GPII 1980 Insegnamenti - Conclusione


Ai ragazzi, udienza generale - Basilica Vaticana (Roma)

Titolo: Tutta la vostra vita sia un'autentica pasqua

Carissimi giovani, ragazzi e fanciulle.

Vi do un cordialissimo benvenuto, e vi dico subito che sono veramente contento di trovarmi con voi, che provenite da parrocchie, scuole e associazioni le più varie. E poiché il nostro incontro avviene nel giorno della solennità liturgica di san Giuseppe, ne approfitto per ricordarvi la figura silenziosa ma importante di questo santo, che per tanti anni è stato accanto a Maria e a Gesù ed è venerato come patrono della Chiesa. Perciò sono lieto di fare gli auguri più cordiali a quanti di voi portano il suo nome.

Miei cari, ho già detto altre volte, e amo ancora ripetere, che voi siete la speranza non solo del mondo, ma soprattutto della Chiesa e del Papa in particolare. La vostra giovinezza infatti è ricca di promesse, come un albero fiorito a primavera promette già da solo abbondanza di frutti per le stagioni seguenti. Ecco perché, di fronte a voi, non si può fare a meno di essere fiduciosi, e di attendere, con pazienza ma con sicurezza, la piena maturazione delle molte virtualità, poste in voi sia dalla semplice natura umana, sia dallo Spirito che vi ha fatto cristiani, al battesimo.

L'importante è che voi non deludiate queste ardenti, e a volte ansiose aspettative della societa sia civile che ecclesiale, la quale ama in voi rivedere non soltanto la ripetizione di se stessa, quanto soprattutto la realizzazione del proprio miglioramento, non solo mediante la correzione di ciò che è stato mal seminato, ma specialmente mediante la tenace prosecuzione di tutto ciò che è stato iniziato nel bene.

Ricordate le parole di san Paolo agli Efesini: "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei,... al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Ep 5,25 Ep 5,27). Contrariamente a quanto capita a qualunque individuo vivente su questa terra, questo deve avvenire alla Chiesa: che, cioè. più il tempo passa ed i secoli si susseguono, essa, invece di invecchiare, deve ringiovanire sempre più, per essere sempre più all'altezza del suo sposo eternamente giovane, Gesù Cristo, il quale ormai "risuscitato dai morti non muore più" (Rm 6,9) ma è sempre "lo stesso, ieri, oggi e nei secoli" (He 13,8).

Carissimi, se non vi ponete sotto l'insegna di questa comunione col Signore, che ne sarà della vostra vita? Rischiereste di costruirla sulla sabbia, invece che sulla roccia! Quale senso, infatti, essa potrebbe avere, e quale gioia potrete testimoniare, se non siete uniti a colui che, secondo la Bibbia, "rallegra la mia giovinezza" (Ps 43,4) e fa "nuove tutte le cose" (Ap 21,5)? Voi sapete che ormai, in questi giorni, siamo vicini a celebrare la solennità della Pasqua. Certamente vi state preparando con un cammino di fede e di conversione a questa festa che è la più grande di tutto l'anno liturgico. Da parte mia, vi raccomando di far si che non solo un giorno all'anno, ma la vostra vita intera sia un'autentica Pasqua, come ci esorta san Paolo: "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e verità" (1Co 5,7-8). Perciò, sia davvero, la vostra una vita di risorti con Cristo e di testimoni dinamici del suo esaltante messaggio di fronte a tutto il mondo. Con lui, infatti, conoscerete davvero a fondo che cosa significa amare tanto gli uomini da dare la propria vita per loro (cfr. Mc 10,45 Jn 3,16), che cosa significa promuovere la pace ed il progresso integrali, che cosa significa vivere nella luce, emanate dal "sole di giustizia" (Ml 3,20) che è appunto il Cristo risorto. E conoscerete pure che tale altezza di virtù e tale felice giovinezza non si raggiunge e non si mantiene senza l'austera esperienza della croce; e questa, a chi l'accoglie con fede, si rivela come il grande valore che accende i vostri entusiasmi, li verifica e, in definitiva, li esalta e rafforza.

Questo vi auguro con tutto il cuore, e per questo anche prego il Signore. E la mia benedizione sia pegno della sua grazia feconda, oltre che della mia paterna benevolenza.

