GPII 1980 Insegnamenti - Al Seminario Romano Maggiore - Città del Vaticano (Roma)

Al Seminario Romano Maggiore - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Come Maria, gioite del dono della vocazione

Cari seminaristi.

1. In questo giorno, dedicato alla festa della Madonna della fiducia, non poteva mancare, dopo la visita alla Pontificia Università Lateranense, un incontro con voi, che più particolarmente sento vicini al mio animo e che rappresentate la speranza di questa Chiesa di Roma.

Ci troviamo qui nel cuore della diocesi: accanto alla cattedra episcopale, fiorisce e lavora un benemerito istituto di scienze sacre, che si propone di presentare e approfondire il magistero vivo del romano pontefice e di tutto l'episcopato cattolico; e, sempre a pochi passi dalla Basilica Lateranense, sorge anche l'edificio che accoglie i futuri sacerdoti, i futuri collaboratori del Vescovo. Per questo, il seminario costituisce la parte più delicata e sensibile di tale cuore. Le sue mura, infatti, ospitano dei giovani che, volendo dare alla loro vita un'espressione generosa ed impegnata, si propongono di seguire più da vicino Gesù Signore sugli itinerari del mondo, per essere dispensatori dei divini misteri (cfr. 1Co 4,1).

Perciò, sono felice di essere in mezzo a voi, per effondere con voi verso il Signore, più che le parole, la fresca vivacità dei sentimenti e dei pensieri, rivolti alle necessità di questa diletta diocesi romana e delle altre diocesi a cui voi appartenete.

Unitamente al Cardinale vicario, che mi aiuta nel portare le responsabilità pastorali della comunità ecclesiale, rivolgo anzitutto al rettore, ai suoi collaboratori, e a voi tutti, un saluto riconoscente per il fervido invito; un saluto pieno di speranza nel vostro futuro, ed anche accompagnato dall'esortazione ad ascoltare fedelmente e gioiosamente colui che vi ha chiamati con efficace ed irresistibile accento: "Vieni e seguimi" (cfr. Mt 19,21).

Un particolare pensiero rivolgo anche a voi, giovani, che convenite qui sovente per partecipare ad incontri di preghiera e di riflessione, che possano illuminare l'altissimo ideale di donare totalmente se stessi all'amore di Cristo (cfr. Rm 10,15) nella vita sacerdotale.



2. Vogliamo ora soffermarci sul passo di Isaia che ci è stato proposto nella celebrazione di questi vespri solenni, per trarne alcune utili conslderazioni.

All'inizio del capitolo, il profeta, con parole che richiamano una investitura sacerdotale, annunzia di aver ricevuto un messaggio di consolazione nei riguardi di Israele (cfr. Is 61,1ss). Con Israele, divenuto ormai un popolo di sacerdoti, Dio concluderà una alleanza eterna (cfr. Is 61,6-8) adombrando così la realtà della Chiesa, popolo dei redenti. Di fronte a questa prospettiva messianica, erompe dal cuore del profeta, un canto di gioia riconoscente: "Io gioisco pienamente nel Signore; la mia anima esulta nel mio Dio" (Is 61,10).

La gioia dell'anima in Dio, manifestata con tali parole da Isaia, dirige immediatamente i nostri pensieri a Maria, la quale ha espresso segnatamente la sua gioia nel canto del Magnificat. La gioia di Maria fu la gioia della grazia, del dono ricevuto, cioè della vocazione per essere chiamata da Dio ad una missione che rappresenta certamente il vertice della dignità e dell'aspirazione della donna.

Per sua opera si doveva realizzare il grande, insondabile mistero, che il popolo di Israele, interpretando il desiderio e l'attesa dell'umanità intera, custodiva nella sua più profonda e viva tradizione religiosa: la presenza dell'"Emmanuele", cioè di Dio con noi.

La gioia di Maria fu quindi la gioia per la fiducia dimostratale da Dio, nell'affidarle se stesso nella persona del Figlio unigenito. Portando nel suo seno il Verbo incarnato, e donandolo al mondo, essa è divenuta la depositaria singolare della fiducia di Dio verso l'uomo, per cui giustamente Maria viene onorata come la Madre della divina fiducia.

La gioia espressa e cantata da Maria nel Magnificat è stata la più grande. che abbia invaso e trasformato il cuore umano; una gioia unita alla gratitudine più viva ed all'umiltà piu profonda. L'umiltà prepara e rende possibile il dono di Dio, la gratitudine lo custodisce, lo interiorizza e gli fa spazio.

