GPII 1980 Insegnamenti - Udienza - Città del Vaticano (Roma)

Udienza - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ad un gruppo di sportivi di Ascoli

Cari dirigenti e giocatori dell'Ascoli-Calcio! Ho accolto volentieri il vostro desiderio di essere da me ricevuti in udienza, perché conosco i gentili sentimenti che avete per la mia persona, ed anche - come mi conferma il vostro Vescovo - la sincerità della vostra fede di cristiani. Ma tanto più volentieri l'ho accolto, perché mi è dato in tal mondo di soddisfare un debito del mio venerato predecessore Paolo VI, il quale alcuni anni fa, all'inizio della vostra ascesa nel massimo campionato nazionale, ricevette un'analoga domanda, a cui, pero, non poté dare positiva risposta per altri urgenti impegni di ministero.

Ecco perché l'odierno incontro assume un carattere particolare e, direi, più definito e più ricco. Quella che vi rivolgo vuol essere una parola semplice e schietta, che va alle vostre persone, alla professione sportiva, e si estende per analogia e, direi piuttosto, per associazione d'idee alla vita religiosa e morale.

Voglio esprimere, anzitutto, il mio compiacimento a voi singoli ed insieme al Sodalizio, a cui appartenete, il quale fin dalla fondazione nel lontano 1898 ha conseguito meritati successi. da quella data che l'Ascoli-Calcio sta sulla breccia, e pian piano, per lo sforzo concorde dei tecnici e degli atleti, ma anche per il fervore di una cittadinanza entusiasta e partecipe, è arrivata all'onore di far parte delle compagini calcistiche di serie A e - quel che più conta - di misurarsi con esse in numerose competizioni. Non è poco davvero, se si pensa che la città, pur nobile e antica, è relativamente piccola per area e per numero di abitanti. Me ne congratulo di cuore! Ma questo vostro successo, le affermazioni da cui è esso costituito ed anche gli sforzi e i sacrifici che comporta, mi suggeriscono di portare il discorso dal valore e dal significato dello sport al valore ed al significato della vita umana, di cui quello è - come conferma la storia - una importante e costante manifestazione. A questo proposito, mi soccorre una parola altamente significativa dell'apostolo San Paolo: nella prima delle sue due Lettere ai fedeli della città di Corinto, che fu nell'antica Grecia la famosa sede dei Giochi Istmici, egli volle attingere un appropriato insegnamento di carattere religioso dalla pratica agonistica. Per esortare quei suoi figli che "aveva generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo" e spronarli all'imitazione di se stesso (cfr. 1Co 4,15-16), egli evocava l'immagine, per loro consueta, dei corridori e dei lottatori nello stadio, i quali, pur di ottenere il premio riservato ad uno solo, si sottopongono ad ogni sorta di sacrifici: "Ed essi lo fanno - commentava l'apostolo - per guadagnare una corona corruttibile, noi invece per una corona eterna" (1Co 9,24-25).

Ecco, carissimi figli e fratelli, la lezione che desidero proporvi a ricordo di questo familiare e tanto gradito incontro: all'augurio perché la vostra professione sportiva si ispiri sempre ai nobili ideali della lealtà e del coraggio, della correttezza e della cavalleria, aggiungo l'augurio per la vostra professione cristiana, la quale, lungi dall'essere in posizione di estraneità o di contraddizione con la prima, deve piuttosto integrarla, con l'apporto ovviamente anche di altri fattori, ed insieme elevarla perché abbia compiutezza la stessa personalità. Il cristianesimo è di per sé una religione che richiede un serio e forte impegno nel campo spirituale e morale, ed oggi specialmente - agli occhi di un mondo tanto spesso distratto o indifferente - diventa credibile solo se si traduce, nella vita dei singoli cristiani, in una coerente e trasparente professione di vita. E professione - badate bene - vuol dire quasi confessione, cioè è come un dichiarare e un testimoniare con i fatti quel che si è. In parole più semplici voglio dirvi: come siete bravi calciatori, così procurate anche di essere bravi cristiani, fedeli sempre al Signore, alla sua Chiesa, alla sua Legge di amore per Lui ed i fratelli.

Vi conforti in tale impegno la propiziatrice Benedizione Apostolica, che vi imparto ora di cuore ed estendo ai vostri familiari ed amici.

Data: 1980-02-09 Data estesa: Sabato 9 Febbraio 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Annuncio del pellegrinaggio a Norcia

1. La Chiesa come "communio": tale è stata l'idea fondamentale e il filo conduttore del Sinodo dei Vescovi olandesi, svoltosi recentemente. Questa idea trova la sua sorgente nella Rivelazione, nella Tradizione, nella dottrina dei Padri, nel magistero del Concilio Vaticano II.

