GPII 1980 Insegnamenti - A conclusione degli esercizi spirituali - Città del Vaticano (Roma)

A conclusione degli esercizi spirituali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Apriamoci ai doni dello Spirito Santo

Noi tutti, carissimi fratelli, sentiamo in questo momento un bisogno: quello di ringraziare soprattutto il Signore nostro, che ci ha concesso la possibilità di entrare nel silenzio, nella solitudine, anche se relativa, nell'apertura verso i doni dello Spirito Santo, e di entrare, così, in comunione con lui stesso, oltre che fra noi. Per tutto questo dobbiamo ringraziare nel profondo dei nostri cuori e lo vogliamo fare adesso con le parole della preghiera, ma soprattutto con la voce interna, più eloquente delle parole e dei canti, specialmente in un momento come questo, quando lo spirito è pieno. Ecco, questo è il bisogno che sentiamo: ringraziare Iddio, il Signore, e anche la Vergine, poiché i nostri esercizi spirituali arrivano al loro termine in giorno di sabato, sempre a lei dedicato.

Vogliamo ringraziare per il ministero della parola, che ci ha fatto il nostro fratello "don Lucas"; lo chiamo così, per essere fedele non solamente alla sua vocazione episcopale e curiale, ma anche alla sua vocazione religiosa.

Dobbiamo ritornare, come ci insegna il Concilio Vaticano II, allo spirito dei fondatori. E san Domenico ha fondato un "ordo praedicatorum"; perciò la scelta è stata certamente provvidenziale. Abbiamo avuto un predicatore degli esercizi, che è nostro fratello e insieme è un predicatore religioso dell'ordine dei predicatori. Vogliamo ringraziare il Signore per questo servizio della parola, che ci ha fatto il nostro predicatore quaresimale. E, ringraziando il Signore, ringraziamo anche lui, perché ci ha dato molto, con la sua preparazione e le sue conferenze, quattro volte al giorno.

Vogliamo ringraziarla, carissimo don Lucas, soprattutto per la scelta del tema principale dei nostri esercizi. Una scelta tanto semplice e insieme tanto attuale e tanto preziosa per ciascuno di noi, perché tutti noi qui presenti siamo sacerdoti di Cristo e non ci potrebbe essere tema più importante, sia in senso essenziale che esistenziale, della parola e del tema che lei ha scelto: "Il sacerdozio". Poi, c'è anche un altro motivo perché il tema "sacerdozio" è tanto importante per noi tutti. Infatti, noi qui rappresentiamo la curia romana, cioè una comunità di grandissima responsabilità per la Chiesa universale. Il futuro della Chiesa è strettamente connesso con il sacerdozio, e il vero dibattito attuale che sta attraversando la Chiesa, specialmente nei paesi occidentali, è quello del sacerdozio e del suo vero senso.

E poi il futuro della Chiesa dipende dalle vocazioni al sacerdozio.

Dappertutto, in ogni parte del mondo, in ogni paese, in ogni Chiesa locale forse il segno della prova, certamente prova provvidenziale, che in questi tempi postconciliari attraversa la Chiesa, è la prova delle vocazioni. Ella ha terminato parlando della gioia; ebbene, ci dà una grande gioia ogni notizia che arriva sull'incremento delle vocazioni sacerdotali e religiose, sul risveglio dello Spirito tra i giovani in alcuni paesi e continenti; e così la Chiesa della prova divina, provvidenziale, non cessa di essere anche la Chiesa della speranza. Perciò le siamo grati per la scelta del tema di questi esercizi. Poi siamo anche grati per il metodo seguito nell'approfondire il tema dal punto di vista degli esercizi, per i bisogni spirituali dei partecipanti. Ella ci ha mostrato soprattutto le dimensioni del sacerdozio: primo, quella divina del rapporto fra Dio e uomo; poi, quella cristologica o cristocentrica, il secondo giorno; poi, la dimensione ecclesiologica, il terzo giorno; con l'indimenticabile conferenza sul sacerdozio della Chiesa, e poi la dimensione ecclesiologico-umana - se si può dire così - sul rapporto fra il sacerdote, gli uomini e il Popolo di Dio; e poi la dimensione interiore, con un accenno molto prezioso alla spiritualità mariana del sacerdote.