Il dono offerto da Dio è sempre quello della salvezza dell'uomo, reso giusto e partecipe della santità di Dio, attraverso un ristabilito rapporto di comunione amorosa, di filiazione adottiva, di partecipazione alla natura divina.

Isaia, infatti, con immagine espressiva, afferma: "La mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto col manto della giustizia" (Is 61,10); nel Magnificat, Maria canta la gioia della sua maternità divina, che è la salvezza per tutti: "Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore... di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono" (Lc 1,47-50).


3. A voi tutti, qui riuniti, desidero augurare la stessa gioia annunziata da Isaia e vissuta intensamente da Maria: la gioia del dono salvifico di Dio che passa attraverso la vostra personale vocazione, espressione irripetibile del suo paterno affidamento nei vostri confronti. A voi che siete già consapevoli e certi della vostra chiamata, e del conseguente responsabile impegno, auspico la letizia di un felice possesso del dono divino e di una soave sua sperimentazione; mentre a quanti, già in seminario od ancora fuori di esso, sono alla ricerca fiduciosa della propria strada, auguro la gioia di un ascolto sereno della voce di Dio, e di un cammino nella certezza che il Signore ricolma di beni gli affamati e soccorre i suoi servi, a motivo della propria misericordia (cfr. Lc 1,53-54).

Per lasciarsi possedere da questa gioia del Signore, di cui ha scritto san Paolo nelle lettere ai Romani (cfr. Rm 15,13) ed ai Filippesi (cfr. Ph 4,4), è necessario essere fedeli e rispettosi della grazia che Dio ci comunica, prendendo sempre più profondamente coscienza del dono ricevuto e rendendoci consapevoli, in pari tempo, della nostra indegnità: "Un uomo dalle labbra impure io sono" (Is 6,5); "Signore allontanati da me che sono un peccatore" (Lc 5,8).

Nei riguardi del sacerdozio, tanto noi che lo abbiamo ricevuto, come anche voi che siete in cammino verso di esso, non possiamo pensare, in conformità con l'esempio di Maria, che Dio ci ha accordato la fiducia in modo del tutto particolare, e che anche a noi Cristo affida se stesso? Proprio attraverso il sacerdozio, egli ci ha rivestiti di una specialissima veste di salvezza.

Cari seminaristi e cari giovani, per rispondere ad una tale fiducia divina, alla grazia cioé della vocazione, bisogna soprattutto confidare; la grazia del Signore è più grande della nostra debolezza, è più grande della nostra indegnità, proprio come si esprime san Giovanni: "Davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri; Dio è più grande del nostro cuore" (1Jn 3,19-20). Dobbiamo confidare invincibilmente, così da meritare sempre la fiducia del Signore; e Maria che è madre della fiducia di Dio verso di noi, diventerà così, al tempo stesso, madre della nostra fiducia in lui.

La pia invocazione "Mater mea, fiducia mea", così cara a quanti sono stati formati in questo seminario, racchiude in sé il più profondo e pieno senso del nostro rapporto con Maria, la quale è lodata e venerata proprio mediante un tale riguardo di confidenza, di stima e di speranza. Infatti, "l'eterno amore del Padre, manifestatosi nella storia dell'umanità attraverso il Figlio,... si avvicina a ciascuno di noi per mezzo di questa Madre, ed acquista in tale modo segni più comprensibili ed accessibili a ciascun uomo. Di conseguenza Maria deve trovarsi su tutte le vie della vita quotidiana della Chiesa" (Ioannis Pauli PP. II RH 22).


4. Concludendo così le nostre riflessioni, mi piace racchiudere questa mia ultima esortazione in una espressione cara alla tradizione mariana del vostro s+eminario: "Aucti fiducia tui, fac ut spem Ecclesiae cumulemus". Sorretti e fortificati dalla tua fiducia in noi e dalla nostra confidenza in te, fa, o Maria, che noi colmiamo la speranza della Chiesa. Si, cari giovani, le vie della Chiesa sono quelle di Maria, ed una fiducia sempre più profonda in lei, Madre di ogni sacerdote, vi aiuti a percorrere con grande frutto il cammino della vostra vocazione, con vera consolazione della Chiesa intera.

Con questi voti e con grande affetto vi imparto la mia speciale benedizione apostolica.