Infatti tutta la Chiesa, come insegna la costituzione LG 4). In questa divina unità, ossia comunione, siamo stati introdotti, prima di tutto, per l'opera del Figlio - Verbo eterno, che per la potenza dello Spirito Santo è divenuto Uomo nel seno della Vergine per plasmare, fra tutte le generazioni umane, fra i popoli, le nazioni, le razze e le culture, la Chiesa, cioé un Popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Mentre ci incontriamo, in questa domenica, per meditare insieme, nella preghiera dell'"Angelus", il mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio, preghiamo per questa "comunione", sulla quale i Vescovi della Chiesa di Olanda hanno consolidato, durante il Sinodo, la loro unità, desiderando, in questo modo, di servire l'unità della Chiesa per la quale lo Spirito Santo li ha costituiti pastori.


2. Nel corso del Sinodo è apparso chiaro, quale importanza abbia, per la costruzione della comunione, quel dialogo, a cui ha dedicato la sua prima enciclica "Ecclesiam Suam" il compianto Papa Paolo VI.

Avendo in mente il dialogo "all'interno della Chiesa", egli ha scritto, tra l'altro, così: "Quanto lo vorremmo godere questo domestico dialogo! quanto lo vorremmo intenso e familiare! quanto sensibile a tutte le verità, a tutte le virtù, a tutte le realtà del nostro patrimonio dottrinale e religioso!" (Pauli VI "Ecclesiam Suam": AAS 56 [1964] 657). E Paolo VI parlo altresi del desiderio di "improntare i rapporti interiori della Chiesa dello spirito proprio d'un dialogo fra i membri di una comunità, di cui la carità è principio costruttivo" (Pauli VI "Ecclesiam Suam": AAS 56 [1964] 657).

L'esperienza del recente Sinodo, in tutti i suoi partecipanti, rimarrà certamente legata proprio a tale dialogo, che mediante il sincero scambio di idee ha condotto alla comprensione, all'avvicinamento e all'unione reciproca nella chiara consapevolezza di essere nella Chiesa ministri della verità e della carità.


3. In questi giorni, nell'ambito degli organismi della santa Sede, si sono svolti due importanti avvenimenti: l'annuale assemblea plenaria del segretariato per l'unione dei cristiani e quella della pontificia commissione "Iustitia et Pax".

I membri del segretariato per l'unione dei cristiani hanno approfondito il tema: "La testimonianza comune". E' chiaro che questa testimonianza, che noi tutti cristiani dobbiamo oggi rendere a Gesù, è limitata ed incompleta finché siamo in disaccordo sul contenuto della fede, che dobbiamo annunziare al mondo. E' quindi di estrema importanza pregare intensamente per la grande causa dell'unità dei cristiani.

La pontificia commissione "Iustitia et Pax", da parte sua, ha discusso vari problemi di vivo interesse per la Chiesa e per il mondo d'oggi, in particolare il tema dello "sviluppo". Lo sviluppo collettivo, organico, continuo è il presupposto indispensabile per assicurare il concreto esercizio dei diritti dell'uomo; la Chiesa sa e proclama che la misura di ogni sviluppo reale è l'integrità e il rispetto della persona umana, e pertanto essa presenta agli uomini l'ideale dell'amore sociale, da opporre all'egoismo, allo sfruttamento, alla violenza.


4. Oggi è anche la festa liturgica di santa Scolastica, vergine, sorella di san Benedetto, nati ambedue 1500 anni fa a Norcia.

In questa occasione sono lieto di annunziarvi che domenica 23 marzo prossimo mi rechero in pellegrinaggio in quella città, per partecipare anch'io ai solenni festeggiamenti per il XV centenario della nascita di questi due santi, ai quali non solo la Chiesa ma anche l'Europa medioevale e moderna debbono tanto.

E proprio a Norcia, l'antichissima città ricca di storia e di arte, culla dell'ordine benedettino, vorro esprimere, a nome di tutto il Popolo di Dio, il profondo ringraziamento alla Trinità santissima per aver fatto all'umanità il dono magnifico di queste due grandi personalità, e inoltre mi incontrero con quelle buone popolazioni, tanto fedeli a Cristo e alla Chiesa, per salutarle, per incoraggiarle, e spiritualmente per confortarle nella dura calamità che di recente le ha tanto provate.

Per tutte queste intenzioni salga ora la nostra preghiera, carissimi, alla Madre di Dio e Madre della Chiesa.

Data: 1980-02-10 Data estesa: Domenica 10 Febbraio 1980.


