GPII 1980 Insegnamenti - Al termine dell'udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Al termine dell'udienza generale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Supplica a Dio per la pace nel Salvador

Anche oggi i nostri pensieri, pieni di viva sollecitudine, continuano a rivolgersi verso El Salvador.

La morte dell'Arcivescovo Romero, il quale è stato barbaramente ucciso da mano assassina, mentre celebrava il Santo Sacrificio, ha una particolare eloquenza. La Chiesa supplica, china in preghiera presso le spoglie del compianto Pastore, affinché Dio accetti il sacrificio della sua vita, che è stato unito, in modo così singolare, al Sacrificio di Cristo.

Tutti rispettino in questo avvenimento doloroso la particolare testimonianza del Vangelo, che Monsignor Romero si è impegnato a dare in tutta la sua vita di pastore, cercando Cristo specialmente in coloro ai quali Egli è più vicino. così anche l'Arcivescovo di San Salvador ha unito la sua vita con il servizio dei più poveri e dei più emarginati.

A seguito della notizia dei nuovi tragici avvenimenti, che hanno avuto luogo durante i funerali dell'Arcivescovo Romero (avvenimenti che hanno causato numerose vittime fra le persone che assistevano al rito) ci rivolgiamo un'altra volta a Dio con umile supplica, perché il sacrificio del pastore ottenga la giusta pace alla sua patria. Ritorni alla retta ragione chiunque crede di perseguire i propri fini mediante l'uccisione di esseri umani.

La morte di Monsignor Romero porti un segno di pace e di riconciliazione, una specie di catarsi spirituale che dissipi l'odio, la violenza, le tensioni fra i concittadini.

A tutta la Comunità di San Salvador invio, nel corso di questi santi giorni che ci avvicinano alla Pasqua, l'espressione della mia particolare partecipazione e della mia solidarietà in Cristo crocifisso e risorto.

Data: 1980-04-02Data estesa: Mercoledi 2Aprile 1980.


Udienza al Re del Marocco - Città del Vaticano (Roma)

Sire, E' con grande soddisfazione che ricevo la visita di Sua Maestà, la prima visita di un Sovrano del Regno del Marocco al Capo della Chiesa cattolica.

Tale avvenimento è di per se stesso carico di significato, e mi fa piacere sottolinearlo pubblicamente rivolgendo a Lei, davanti alle personalità qui presenti, i miei rispettosi e ferventi saluti.

Regnate su di un paese di cui nessuno ignora il passato prestigioso. Fra i popoli dell'Africa del Nord, il vostro è l'erede di tradizioni particolarmente antiche e venerabili, di una civiltà che si è sempre distinta nel campo della cultura, dell'arte e della scienza. E' giusto rendergli omaggio, ed apprezzare come si conviene un incontro con Colui che lo governa preparandolo al suo avvenire.

Tradizioni di fede anche. Il Marocco è un popolo di credenti. Sua Maestà vuole guidarlo nel rispetto di Dio, al quale noi dobbiamo sottometterci ed al quale noi cerchiamo di riferire ogni nostra azione. Questa responsabilità vi porta a proteggere le aspirazioni religiose dei vostri sudditi, e a manifestare la vostra benevolenza a quelli fra di essi, o ai vostri ospiti, che non appartengono all'Islam. Mi felicito personalmente per lo spirito di dialogo che vi conduce a stabilire delle relazioni con la Santa Sede in segno di stima per la Chiesa cattolica. Quest'ultima si sforza, nel vostro Regno, di proporre un contributo leale alla costruzione del progresso e della pace. Attraverso le sue istituzioni, per la testimonianza che può portare fra i mussulmani, essa amerebbe assumere sempre più la sua identità di comunità inserita nel contesto nazionale. E' il desiderio profondo degli Arcivescovi di Rabat e Tangeri, un desiderio che conosco bene e che non posso che incoraggiare.

Con lo stesso spirito di dialogo, Sua Maestà mi intrattiene oggi su di una questione molto delicata, alla quale sono sensibili molti popoli della terra.

Lei è qui come portavoce di molti paesi islamici che desiderano far conoscere i loro sentimenti sulla questione di Gerusalemme. L'ho ascoltata con molta attenzione sviluppare i loro punti di vista e le sue riflessioni su questo argomento di cui mi aveva già parlato a grandi linee alcuni mesi fa in una lettera personale.