E, seguendo tali dimensioni che sono veramente aspetti essenziali e esistenziali del sacerdozio di ciascuno di noi, ella ha cercato di approfondire i diversi temi, seguendo sempre i criteri prestabiliti all'inizio, già fin dalla prima conferenza introduttiva; appunto sono questi i criteri biblici e teologici sempre incentrati sulla dottrina, sui testi del Concilio Vaticano II, che ella ha sempre arricchiti con la conoscenza delle fonti, della Bibbia, dei Padri, della teologia, di san Tommaso, ma anche della letteratura contemporanea e non solamente della letteratura teologica, ma anche direi di quella laica e religiosa insieme.

Devo dire che in tal modo l'insieme dei suoi discorsi e delle prediche ci ha dato una visione molto ricca, molto accurata: abbiamo trovato in queste sue conferenze un arricchimento personale, tante luci per ciascuno di noi, tanti avvicinamenti; era chiara, molto chiara la struttura delle sue conferenze, molto semplice e molto profonda, e per questo dobbiamo ringraziare il Signore, dobbiamo ringraziare il suo Spirito, la sua Madre e dobbiamo anche ringraziare lei, che è stato uno strumento ben preparato, che ha fatto un buon lavoro spirituale; ha potuto, cercando, trovare i nostri spiriti, lavorare le nostre anime e si è manifestato, in ogni conferenza, come un pastore e ci ha inculcato che la nostra vocazione è quella di essere sacerdoti e pastori qui in curia. così se si può riprendere in poche parole l'insieme delle sue conferenze, direi che ci ha dato un vero bene. Siamo riconoscenti. Siamo riconoscenti a lei dello spirito con cui parlava; ma la nostra riconoscenza, che va in questo momento al predicatore, ritorna a noi stessi, a ciascuno di noi; noi durante gli esercizi, durante questa settimana, siamo stati questi predicatori silenziosi, questa comunità silenziosa; ma si trattava di un silenzio pieno di contenuti. Questa pienezza è nota solamente allo Spirito Santo e a ciascuno di noi; era una pienezza di esperienza: esperienza di Cristo, esperienza del suo e del nostro sacerdozio, esperienza degli esercizi spirituali. Tale esperienza deve rimanere per ciascuno di noi come una sorgente per i giorni, le settimane, i mesi della nostra vita, del nostro ministero, del nostro servizio qui nella curia romana. Dobbiamo ringraziarci, vicendevolmente, per il fatto di aver composto, di aver vissuto l'unità orante in questo silenzio e dobbiamo ringraziarci vicendevolente per le preghiere; il tempo degli esercizi spirituali è sempre il tempo della preghiera più intensa; abbiamo pregato, certamente, abbiamo pregato più abbondantemente, più intensamente; abbiamo pregato anche gli uni per gli altri, perché in questa comunità siamo stati fatti più fratelli.

Dobbiamo rimanere così perché questa è la parola del nostro Signore; dobbiamo rimanere fratelli, più fratelli, in quella fraternità che lui ci ha insegnato, che ha insegnato ai suoi apostoli, ai suoi discepoli; ha insegnato a tutte le generazioni. Allora la nostra generazione di discepoli, di successori degli apostoli, deve rimanere fraternamente unita attorno a Cristo, alla sua Madre, alla sua sposa mistica che è la Chiesa, unita sempre nell'aspettare quella missione dello Spirito Santo che, una volta manifestata nel giorno della Pentecoste, si manifesta sempre, si rinnova sempre in ogni epoca, in ogni generazione. Dobbiamo essere anche noi uniti, aspettando questo soffio dello Spirito per manifestare la sua luce e la sua forza alla Chiesa, al mondo e alla nostra difficile ma anche promettente epoca della storia. Accogliete queste parole, che adesso ho pronunciate io nel nome di tutti noi, di questa comunità silenziosa. Ci ricordiamo di una frase detta da un nostro confratello, il Cardinale Ratzinger: "La Chiesa silenziosa deve riacquistare la voce". E così, alla fine, carissimo predicatore nostro don Lucas, la Chiesa silenziosa della curia romana ha ripreso, riacquistato la voce per ringraziare te e per ringraziare, insieme con te, Dio Onnipotente, il Signore nostro Gesù Cristo, lo Spirito Santo, la Vergine e la Chiesa: ringraziare di tutto cuore. Amen. Data: 1980-03-01Data estesa: Sabato 1Marzo 1980.


A studenti delle scuole romane e del Lazio - Roma

Titolo: La vostra vita sia un canto di gioia

Carissimi studenti.