Ai tedofori della fiaccola benedettina Desidero ora rivolgere un saluto particolare ai mille giovani tedofori delle diocesi di Norcia e di Spoleto, e delle abbazie di Subiaco e di Monte Cassino, i quali, unitamente a numerosi familiari ed amici di varie scuole, nonché del centro sportivo italiano, sono venuti qui per far accendere e benedire dal Papa la fiaccola benedettina, la quale sarà poi recata dai medesimi atleti, attraverso le suddette citta, fino a Norcia, città natale di san Benedetto, per ricordare il XV centenario della nascita del grande patriarca dell'occidente, e di santa Scolastica, sua sorella.

Carissimi giovani, mentre portate in pugno e fate risplendere codesta fiaccola, ricordatevl di quali luminose tradizioni culturali e spirituali la terra umbra sia erede e custode, e siatene fieri! Compite codesta marcia nel segno di Cristo: Lumen Gentium! Possa codesta fiaccola suscitare negli animi sentimenti di fraternità, di concordia, e soprattutto di cristiana solidarietà verso coloro che ancora soffrono a motivo delle devastazioni del terremoto nella vostra terra.

Nel benedire ora codesta fiaccola, estendo il mio saluto beneaugurante a quanti si uniranno a voi nel nome del Signore, pregustando la gioia dell'incontro che, domenica prossima, avro con la vostra amatissima regione.

Data: 1980-03-19 Data estesa: Mercoledi 19 Marzo 1980.




Messa per gli universitari - Basilica Vaticana (Roma)

Titolo: Cerchiamo il Signore perché egli è vicino

1. "Quaerite Dominum dum inveniri potest. Invocate eum, dum prope est".

"Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino" (Is 55,6).

Se oggi ci riuniamo, di nuovo, nella Basilica di san Pietro, professori e studenti dell'università e delle altre scuole superiori di Roma, è certamente la quaresima che qui ci conduce. Il periodo di quaranta giorni di preparazione alla Pasqua è stato stabilito dalla Chiesa in antico, affinché si realizzasse in esso l'invito a cercare il Signore: "Quaerite Dominum"! Non possiamo tralasciare mai di cercarlo: esistono tuttavia periodi che richiedono di farlo più intensamente, perché in essi il Signore è particolarmente vicino, ed è quindi più facile trovarlo ed incontrarsi con lui. Tale vicinanza costituisce la risposta del Signore all'invocazione della Chiesa, che si esprime continuamente mediante la liturgia. Anzi, è proprio la liturgia ad attuare la vicinanza del Signore.

Da qui l'invocazione: cercate, quaerite! La quaresima, come periodo di quaranta giorni in preparazione alla Pasqua, ha nella Chiesa la sua precisa storia, attraverso la quale essa s'inscrive nella storia dei cuori e delle coscienze umane.

Come sapete, l'origine della quaresima sembra risalire al secolo quarto; ma già nei secoli secondo e terzo - prima che si giungesse al periodo fisso di quaranta giorni - i fedeli si preparavano alla Pasqua con particolari digiuni e preghiere (cfr. Tertullianus; Ippoliti "Traditio Apostolica"; S.Irenaeus). In questo periodo, i penitenti pubblici si preparavano alla riconciliazione, e i catecumeni al battesimo.

La quaresima è periodo di penitenza, di conversione, di cambiamento del cuore (metanoia), che scaturisce da diversi motivi, ma soprattutto nasce dalla meditazione della passione e della morte di Gesù Cristo. Proprio da questa meditazione prende avvio quel volgere lo sguardo al Signore, quell'"attesa del Dio della salvezza", di cui parla oggi il profeta Michea: "Ma io volgo lo sguardo al Signore, / spero nel Dio della mia salvezza, / il mio Dio mi esaudirà" (Mi 7,7).