Data: 1980-02-16 Data estesa: Sabato 16 Febbraio 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano - Curare le diverse vocazioni per servire la comunione


1. Anche oggi ci soffermiamo a riflettere su ciò che ha costituito il filo conduttore e fondamentale del Sinodo dei Vescovi dei Paesi Bassi, che recentemente ha concluso i suoi lavori: la "communio" (comunione).

Proprio nello spirito di tale communio, principio di quella unità, che deve caratterizzare il vincolo che stringe i pastori della Chiesa, i Vescovi olandesi si stanno ora adoperando per assolvere quei compiti, che hanno come scopo la communio, cioè la comunione e l'unione di tutta la Chiesa e, nello stesso tempo, di ciascuna delle Chiese nella universale unità. In questo modo compiono la loro missione verso la Chiesa nella loro patria.

Seguendo san Paolo, il Concilio - soprattutto nella costituzione dogmatica "Lumen Gentium" (cfr. LG 13) e nel decreto "Ad Gentes" (cfr. AGD 37) - ci insegna che tale comunione-unità trova il suo fondamento nella pluralità e nel riferimento alla pluralità. L'unità della Chiesa risulta anzitutto dalla pluralità delle persone e poi dalla pluralità delle comunità, come per esempio la parrocchia, e, prima ancora, dalla pluralità delle famiglie, riunite presso una parrocchia. Di pari passo con questo va anche la pluralità delle comunità religiose.

In tutto ciò, la condizione della communio specifica del Popolo di Dio è la pluralità delle vocazioni, ed anche la pluralità dei carismi. E' unica la vocazione cristiana comune: la chiamata alla santità; ed unico il fondamentale carisma di essere cristiano: il sacramento del battesimo; tuttavia sul suo fondamento si individuano le vocazioni come quella sacerdotale e religiosa, e, accanto a queste, la vocazione dei laici, che, a sua volta, porta con sé tutto il complesso delle varietà possibili. I laici, infatti, in diversi modi possono partecipare alla missione della Chiesa nel suo apostolato.

Servono la comunità stessa della Chiesa, prendendo, per esempio, parte alla catechesi o al servizio caritativo e, contemporaneamente, aprono nel mondo le strade in tanti campi dell'impegno ad essi specifico.

Servire la comunione del Popolo di Dio nella Chiesa significa curare le diverse vocazioni ed i carismi nella loro specificità ed operare affinché si completino reciprocamente, così come le singole membra nell'organismo. Qui ci riferiamo alla magnifica analogia di san Paolo (cfr. 1Co 12,12ss). Servire l'unità, conservando e sviluppando quella "pluralità", che nelle anime umane proviene dallo Spirito Santo.


2. Desidero poi ricordare oggi quel grande avvenimento ecclesiale, che è stata la conferenza dell'episcopato dell'America Latina svoltasi a Puebla, che ho avuto la gioia di inaugurare. La conferenza, che ha avuto come tema "L'evangelizzazione nel presente e nel futuro dell'America Latina", è terminata - come sapete - il 3 del mese di febbraio dell'anno scorso.

Nelle singole Chiese dell'America Latina sono in corso da un anno i lavori, che tendono a mettere in pratica le conclusioni di quella conferenza. Le conclusioni e, in seguito, la loro realizzazione devono servire a quell'unità della Chiesa, che si manifesta in tutta la sua missione.

Auspico di cuore che la realizzazione risponda pienamente alle intenzioni nate ai piedi della Madre della Chiesa nel santuario di Guadalupe in Messico. Siano queste intenzioni comprese rettamente e vengano messe in pratica.

Anche per queste finalità eleviamo ora la nostra preghiera alla Madonna.

Data: 1980-02-17 Data estesa: Domenica 17 Febbraio 1980.


L'omelia alla parrocchia romana di san Silvestro e san Martino ai Monti - Roma

Titolo: La vita del cristiano è crescita verso l'eternità

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo! 1. Rivolgo per prima cosa un vivo e cordiale saluto a voi tutti, che siete venuti oggi così numerosi a questo incontro col Vescovo di Roma. Voglio subito dirvi quanto mi sia cara la vostra presenza, che è certamente segno della vostra fede cristiana e della vostra comunione ecclesiale col vostro Vescovo, il Papa, che è anche Vescovo della Chiesa universale.

In particolare, saluto il Cardinale vicario Ugo Poletti, ed il Vescovo ausiliare di zona, monsignor Plinio Pascoli, i quali hanno efficacemente contribuito a preparare questa visita. Il mio saluto, poi, va al benemerito parroco, padre Enrico Pinci, ed alla sua comunità carmelitana, che tanto si prodiga per questa parrocchia. Saluto anche gli istituti religiosi qui rappresentati, le varie associazioni cattoliche, il cnsiglio pastorale ed il gruppo dei catechisti.