Alla parrocchia di san Timoteo - Casal Palocco (Roma)

Titolo: Il cristiano, come gli apostoli, è chiamato ad annunziare il Vangelo

1. Sono lieto di essere qui in mezzo a voi, cari fedeli della parrocchia di san Timoteo a Casal Palocco, per vivere un intenso momento di comunione ecclesiale insieme con voi, che, attraverso la mia umile persona, gioite oggi della presenza del vostro Vescovo, il quale, come afferma il Concilio, "sostiene le parti dello stesso Cristo, Maestro, Pastore e Pontefice, ed agisce in sua vece" (LG 21).

Sono lieto di riscoprire ed approfondire con voi, nei testi della liturgia della domenica odierna, la fondamentale vocazione-missione del cristiano che, come i profeti, come gli apostoli, è chiamato a svolgere il ministero di annunziare ed evangelizzare Cristo, rendendolo attuale mediante la propria viva testimonianza.

Animati dalla consapevolezza di un compito tanto esaltante, accogliete, cari fedeli, il mio saluto affettuoso, che si dirige anzitutto ai presenti e vuole al tempo stesso raggiungere ciascuno dei circa quindicimila abitanti del quartiere e le quattromila famiglie adunate spiritualmente attorno a questo tempio. Sappiate che tutti mi siete cari e che offro al Signore specialmente i pensieri e le intenzioni dei sofferenti nell'anima e nel corpo, dei bambini e dei meno favoriti dall'umana fortuna.

Il mio animo si rivolge ora riconoscente al Cardinale vicario e al Vescovo ausiliare monsignor Clemente Riva, che con sollecitudine ha svolto nel novembre scorso la visita pastorale in codesta comunità; al parroco, don Antonio Amori, ed ai sacerdoti suoi cooperatori, che con tanta dedizione hanno preparato questo nostro incontro. Non posso, inoltre, tralasciare una menzione per le religiose ed i religiosi, i quali prestano, anche saltuariamente, una speciale collaborazione alle iniziative parrocchiali.

Una speciale parola di compiacimento desidero far giungere a tutti i membri dei vari gruppi - gruppo catechistico, degli animatori giovanili, caritativo, di istruzione religiosa e neocatecumenale, ecc... - che, in stretta collaborazione col presbiterio, si propongono di evocare nella più larga cerchia di fedeli una risposta responsabile e fattiva alla loro vocazione cristiana.


2. A proposito di questa vocazione, il Vangelo di oggi ci offre abbondante materia di riflessione e tutte le letture della liturgia domenicale ci consentono di comprenderne ancor più a fondo il contenuto.

Ecco il quadro più frequente nel Vangelo: Cristo insegna. Insegna a quanti "gli fanno ressa" intorno "per ascoltare la parola di Dio" (Lc 5,2). Prima insegna sulla riva del lago di Genesaret, poi sale "in una barca, che era di Simone", ed avendolo pregato di scostarsi un poco da terra, continua ad ammaestrare le folle dalla barca (cfr. Lc 5,3). Cessato di parlare, egli si allontana dalla folla e comanda a Simone di prendere il largo e di calare le reti per la pesca (cfr. Lc 5,4).

L'avvenimento, che potrebbe sembrare consueto, assume di li a poco un carattere straordinario. La pesca, infatti, si dimostra particolarmente abbondante, il che sorprende Simone e gli altri pescatori, la cui precedente fatica, durata l'intera notte, non ha dato alcun risultato: "Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla" (Lc 5,5), dice Simone, quando Gesù chiede di calare le reti. Essi lo fanno esclusivamente per rispetto alle parole di Gesù, mossi da un motivo di stima e di obbedienza.

L'inaspettata, abbondantissima pesca, tale da richiedere l'aiuto dei compagni dell'altra barca, suscita in Simon Pietro una sua tipica reazione. Egli si getta ai piedi di Gesù e dice: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore" (Lc 5,8). Gli altri testimoni del miracoloso avvenimento, i fratelli Giacomo e Giovanni, non reagiscono allo stesso modo, ma anche loro sono presi da grande stupore per la straordinaria pesca compiuta (cfr. Lc 5,9).

Gesù, allora, rivolge a Simone le parole che danno a tutto l'avvenimento il significato profetico: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini" (Lc 5,10).


3. A diverse riprese possiamo constatare che il Signore Gesù ammaestra tutti quelli che si avvicinano per ascoltare la sua parola, tuttavia egli si propone di istruire in modo particolare gli apostoli, per introdurli nei "misteri del regno", che soprattutto essi devono conoscere, per credere nella propria missione. Gesù li educa al compito di futuri testimoni della sua potenza e di sicuri maestri di quella verità, che egli ha recato al mondo dal Padre, della verità che è egli stesso.