E' una vera gioia per me trovarmi oggi insieme a voi, che mi portate l'entusiasmo e la devozione degli studenti delle scuole di Roma. In voi, appartenenti a scuole elementari e medie, inferiori e superiori, vedo presenti anche gli altri bambini, ragazzi e adolescenti, che frequentano tutti gli istituti scolastici di questa città e del Lazio. Di questo ampio mondo, voi siete oggi come i rappresentati, e vi saluto perciò con speciale cordialità. Il mio affettuoso saluto va a ciascuno di voi e ad ognuno dei vostri istituti, di cui è stato or ora letto l'elenco; in particolare desidero menzionare il più numeroso, quello del Sacro Cuore di Maria-Marymount, che celebra quest'anno il cinquantesimo anniversario di fondazione.

Mi è gradito inoltre esprimere il mio benvenuto ad Alfredo Battaglia, il ragazzo che ha sofferto per il recente sequestro. Nell'assicurarsi che con trepidazione sono stato vicino a lui, come a tutte le vittime di sequestri, sono lieto che egli sia ora qui tra noi.

E vivamente ringrazio tutti per aver voluto offrirmi questa meravigliosa dimostrazione di affetto e di venerazione.

Ma voglio anche rivolgervi qualche parola, tutta per voi, riguardante la vostra condizione di giovani studenti e di cristiani.

La vostra età è la stagione della vita più propizia per seminare e disporre il terreno a futuri raccolti. E' un tempo di preparazione, cosicché quanto più serio è l'impegno da voi posto oggi a compiere i vostri doveri, tanto più sicuro e fecondo sarà domani l'esercizio delle missioni che vi saranno riservate. E la serietà nel vostro dovere, oggi, potete esercitarla a vari livelli.

Innanzitutto nella scuola. Applicatevi, quindi, allo studio con molta intensità; esso, infatti favorisce la vostra maturazione personale. Il contatto assiduo con le materie dei vostri programmi scolastici non può che essere costruttivo: non solo perché vi allena alla disciplina dell'intelligenza e della volontà, ma anche perché vi dischiude orizzonti sempre nuovi sulla vastità del sapere umano nelle sue molteplici manifestazioni, storiche, linguistiche, matematiche, filosofiche, tecniche, artistiche, ecc... Ricordatevi che, anche tra gli adulti, è grande l'uomo il quale è sempre disposto ad imparare, mentre colui che crede di sapere già tutto, in realtà è soltanto pieno di sé e quindi vuoto dei grandi valori che arricchiscono veramente la vita. Studiate, dunque, col desiderio di conoscere sempre cose nuove, ma anche con tanta umiltà, perché solo questa può tenervi aperti e disponibili a sempre ulteriori acquisizioni. Arriva davvero a nuovi traguardi solo chi sa di non essere ancora giunto a conquistare ciò che brama e perciò impiega tutte le proprie forze nel tendere alla meta.

In secondo luogo, so che voi dedicate molto tempo al gioco. Ebbene, occorre sapere che il gioco non è solo un fatto di divertimento e di spensieratezza, ma, anche quando non ve ne accorgete, è un'occasione importante di formazione e di virtù. Pure nella vita futura, infatti, dovrete collaborare e anche misurarvi con altre persone, di fronte a problemi, situazioni, progetti, che appunto rendono la vita tanto simile ad una partita da giocare onestamente; ad essa concorrono l'impiego sapiente delle proprie energie, una chiara conoscenza del contesto generale in cui si è inseriti, la capacità di adeguarsi al ritmo altrui, ed un leale e generoso senso di competizione. Ecco perché tra la scuola e il gioco non ci può non essere soluzione di continuità: ambedue contribuiscono a edificare la vostra personalità, perché ambedue hanno molto da insegnare, ed insieme sono espressione di una giovinezza che non è solo esteriore ma anche interiore.

Ma c'è ancora una terza cosa, che alla vostra età ha molto valore: l'attaccamento alla famiglia, specialmente ai genitori. Io mi auguro che tutti voi troviate nelle vostre case un ambiente di autentico amore. Ma desidero anche invitarvi a stabilire e mantenere sempre con i genitori un rapporto di grande e autentico affetto; essi sono i vostri primi amici. In gran parte, la vostra vita di domani dipende da come oggi siete in armonia e nutrite rispetto verso chi vi ha generato ed educato.

Certo, potrà venire il momento del distacco, e anche per questo dovete allenarvi ad una crescita personalmente responsabile; pero, non tagliate mai le vostre radici umane e familiari, sotto pena di inaridire o inselvatichire.