Considero questo incontro molto utile. Penso che la Città Santa rappresenti un patrimonio veramente sacro per tutti i fedeli delle tre grandi religioni monoteistiche e per tutto il mondo, ed in primo luogo per le genti che vi abitano. Bisognerebbe trovare uno slancio nuovo, un approccio nuovo che permetta, invece di accentuare le divisioni, di tradurre in atti una fratellanza molto più fondamentale, e di raggiungere, con l'aiuto di Dio, una soluzione forse originale, ma prossima, definitiva, garantita e rispettosa dei diritti di tutti.

Potremo vedere questo desiderio finalmente realizzarsi! Per questo oso augurarmi che i credenti di tre religioni siano capaci di innalzare contemporaneamente le loro preghiere verso l'unico Dio, per l'avvenire di una terra così cara ai loro cuori.

Sulla persona di Sua Maestà e su di ognuno di coloro che l'accompagnano, sull'insieme del popolo Marocchino qui rappresentato, invoco la Benedizione dell'Onnipotente e l'assistenza che Egli dedica sempre verso i suoi Figli che l'invocano con pietà.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-04-02Data estesa: Mercoledi 2Aprile 1980.


Omelia alla messa crismale

Titolo: Siamo sacerdoti del sacerdozio di Cristo

1. Cari fratelli.

Veniamo oggi nella Basilica di san Pietro e ci troviamo attorno a questo altare nella totalità della nostra comunità sacerdotale: il presbyterium della Chiesa di Roma.

Veniamo, consapevoli dell'importanza del giorno, che ci unisce ai sacerdoti di tutto il mondo, dell'intero globo terrestre. In questo stesso giorno - nel Giovedi Santo - così come noi, si uniscono attorno ai loro Vescovi in tutto il mondo le comunità di sacerdoti, i presbiteri di tutte le Chiese, per annunciare - celebrando insieme l'eucaristia - ciò che anche noi, oggi, desideriamo annunciare. E lo annunciamo non solo con le parole, ma anche con tutto il nostro essere, perché per grazia di Dio siamo sacerdoti di Cristo con tutto il nostro essere. E lo annunciamo con la liturgia - quest'unica ed insolita liturgia del Giovedi Santo - che accoglie in sé il nostro essere umano e sacerdotale, per proclamare, mediante esso, gli inscrutabili misteri di Dio.


2. Il Giovedi Santo è prima di tutto il giorno di Gesù Cristo. E' il primo di quei tre suoi giorni santi: triduum sacrum.

Tutti questi giorni costituiscono, in un certo senso, un insieme indivisibile - sono, per così dire, il giorno della nostra redenzione, il giorno della Pasqua, cioè del passaggio.

Il giorno di Gesù Cristo, cioè dell'unto - di colui che il Padre ha unto con lo Spirito Santo e con la grazia, ed ha mandato al mondo.

"Lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di misericordia del Signore" (Is 61,1-2).

Ecco viene di nuovo Cristo - l'unto di Dio eterno - per promulgare ancora un "nuovo" anno di grazia. Infatti la grazia è soprattutto lui stesso nel mistero della sua Pasqua, cioè del passaggio.

Il suo giorno - primo di quei tre, che costituiscono l'unico giorno della Pasqua - si inizierà al tramonto del Giovedi Santo, quando egli si metterà a tavola con gli apostoli per la cena prescritta dal rito della antica alleanza.

Noi ci riuniamo già adesso, al mattino del Giovedi Santo, per essere dal mattino insieme a lui, Cristo - unto in questo insolito, unico giorno.


3. E' il giorno di Gesù Cristo, "il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra" (Ap 1,5).

Al tramonto di questo giorno egli comincerà a dare l'ultima testimonianza a colui che lo ha mandato, al Padre.

Comincerà a dare la testimonianza di un tale amore e di una sofferenza, quale nessun altro cuore umano è in grado di approfondire.

Comincerà a dare la testimonianza della santità eterna, che si è manifestata al mondo nel giorno della creazione.

Comincerà a dare la testimonianza dell'alleanza, che Dio Santissimo ha concluso con l'uomo dall'inizio, e che, anche quando essa è stata infranta nel cuore del primo uomo e poi innumerevoli altre volte dai peccati degli altri uomini, non è cessata, in attesa di questo giorno e di quest'ora di Cristo, "testimone fedele".