Il brano evangelico odierno ci mostra uno dei momenti particolari di tale sollecitudine, mediante la quale Gesù conferma gli apostoli e anzitutto Simon Pietro nella propria vocazione. Il metodo usato dal Maestro divino oltrepassa il semplice insegnamento, l'annunzio della parola e la spiegazione di essa. Per farla penetrare in profondità, Gesù conferma la verità della parola annunziata con la rivelazione della potenza sovrumana e soprannaturale di Dio, che si dirige direttamente a tutto l'uomo.

Di fronte alla rivelazione di questa potenza, la reazione dell'uomo è sempre quella manifestata da Simon Pietro: la presa di coscienza della propria indegnità e peccaminosità. E noi non diciamo sempre, prima della santa Comunione: "O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa..."? Pietro a sua volta afferma: "Allontanati da me che sono un peccatore" (Lc 5,8). San Paolo, mosso dallo stesso sentimento, scriverà: "Non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio" (1Co 15,9). così Isaia si difende dalla chiamata del Signore, che vorrebbe eludere, opponendo l'impurit delle proprie labbra, indegne di pronunziare la parola del Signore (cfr. Is 6,5).

Tale senso profondo di peccaminosità personale e di indegnità permette a Dio stesso di agire, consente alla sua grazia - grazia della divina chiamata - di diventare efficace.

Le labbra di Isaia, toccate da un carbone ardente, diventano pure ed il profeta può dire: "Eccomi, manda me!" (Is 6,8). Paolo, convertito da persecutore in apostolo, afferma: "Per grazia di Dio pero sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana" (1Co 15,10). Simon Pietro, invece, ascolta dalle labbra di Cristo stesso quelle parole rassicuranti: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini" (Lc 5,10).


4. Nelle letture di oggi è racchiusa una profonda lezione dimostrativa del nostro vero rapporto personale con Dio. E' necessario anzitutto che noi abbiamo un senso profondo della sua santità ed insieme un vivo sentimento della nostra colpa ed indegnità. Tanto più avvertiamo quest'ultimo, tanto più si svela a noi il primo: Dio nella maestà ineffabile della sua potenza e del suo amore; Creatore e Redentore dell'uomo; Sapienza, Giustizia, Misericordia; Dio Onnipresente, Onnisciente, Onnipotente.

Cristo ci manifesta col suo insegnamento tale mistero inscrutabile di Dio e nello stesso tempo ce lo avvicina, parlando il linguaggio degli uomini semplici, rendendo presente la potenza di Dio medesimo con segni visibili, quale ad esempio la pesca del lago di Genesaret.

Rifletta ognuno di noi se il suo rapporto interiore con Dio abbia i tratti che si manifestano nel comportamento di Simon Pietro, di Paolo di Tarso, del profeta Isaia; se la nostra relazione con Dio non sia troppo superficiale, unilaterale, interessata. Abbiamo paura del peccato, per non offendere il Padre ed il Figlio suo unigenito, che per noi ha accettato la passione e la morte sulla croce? Oppure manchiamo della coscienza di quella profonda indegnità nei confronti di colui che solo ed unico è santo? Impegnamoci in questo senso.


5. Oltre a ciò, le letture di oggi contengono pensieri ed indicazioni importanti per la vita di tutta la parrocchia, quale comunità del Popolo di Dio.

Cristo disse a Pietro: "D'ora in poi sarai pescatore di uomini" (Lc 5,10); tale pesca misteriosa corrisponde alla missione incessante della Chiesa, di ogni comunità nella Chiesa e di ogni cristiano. Condurre gli uomini vivi, le anime umane alla luce della fede ed alla sorgente dell'amore; mostrare loro il Regno di Dio presente nei cuori e nel disegno della storia dell'umanità; adunare tutti in quell'unità, il cui centro è Cristo: ecco la missione continua della Chiesa. Il Conciclio Vaticano II ha dato, nel suo insegnamento, la piena espressione di questa missione.

E come ai tempi di Gesù, così anche oggi, una tale missione esige un costante annunzio che prepari e faciliti l'accoglimento della verità divina e dell'amore fraterno. Essa esige che le singole persone, i gruppi, gli ambienti "si scostino a volte da terra" per "prendere il largo". E' necessario a tale penetrazione più profonda del Vangelo e dei divini misteri. E' particolarmente necessaria un'intimità familiare, esclusiva, fervida con Cristo e col Padre nello Spirito Santo, affinché maturino gli apostoli, cioé i cristiani perfetti, pronti a donare agli altri attingendo dalla propria pienezza, poiché la grazia di Dio in essi non è stata vana (cfr. 1Co 15,10 2Co 6,1).

