aver presente che, durante l'istruttoria, la verità oggettiva possa essere stata offuscata da ombre indotte per cause diverse, come la dimenticanza di alcuni fatti, la loro soggettiva interpretazione, la trascuratezza e talvolta il dolo e la frode. E' necessario che il giudice agisca con senso critico. Compito arduo, perché gli errori possono essere molti, mentre invece la verità è una sola. Occorre dunque cercare negli atti le prove dei fatti asseriti, procedere poi alla critica di ognuna di tali prove e confrontarla con le altre, in modo che venga attuato seriamente il grave consiglio di san Gregorio Magno: "Ne temere indiscussa iudicentur" (S.Gregorii Magni "Moralium" l. 19, c. 25, n. 46: PL 76,126).

Ad aiutare quest'opera delicata ed importante dei giudici sono ordinati le "memoriae" degli avvocati, le "Animadversiones" del difensore del vincolo, l'eventuale voto del promotore di giustizia. Anche costoro nello svolgere il loro compito, i primi in favore delle parti, il secondo in difesa del vincolo, il terzo in iure inquirendo, devono servire alla verità, perché trionfi la giustizia.


6. Bisogna pero aver presente che scopo di questa ricerca non è una qualsiasi conoscenza della verità del fatto, ma il raggiungimento della "certezza morale", cioé, di quella conoscenza sicura che "si appoggia sulla costanza delle leggi e degli usi che governano la vita umana" (Pii XII "Allocutio ad Sacram Romanam Rotam", die 1 oct. 1942: AAS 34 [1942] 339,1). Questa certezza morale garantisce al giudice di aver trovato la verità del fatto da giudicare, cioé la verità che è fondamento, madre e legge della giustizia, e gli dà quindi la sicurezza di essere - da questo lato - in grado di pronunziare una sentenza giusta. Ed è proprio questa la ragione per cui la legge richiede tale certezza dal giudice, per consentirgli di pronunziare la sentenza (CIS 1869, § 1).

Facendo tesoro della dottrina e della giurisprudenza sviluppatesi soprattutto in tempi più recenti, Pio XII dichiaro in modo autentico il concetto canonico di certezza morale nell'allocuzione rivolta al vostro tribunale il 1 ottobre 1942(Pii XII "Allocutio ad Sacram Romanam Rotam", die 1 oct. 1942: AAS 34 [1942], 339-343). Ecco le parole che fanno al caso nostro: "Tra la certezza assoluta e la quasi-certezza o probabilità sta, come tra due estremi, quella certezza-morale della quale d'ordinario si tratta nelle questioni sottoposte al vostro foro... Essa, nel lato positivo, è caratterizzata da ciò che esclude ogni fondato o ragionevole dubbio e, così considerata, si distingue essenzialmente dalla menzionata quasi-certezza; dal lato poi negativo, lascia sussistere la possibilità assoluta del contrario, e con ciò si differenzia dall'assoluta certezza. La certezza, di cui ora parliamo, è necessaria e sufficiente per pronunziare una sentenza" (Pii XII "Allocutio ad Sacram Romanam Rotam", die 1 oct. 1942: AAS 31[1942], 339-340,1).

Di conseguenza a nessun giudice è lecito pronunziare una sentenza a favore della nullità di un matrimonio, se non ha acquisito prima la certezza morale sull'esistenza della medesima nullità. Non basta la sola probabilità per decidere una causa. Varrebbe per ogni cedimento a questo riguardo quanto è stato detto saggiamente delle altre leggi relative al matrimonio: ogni loro rilassamento ha in sé una dinamica impellente, "cui, si mos geratur, divortio, alio nomine tecto, in Ecclesia tolerando via sternitur" (Epistola Cardinalis Praefecti Consilii pro Pubblicis Ecclesiae Negotiis ad Praesidem Conferentiae Episcopalis Confoederatorum Statuum Americae Septemtrionalis, die 20 iunii 1973).

I doveri del Giudice


7. L'amministrazione della giustizia affidata al giudice è un servizio alla verità e nello stesso tempo è esercizio di una mansione appartenente all'ordine pubblico.

Poiché al giudice è affidata la legge "per la sua razionale e normale applicazione" (Pauli VI "Allocutio ad Sacram Romanam Rotam", die 31ian. 1974: AAS 66 [1974] 87).