So che a san Martino ai Monti vi è un buon dinamismo di vita parrocchiale, di cui va reso omaggio ai suoi vari e zelanti responsabili.

Certo, ci sono anche problemi: per esempio, come superare alcune componenti di indifferenza, come avvicinare i cosiddetti "lontani", il maggior accostamento ai giovani, la promozione di iniziative culturali più continue, la partecipazione alla vita pubblica con specifici apporti cristiani, la traduzione della propria fede in un cristianesimo sempre più sicuro che, con la grazia di Dio, e mediante l'impegno di tutti, ogni difficoltà si potrà superare, così da produrre frutti sempre più copiosi e degni dei discepoli di Cristo.


2. Nell'odierna liturgia della parola, ci colpisce soprattutto il paragone dell'uomo giusto con l'albero: "Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai" (Ps 1,3). così dice il salmista. E il profeta Geremia, il quale utilizza lo stesso paragone, aggiunge che tale albero "non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell'anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti" (Jr 17,8).

L'uomo viene paragonato ad un albero. Ed è giusto. Anche l'uomo cresce, si sviluppa mantiene la salute e le forze, o le perde. Tuttavia, il paragone della Sacra Scrittura si riferisce all'uomo soprattutto in senso spirituale. Parla, infatti, dei frutti spirituali delle sue opere, che si manifestano nel fatto che tale uomo "non segue il consiglio degli empi" e "non indugia nella via dei peccatori" (Ps 1,1). La sorgente, invece, di tale condotta, cioé di questi buoni frutti dell'uomo, è che egli "si compiace della legge del Signore", e "la sua legge medita giorno e notte" (Ps 1,2).

Il profeta, da parte sua, sottolinea che tale uomo "confida nel Signore e il Signore è sua fiducia" (Jr 17,7). L'uomo che vive così, che si comporta in questo modo, viene chiamato dalla Sacra Scrittura benedetto. In opposizione a lui c'è l'uomo peccatore, che il profeta Geremia assimila ad "un tamerisco nella steppa" (Jr 17,6), e che il salmista paragona alla "pula che il vento disperde" (Ps 1,4). Se il primo merita la benedizione, l'altro viene chiamato dal profeta "maledetto" (Jr 17,5), poiché confida soltanto nell'uomo (Jr 17,5), cioè in se stesso, e "pone nella carne il suo sostegno e dal Signore allontana il suo cuore" (Jr 17,5).


3. così, dunque, l'odierna liturgia della parola ha un chiaro messaggio. Essa si rivolge all'uomo. Giudica la sua condotta. Sottopone a valutazione critica la sua concezione del mondo. Tocca gli stessi fondamenti di ciò, da cui la vita umana attinge il suo senso integrale. Infatti l'integrità della vita umana è la via da seguire (questo paragone - come si vede - molto antico, rimane sempre fresco e vivo); la vita umana è una via da percorrere.

"II Signore veglia sul cammino dei giusti, ma la via degli empi andrà in rovina" (Ps 1,6).

Un tale sguardo sull'insieme dei problemi umani, sul complesso della vita, è soltanto di ieri? Non si possono applicare questi paragoni e queste valutazioni agli uomini dei nostri tempi? Non si riferiscono essi anche a noi? A ciascuno di noi? All'uomo della nostra epoca - epoca di materialismo teorico e pratico - non si può forse ripetere che egli pone la sua forza nella "carne", cioè in se stesso e nella materia e che misura il senso della vita soprattutto sui valori materiali? Egli, infatti, è orientato a "possedere" e ad "avere" a tal punto, da perdere spesso in tutto questo ciò che è più importante: ciò, grazie a cui l'uomo è uomo, tale da farlo crescere come albero che produce frutti giusti.


4. L'uomo deve crescere spiritualmente, maturando per l'eternità. Anche questo ci insegna la parola di Dio della liturgia d'oggi.

"Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli" (Lc 6,23): così ricorda il canto al Vangelo, legato ad un gioioso "alleluia" che scomparirà nella liturgia delle prossime domeniche, perché entriamo ormai nel periodo di quaresima.