E' bene quindi che in questo periodo noi ci riuniamo qui, ed è bene, altresi, che a Roma, proprio nei vostri ambienti universitari ed accademici, non siano mancate iniziative idonee al raccoglimento, alla preghiera, all'approfondimento quaresimale. Forse queste iniziative non hanno carattere "di massa", come una volta, e come anche oggi in alcuni luoghi. Occorre, peraltro, tener sempre conto dei fattori che favoriscono o rendono difficili tali iniziative e determinano la loro estensione "sociale". Talora sarà sufficiente continuarle nelle condizioni già create una volta, talora dette condizioni bisogna crearle di nuovo. Cercarle in modo più adatto alle circostanze. Nondimeno, la Chiesa non può mai cessare di favorire tali iniziative. La presenza del Signore in questo periodo dell'anno liturgico è così profonda, così eloquente, così potente, che non possiamo tralasciare di impegnarci per andare incontro a lui.


2. Forse anche in quaresima sono pochi i giorni, in cui la liturgia mette in rilievo tanto chiaramente, come oggi, la verità che l'incontro con Cristo è incontro con la luce che illumina, in maniera radicale e salvifica, le vie della vita umana: radicale perché scende ai fondamenti dell'essere; salvifica perché dimostra la piena prospettiva del bene.

"Il Signore è mia luce e mia salvezza, / di chi avro paura? / Il Signore è difesa della mia vita, / di chi avro timore?" (Ps 27,1).

Tutto ciò trova conferma nell'evento che l'apostolo-evangelista Giovanni ha tramandato in modo eccezionalmente preciso e particolareggiato: Gesù dona la vista ad un uomo cieco dalla nascita (cfr. Jn 9,1-41).

Prima, Gesù dà risposta alla domanda dei discepoli sull'origine della cecità del disgraziato: risposta che dice molto. In seguito, fatto del fango con la saliva, Gesù lo spalma sugli occhi del cieco e gli ordina di lavarsi nella piscina di Siloe. Eseguito l'ordine, il cieco riceve la vista.

Esaminiamo bene le circostanze di tale dono. L'uomo, cieco dalla nascita, non ha visto mai niente e nessuno. Nel momento in cui acquisto la vista, gli si manifesto, per la prima volta, l'intero mondo che noi vediamo ogni giorno, come una novità assoluta. Finora si destreggiava con l'aiuto del tatto, forse con l'aiuto del bastone bianco, come i ciechi ai nostri tempi, o forse lo aiutava un cane-guida. Tali aiuti, tuttavia, gli permettevano appena di muoversi a fatica, stentando la vita nella stretta cerchia degli oggetti. Che cosa provo quando acquisto la vista? Come avrebbe dovuto vivere ora? In quale prospettiva doveva sentirsi liberato? Liberato perché vedente! E infine: quali sentimenti nutriva nei confronti di colui che, in quel giorno memorabile, spalmo il fango sulle sue palpebre e gli ordino di andare a lavarsi nella piscina di Siloe? Che cosa pensare di lui? Avvenne poi che, ancora per alcuni giorni, Cristo gli rimase sconosciuto. Non l'aveva visto quando egli mise sui suoi occhi del fango; l'aveva soltanto sentito dire: "Va' a lavarti nella piscina di Siloe". Al momento, poi, del suo incontro con Gesù, avvenuto solo dopo un certo tempo, ebbe luogo questo colloquio: "Tu credi nel Figlio dell'uomo?..."; "E chi è, Signore, perché io creda in lui?..."; "Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui". Rispose: "... Io credo, Signore".

Il dono della vista ha toccato non soltanto il senso del corpo, ma ha raggiunto l'intimo dell'anima.


3. Questo brano del Vangelo ha la sua particolare motivazione storica nella quarta settimana di quaresima. Nei primi secoli il periodo di quaranta giorni fu, nella Chiesa, il tempo di preparazione particolarmente intensiva al battesimo. Fu il tempo dedicato in modo particolare al catecumenato. Si compiva così, nel suo ambito, quel processo di conversione che occorre considerare come il primo e il più fondamentale: la conversione a Dio che ci dà la nuova vita in Cristo. Dobbiamo infatti essere immersi nella sua morte per diventare poi nel sacramento del battesimo - partecipando, a prezzo di questa morte, alla sua risurrezione - la nuova creatura. Per diventare il vivo soggetto del mistero in cui Dio rinnova, in ciascuno di noi, l'uomo vecchio, creandolo, di nuovo, mediante la grazia, a immagine del suo Figlio unigenito.