Occorre, dunque, che la parte attrice possa invocare a suo favore una legge, la quale riconosca nel fatto allegato un motivo sufficiente, per diritto naturale o divino, positivo o canonico, ad invalidare il matrimonio; attraverso questa legge si farà il passaggio dalla verità del fatto alla giustizia o riconoscimento di ciò che è dovuto.

Gravi e molteplici sono, perciò, i doveri del giudice verso la legge.

Accenno soltanto al primo e più importante, che d'altronde porta con sé tutti gli altri: la fedeltà! Fedeltà alla legge, a quella divina naturale e positiva, a quella canonica sostanziale e procedurale.


8. L'oggettività tipica della giustizia e del processo, che nella "quaestio facti" si concretizza nella aderenza alla verità, nella "quaestio iuris" si traduce nella fedeltà; concetti che, come è manifesto, hanno una grande affinità fra loro. La fedeltà del giudice alla legge lo deve portare ad immedesimarsi con essa, cosicché si possa dire con ragione, come scriveva M.T. Cicerone, che il giudice è la stessa legge che parla: "Magistratum legem esse loquentem" (M.T. Ciceronis "De Legibus", l. 3, n. I,2: éd de l'Association G. Budé, Paris 1959, p. 82). Sarà poi questa stessa fedeltà a spingere il giudice ad acquistare quell'insieme di qualità di cui ha bisogno per eseguire gli altri suoi doveri nei confronti della legge: sapienza per comprenderla, scienza per illustrarla, zelo per difenderla, prudenza per interpretarla, nel suo spirito, oltre il "nudus cortex verborum", ponderatezza e cristiana equità per applicarla.

E' per me motivo di conforto aver potuto constatare quanto grande sia stata la vostra fedeltà alla legge della Chiesa in mezzo alle circostanze non facili degli ultimi anni, quando i valori della vita matrimoniale, giustamente messi in particolare luce dal Concilio Vaticano II, ed il progresso delle scienze umane, in specie della psicologia e della psichiatria, hanno fatto confluire al vostro tribunale nuove fattispecie e nuove impostazioni delle cause matrimoniali, non sempre corrette. E' stato merito vostro, dopo un serio e delicato approfondimento della dottrina conciliare e delle suddette scienze, elaborare delle "quaestiones iuris" in cui avete eseguito egregiamente i vostri doveri verso la legge, separando il vero dal falso o facendo luce dove c'era confusione, come, ad esempio, riconducendo non poche fattispecie, che erano presentate come nuove, al capo fondamentale della mancanza di consenso. così anche avete ribadito "a contrario" lo splendido magistero del mio predecessore, il Papa Paolo VI di venerabile memoria, sul consenso come essenza del matrimonio (cfr. Pauli VI "Allocutio ad Sacram Romanam Rotam", die 9 febr. 1976: AAS 68 [1976] 204-208).

Fedeltà dei giudici alla legge 9. Questa fedeltà permetterà altresi a voi, giudici, di dare alle questioni che vi sono sottoposte, una risposta chiara e rispettosa, come esige il vostro servizio alla verità: se il matrimonio è nullo e tale è dichiarato, le due parti sono libere nel senso che si riconosce che mai furono in realtà legate; se il matrimonio è valido e tale è dichiarato, si constata che i coniugi hanno celebrato un matrimonio, che li impegna per tutta la vita ed ha conferito loro la grazia specifica per realizzare nella loro unione, instaurata in piena responsabilità e libertà, il loro destino.

Il matrimonio, uno ed indissolubile, come realtà umana, non è qualcosa di meccanico e di statico. La sua buona riuscita dipende dalla libera cooperazione dei coniugi con la grazia di Dio, dalla loro risposta al suo disegno d'amore. Se, a causa della mancata cooperazione a questa grazia divina, l'unione fosse rimasta priva dei suoi frutti, i coniugi possono e debbono far ritornare la grazia di Dio, a loro assicurata dal sacramento, rinverdire il loro impegno per vivere un amore, che non è fatto soltanto di affetti e di emozioni, ma anche e soprattutto di dedizione reciproca, libera, volontaria, totale, irrevocabile.