Per maturare spiritualmente fino all'eternità, l'uomo non può crescere soltanto sul terreno della temporalità. Non può porre il suo sostegno nella carne, cioè in se stesso e nella materia. L'uomo non può costruire soltanto su di sé e "confidare" nell'uomo soltanto. Egli deve crescere su un terreno diverso da quello della transitorietà e della caducità di questo mondo temporale. E'il terreno della vita nuova, dell'eternità e dell'immortalità, che Dio ha posto nell'uomo creandolo a propria immagine e somiglianza.

Questo terreno della nuova vita si è rivelato in pienezza nella risurrezione di Cristo, come ci ricorda nella liturgia odierna san Paolo nel brano dalla prima lettera ai Corinzi. Noi cresciamo e maturiamo spiritualmente (ed anche corporalmente), tendendo con tutta la nostra umanità alla vita eterna; infatti, "Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti" (1Co 15,20): perciò la risurrezione di Cristo conferisce un dinamismo di crescita alla vita di tutti. E' bene che già prima della quaresima, la liturgia ci ricordi la verità fondamentale della nostra fede e della nostra vita; in questo modo, indica già ciò a cui ci prepareranno, nel raccoglimento spirituale, le domeniche e le settimane prossime.

Che cosa significa credere in Cristo? che cosa significa credere la risurrezione? Significa proprio (come dice Geremia) confidare nel Signore, avere fiducia in lui solo, una fiducia tale che non possiamo riporre nell'uomo, poiché l'esperienza ci insegna che l'uomo è sottomesso alla morte.

Che cosa significa credere in Cristo e credere la risurrezione? Significa anche compiacersi della legge del Signore, vivere, cioè, secondo i comandamenti e le indicazioni che ci ha dato Dio, mediante Cristo. Allora, siamo come quell'albero che, piantato lungo corsi d'acqua e fertilizzato da essa, dà frutto: frutto buono, frutto di vita eterna.

La risurrezione di Cristo è diventata la fonte dell'acqua vivificante del battesimo, da cui deve spuntare tutta la vita di un cristiano in crescita verso l'eternità e verso Dio.


5. Come si vede, il contenuto della liturgia odierna è assai ricco e ci fa pensare molto. L'uomo è posto tra il bene e il male, ed in questo contrasto cresce e si sviluppa spiritualmente. Cresce come un albero, ma nello stesso tempo tanto diversamente da esso. La sua crescita e il suo sviluppo spirituale dipendono dalle sue decisioni e dalle sue scelte. Dipendono dalla libera volontà, dallo stato della sua coscienza, dalla sua concezione del mondo, dalla scala di valori che guida la sua vita ed il suo comportamento.

E perciò anche noi, che crediamo in Cristo e apparteniamo alla sua Chiesa, dobbiamo chiedere sempre a noi stessi: i valori che ci guidano sono davvero conformi alla nostra fede? La concezione del mondo, che accettiamo ogni giorno, non è forse costruita soltanto sulla "carne", sulla temporalità? Il nostro comportamento corrisponde alla verità che confessiamo? Non è conformistico? o ipocrita? Anche Cristo Signore nel Vangelo odierno fa questa contrapposizione. Da una parte proclama le beatitudini, e dall'altra pronuncia dei "guai". Da quale parte ci troviamo noi? Ci importa che il regno di Dio appartenga a noi (cfr. Lc 6,20), oppure ogni nostra consolazione vogliamo averla già in questa vita (cfr. Lc 6,24)? Non desideriamo, per caso, soltanto ciò? 6. Dio sia ringraziato per questa visita. Cari fratelli e sorelle, parrocchiani di san Martino ai Monti, Dio ripaghi voi tutti. Faremo insieme tutto il possibile per non allontanarci da Cristo, per consolidare in lui la nostra vita. Il tempo di quaresima di nuovo ci aiuterà in questo proposito. Abbondanti sono le risorse della grazia e dell'amore di nostro Signore, ed esse fanno si che possiamo crescere come albero che dà frutto. Stendiamo la mano a tali risorse con la nostra fede e con la nostra fiducia in Cristo Gesù.

Data: 1980-02-17 Data estesa: Domenica 17 Febbraio 1980.


Al Popolo di Dio - Roma

Titolo: Messaggio per la quaresima 1980.

Ogni anno, all'inizio della quaresima, il Papa si rivolge a tutti i membri della Chiesa, per incoraggiarli a vivere bene questo tempo che ci è offerto per prepararci ad una vera liberazione.