Come vedete, tutto ciò che vi ho detto finora riguarda la vostra educazione umana, che è cosa molto importante.

Ma c'è un'altra, decisiva componente della vostra vita, ed è quella specificamente cristiana, che si innesta sulla vostra umanità e la porta a fioritura. Un vero cristiano, cioé un santo, è anche sempre un uomo perfettamente riuscito. Potrei farvi tanti nomi, ma tutti derivano la loro grandezza da un nome solo, che è quello di Gesù di Nazaret, da sempre Figlio di Dio, e diventato nostro Signore mediante la sua morte e risurrezione. La sua vita, come ben sapete, è stata spesa tutta fino alla fine in favore degli altri. Ebbene, a lui dovete guardare, lui avere presente nei vostri pensieri e affetti, lui seguire ogni giorno, poiché solo di lui ciascuno di noi può dire con piena verità insieme a san Paolo: "Mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Ga 2,20). Ecco di dove attingere la vostra gioia più profonda, tale da diventare anche la vostra forza e quindi il vostro sostegno. Se voi, per disavventura, doveste incontrare amarezze, subire sofferenze, sperimentare incomprensioni, e persino cadere in peccato, subito il vostro pensiero di fede vada a colui che sempre vi ama e che, proprio col suo amore sconfinato come quello di Dio, ci fa superare ogni prova, riempie tutti i nostri vuoti, cancella ogni nostro peccato, e ci sospinge con entusiasmo verso un cammino nuovamente sicuro e lieto. A nessun uomo la vita su questa terra risparmia esperienze del genere. I vostri piccoli crucci di oggi possono essere solo un segnale di maggiori difficoltà future. Ma la presenza di Gesù con noi, "ogni giorno fino alla fine del mondo" (Mt 28,20), è la garanzia più esaltante e insieme più realistica che non siamo soli, ma che qualcuno cammina con noi come quel giorno con i due desolati discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13ss).

Abbiate vivo in voi e conservate sempre questo senso giovane del Vangelo, di cui gli uomini d'oggi hanno tanto bisogno, e testimoniatelo nel vostro ambiente. Vorrei dirvi che è per non invecchiare che dobbiamo tenacemente aggrapparci a Gesù e al suo annuncio. Infatti, solo l'amore, che è l'anima del Vangelo, ci permette di essere sempre giovani. Voi conoscete gli episodi di violenza dei nostri giorni: quante morti causano, e quante lacrime! Ebbene, chi produce morte non solo è vecchio, ma è già morto dal di dentro. La vita, infatti, germoglia solo dall'amore e quindi da un'altra vita, oppure da una morte amorosamente affrontata, come quella di Gesù. Perciò, coltivate l'amore più genuino verso tutti, sempre disposti ad aiutare chi è nel bisogno, a perdonare chi vi offende, e anche a correggere o almeno a compassionare chi esercita il sopruso.

Siano questi, cari studenti, gli impegni essenziali della vostra vita. E poiché, come sapete, stiamo vivendo il tempo della quaresima, cercate di metterli in pratica fin d'ora come preparazione alla prossima Pasqua. La vostra contentezza sarà tanto più schietta, quanto più è passata attraverso la prova, il sacrificio, il dominio di sé.

Così, pertanto, vi auguro che sia tutta la vostra vita: cioè un canto di gioia, per la consapevolezza che Gesù è morto per amore nostro, e per la bellezza della nostra incrollabile comunione con lui, che sperimentiamo anche nei momenti più difficili.

E sappiate sempre che il Papa vi vuol bene! Perciò, vi saluto tutti ancora una volta, insieme con i vostri insegnanti e genitori. Il Signore vi accompagni sempre con la sua grazia, che invoco abbondante su di voi, mentre di cuore concedo a tutti la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1980-03-01Data estesa: Sabato 1Marzo 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La quaresima, tempo di conversione

1. Oggi è la seconda domenica di quaresima.

Se una settimana fa la liturgia ci ha condotto sul monte, dove Cristo fu tentato, oggi ci conduce sul monte della Trasfigurazione del Signore.

Su questo monte - il Tabor secondo la tradizione - Gesù ha portato con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e si è trasfigurato dinanzi a loro, cosicché le loro labbra ripetevano dai loro cuori colmi d'estasi: "Maestro, è bello per noi stare qui" (Lc 9,33).