E' questo il contributo che a voi, giudici, è chiesto a servizio di quella realtà umana e soprannaturale, così importante, ma oggi anche così insidiata, che è la famiglia.

Prego per voi, affinché Gesù Cristo, sole di verità e di giustizia, sia sempre con voi, affinché le decisioni del vostro tribunale rispecchino sempre quella superiore giustizia e verità che da voi promana. E' questo il cordialissimo augurio che vi faccio nell'inaugurazione del nuovo anno giudiziario, e lo accompagno con la mia benedizione apostolica.

Data: 1980-02-04 Data estesa: Lunedi 4 Febbraio 1980.


Al personale della radio Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La voce della Chiesa

Carissimi! "Laudetur Jesus Christus": mi rivolgo a voi col saluto a me caro, che è anche, da sempre, il motto distintivo della radio Vaticana.

Sono lieto di trovarmi qui tra voi, per questo familiare incontro, proprio alla vigilia dell'inizio del 50° anno di vita della radio Vaticana e a dieci anni dall'inaugurazione di questa sede di palazzo Pio.

So bene che non tutti i dipendenti della radio Vaticana possono essere qui fisicamente presenti, perché trattenuti dalle esigenze di un servizio che non conosce soste; ma so anche che le altre sedi, a santa Maria di Galeria e nei giardini vaticani, sono in questo momento collegati con noi via radio. Ad essi dunque, come a voi qui presenti, ed in particolare ai venerati fratelli, i signori Cardinali Agostino Casaroli e Sergio Guerri, porgo il mio cordiale saluto.

Pronta all'appuntamento che la tecnica le apriva, la santa Sede fin dagli albori della radiofonia ha intuito l'importanza eccezionale di questo strumento ai fini della evangelizzazione, della comunione ecclesiale e della comprensione e solidarietà tra i popoli. La radio, infatti, le offriva una possibilità di comunicazione istantanea, nelle più diverse direzioni, e senza ostacoli di frontiere.

E ben ne ebbe coscienza il mio venerato predecessore, Pio XI, quando inaugurando le trasmissioni della radio da lui voluta, inizio il suo radiomessaggio con le parole stesse della Sacra Scrittura: "Udite, o cieli, quello che sto per dire, ascolti la terra le parole della mia bocca. Udite, o genti tutte" (Pii XI "Nuntius radiophonicus ad universam creaturam", die 12febr. 1931: AAS 23 [1931] 65).

Da quel giorno "scopo essenziale della radio Vaticana - come disse Papa Paolo VI nel corso dell'udienza concessa al personale della radio nel 40° anniversario della sua fondazione - è quello di unire direttamente il centro della cattolicità con i diversi paesi del mondo, di dare al Papa la possibilità di rivolgersi direttamente a tutti i fedeli della terra, e diffondere la sua parola e il suo pensiero, di informare sull'attività della santa Sede, di farsi eco della vita cattolica nel mondo, di mostrare il modo di vedere della Chiesa e, in genere, di esporre il messaggio cristiano" (Pauli VI "Allocutio moderatoribus atque ad ministris radiophonicae Stationis Vaticanae quadragesimo exacto anno ex quo ipsa Statio constituta est", die 27 febr. 1971: AAS 63 [1971] 228).

La radio Vaticana, quindi, attraverso la quotidiana instancabile attività di informazione, di evangelizzazione, di catechesi, di autentica promozione dell'uomo nella luce del suo Rendentore, e con sensibilità al dialogo ecumenico e interculturale, si sforza di rendere presente il cuore stesso della Chiesa ad ogni sua parte, soprattutto collegando immediatamente con la sede di Pietro e tra loro quelle Chiese locali che si trovano in precarie condizioni di libertà religiosa. So per esperienza personale quanto la voce deUa radio Vaticana sia attesa per confortare la fede e sostenere la speranza dei credenti.

Voi siete certamente fieri di servire la Chiesa attraverso la radio Vaticana, ma non potete non essere nello stesso tempo consapevoli della grande delicatezza del compito e della responsabilità che esso esige.

Questo incontro, che già da tempo ho desiderato, mi consente anche di constatare con soddisfazione gli sviluppi che l'emittente della santa Sede ha potuto realizzare sul piano sia delle attrezzature tecniche sia della produzione dei programmi, nonché nella organizzazione dei servizi; sviluppi che ne fanno uno strumento moderno e professionalmente dotato per adempiere ai suoi compiti istituzionali.