Lo spirito di penitenza e la sua pratica ci stimolano a distaccarci sinceramente da tutto ciò che possediamo di superfluo, e talvolta anche di necessario, e che ci impedisce di essere veramente ciò che Dio vuole che noi siamo: "Dov'è il tuo tesoro, là è il tuo cuore" (Mt 6,21). Il nostro cuore è aggrappato alle ricchezze materiali? al potere sugli altri? ad egoistiche sottigliezze di dominio? Allora, abbiamo bisogno del Cristo liberatore che, se noi lo vogliamo, può scioglierci da questi legami di peccato che ci ostacolano.

Prepariamoci a lasciarci arricchire dalla grazia della resurrezione liberandoci da ogni falso tesoro: quei beni materiali che non ci sono necessari sovente, per milioni di esseri umani, costituiscono le condizioni essenziali di sopravvivenza. Ma centinaia di milioni di uomini, oltre al minimo necessario alla loro sussistenza, attendono da noi che li aiutiamo a darsi i mezzi indispensabili per la loro promozione umana integrale, come pure per lo sviluppo economico e culturale dei loro paesi.

Ma le dichiarazioni di buona intenzione od un semplice dono non sono sufficienti per mutare il cuore dell'uomo; è necessaria quella conversione dello spirito che ci spinge, nell'incontro dei cuori, a condividere la nostra vita coi più svantaggiati delle nostre società, con coloro che sono privati di tutto, talvolta perfino della loro dignità di uomini e di donne, di giovani o di fanciulli, con tutti i profughi del mondo, che non possono più vivere nella terra dei loro antenati e devono abbandonare la loro patria.

E' qui che incontriamo e viviamo più intimamente il mistero delle sofferenze e della morte redentrice del Signore. La vera compartecipazione, che è incontro con gli altri, ci aiuta a liberarci da quei legami che ci rendono schiavi e, poiché dobbiamo vedere nel prossimo i nostri fratelli e le nostre sorelle, ci fa anche riscoprire che siamo tutti figli dello stesso Padre, "eredi di Dio e coeredi di Cristo" (Rm 8,17), del quale possediamo le ricchezze incorruttibili.

Pertanto, vi esorto a corrispondere generosamente agli appelli che, durante la quaresima, saranno lanciati dai vostri Vescovi personalmente o per mezzo dei responsabili delle campagne per il reciproco aiuto. Voi sarete i primi a beneficiarne, perché in tal modo vi metterete sul cammino dell'unica autentica liberazione. I vostri sforzi, uniti a quelli di tutti i battezzati, testimonieranno la carità di Cristo e costruiranno così quella "civiltà dell'amore", che, coscientemente o no, questo nostro mondo, straziato dai conflitti e dalle ingiustizie e deluso perché non incontra dei veri testimoni dell'amore di Dio, desidera.

Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1980-02-19 Data estesa: Martedi 19 Febbraio 1980.





Udienza generale, ai giovani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La carità del buon esempio per combattere il male

1. Il mio incontro con voi, carissimi ragazzi e giovani, sempre particolarmente desiderato, avviene in un giorno di grande raccoglimento, con un preciso richiamo alla necessità di convertirci, di migliorare, e di ascendere in alto.

Con l'austero rito dell'imposizione delle ceneri sul nostro capo di uomini mortali, la Chiesa, oggi, pronuncia parole che destano nell'animo intime risonanze. La sua voce maestosa ed ammonitrice è la voce di Dio stesso: "Uomo, sei polvere ed in polvere ritornerai". Quella cenere è, infatti, il simbolo del valore relativo di ogni cosa terrena, dell'estrema precarietà e fragilità della vita presente per i suoi limiti, i suoi condizionamenti, le sue contraddizioni, difficoltà. Di qui la materna esortazione della Chiesa a liberare lo spirito da qualsiasi forma di attaccamento disordinato alle realtà della terra per poter guardare con fiducia alla risurrezione.

Voi, carissimi ragazzi e giovani, sapete bene, tuttavia, che l'incontro con Cristo risorto deve esser preparato mediante un impegno di crescita personale nel corso di questa nostra esistenza nel tempo, ed ancora mediante la dedizione ad un'opera costruttiva di elevazione umana e di animazione cristiana dell'ambiente che ci circonda. Questa visione coraggiosa ed "impegnata" della vita, che tanto si addice ai vostri generosi ardimenti, include dunque il concetto della penitenza, della mortificazione, della rinuncia, che scaturiscono da un forte desiderio di giustizia e da un intenso amore di Dio.