Coloro che si preparavano, in questo modo, al battesimo nella notte della resurrezione, portavano il nome di catecumeni. Li circondava una particolare sollecitudine di tutta la comunità della Chiesa, perché, ecco, ciascuno di essi doveva diventare nella notte pasquale ormai vicina, il soggetto del più grande mistero. Doveva ripetersi in lui, in modo sacramentale, la risurrezione del Signore. Ognuno doveva diventare il soggetto della Pasqua, cioè del passaggio dalla morte alla vita.

Per raggiungere la via che conduce a quel passaggio - alla Pasqua - per perseverare in essa fino alla fine, ciascuno dei catecumeni doveva incontrarsi con la luce del Signore. Il Signore doveva aprire i suoi occhi, così come aveva aperto gli occhi di quell'uomo cieco fin dalla nascita, di cui parla la liturgia di oggi; cieco senza colpa dei genitori. Cieco, "perché si manifestassero in lui le opere di Dio" (Jn 9,3), "le grandi opere di Dio": "magnalia Dei"! (Ac 2,11).

A questo scopo il catecumeno passava per i diversi ammaestramenti.

Faceva la conoscenza degli articoli della fede. Doveva conoscerli nella loro umana espressione. Ma non bastava soltanto la conoscenza. Doveva ricevere la luce, la luce interiore che proviene da Cristo stesso. Questa luce fa si che l'uomo veda tutto, il mondo e se stesso, in maniera radicalmente nuova. Veda in modo completamente nuovo: dalle basi, dall'inizio. Diventi il soggetto di una nuova conoscenza, poiché partecipa della conoscenza, con la quale Dio stesso conosce, e che ci ha tramandato nel suo Figlio. L'uomo diventa quindi il soggetto della nuova conoscenza, per poter diventare, in modo pienamente cosciente, il soggetto della nuova vita.


4. La liturgia d'oggi, perciò, si ricollega in modo speciale con la liturgia della notte pasquale. I catecumeni - coloro che, per opera di Cristo, sono diventati partecipi della nuova conoscenza, coloro che hanno acquistato (come il cieco dalla nascita) la vista - camminano attraverso questa liturgia con il loro canto: con il canto degli uomini, ai quali si è rivelato Dio, e, insieme con Dio, si è rivelato in modo nuovo, il mondo e l'uomo.

"Il Signore è mia luce e mia salvezza, / di chi avro paura? / Il Signore è difesa della mia vita, / di chi avro timore?... / Ascolta, Signore, la mia voce.

/ Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi! / Di te ha detto il mio cuore: "Cercate il suo volto"; / il tuo volto, Signore, io cerco. / Non nascondermi il tuo volto, / non respingere con ira il tuo servo. / Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, / non abbandonarmi, Dio della mia salvezza... / Sono certo di contemplare la bontà del Signore / nella terra dei viventi. / Spera nel Signore, sii forte, / si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore". (Ps 26,1 Ps 26,7-9 Ps 26,13-14).

I catecumeni, nella prospettiva del battesimo già vicino, esprimono la gioia della vista spirituale che hanno ricevuto, della quale sono diventati partecipi. Si sono trovati sulla via che conduce alla visione di Dio "a faccia a faccia" (1Co 13,12). La ricerca del "volto di Dio" è diventata la via dell'uomo consapevole del suo compimento definitivo. E questa è la via della fede.


5. Anche noi siamo sulla strada. Non è più la strada dei catecumeni. E' la strada della fede. Quindi, quest'esperienza in cui vuole introdurci la liturgia d'oggi, noi l'abbiamo già, in certo modo, compiuta. O, può darsi, che non la conosciamo affatto.

Ricevendo il battesimo nel periodo infantile, arriviamo alla fede mediante la comunità della nostra famiglia, che vuole aprirci le ricchezze della Chiesa il più presto possibile, assumendo tutti i doveri che ne derivano.