In questo sforzo di potenziamento, che comporta notevoli oneri, il governatorato dello Stato della Città del Vaticano si è reso benemerito, sostenendo una attività di apostolato il cui respiro va ben oltre l'ambito del territorio vaticano.

Mi rallegro particolarmente di vedere che si va compiendo così il disegno di Paolo VI che ha voluto destinare alla radio Vaticana questa degna sede e che nel 1966 esprimeva il proposito di dare alla radio "nuovi perfezionamenti e nuovi incrementi, specialmente per quanto riguarda il settore dei programmi. E' questa - aggiungeva - la parte principale dell'opera relativa alla radio, cioé il suo scopo, il suo uso, la sua effettiva utilità" (Paolo VI "Discorso per l'inaugurazione di tre nuovi trasmettitori della radio Vaticana a santa Maria di Galeria", 30 giugno 1966: Insegnamenti di Paolo VI, IV [1966] 347).

Ma, parallelamente allo sviluppo delle sezioni linguistiche e dei servizi centrali, redazionali e amministrativi, nello stesso tempo anche il settore delle installazioni tecniche ha proseguito nel suo potenziamento: mi è noto che già da qualche tempo è in attività, sia pure sperimentale, il nuovo trasmettitore a onda corta di 500 kilowatt ad antenna rotante, che permette alla radio Vaticana, pur nella limitatezza dei suoi mezzi, di far sentire la sua voce anche nei paesi più lontani, nonostante il crescente affollamento dell'etere.

Un altro speciale motivo di soddisfazione nell'incontrarvi è il constatare che voi rappresentate quasi uno "specimen" della Chiesa universale.

Producete trasmissioni in 33 lingue, e appartenete a 43 diverse nazionalità. Tra voi vi sono uomini e donne, padri e madri di famiglia, sacerdoti e laici impegnati, religiosi e religiose di 20 differenti ordini e congregazioni. Tra questi ultimi, più numeroso il gruppo dei membri della Compagnia di Gesù, ad alcuni dei quali sono affidati compiti di particolare responsabilità.

Tutti voi siete accomunati in uno stesso ideale e collaborate in armonia, superando le diversità linguistiche e culturali, in una radio che è immagine della Chiesa, nella quale nessuno è straniero.

Nello stesso tempo conservate tutto il patrimonio delle vostre singole culture che vi consente di trovare un linguaggio efficace, perché connaturale a coloro che vi ascoltano.

Non vorrei dimenticare, anche se non sono qui presenti, tutti i collaboratori, in gran parte volontari e disinteressati, che arricchiscono col loro talento e con la loro competenza il contenuto delle trasmissioni.

Infine il mio pensiero va alla grande famiglia dei vostri ascoltatori, sparsi in tutto il mondo, e dei quali la richiesta più pressante è quella di trasmissioni di maggior durata. E' per essi, per renderli partecipi soprattutto dei grandi eventi ecclesiali, che la radio Vaticana si mobilita, dai suoi redattori ai suoi tecnici. Per essi, in particolari ma frequenti occasioni, fornisce la modulazione sonora ad altri organismi radiotelevisivi con essa collegati. Per essi la radio Vaticana segue il Papa nei suoi viaggi apostolici, come pure nelle sue visite pastorali alle parrocchie della sua diocesi.

Il Papa sa che, al di là delle masse che si stringono attorno a lui, vi sono sempre delle folle invisibili che si mettono in ascolto per coglierne la parola e la stessa voce. Anche attraverso la radio si edifica ogni giorno la Chiesa. Questa convinzione e questa speranza, con il costante conforto di una filiale devozione a Maria santissima, Madre di Cristo e della Chiesa, vi accompagni nel vostro quotidiano lavoro.

Nell'esprimervi il mio grato apprezzamento per la vostra generosa dedizione, imparto di cuore la mia benedizione a voi tutti, ai vostri cari ed ai vostri collaboratori, qui presenti o collegati radiofonicamente.

Data: 1980-02-05 Data estesa: Martedi 5 Febbraio 1980.


GPII 1980 Insegnamenti - Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)