2. La penitenza è sinonimo di conversione e conversione vuol dire superamento di tutto ciò che contrasta con la dignità dei figli di Dio, specialmente delle selvagge passioni che l'apostolo ed evangelista san Giovanni chiama "concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita" (1Jn 2,16), forze del male sempre insidiose e sempre cospiranti, pur sotto forme a volte lusinghiere. Contro di esse è necessaria la lotta permanente, alla quale ci invita, in modo particolare, il periodo della quaresima che oggi s'inizia e che ha per scopo il ritorno sincero al Padre celeste, infinitamente buono e misericordioso.


3. Questo ritorno, frutto di un atto d'amore, sarà tanto più espressivo ed a lui gradito, quanto più accompagnato dal sacrificio di qualche cosa necessaria e soprattutto delle cose superflue. Si presenta alla vostra libera iniziativa una vastissima gamma di azioni, che vanno dalla pratica assidua e generosa del vostro dovere quotidiano, all'accettazione umile e gioiosa dei contrattempi fastidiosi, che possono insorgere nel corso della giornata, fino alla rinuncia a qualcosa di molto piacevole per aver modo di soccorrere chi si trovi in situazione di bisogno; ma soprattutto è graditissima al Signore la carità del buon esempio, richiesto dal fatto che apparteniamo ad una famiglia di fede i cui membri sono interdipendenti; e ciascuno è bisognoso di aiuto e di sostegno da parte di tutti gli altri. Il buon esempio non agisce solo all'esterno, ma va in profondità e costruisce sull'altro il bene più prezioso e più attivo, qual è quello dell'adesione della propria vocazione cristiana.


4. Tutte queste cose sono difficili ad attuarsi; per le nostre deboli forze è necessario un supplemento di energie. Dove possiamo trovarlo? Ricordiamo le parole del divin Salvatore: "Senza di me nulla potete fare!" (Jn 15,5). E' a lui che dobbiamo ricorrere: peraltro voi sapete che Cristo si trova nel dialogo personale della preghiera ed, in modo particolare, nella realtà dei sacramenti. La quaresima è il tempo più propizio per accedere a queste divine sorgenti della vita soprannaturale: col sacramento della penitenza ci riconciliamo con Dio e con i fratelli; con l'eucaristia riceviamo il Cristo, che sostiene le nostre volontà fiacche e titubanti.

Nell'incoraggiarvi a questo impegno di purificazione e di rinnovamento, invoco sui vostri propositi l'assistenza del divino Spirito e di gran cuore imparto su di voi e sulle vostre rispettive famiglie la benedizione apostolica.

Data: 1980-02-20 Data estesa: Mercoledi 20 Febbraio 1980.


Omelia nella Basilica di santa Sabina - Roma

Titolo: La conversione a Dio è per l'uomo l'eterna via della liberazione

1. Convertitevi a me con tutto il cuore (cfr. Dt 31,10). Con questa invocazione incomincia oggi la quaresima. Convertitevi! Ci mettiamo quindi davanti a Dio - ognuno e tutti - con questo grido che pronuncio duemila anni fa il salmista, re e peccatore insieme.

"Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia, / nella tua grande bontà cancella il mio peccato. / Lavami da tutte le mie colpe, / mondami dal mio peccato. / Riconosco la mia colpa, / il mio peccato mi sta sempre dinanzi. / Contro di te, contro te solo ho peccato, / quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto... / Crea in me, o Dio, un cuore puro, / rinnova in me uno spirito saldo. / Non respingermi dalla tua presenza / e non privarmi del tuo santo spirito. / Rendimi la gioia di essere salvato..." (Ps 50 [51],3- 6.12-14a).

Sono passate tante generazioni e, tuttavia, queste parole non hanno perso niente della loro autenticità e forza.

L'uomo che si sforza di vivere nella verità, le accetta come sue. Le pronuncia come se fossero sue.

L'uomo che non è capace di identificarsi con la verità di queste parole, è un infelice. Se non scruta la sua coscienza alla luce di queste parole - esse lo giudicano da sole. Senza di lui.

La conversione a Dio è l'eterna via della liberazione dell'uomo. E 'la via del ritrovamento di se stesso nella piena verità della propria vita e delle proprie opere.

"Rendimi la gioia di essere salvato".


2. Il primo giorno di quaresima indica la via di tale conversione nella sua dimensione più piena. Prima di tutto, quindi, questo è il ritorno al "principio".