Comincerà, quindi, Cristo - il testimone fedele - a dare la testimonianza della santità di Dio in quell'alleanza coll'uomo, che dovrà essere istituita definitivamente a prezzo del sacrificio, che avrà inizio il Giovedi Santo - stasera - in modo incruento, e si compirà mediante il suo sangue e la sua morte sul Calvario.

Veniamo oggi a confessare la nostra fedeltà e il nostro amore, la nostra indegnità ed il nostro abbandono "a colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre..." (Ap 1,5-6).

Ecco, egli annienterà se stesso, diventando obbediente fino alla morte - per poter imprimere nelle anime degli uomini, e in un certo senso nel cuore di tutto il creato, la nuova somiglianza con Dio mediante il suo sacerdozio: per fare di noi tutti "un regno di sacerdoti" - e in questo modo rendere testimonianza alla dignità dell'uomo ed alla dignità di tutto il creato, secondo il disegno eterno di Dio.

"Ecco, viene". Ecco viene "il testimone fedele" - per riempire con il suo sacerdozio i cuori degli uomini e, nello stesso tempo, tutto il creato dall'inizio alla fine: "Io sono l'alfa e l'omega".


4. Il giorno d'oggi - il giorno di Gesù Cristo - Giovedi Santo - è il nostro giorno particolare. E' la festa dei sacerdoti.

In questo giorno veniamo con tutta la nostra comunità, per ringraziare Cristo per il sacerdozio, - che egli ha iscritto nel cuore dell'uomo, padrone del creato, - che egli ha iscritto in modo particolare nei nostri cuori.

Infatti ci ha invitati all'ultima cena - ed oggi ci invita di nuovo. Ci ha invitato nella persona di quei dodici, che furono insieme a lui quella sera.

Dinanzi a loro egli prese il pane, lo spezzo, lo distribui e disse: "Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi".

E poi prese il calice riempito col vino, lo diede ai suoi discepoli e disse: "Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti". E alla fine aggiunse: "Fate questo in memoria di me".

Siamo dunque i sacerdoti del suo sacerdozio. Siamo sacerdoti di questo sacrificio, che egli ha offerto nel suo corpo e nel suo sangue sulla croce e sotto le specie del pane e del vino nell'ultima cena.

Siamo anche i sacerdoti "per gli uomini", affinché tutti, mediante il sacrificio che compiamo in virtù della sua potenza, diventino "un regno di sacerdoti" - e offrano sacrifici spirituali in unione col suo sacrificio, della croce e del cenacolo.

Siamo infine sacerdoti in eterno.

Poiché il nostro posto è oggi accanto a lui: accanto a Cristo, e le nostre labbra ed i cuori vogliono rinnovare il voto della fedeltà a colui che è "il testimone fedele" del nostro sacerdozio dinanzi al Padre.

Data: 1980-04-03 Data estesa: Giovedi 3 Aprile 1980.


Omelia durante la messa "in cena Domini" - Basilica di san Giovanni in Laterano - Roma

Titolo: Nel memoriale del cenacolo viviamo dell'amore di Cristo

1. Venerati e cari partecipanti alla liturgia del Giovedi Santo! Questa sera tutta la Chiesa si riunisce nel cenacolo: essa ritorna al cenacolo per confessare e rendere testimonianza che vuole rimanere là costantemente, senza lasciarlo mai.

Il cenacolo si trova a Gerusalemme, ma, insieme, in tanti luoghi dell'orbe terrestre. Tuttavia, è particolarmente in questa sera che tutti questi luoghi vogliono essere un cenacolo: il luogo dell'ultima cena. E tutti coloro che in questi luoghi si riuniscono, con la memoria e con il cuore si portano a quell'unico cenacolo, che fu il luogo storico della cena del Signore. Al cenacolo dell'eucaristia di Cristo.

Andiamo quindi là, anche noi, riuniti in questo tempio, che da secoli è la cattedrale del Vescovo di Roma. Andiamoci con l'amore e con l'umiltà.