La Chiesa, da molto tempo, ha stabilito di imboccare questa strada, prendendo in considerazione sia la circostanza che non si può ritardare il momento di grazia nella vita di alcun uomo, sia quella che, attraverso il battesimo dei bambini, bisogna aiutare la costruzione della famiglia intesa come "la chiesa domestica", conferendo ad essa, soprattutto, le possibilità del "secondo, per così dire, catecumenato". E in questo modo nel corso di tante generazioni, al posto della "educazione primaria alla fede" si è formata ed è maturata una ricca esperienza di educazione "nella fede". Mentre nel primo caso la grazia del battesimo costituiva il punto di arrivo, nel secondo, essa è la base; essa è il punto di partenza di tutto ciò per cui siamo cristiani e per cui ci comportiamo da cristiani.

Ed è anche il punto di partenza di questo nostro odierno incontro quaresimale.


6. E' bene che nel quadro di quest'incontro possiamo considerare il problema del catecumenato. Poiché il catecumenato deve sempre costituire, in qualche modo, il fondamento del nostro essere cristiani e del nostro comportamento da cristiani; poiché esso costituisce per noi, appunto, la base e il punto di partenza.

E', dunque, bene che, nella liturgia d'oggi, ci incontriamo con un catecumeno - cioè con l'uomo per cui Cristo è diventato la luce, con l'uomo che ha ricevuto la vista della fede, che si è trovato sulla strada della nuova conoscenza.

Guardiamo con attenzione il comportamento di quest'uomo. Subito dopo aver acquistato la vista, diventa oggetto di interrogazioni e di indagini. Le domande gli sono poste prima dai conoscenti e dai vicini. Questi, in seguito, lo conducono dagli scribi e dai farisei. Qui cambia il carattere delle domande. Essi non si limitano alla meraviglia dinanzi al fatto che il cieco dalla nascita ha acquistato la vista. Non si limitano neppure ad accettare - come i vicini e i conoscenti - quanto egli dichiara, e cioè di aver acquistato la vista per opera dell'uomo che si chiama Gesù. Anzi, cercano di indebolire in lui questa certezza e di fargli negare proprio questa verità. E non potendo negare il fatto, che è evidente - era evidente che il cieco dalla nascita ora vedeva - cercano di negare le circostanze e il significato dell'avvenimento. Le circostanze: "Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato"... "Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore". E il significato del fatto, che, appunto per loro, è il più importante: "Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?". Egli risponde: "E un profeta!". La risposta li turba. Potrebbe essere pericolosa se si diffondesse fra gli uomini (bisogna che gli uomini considerino Gesù di Nazaret come un peccatore che trasgredisce la legge del sabato). I farisei cercano di influire su di lui per il tramite dei suoi genitori. Invano. Tutti gli sforzi che mirano a screditare il taumaturgo agli occhi del guarito, finiscono con l'insuccesso. Incalzato dalle loro domande egli mantiene una grande prontezza di spirito. Fa un ragionamento logico e incontestabile, e lo termina con le parole: "Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla". I farisei non possono che dimostrare lo sdegno e la rabbia: "Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?". "E lo cacciarono fuori".

Così termina il primo esame pratico sulla fede del catecumeno.


7. Esaminiamo questo problema con precisione. Sulla strada della fede in Cristo, noi saremo ripetutamente chiamati ad un esame di fede. Forse, ingiustamente, pensiamo che, se l'esame avvenisse allo stesso modo che per il cieco dalla nascita, anche noi lo passeremmo, senza dubbio, così come lui.

Invece, il nostro esame di fede in Cristo non è uguale. Non è mai come quello del cieco. Ogni esame di fede è diverso.

Qual è? Qual è quest'esame di fede - esame di conoscenza di Gesù Cristo, esame circa le nostre convinzioni cristiane - che deve fare ognuno di voi, uomini contemporanei, rappresentanti dell'ambiente universitario a Roma, nella città che da duemila anni è diventata la capitale del cristianesimo e, al tempo stesso, la capitale della cultura europea...? Qual è quest'esame? Non cerchero di rispondere a questa domanda. Sarebbe uno sforzo vano. Vi devono essere tante risposte, quanti siete voi, presenti in questa Basilica.

Tuttavia pongo questa domanda. E vi chiedo di cercare di darle una risposta. Proprio in questa quaresima. Sia questa la testimonianza di quel "secondo catecumenato", al quale, in un certo qual modo si richiama sempre, per ciascuno di noi battezzati la quaresima. Per ciascuno di noi, cristiani maturi.