Il ricordo della tentazione all'inizio di quaresima era necessario perché la Chiesa - e nella Chiesa ognuno di noi - avesse la consapevolezza della prova, che attraversa.

Il ricordo del monte di Trasfigurazione nella domenica odierna è necessario perché la Chiesa - e nella Chiesa ognuno di noi - abbia la consapevolezza della grazia, la cui pienezza ha in sé Cristo, crocifisso e risorto.

La grazia accompagna le prove del cammino terrestre dell'uomo e della Chiesa, accompagna la sofferenza e le fatiche, ed anche le cadute. Le penetra così, come nel momento della Trasfigurazione, quella luce, che ha penetrato il corpo terrestre di Cristo. Essa porta in sé il preannunzio della risurrezione.

Se è necessario che in questo periodo di quaranta giorni la Chiesa - e, in essa, ogni uomo - abbia la consapevolezza della prova alla quale è inevitabilmente sottoposta la sua vita sulla terra, nello stesso tempo è anche necessario che abbia la certezza della grazia, che Dio non le rifiuterà in Cristo: il Padre nel Figlio.

"Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo" (Lc 9,35).

La Chiesa - ed in essa ogni uomo - deve avere la certezza della grazia, la cui condizione è l'obbedienza a Cristo. Questa obbedienza significa, simultaneamente, il più pieno abbandono.

Alla luce degli avvenimenti del monte Tabor si delinea ancora una volta con chiarezza la via della conversione quaresimale. Ne fa parte questa obbedienza a Cristo, la quale genera la speranza e la magnanimità. Affidandosi a Cristo, la Chiesa - e in essa ogni uomo - può rispondere alle esigenze ai doveri che le pone dinanzi il Vangelo dell'amore di nostro Signore.


2. La Chiesa nel periodo di quaresima prega per le vocazioni, sacerdotali e religiose. Questo è un problema, a cui non si può pensare diversamente, se non richiamandosi alla grazia, la cui pienezza è in Cristo crocifisso e risorto.

Noi tutti preghiamo perché si riempiano i seminari ecclesiastici e i noviziati, perché le singole Chiese, ed anche le comunità - parrocchie, congregazioni religiose - possano guardare con fiducia verso il futuro, certi che non mancheranno quegli operai, che il Signore manda "nella sua messe" (Mt 9,38); che non mancheranno i sacerdoti, i quali dedicandosi "esclusivamente" al regno di Dio, celebreranno l'eucaristia, predicheranno la parola del Signore e compiranno il ministero pastorale: che non mancheranno le persone, uomini e donne, capaci di una completa dedizione della loro vita allo Sposo divino nello spirito di povertà, di castità e di obbedienza in testimonianza "al mondo futuro", a ciò spinti dall'amore illimitato verso il prossimo.

Tutti preghiamo perché i giovani, ragazzi e ragazze, scoprano in sé la grazia della vocazione, come un dono particolare per la Chiesa, dono che Cristo stesso innesta nei loro cuori; e perché seguano tale chiamata senza voltarsi indietro (cfr. Lc 9,62) e senza aver paura della propria debolezza, dello spirito di questo mondo, e del "principe delle tenebre".

Se preghiamo per questo, allora siamo certi: il Signore della messe risponderà alla nostra domanda se dimostreremo la totale obbedienza a Cristo secondo le parole risuonate nel monte della Trasfigurazione: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!" (Lc 9,35).

Non diversamente. Non diversamente. Allora non possiamo nutrire, di nascosto, sospetti o dubbi circa l'essenza del sacerdozio ministeriale, circa la giustezza della plurisecolare prassi della nostra Chiesa, che unisce il sacerdozio alla disponibilità di servire Cristo e la Chiesa "con cuore indiviso". Non possiamo dubitare della potenza di Cristo, dell'opera della sua grazia. Dobbiamo pensare fino alla fine insieme con lui, accettando che ciò che sembra impossibile agli uomini, è tuttavia possibile a Dio (cfr. Mt 19,26).

Bisogna quindi pregare per le vocazioni e bisogna pregare, fidandosi illimitatamente - senza riserve - in questa grazia, la cui pienezza si trova in Cristo, prediletto Figlio del Padre. Pregare così, vuol dire convertirsi. La quaresima è tempo della conversione.


3. Desidero anche rendere oggi grazie a Dio per la grazia degli esercizi spirituali, ai quali ho potuto partecipare durante la settimana scorsa, insieme con i rappresentanti della curia romana.