Lasciamoci prendere dalla grandezza di questi momenti unici nella storia della salvezza del mondo. Sottomettiamo i nostri pensieri ed i cuori all'avvenimento e al mistero, di cui la Chiesa vive incessantemente. Ascoltiamo col raccoglimento più profondo le parole del Signore e dei suoi apostoli. Osserviamo ogni suo movimento, ogni suo gesto. Leggiamo nel profondo del suo cuore il messaggio pasquale della salvezza. Riceviamo, infine, il sacramento della nuova e dell'antica alleanza, e viviamo di questo amore che ha qui la sua fonte inesauribile per la vita eterna.


2. Ecco, Gesù si china ai piedi degli apostoli, per lavarli. In questo gesto vuole esprimere il bisogno della speciale purezza, che deve regnare nei cuori di coloro che si accostano all'ultima cena. E' la purezza che egli soltanto può portare nei loro cuori. E perciò sono state vane le proteste di Simone Pietro, perché il Signore non gli lavasse i piedi; vane le parole delle sue spiegazioni. Il Signore, e soltanto il Signore, può realizzare in te, Pietro, quella purezza, della quale il tuo cuore deve splendere al suo banchetto. Il Signore, e soltanto il Signore, può lavare i piedi e purificare le coscienze umane, perché a ciò è necessaria la forza della redenzione, cioè la forza del sacrificio che trasforma l'uomo dall'interno. A ciò è necessario il sigillo dell'Agnello di Dio, impresso nel cuore dell'uomo come un bacio misterioso dell'amore.

Allora inutilmente ti opponi, Pietro, ed invano presenti al maestro le tue ragioni. Il Signore risponde al tuo cuore impetuoso: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo" (Jn 13,7). E quando protesti ancor di più, Pietro, il Signore ti dice: "Se non ti lavero, non avrai parte con me" (Jn 13,8).

La purificazione è condizione della comunione con il Signore.

E la condizione di questa comunione è quell'umiltà e disponibilità a servire gli altri, di cui ci dà l'esempio il Signore stesso, quando si china ai piedi dei suoi discepoli, per lavarli come un servo.

E' dunque necessario che la Chiesa - dovunque si riunisca, in qualsiasi cenacolo del mondo - ricordi e costantemente faccia ricordare che le condizioni per la comunione col Signore sono queste: la purezza interiore e l'umiltà del cuore, disponibile a servire il prossimo e, nel prossimo, a servire Dio. Nessuno si accosti a questa cena con un cuore falso, con la coscienza peccaminosa, pensando a sé con superbia, senza disponibilità a servire.

"Vi do un comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato" (Jn 13,34).


3. Il calice dell'alleanza è il sangue del Redentore.

Ecco, si avvicina il momento in cui il Signore prenderà questo calice nelle sue mani.

Prima ancora, "preso un pane, rese grazie, lo spezzo e lo diede loro dicendo: questo è il mio corpo, che è dato per voi" (Lc 22,19 cfr. par.). E adesso prende il calice per stabilire, mediante esso, l'alleanza col Padre nel suo sangue. Ecco "il sangue dell'alleanza, versato per molti" (Mc 14,24 cfr. par.).

Una volta, fu già rivelata da Dio al popolo dell'antica alleanza la Pasqua nel sangue dell'agnello. Ciò avvenne quando il Signore decise di fare uscire questo popolo dalla condizione della schiavitù d'Egitto. Proprio allora Dio gli ordino di immolare un agnello, scelto tra le pecore o tra le capre, nato nell'anno, e di segnare col suo sangue gli stipiti e l'architrave delle case, in cui abitavano. Ordino anche di associarsi in famiglie e di mangiare la carne arrostita al fuoco, con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano, perché quella era la sera della Pasqua, cioè del passaggio del Signore e l'inizio della liberazione del suo popolo dalla schiavitù d'Egitto (cfr. Ex 12).

Nel cenacolo la generazione dell'Israele d'allora - quella in cui si era adempiuto, definitivamente, l'annuncio del messia - ha compiuto il rito della Pasqua dell'antica alleanza. E a questo rito ha presieduto, nella famiglia dei suoi apostoli, Gesù stesso, l'Agnello che Giovanni aveva già indicato sulla sponda del Giordano, l'Agnello di Dio, la Pasqua della nuova alleanza.


4. Ecco, egli prende nelle sue mani il pane pasquale, azzimo. Ecco, solleva il calice riempito di vino, e poi lo porge e distribuisce agli apostoli. Ecco, pronuncia le parole che rivelano il mistero dell'Agnello, indicato là presso il Giordano, dell'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.