Non pensate, neppure per un momento, che ognuno di noi possa non essere interrogato, nella sua vita, su Cristo.

Non pensate che i nostri tempi non esigano, nei confronti di ciascuno di noi, quell'esame di conoscenza riguardo a Cristo e all'appartenenza a Cristo nella sua Chiesa! I nostri tempi lo impongono, e quanto profondamente! Lo impongono con diversi metodi, in base ad un diverso elenco di domande. A volte queste sembrano molto disparate. Eppure siamo interrogati. Eppure l'esame si svolge. Ed è un esame molto profondo. Molto radicale.


8. così la quaresima è il tempo di un particolare incontro con Cristo, che non cessa di parlare di se stesso: "Io sono la luce del mondo; chi segue me... avrà la luce della vita" (Jn 8,12).

Così era molto tempo fa - nei tempi del primitivo catecumenato. E così è oggi - nei tempi del "secondo catecumenato".

La quaresima costituisce quel tempo beato in cui ognuno di noi può, in modo particolare, passare attraverso la zona di luce. Una luce potente, una luce intensa proviene dal Cenacolo, dal Getsemani, dal Calvario, e infine dalla Domenica della Risurrezione.

Bisogna attraversare questa zona di luce così da ritrovare in sé la vita.

E' in me la luce? E' in me la vita? Questa vita che ha innestato Cristo? Cristo, insieme alla luce della fede, ha innestato, in ciascuno di noi, la vita della grazia.

E' in me la vita della grazia? O forse è prevalso in me il peccato? Nella luce pasquale, nella luce della passione e della croce, il peccato si delinea più chiaramente. Nella luce pasquale, nella luce della risurrezione si apre più chiaramente la strada per superare il peccato e giungere all'espiazione, al pentimento, alla remissione. "Chi segue me, avrà la luce della vita!" (Jn 8,12).

Ciascuno di voi, cari amici, passi questa quaresima in modo da farsi penetrare dalla luce della vita.

L'uomo rinasce alla vita in Cristo, per la prima volta, nel sacramento del battesimo.

L'uomo, con il battesimo, rinasce alla vita in Cristo, alla grazia che aveva perduto, a causa del peccato, ed ogni volta rinasce per mezzo del sacramento della penitenza.

Rinascete alla vita in Cristo. Amen. Data: 1980-03-20 Data estesa: Giovedi 20 Marzo 1980.


Messaggio all'abate di Montecassino - Montecassino

Titolo: L'unità morale e spirituale di tutti i popoli dell'Europa

Al venerato fratello Martino Matronola, osb abate di Montecassino.

Il 21marzo prossimo si inaugurerà ufficialmente in tutto il mondo il XV centenario della nascita di san Benedetto. Tale evento avrà una particolare solennità a Montecassino, presso le sacre spoglie del venerato patriarca, ove, insieme al mio segretario di Stato, Cardinale Agostino Casaroli, converranno numerosi ambasciatori, qualificati e degni rappresentanti delle nazioni dell'Europa. E' questa una corona di ringraziamento e di gloria per colui che dell'Europa è stato padre e maestro e che dal mio predecessore Paolo VI di venerata memoria ne è stato proclamato patrono primario.

Come ho già detto all'inizio dell'anno, "questa data e questa figura hanno un'eloquenza tale che non basterà una comune commemorazione", e certamente avro ancora occasione di parlare di questo santo, che appartiene alla storia della Chiesa e di tutto il mondo. Mi è tuttavia caro, in questa circostanza, rivolgere alle nazioni europee, per il tramite dei loro rappresentanti, un mio paterno messaggio, ispirato all'opera che, per mirabile disegno divino, san Benedetto compi in questo antico continente attraverso la sua Regola e i suoi figli.

Nei primi sei secoli che succedettero alla sua morte, la Regola benedettina invase pacificamente tutta l'Europa, eccetto i paesi della sfera bizantina, che pur ne sentirono l'influenza. Oltre l'Italia, subito anche la Gallia, l'Inghilterra, il Belgio, la Frisia, tutta la Germania, la Svizzera furono cosparse di monasteri benedettini. Passo qualche tempo, ed ecco che pur la penisola iberica, l'Olanda, l'Irlanda, la Boemia, la Danimarca, la Svezia, la Norvegia, la Polonia, l'Ungheria, la Dalmazia, l'Albania e financo la Palestina, la Siria e Costantinopoli conobbero l'opera santificatrice e civilizzatrice dei figli di san Benedetto.