Il predicatore è stato l'Arcivescovo Lucas Moreira Neves. Il Signore lo ricompensi per il suo lavoro.

La quaresima è il tempo particolarmente adatto per tali "esercizi spirituali", che permettono di rinnovarci interiormente. Auspico ciò a tutti i miei fratelli e sorelle nella Chiesa, soprattutto nella Chiesa romana.

Se la vita contemporanea crea in questo campo nuovi ostacoli, bisogna cercare o nuovi metodi o nuove possibilità. Bisogna cercarli necessariamente. E' troppo grande la grazia della quaresima: non la sprechiamo! Maria santissima, a cui ora rivolgiamo la nostra preghiera, ci aiuti a vivere, vigilanti, questo tempo di grazia.

[Omissis. Seguono i saluti agli sportivi.]

Data: 1980-03-02Data estesa: Domenica 2Marzo 1980.


Omelia alla parrocchia di san Roberto Bellarmino - Roma

Titolo: Rispondiamo alla domanda: "Cosa significa ascoltare Cristo?"

1. "Questi è il Figlio mio, l'eletto: ascoltatelo"! (Lc 9,35). Con queste parole della liturgia odierna io rivolgo il mio saluto a tutta la parrocchia di san Roberto Bellarmino, che mi è dato di visitare oggi, seconda domenica di quaresima.

Vengo a voi nella mansione di Vescovo di Roma, ereditata dagli apostoli, da san Pietro e san Paolo, e vengo nello spirito di queste parole che, un giorno, gli apostoli ascoltarono sul monte della Trasfigurazione.

La vostra comunità parrocchiale è relativamente recente: la sua costituzione risale agli inizi degli anni trenta, quando il Papa Pio XI ne affido l'animazione pastorale ai padri gesuiti, i quali vi hanno profuso le ricchezze della loro preparazione culturale e della loro esperienza umana e religiosa.

Grazie alla loro dedizione ed alla collaborazione di tanti laici generosi, la "consistenza" spirituale della parrocchia è andata progressivamente rafforzandosi, l'intenso lavoro di formazione personale e l'impegno posto nell'animazione dei vari gruppi, in cui si articola la comunità, hanno maturato frutti consolanti di vita cristiana, che consentono di bene sperare per il futuro, pur in presenza delle trasformazioni sociali profonde, conosciute dal quartiere in questi anni.

Mi consta che si è cercato di far fronte ai problemi posti da una certa tendenza all'isolamento ed all'individualismo, che ci si è preoccupati di porre riparo all'azione corrosiva che nei confronti dei legami familiari la vita moderna spesso sviluppa; che ci si è studiati di risvegliare nei singoli la coscienza della dimensione sociale, caratteristica dell'uomo e del cristiano, e di stimolarne l'impegno al dono di sé mediante il responsabile inserimento nella comunità sia ecclesiale che civile.

Nel dare atto volentieri del cammino percorso, io rivolgo il mio saluto affettuoso all'intera famiglia parrocchiale: al signor Cardinale vicario, innanzitutto, che anche qui è "di casa" come in ogni altra parrocchia della diocesi; all'eccellentissimo Vescovo ausiliare, monsignor Oscar Zanera, alla cui sollecitudine pastorale è affidata in particolare questa zona della città; al padre Alberto Parisi, che da diciassette anni guida questa comunità, insieme col gruppo di padri gesuiti che lo coadiuvano, dividendo con lui speranze gioie e dolori.

Il mio saluto si dirige, poi, alle diverse associazioni, mediante le quali il laicato è attivamente presente nella pastorale parrocchiale, sia per l'aspetto catechetico e formativo, che per quello caritativo ed assistenziale.

In particolare il mio pensiero va ai giovani, per la cui partecipazione numerosa e vivace alla liturgia ed alla vita dei gruppi desidero esprimere qui, il mio compiacimento. Ad essi va anche la mia esortazione a sentirsi personalmente responsabili dei loro coetanei che non hanno ancora conosciuto la gioia, che viene dalla scoperta dell'amicizia con Cristo.

Ecco la consegna che vi lascio, o giovani carissimi: portate Cristo ai vostri amici, portate i vostri amici a Cristo! Non potreste far loro un regalo più grande.

Una parola di saluto, infine, agli istituti religiosi femminili e maschili, che operano nell'ambito della parrocchia, attendendo alla formazione della gioventù e ad altre iniziative benefiche e recando anche, in alcuni casi, un valido contributo all'azione parrocchiale, specialmente per la catechesi dei giovani.