Il suo corpo sarà offerto per noi.

Il suo sangue sarà versato in remissione dei peccati.

Gli apostoli ascoltano queste parole, che in quel momento non comprendono pienamente, ma le capiranno più tardi. Forse già domani, quando il Signore sarà flagellato fino al sangue ed inchiodato alla croce; o forse ancora più tardi, quando egli sarà risorto, e di nuovo verrà a loro, nello stesso cenacolo del Giovedi Santo. Capiranno quelle parole in modo particolare, quando, sempre all'interno del cenacolo, scenderà su di loro lo Spirito Santo, cioè lo Spirito del Signore, che egli stesso promise insieme al sacrificio del suo corpo e del sangue, e sempre all'ultima cena: insieme all'eucaristia del cenacolo.

Gli apostoli ascoltano queste parole e partecipano all'avvenimento; ed anche se le capiranno solo più tardi, tuttavia già in quel momento, nel cenacolo del Giovedi Santo si è compiuto ciò che essi dovevano capire e che fin da allora dovevano fare in memoria di lui.

E tutto ciò anche noi abbiamo ricevuto da loro e dai loro successori.

Per questo i nostri cuori sono colmi del santo tremore della venerazione e dell'amore, ora che di nuovo è giunto per noi il Giovedi Santo: ci siamo, infatti, riuniti qui per partecipare alla liturgia dell'ultima cena.

"Che cosa rendero al Signore per quanto mi ha dato?" (Ps 115,12).

Data: 1980-04-03 Data estesa: Giovedi 3 Aprile 1980.


Discorso al termine della "Via Crucis" - Colosseo (Roma)

Titolo: La croce segno della dignità dell'uomo

1. Si avvia ormai al termine questo Venerdi Santo dell'anno del Signore 1980.

Terminiamo questo giorno, conformemente alla tradizione instaurata da parecchi anni, presso il Colosseo. Qui, in questo luogo, in cui nei tempi dell'antico impero romano i cristiani morirono per la fede nella croce, è stata innalzata poi la croce a testimonianza di ciò che è passato e di ciò che perdura.

In questo luogo, tanto eloquente, quasi sulle orme dei martiri abbiamo seguito Cristo che ha portato la croce sulla via di Gerusalemme che andava dal pretorio di Pilato al Golgota.

E qui la Chiesa romana termina l'odierno Venerdi Santo.


2. La croce è un segno visibile del rifiuto di Dio da parte dell'uomo. Il Dio vivente è venuto in mezzo al suo popolo mediante Gesù Cristo, suo eterno Figlio, che è diventato uomo: figlio di Maria di Nazaret.

Ma "i suoi non l'hanno accolto" (Jn 1,11).

Hanno ritenuto che dovesse morire come un seduttore del popolo. Davanti al pretorio di Pilato hanno sollevato il grido ingiurioso: "Crocifiggilo, crocifiggilo" (Jn 19,6).

La croce è diventata il segno del rifiuto del Figlio di Dio da parte del suo popolo eletto; il segno del rifiuto di Dio da parte del mondo. Ma in pari tempo la medesima croce è diventata il segno della accettazione di Dio da parte dell'uomo, da parte di tutto il Popolo di Dio, da parte del mondo.

Chiunque accoglie Dio in Cristo, lo accoglie mediante la croce. Chi ha accolto Dio in Cristo, lo esprime mediante questo segno: egli si segna infatti col segno della croce sulla fronte, sulle braccia e sul petto, per manifestare e per professare che nella croce egli ritrova di nuovo tutto se stesso: anima e corpo, che in questo segno abbraccia e stringe Cristo e il suo regno.


3. Quando, nel centro del pretorio romano, Cristo si è presentato agli occhi della folla, Pilato lo ha additato dicendo: "Ecco l'uomo" (Jn 19,5). E la folla rispose: "Crocifiggilo!".

La croce è diventata il segno del rifiuto dell'uomo in Cristo. In modo singolare camminano di pari passo il rifiuto di Dio e dell'uomo. Gridando "crocifiggilo", la folla di Gerusalemme ha pronunciato la sentenza di morte contro tutta questa verità sull'uomo, che ci è stata rivelata da Cristo, Figlio di Dio.