L'opera mirabile da loro portata ad effetto, e rilevata con particolari accenti dal mio predecessore Paolo VI di venerata memoria, nella proclamazione del santo a patrono d'Europa, fu quella dell'unità dei popoli, fondata sulla comune fede cristiana. Popoli che per storia, tradizioni, educazione, caratteri, erano in tanto contrasto da opporsi spesso in guerre feroci, si sentivano pero tutti cristiani, tutti credenti in Dio, tutti, per la fede, figli del medesimo Padre celeste e della Chiesa di Roma. La medesima lingua latina, parlata comunemente dagli uomini della cultura ed usata nella liturgia, era vincolo ed espressione di questa ideale unità.

Tale unita di fede e di sentimento, che sta alla base delle varie fasi della storia altomedievale, fu il tessuto spirituale creato dai benedettini, i quali del resto trovavano nella loro Regola i principi ispiratori per l'educazione e la formazione all'unità. La compattezza della famiglia monastica costituita dalla Regola, con un unico capo, che è anche padre e maestro responsabile di tutti i membri, con una gerarchia di persone e di valori ben fissati, con il voto di stabilità, con preciso ordine di preghiera e di lavoro, con rapporti fraterni alimentati dalla viva carità, era tutta una scuola e un modello per i monaci evangelizzatori e per i nuovi popoli evangelizzati.

Questa unità vuol essere il tema e la finalità del mio messaggio, in questo momento così significativo, in cui i rappresentanti delle nazioni europee sono adunati in onore del maestro e padre dei loro popoli, alla Chiesa tutti ugualmente cari.

Mentre da molti anni si lavora così lodevolmente per una - per ora ancor parziale - unione europea e tanti notevoli passi giuridici e istituzionali sono già stati compiuti in tale senso, suscitando tante speranze nelle Nazioni interessate, mi è grato augurare il ritorno e il recupero dell'unità morale e spirituale, operata da San Benedetto, affinché si formi un clima stabile e sincero di concordia, di mutua comprensione, di ordine, e perciò di pace, fra tutti i popoli dell'Europa, come è il desiderio ardente di tutti.

Il patriarca cassinese guido i monaci e li fece guide delle nuove nazioni "per ducatum Evangelii". Il sostrato della cultura generale europea è stato ed è ancora fortunatamente impregnato di cristianesimo. Occorre che il Vangelo sia ancora il libro più conosciuto e più amato specialmente dai giovani e dai loro educatori, perché sul suo insegnamento si eriga e si saldi una vera unità di spiriti, capace di donarci la pace.

Avvalori questi miei voti l'intercessione del grande patrono, il cui spirito si irradii ancora da codesto luogo per l'Europa e per il mondo a far germogliare frutti di autentico progresso cristiano e civile.

Con questi auspici invoco sulla sua persona, sugli ambasciatori delle nazioni europee e su tutti i presenti l'abbondanza dei favori celesti ed imparto di cuore l'apostolica benedizione.

Dal Vaticano, 19 marzo dell'anno 1980, secondo di pontificato.

Ioannes Paulus PP.II

Data: 1980-03-21Data estesa: Venerdi 21Marzo 1980.


Udienza nella Sala Clementina - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ad alcuni studenti dell'Università di Cordoba

Cari giovani, Ho saputo della vostra presenza a Roma per una breve permanenza e con molto piacere ho voluto offrirvi l'opportunità di questo incontro con il Papa.

So che appartenete ad un gruppo di studenti di medicina dell'Università di Cordoba e che state ormai per finire gli studi.

La vostra doppia condizione di giovani e di studenti di medicina mi suggerisce tanti pensieri sui quali mi tratterrei a lungo, ma il tempo non lo permette. Si, vi voglio dire che dovreste prepararvi con impegno e serietà al vostro futuro compito, che tanta importanza ha per la società.

Abbiate cura di non fare della vostra vita solo una professione, ma una vera vocazione di servizio, di aiuto agli altri.