Proprio per questo molteplice ed intenso lavoro della Chiesa nella vostra parrocchia, sono venuto qui oggi a pregare ed a chiedere insieme con voi, nel sacrificio eucaristico e nei successivi incontri, il dono di una matura testimonianza cristiana.

"Maestro... sulla tua parola gettero le reti" (Lc 5,5). La vostra comunità, i vostri pastori, tutte le anime apostoliche, religiosi, religiose e laici responsabili, tutti i parrocchiani non cessino di pensare così, animati da questo stesso spirito di fede, e di agire in conseguenza. Il Maestro e Signore è costantemente presente nella nostra barca! 6. Per rendere incisivo il vostro impegno e tradurre nella realtà viva del quartiere la vostra identità cristiana, desidero rivolgervi in particolare alcune esortazioni.

La vocazione del cristiano, si realizza sostanzialmente, oltre che nella vita di grazia, nella testimonianza di amore e di solidarietà, la quale richiede ovviamente un'apertura verso gli altri, accolti come tali, e sospinge ad uscire da se stessi, dalle proprie paure e difese, dalla tranquillità del proprio benessere, per comunicare ed insieme costruire un tessuto di rapporti reciproci, rivolti al bene spirituale, morale e sociale di tutti.

Inoltre, il vostro impegno di crescita cristiana si svolga nell'ambito della comunità parrocchiale, la quale deve offrire "un luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le differenze umane che vi si trovano e inserendole nell'universalità della Chiesa" (AA 10).

L'impegno poi per la santità della famiglia, per la consapevolezza della sua altissima missione e quello per la formazione dei giovani, che necessitano di ideali convincenti e trascinatori, costituisca un altro punto principalissimo della vostra solidale azione parrocchiale.

Vi assista nei vostri generosi sforzi la divina protezione, assicuratavi del resto dalla grazia della vostra vocazione cristiana, vi aiuti l'intercessione di Maria, Madre di Cristo e della Chiesa e vi conforti il convincimento che il Papa, vostro Vescovo, è con voi per confermarvi e per rassicurarvi, affinché la vostra parrocchia "possa adempire efficacemente, in questo tempo di grazia, la missione inalienabile, ricevuta dal Maestro: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni"" (Ioannis Pauli PP. II "Catechesi Tradendae"

Data: 1980-02-10 Data estesa: Domenica 10 Febbraio 1980.


Ai malati convenuti in san Pietro - Roma

Titolo: Testimoniare la forza della luce di Cristo

Venerati fratelli e figli carissimi! 1. E' con viva commozione e con gioia profonda che rivolgo stasera il mio cordiale saluto al signor Cardinale vicario, innanzitutto, ed agli altri porporati presenti; ai venerati fratelli nell'episcopato, ai sacerdoti del clero secolare e regolare, ed in particolare a quanti concelebrano con me questa eucaristia, che ci vede raccolti intorno all'altare di Cristo, per fare memoria delle meraviglie di grazia operate in colei che fiduciosamente invochiamo come Avvocata potente e Madre dolcissima.

Il mio saluto si rivolge, poi, alle religiose, presenti anche in questa circostanza in numero considerevole; ed ancora alle persone che fanno parte, a vario titolo, delle diverse associazioni mariane, come anche a tutti coloro che sono stati attratti a questa celebrazione dalla devozione che nutrono per la Vergine santissima.

Una parola particolare di saluto desidero riservare agli ammalati, che sono gli ospiti d'onore di questo incontro: a prezzo di non lievi sacrifici, essi hanno voluto essere presenti stasera per testimoniare di persona l'amore che li lega alla Madre celeste, al cui santuario di Lourdes molti di loro si sono certamente già recati in pellegrinaggio; siano i benvenuti fra di noi, insieme con quanti si prodigano nel prestare ad essi assistenza. Il mio saluto, dunque, si estende a tutti i convenuti in questa patriarcale Basilica di san Pietro, che riceve oggi una visita tanto eccezionale.

A tutti desidero esprimere la mia riconoscenza. Figli carissimi, mi sento debitore verso voi tutti. E' grazie a voi, infatti, se oggi viene trasferita in questa Basilica quella particolare realtà che porta il nome di Lourdes. Realtà della fede, della speranza e della carità. Realtà della sofferenza santificata e santificante. Realtà della presenza della Genitrice di Dio nel mistero di Cristo e della sua Chiesa sulla terra: una presenza particolarmente viva in quella porzione eletta della Chiesa, che è costituita dai malati e dai sofferenti.