E' stata quindi respinta la verità sull'origine dell'uomo e sul fine del suo pellegrinaggio sulla terra. E' stata respinta la verità circa la sua dignità e la sua più alta vocazione. E' stata respinta la verità sull'amore, che tanto nobilita e unisce gli uomini, e sulla misericordia che solleva anche dalle più grandi cadute.

Ed ecco che qui, in questo luogo in cui - secondo una tradizione - gli uomini a causa di Cristo venivano oltraggiati e condannati a morte - nel Colosseo - è stata messa, da molto tempo, la croce in segno della dignità dell'uomo, salvata dalla croce. In segno della verità sull'origine divina e sul fine del suo pellegrinare. In segno dell'amore e della misericordia che sollevano dalla caduta ogni volta, in un certo senso, rinnovando il mondo.


4. Ecco la croce: ecco il legno della croce ("Ecce lignum crucis").

Essa è il segno del rifiuto di Dio e il segno dell'accettazione di lui.

Essa è il segno del vilipendio dell'uomo, e il segno della sua elevazione. Il segno della vittoria.

Cristo ha detto: "Io quando saro elevato da terra (sulla croce), attirero tutti a me" (Jn 12,32).


5. Siamo venuti, sul far della notte del Venerdi Santo, a queste rovine del Colosseo romano, che è stato teatro del rifiuto di Dio e del vilipendio dell'uomo mediante la croce. Ed ecco essa è diventata il simbolo dell'accettazione di Dio in Cristo crocifisso, e della più grande dignità dell'uomo.

Siamo venuti noi, i figli di questo secolo che è diventato di nuovo teatro di tale rifiuto di Dio da parte dell'uomo, come forse raramente è capitato nella storia. E' diventato teatro dell'offesa e dell'oppressione dell'uomo in tanti vari modi.

Siamo qui venuti, e i nostri pensieri si soffermano presso la croce il cui mistero permane e la cui realtà si ripete in circostanze sempre nuove, in mezzo ai segni dei tempi, sempre nuovi.

Questo rifiuto di Dio da parte dell'uomo, da parte dei sistemi, che spogliano l'uomo di questa sua dignità che egli possiede da Dio in Cristo, di questo amore che soltanto lo Spirito di Dio può diffondere nei nostri cuori, questo rifiuto, ripeto, verrà bilanciato, dall'accettazione, intima e fervente, di Dio che ha parlato a noi nella croce di Cristo? Verrà bilanciato questo rifiuto dall'accettazione dell'uomo in questa sua dignità e in questo amore, il cui inizio sta nella croce? Ecco la principale domanda che sgorga dal cuore dell'uomo che, il Venerdi Santo, è raccolto accanto alla croce presso il Colosseo e segue le orme della "via crucis" di Cristo.


6. Pero, la via di Cristo e la sua croce non sono soltanto una domanda, sono un'aspirazione, un'aspirazione perseverante ed inflessibile e un grido, un grande grido dei cuori.

Gridiamo quindi e preghiamo con Cristo: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34).

"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46).

"Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46).

Gridiamo e preghiamo come facendo eco a queste parole di Cristo: Padre, accoglici tutti nella croce di Cristo; accogli la Chiesa e l'umanità, la Chiesa e il mondo.

Accogli coloro che accettano la croce; coloro che non la capiscono e coloro che la evitano; coloro che non la accettano e coloro che la combattono nell'intento di cancellare e di sradicare questo segno dalla terra dei viventi.

Padre, accoglici tutti nella croce del tuo Figlio! Accogli ciascuno di noi nella croce di Cristo. Senza guardare a tutto ciò che passa nel cuore dell'uomo, senza guardare ai frutti delle sue opere e degli avvenimenti del mondo contemporaneo, accetta l'uomo! La croce del tuo Figlio rimanga il segno dell'accoglienza del figliol prodigo da parte del Padre.

Rimanga il segno dell'alleanza, dell'alleanza nuova ed eterna.

Data: 1980-04-04 Data estesa: Venerdi 4 Aprile 1980.