Cercate di vedere sempre, nei futuri pazienti che dovrete curare, non soltanto corpi bisognosi di assistenza, ma anche spiriti nei quali depositare all'occorrenza una buona parola rasserenante, che incoraggi nell'umano procedere, che rispetti e faccia rispettare la legge morale, che sappia aprire il cuore alla voce di Dio e al senso trascendente dell'esistenza.

Coltivate questi grandi valori con tutta la generosità della vostra gioventù e chiedete a Gesù, l'amico più intimo, che vi ammaestri in questo cammino. Vivrete così in pienezza il vostro presente e vi preparerete saldamente per il vostro futuro. Accompagno questi desideri con una cordiale benedizione, da estendere alle vostre famiglie.

[Traduzione dallo spagnolo]

Data: 1980-03-22Data estesa: Sabato 22Marzo 1980.


All'arrivo a Norcia

Titolo: Esemplare e feconda congiunzione tra impegni umani e cristiani

Signor Ministro, Signor Sindaco, Le parole, che avete voluto cortesemente rivolgermi, a nome della Popolazione di Norcia e di tutto il popolo italiano, sono per me motivo di onore.

Ve ne ringrazio cordialmente, così come con altrettanta viva cordialità saluto in voi quanti le vostre persone e le vostre responsabilità degnamente rappresentano.

La mia presenza qui a Norcia, come è noto, è dovuta a due ordini di considerazioni. Innanzitutto, ho voluto rendere visita a quei fratelli e sorelle che i recenti fenomeni sismici hanno posto in particolari ristrettezze e ansie materiali; e a questo proposito è giusto e doveroso esprimere l'auspicio che tali condizioni di necessità siano quanto più provvisorie possibile, così che, con l'aiuto di Dio e con la buona volontà di tutti, si raggiunga un'adeguata soluzione delle precarie situazioni attualmente sopportate, anche se tanto dignitosamente dagli infortunati.

In secondo luogo, la mia venuta a Norcia è motivata dalla ricorrenza del XV Centenario della nascita dell'Abate San Benedetto, che qui appunto ebbe i suoi natali nell'anno 480. Egli fu e rimane uno dei figli migliori di questa terra, che è umbra e insieme italiana; e nel contempo fu e rimane uno dei figli più insigni della Chiesa di Cristo. La sua statura umana e cristiana resta nella storia come uno dei più luminosi punti di riferimento. In un'epoca di profondi mutamenti, quando l'antico ordinamento romano stava ormai crollando ed era per nascere un nuova società sotto l'impulso di nuovi popoli emergenti sull'orizzonte dell'Europa, egli assunse responsabilmente la propria parte, che fu preminente, di impegno non solo religioso ma anche sociale e civile. Promosse la coltivazione razionale delle terre, contribui alla salvaguardia dell'antico patrimonio culturale letterario, influi sulla trasformazione dei costumi dei cosiddetti "barbari" e instauro un originale tipo di vita comunitaria posta sotto una "Regola" da lui appositamente scritta. E ciò non a livello di un gretto e allora sconosciuto nazionalismo, ma, mediante i suoi Monaci, a dimensione continentale, per cui giustamente il mio Predecessore Paolo VI lo ha proclamato "Patrono d'Europa". Tutto questo avvenne non contro, ma sulla base ed in forza di una vita spirituale, di fede e di preghiera, assolutamente intensa ed esemplare. Perciò, abbiamo in lui un esempio veramente tipico di felice e feconda congiunzione tra impegni umani e cristiani, i quali, lungi dall'opporsi, interagiscono vicendevolmente in una stessa persona, arricchendola in maniera imprevedibile.

Questi ideali di progresso e di pace, fecondati dal Cristianesimo, sono oggi attuali come allora. Perciò, sono sicuro che l'onore più grande che possiamo tributare a San Benedetto è quello di accoglierlo ancora e sempre come maestro di vita.

Questo auguro a me stesso, agli abitanti di Norcia e a tutti gli Italiani, avvalorando i voti con la mia sentita benedizione.

Data: 1980-03-23 Data estesa: Domenica 23 Marzo 1980.


GPII 1980 Insegnamenti - Conclusione