A tutti l'assicurazione del mio affetto e del mio costante ricordo nella preghiera! Ritorniamo ora al testo evangelico.


2. "Questi è il Figlio mio, l'eletto: ascoltatelo!" Sentiamo queste parole nel momento in cui Pietro, Giovanni e Giacomo, gli apostoli scelti da Cristo, si trovano sul monte Tabor; nel momento della Trasfigurazione: "E mentre pregava il suo volto cambio l'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia" (Lc 9,29-30).

E' quindi un momento insolito. Momento in cui Cristo in certo senso desidera dire agli apostoli eletti ancora qualcosa di più su se stesso e sulla sua missione. E non dimentichiamo che si tratta degli stessi tre apostoli che egli, dopo qualche tempo, porterà con sé nel Getsemani, affinché possano essere testimoni di quando si troverà in preda all'angoscia dello spirito, e sul suo volto apparirà il sudore di sangue (Mc 14,33 Lc 22,44). Sul monte Tabor siamo, tuttavia, testimoni con loro dell'esaltazione della glorificazione di Cristo in quel suo aspetto umano, nel quale lo poterono vedere sulla terra gli apostoli e le folle.

"Questi è il Figlio mio, l'eletto: ascoltatelo".

Queste parole risuonano sopra il Cristo per la seconda volta.

Per la seconda volta dà testimonianza di lui la voce dall'alto: in questa testimonianza il Padre parla del Figlio, del suo Prediletto, eterno, che è della stessa sostanza del Padre, - di colui che è Dio da Dio e luce da luce, e si è fatto uomo simile a ciascuno di noi...

La prima volta questa testimonianza è stata pronunciata sul Giordano, nel momento del battesimo di Giovanni. Giovanni disse: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo" (Jn 1,29). Ed una voce dal cielo: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto" (Mt 3,17).

Questo è avvenuto al Giordano - all'inizio della missione messianica di Cristo. Adesso avviene sul monte Tabor - dinanzi alla passione che si avvicina: dinanzi al Getsemani, al Calvario. E contemporaneamente in testimonianza della futura risurrezione.

Perciò leggiamo questo Vangelo della Trasfigurazione del Signore all'inizio della quaresima. Nella seconda domenica.


3. Quando il Padre viene, in quella voce misteriosa, dall'alto, rende testimonianza al Figlio e, al tempo stesso, fa conoscere a noi che in lui e per lui - per lui e in lui - si racchiude la nuova e definitiva alleanza con l'uomo.

Questa alleanza era stata anticamente conclusa con Abramo, che è padre della nostra fede (come dice san Paolo, cfr. Rm 4,11): e questo fu l'inizio dell'antica alleanza. Tuttavia l'alleanza era stata conclusa ancora prima con Adamo, col primo Adamo (come lo chiama san Paolo, cfr. 1Co 15,45) e non mantenuta poi dai progenitori, attendeva Cristo, il secondo, "l'ultimo Adamo" (1Co 15,45) per acquistare in lui e per lui - per lui e in lui - la sua definitiva, perfetta forma.

Dio-Padre conclude l'alleanza con l'uomo, con l'umanità del suo Figlio.

Questo è il culmine dell'economia della salvezza, della rivelazione del divino amore verso l'uomo. L'aIleanza è stata conclusa affinché in Dio-Figlio gli esseri umani diventino figli di Dio. Cristo ci "ha dato potere di diventare figli di Dio" (Jn 1,12) senza riguardo a razza, lingua, nazionalità, sesso. "Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Ga 3,28).

Cristo rivela a ogni uomo la dignità di figlio adottivo di Dio, dignità alla quale è legata la sua suprema vocazione; terrestre ed eterna. "La nostra patria... è nei cieli - scriverà san Paolo ai Filippesi - e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose" (Ph 3,20-21).

E quest'opera dell'alleanza: l'opera di portare l'uomo alla dignità di figlio adottivo (o di figlia) di Dio, Cristo la compie in modo definitivo attraverso la croce. Questa è la verità che la Chiesa, nel presente periodo di quaresima, desidera mettere in rilievo in modo particolare: senza la croce di Cristo non esiste quella suprema elevazione dell'uomo.