La Chiesa invita ciascuno di noi a mettersi oggi dinanzi alla liturgia, che risale alla soglia stessa della storia dell'uomo: "Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai" (Gn 3,19). Sono le parole del libro della Genesi; in esse troviamo la più semplice espressione di quella "liturgia della morte", di cui l'uomo è diventato partecipe in conseguenza del peccato. L'albero della vita è rimasto fuori dalla sua portata, quando contro la volontà di Dio egli si propose di assimilare la realtà sconosciuta del bene e del male, allo scopo di diventare, al modo dell'angelo caduto, "come Dio"; di diventare "come Dio, conoscendo il bene e il male" (Gn 3,5).

E proprio allora l'uomo ha sentito queste parole, che hanno tracciato il suo destino sulla terra.

"... Col sudore del tuo volto mangerai il pane, / finché tornerai alla terra, / perché da essa sei stato tratto: / polvere tu sei e in polvere tornerai" (Gn 3,19).

Per incominciare la quaresima, per convertirsi a Dio in modo essenziale e radicale, bisogna ritornare a quel "principio": all'inizio del peccato umano e della morte, che da esso prende avvio.

Bisogna ritrovare la coscienza del peccato che è diventato l'inizio di ogni peccato sulla terra; che è diventato il durevole fondamento e la fonte della peccaminosità dell'uomo.

Quel peccato originale rimane, infatti, in tutto il genere umano. Esso è in noi l'eredità del primo Adamo. Ed anche se cancellato dal battesimo per opera di Cristo, "ultimo Adamo" (1Co 15,45), esso lascia in ognuno di noi i suoi effetti.

Convertirsi a Dio così come lo desidera la Chiesa in questo periodo di quaranta giorni della quaresima, questo vuol dire scendere alle radici dell'albero, che, come dice il Signore, "non produce frutti buoni" (Mt 3,10). Non c'è altro modo per guarire l'uomo.


3. L'odierna "liturgia della morte" che si esprime nel rito della imposizione delle ceneri, unisce, in un certo senso, questo primo giorno di quaresima all'ultimo giorno, il giorno del Venerdi Santo, il giorno della morte di Cristo sulla croce. Proprio allora si compiono le parole che proclama l'apostolo nella seconda lettura di oggi, quando dice: "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.

Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo tratto da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Co 5,21). E' difficile esprimere meglio tutto ciò che nasconde in sé la realtà della "conversione", della riconciliazione con Dio.

Per "realizzare" pienamente questa "realtà", bisogna trascorrere nello spirito di san Paolo, nello spirito della Chiesa, tutto questo periodo di quaranta giorni - dalle Ceneri al Venerdi Santo - per incontrarsi al termine di questi giorni con la definitiva risposta di Dio stesso, del Dio dell'amore, nella "liturgia della resurrezione", nella liturgia della Pasqua cioè del passaggio: del passaggio alla vita mediante la resurrezione. Non si può entrare diversamente in questa suprema realtà della rivelazione della fede, se non facendo tutta la strada, che inizia oggi. così come una volta la facevano i catecumeni, preparandosi al Battesimo, che immerge nella morte di Cristo (cfr. Rm 6,3), per introdurre alla partecipazione della sua Resurrezione e della sua Vita.

Così dunque, per "convertirci" nel modo che si attende da noi la Chiesa durante il tempo quaresimale, dobbiamo oggi ritornare al "principio": a quel "sei polvere, e in polvere tornerai", per ritrovarci nel "nuovo inizio" della resurrezione di Cristo e della grazia.

La via, quindi, passa per il Venerdi Santo. Passa attraverso la croce.

Non esiste altra via della piena "conversione". Su questa strada, unica, ci aspetta colui che il Padre, per amore, "tratto da peccato in nostro favore" (2Co 5,21) - benché non avesse conosciuto peccato - "perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Co 5,21).

Accettiamo la strada di tale conversione e riconciliazione con Dio.


4. La liturgia di oggi ci invita a "collaborare" in modo particolare, in questo periodo di quaranta giorni, con Cristo mediante la preghiera, l'elemosina e il digiuno.

Lo stesso Signore Gesù ci insegna con le parole del Vangelo di Matteo - con le parole del discorso della montagna - come dobbiamo far questo. Allora facciamolo! E facendolo non smettiamo, al tempo stesso, di chiedere con il salmista: "Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo" (Ps 50,12).

Data: 1980-02-20 Data estesa: Mercoledi 20 Febbraio 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Al Seminario Romano Maggiore - Città del Vaticano (Roma)