2. Perché sono proprio i malati a pellegrinare verso Lourdes? Perché - ci domandiamo - quel luogo è diventato per loro quasi una "Cana di Galilea", a cui si sentono invitati in modo particolare? Che cosa li attira a Lourdes con tanta forza? La risposta bisogna cercarla nella parola di Dio, che ci è offerta dalla liturgia nella santa Messa che stiamo celebrando. A Cana c'era una festa di nozze, festa della gioia perché festa dell'amore. Possiamo immaginare facilmente il "clima" che regnava nella sala del banchetto. Anche quella gioia, tuttavia, come ogni altra realtà umana, era una gioia insidiata. Gli sposi non lo sapevano, ma la loro festa stava per trasformarsi in un piccolo dramma, a motivo del venir meno del vino. E quello, a pensarci bene, non era che il segno di tanti altri rischi ai quali il loro amore, che iniziava, sarebbe stato esposto successivamente.

Per loro fortuna, con essi "c'era la Madre di Gesù" e conseguentemente "fu invitato alle nozze anche Gesù" (cfr. Jn 2,1-2); il quale, sollecitato dalla Madre, cambio miracolosamente l'acqua in vino: il banchetto poté proseguire allegramente, e lo sposo si ebbe i complimenti del maestro di tavola (cfr. Jn 2,9-10), meravigliato della qualità dell'ultimo vino servito.

Ecco, carissimi fratelli e sorelle, il banchetto di Cana ci parla di un altro banchetto: quello della vita, a cui tutti desideriamo di assiderci per gustare un po' di gioia. Il cuore umano è fatto per la gioia e non dobbiamo meravigliarci se verso questa meta ognuno si protende. La realtà, purtroppo, sottopone invece tante persone all'esperienza, spesso martoriante, del dolore: malattie, lutti, disgrazie, tare ereditarie, solitudine, torture fisiche, angosce morali, un ventaglio di "casi umani" concreti, ognuno dei quali ha un nome, un volto, una storia.

Queste persone, se sono animate dalla fede, si volgono a Lourdes.

Perché? Perché sanno che là, come a Cana, "c'è la Madre di Gesù": e dove c'è lei, non può mancare suo Figlio. E' questa la certezza che muove le moltitudini, che ogni anno si riversano a Lourdes alla ricerca di un sollievo, di un conforto, di una speranza. Malati di ogni genere si recano in pellegrinaggio a Lourdes, sorretti dalla speranza che, per mezzo di Maria, si manifesti in loro la potenza salvifica di Cristo. E, in effetti, tale potenza si rivela sempre col dono di un'immensa serenità e rassegnazione, a volte con un miglioramento delle condizioni generali di salute, o addirittura con la grazia della completa guarigione, come attestano i numerosi "casi" che si sono verificati nel corso di oltre cento anni.


3. La guarigione miracolosa resta tuttavia, malgrado tutto, un avvenimento eccezionale. La potenza salvifica di Cristo propiziata dall'intercessione di sua Madre, si rivela a Lourdes soprattutto nell'ambito spirituale. E' al cuore dei malati che Maria fa udire la voce taumaturgica del Figlio: voce che scioglie prodigiosamente gli irrigidimenti dell'acredine e della ribellione, e ridà occhi all'anima per vedere in una luce nuova il mondo, gli altri, il proprio destino.

I malati scoprono a Lourdes il valore inestimabile della propria sofferenza. Nella luce della fede essi giungono a vedere il significato fondamentale che il dolore può avere non solo nella loro vita, interiormente rinnovata da tale fiamma che consuma e trasforma, ma anche nella vita della Chiesa, corpo mistico di Cristo. La Vergine santissima, che sul Calvario, ritta coraggiosamente accanto alla croce del Figlio (cfr. Jn 19,25), partecipo in prima persona alla sua passione, sa convincere sempre nuove anime ad unire le proprie sofferenze al sacrificio di Cristo, in un corale "offertorio" che, travalicando i tempi e gli spazi, abbraccia l'intera umanità e la salva.

Consapevoli di questo, nel giorno in cui la liturgia ricorda le apparizioni di Lourdes, noi vogliamo ringraziare tutte le anime volenterose che, soffrendo e pregando, collaborano in modo tanto efficace alla salvezza del mondo.

Che la Madonna sia accanto a loro, come fu accanto ai due sposi di Cana, e vegli perché non venga mai meno nel loro cuore il vino generoso dell'amore.

L'amore può infatti compiere il prodigio di far sbocciare sullo stelo spinoso della sofferenza la rosa fragrante della gioia.