Di qui anche le dure parole dell'apostolo nella seconda lettura d'oggi circa coloro che "si comportano da nemici della croce di Cristo... che hanno come dio il loro ventre" (Ph 3,18-19) (vuol dire che la temporaneità è soltanto ciò che ha valore di profitto materiale e di utilità). L'apostolo parla di costoro "con le lacrime agli occhi" (Ph 3,18). Proviamo a domandarci se queste lacrime dell'apostolo delle genti non riguardino anche noi, la nostra epoca storica, l'uomo dei nostri tempi. Pensiamoci sopra e chiediamoci se anche nella nostra generazione non cresca una certa ostilità alla croce di Cristo, al Vangelo - forse soltanto una indifferenza che, a volte, è peggiore dell'ostilità...


4. La voce dall'alto dice: "Questi è il Figlio mio, l'eletto: ascoltatelo!" Che cosa significa: ascoltare Cristo? E' una domanda che non può lasciar cadere un cristiano. Né la sua consapevolezza. Né la sua coscienza.

Che cosa significa ascoltare Cristo? Tutta la Chiesa deve dare sempre una risposta a questa domanda nelle dimensioni delle generazioni, delle epoche, delle condizioni sociali, economiche e politiche che cambiano. La risposta deve essere autentica, deve essere sincera - così come autentico e sincero è l'insegnamento di Cristo, il suo Vangelo, e poi il Getsemani, la croce - e la risurrezione.

Ed ognuno di noi deve sempre dare una risposta a questa domanda: se il suo cristianesimo, se la sua vita sono conformi alla fede, se sono autentici e sinceri. Deve dare questa risposta se non vuole rischiare di aver come dio il proprio ventre (cfr. Ph 3,19) - e di comportarsi egli stesso da nemico "della croce di Cristo" (Ph 3,18).

La risposta sarà ogni volta un po' diversa: diversa sarà la risposta del padre e della madre di famiglia, diversa quella dei fidanzati, diversa quella del bambino, diversa quella del ragazzo e della ragazza, diversa quella dell'anziano, diversa quella del malato inchiodato al letto di dolore, diversa quella dell'uomo della scienza, della politica, della cultura, dell'economia, diversa quella dell'uomo del duro lavoro fisico, diversa quella della suora o del fratello religioso, diversa quella del sacerdote, del pastore delle anime, del Vescovo e del Papa...

Ed anche se queste risposte devono essere tante quanti sono gli uomini che confessano Cristo - tuttavia essa sarà in un certo senso unica, caratterizzata dall'interna somiglianza a colui che il Padre celeste ci ha raccomandato di ascoltare ("ascoltatelo"). così come dice di nuovo san Paolo: "Fatevi miei imitatori..."(Ph 3,17) ed in altro luogo aggiunge: "come io lo sono di Cristo" (1Co 11,1).

Ora, permettete, cari fratelli e sorelle, che io mi fermi qui, per ricordarvi questa domanda: che cosa significa ascoltare Cristo? E con questa domanda vi lascero per tutta la quaresima. Non vi do alcuna risposta troppo particolareggiata, vi chiedo soltanto che ognuno di voi si ponga costantemente questa domanda. Che cosa significa ascoltare Cristo nella mia vita? Questa domanda se la ponga tutta la parrocchia ed in essa ogni singola comunità.


5. Ed ancora aggiungo - seguendo la ligurgia d'oggi - che l'ascolto di Cristo, il prediletto Figlio dell'Eterno Padre, è nello stesso tempo la sorgente di quella speranza e gioia, di cui ci parla splendidamente il salmo della liturgia d'oggi: "Il Signore è mia luce e mia salvezza, / di chi avro paura? / Il Signore è difesa della mia vita, / di chi avro timore?" (Ps 26,1).

Da qui nasce il costante motivo della aspirazione spirituale: "Ascolta, Signore, la mia voce. / Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi. / Di te ha detto il mio cuore. "Cercate il suo volto"" (Ps 26,7-8).

Cercate il volto di Dio - ecco la direzione che alla vita umana dà Cristo: "Il tuo volto, Signore, io cerchero. / Non nascondermi il tuo volto, / non respingere con ira il tuo servo" (Ps 26,8-9).

Proseguendo in questa direzione, l'uomo non si chiude nei limiti della sola temporaneità.

Egli vive con la grande prospettiva.

"Sono certo di contemplare la bontà del Signore / nella terra dei viventi. / Spera nel Signore, sii forte, / si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore!"(Ps 26,13-14).

Si. Spera nel Signore! Amen. Data: 1980-03-02Data estesa: Domenica 2Marzo 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - A conclusione degli esercizi spirituali - Città del Vaticano (Roma)