4. Ma non voglio dimenticare i servi di Cana, che tanta parte ebbero nel compimento del miracolo di Gesù, prestandosi docilmente ad eseguire i suoi comandi. Infatti Lourdes è anche un prodigio di generosità, di altruismo, di servizio: a cominciare da Bernadette, che fu lo strumento privilegiato per trasmettere al mondo il messaggio evangelico della Vergine, per scoprire la polla d'acqua miracolosa, per chiedere la costruzione della "cappella"; soprattutto, essa seppe pregare e immolarsi, ritraendosi nel silenzio di una vita totalmente dedita a Dio. E come allora dimenticare l'immensa schiera di persone che, ispirandosi all'umile pastorella, si sono dedicate e si dedicano con straordinario amore al servizio del santuario, al funzionamento dei servizi, e specialmente alla cura dei malati? Perciò, il mio, il nostro pensiero di apprezzamento e di riconoscenza va ora a quanti si prodigano accanto a voi, carissimi ammalati, circondandovi delle loro cure premurose: i medici, il personale paramedico, tutti coloro che si prestano per i necessari servizi, sia durante i pellegrinaggi che nei luoghi dell'abituale degenza, oltre, soprattutto, ai vostri familiari, sui quali grava l'impegno maggiore assistenza.

Come i servi di Cana, i quali - a differenza del maestro di tavola - "sapevano" del prodigio compiuto da Gesù (cfr. Jn 2,9), possano coloro che vi assistono essere sempre consapevoli del prodigio di grazia che si compie nella vostra vita ed aiutarvi ad essere all'altezza del compito che vi è affidato da Dio.


5. Sorelle e fratelli carissimi, raccolti intorno all'altare noi continuiamo ora la celebrazione dell'eucaristia. Cristo è con noi: questa certezza diffonde nei nostri cuori un'immensa pace ed una gioia profonda. Noi sappiamo di poter contare su di lui qui e dappertutto, ora e sempre. Egli è l'amico che ci comprende e ci sorregge nei momenti bui, perché è l'"uomo dei dolori che ben conosce il patire" (Is 53,3). Egli è il compagno di viaggio che ridà calore ai nostri cuori, illuminandoli sui tesori di sapienza contenuti nelle Scritture (cfr. Lc 24,32).

Egli è il pane vivo disceso dal cielo, che può accendere in questa nostra carne mortale la scintilla della vita che non muore (cfr. Jn 6,51).

Riprendiamo perciò, con lena rinnovata, il cammino. La Vergine santa ci indica la strada. Come stella luminosa del mattino, ella brilla dinanzi agli occhi della nostra fede "quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore" (LG 68). Pellegrini in questa "valle di lacrime", noi sospiriamo verso di lei: "Mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del tuo seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria"!

Data: 1980-02-11Data estesa: Lunedi 11Febbraio 1980.







Udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dolore per l'Italia insanguinata

Non posso passare sotto silenzio l'orribile, indegno attentato, che è venuto ad aggiungersi alla tragica catena di delitti efferati, che stanno da troppo tempo insanguinando l'Italia: come sapete, ieri è stato freddamente assassinato, qui a Roma, il prof. Vittorio Bachelet, vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e già per lunghi anni membro attivo dell'Azione Cattolica Italiana, di cui fu anche presidente nazionale.

Ho avuto occasione di conoscere personalmente il professore Bachelet collaborando con lui nel pontificio consiglio per i laici dall'anno 196 7. Ho avuto anche modo di fare la conoscenza, in tale periodo, della sua famiglia: la consorte ed i figli. Di fronte alla terribile sofferenza che li ha colpiti, depongo oggi, nelle loro mani, l'espressione della mia viva partecipazione e delle mie sentite condoglianze. In pari tempo esprimo il mio profondo dolore a tutta la nazione italiana. So infatti di quale statura era questo uomo, che ora è caduto sotto la violenza di mani assassine. Egli è stato vittima dell'azione distruttrice del terrorismo: ne sono consapevole. Di ciò è cosciente anche la madre Chiesa, legata da duemila anni alla storia di questa terra e di questo popolo.

Per il sangue di questa nuova vittima la Chiesa eleva la sua voce perché gli uomini ritrovino se stessi e, con rinnovato impegno, operino per la salvezza della patria.

Data: 1980-02-13 Data estesa: Mercoledi 13 Febbraio 1980.


A monaci e monache dell'ordine basiliano di san Giosafat - Roma

Titolo: Nella Regola di san Basilio tesori di sapienza cristiana

Carissimi fratelli e sorelle nel Signore! Ho aderito volentieri al desiderio di una speciale udienza, espresso a suo tempo dal vostro rev.do padre protoarchimandrita, perché so quale importanza voi attribuite a questo incontro, col quale intendete solennizzare la conclusione del XVI° centenario della morte di san Basilio il Grande, a cui i vostri ordini, insieme con altri, si ispirano, come al loro fondatore ed insuperato modello.

Nel ringraziare il reverendo padre Isidoro Patrylo delle parole tanto cortesi, con cui ha interpretato i comuni sentimenti, rivolgo a tutti il mio saluto cordiale: a voi qui presenti, come anche ai monaci ed alle monache dei vostri ordini che, nelle varie comunità sparse nel mondo, si studiano di vivere nella fedele osservanza religiosa, nonostante le difficoltà non lievi che certe situazioni loro riservano.

La testimonianza di coraggioso attaccamento a Cristo, alla Chiesa, alla Regola, che vi è offerta da questi confratelli e consorelle, deve essere di esempio a tutti voi e stimolarvi ad una sempre più generosa e coerente adesione alla grazia singolare della vocazione, sulle orme di colui a cui voi guardate come a vostro legislatore e maestro.

L'insegnamento di san Basilio, pervaso com'è di un autentico "sensus Christi", resta attualissimo anche oggi. Non è significativo, a questo proposito, che la Regola prenda l'avvio dall'affermazione della centralità del comandamento dell'amore a Dio ed al prossimo alle cui esigenze la spiritualità moderna è così sensibile ed attenta? L'itinerario ascetico, che san Basilio traccia, è tutto orientato verso l'attuazione di questo ideale.

Se il monaco si impegna nella purificazione del cuore mediante la pratica della povertà, del silenzio, del distacco e di quella tipica virtù basiliana che è l'"attenzione a sé", lo fa perché la sapienza, che apre alla conoscenza e, quindi, all'amore di Dio, fiorisce nei cuori mondi. Anche la dedizione umile ed assidua alla preghiera ed al raccoglimento, tanto spesso raccomandata nella Regola, trova la sua giustificazione nella fiducia, fondata nella parola di Cristo, di poter così giungere più celermente ad aver Dio "nel cuore dell'anima" (cfr. S.Basilii "Parvum Ascetikon", Q. II,14ss et passim).

L'altro polo del "comandamento massimo", l'amore al prossimo, ha radici profonde nel cuore umano. San Basilio lo sa: "Chi è che ignora - egli domanda - che l'uomo è un animale dotato di amore e di comunicabilità e non qualche cosa di selvatico e feroce?" (S.Basilii "Parvum Ascetikon", Q. II,67). Il Vescovo di Cesarea sa, pero, anche quale sconvolgimento abbia recato il peccato nel cuore umano. Egli non si stanca, perciò, di ricordare ai suoi monaci che la possibilità di aprirsi con amore alle opere di misericordia verso il prossimo è frutto di una lotta prolungata e dura col proprio orgoglio, con i pensieri malvagi, col proprio egoismo. Solo chi sa conservare il cuore "intatto" (S.Basilii "Parvum Ascetikon", Q. II,85), sottraendolo alle suggestioni degli entusiasmi passeggeri e dispersivi (cfr. S.Basilii "Parvum Ascetikon", Q. II,83), può esprimere nella sua vita un'autentica capacità di donazione. In tale impegno altruistico, per altro, egli troverà il segreto di una piena realizzazione personale, giacché "chi ama il prossimo perfeziona la sua carità verso Dio, perché egli stesso riceve in sé tutto quello che è operato per il prossimo" (S.Basilii "Parvum Ascetikon", Q. II,77).

Sono queste alcune "perle" del ricchissimo tesoro contenuto nello "scrigno" della Regola. A voi il compito di trarne profitto, mediante lo sforzo, ogni giorno rinnovato, di tradurre nella vita quanto la riflessione personale sugli insegnamenti del vostro maestro e padre vi ha fatto scoprire. Con le stesse sue parole desidero anch'io esortarvi cordialmente a conservare nella vostra vita questo primato dell'amore a Dio e al prossimo, dedicandovi con instancabile sollecitudine "a quanto vi è di più eminente e perfetto: cosicché passiate ogni periodo della vostra vita nella ricerca delle cose migliori e nell'apprendimento di quelle più utili" (S.Basilii "Parvum Ascetikon", Proem., 7-8).

Con questo auspicio, invoco su di voi e sul vostro impegno religioso, che è attivo e contemplativo insieme, l'abbondanza dei favori celesti, mentre con particolare effusione di affetto imparto a voi ed ai componenti dei rispettivi ordini la propiziatrice benedizione apostolica.

Data: 1980-02-14 Data estesa: Giovedi 14 Febbraio 1980.


GPII 1980 Insegnamenti - Udienza - Città del Vaticano (Roma)