Udienza a universitari cattolici di Francia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Accogliamo con gioia il dono dell'amore

Cari amici, Sono molto felice di incontrare voi, studenti universitari francesi collegati al Sacré-Coeur di Montmatre. Siete venuti a terminare a Roma il Triduo pasquale. Conosco la serietà del vostro affetto verso la Chiesa, il vostro desiderio di approfondire incessantemente la vostra fede, non soltanto nello studio, ma anche nella preghiera personale d'adorazione, nella liturgia ben celebrata, nella condivisione e nella testimonianza.

A voi tutti, porgo i miei migliori auguri di buona Pasqua. A voi come agli Apostoli riuniti attorno a Pietro, Cristo domanda: "Per voi, chi sono io?".

Ognuno di voi deve rispondere secondo la propria coscienza. Temo pero che lasciati alle sole vostre forze, alla sola vostra ragione, influenzati forse dal clima di incertezza, di dubbio che regna attorno a voi, non ne sareste capaci. Ma la Chiesa stessa, nel passo dell'Apostolo Pietro, ha proclamato per voi la sola fede conveniente: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Questa fede è stata infusa in voi allo stato di germe, di capacità, di virtù attraverso il battesimo.

L'avete fatta vostra un po' alla volta, nel corso della vostra infanzia e della vostra adolescenza, forse con degli alti e dei bassi. Dall'interno, lo Spirito Santo ha illuminato, fortificato questa fede, spandendo nei vostri cuori l'amore di Dio. Voglio ripetervi con il primo degli Apostoli, il primo dei Vescovi di Roma: "questo Gesù, voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime" (1P 1,8-9).

Che il vostro affetto per Cristo e la sua Chiesa non vacilli mai.

Accoglietelo con fiducia, serenità, gioia, perché sappiamo in chi abbiamo riposto la nostra fiducia. Questa notte, celebreremo la sua Risurrezione. Il Cristo risorto è là per "cogliere" le vostre persone, come diceva San Paolo - e l'ha già fatto -, per liberarvi dai vostri peccati, da quello che vi impedirebbe di vivere nella fede religiosa, nella pace con gli altri, nella verità, nella purezza, nel perdono, nella carità; per mettere in voi la sua vita divina, la sua potenza rinnovatrice. Nessuna barriera può impedirgli di svolgere la sua opera di salvezza se un uomo gli si apre liberamente. Abbiate fiducia, anche quando avete l'impressione di essere ancora lontani.

Questo amore di Dio che vi coglie è un dono gratuito. Ricevetelo con spirito di grazia. Andate per le vie del mondo, nelle vostre famiglie, nelle vostre città, nelle vostre scuole, fra gli altri giovani, per essere testimoni di questo Dono, per essere in qualche modo il sacramento del suo amore presso ognuno dei vostri fratelli, invitandoli ad accogliere il Salvatore nelle loro vite. E' il segreto della felicità! E per il nostro mondo invecchiato nei suoi dubbi, nelle sue chiusure e nei suoi rancori, rappresenta l'occasione di rinnovarsi.

Rappresenta la sua salvezza.

Buona Pasqua! Con la Benedizione Apostolica che vi impartisco di tutto cuore nel nome del Signore.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-04-05 Data estesa: Sabato 5 Aprile 1980.


Udienza - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Riconoscenza agli agenti della Polizia Stradale

Carissimi! 1. In questo giorno del "Sabato Santo", avvolto di mistico silenzio e di gioiosa attesa, alla vigilia della grande solennità della Pasqua, avete desiderato venire qui, nella Casa del Padre comune, per porgermi i vostri auguri.

Vi ringrazio cordialmente, ad uno ad uno, cari Agenti della Polizia Stradale che tante volte mi avete fatto la scorta in occasione delle mie visite pastorali. Ed estendo volentieri il mio saluto affettuoso a tutti i vostri familiari.

Sono lieto di avere occasione di manifestarvi la mia sentita riconoscenza per il servizio che sovente mi avete prestato nelle mie uscite dalla Città del Vaticano. Desidero dirvi quanto io apprezzi questa vostra opera, talvolta anche gravosa, ma che voi svolgete con premurosa sollecitudine e con encomiabile competenza.

Sappiate che il Papa vi stima, vi ama, vi accompagna nelle vostre aspirazioni e nei vostri affetti familiari, e prega per voi! Questo vostro servizio vi sia di stimolo anche a un sincero impegno di vita onesta e genuinamente cristiana.


2. A voi e alle vostre famiglie porgo gli auguri più cordiali di una Santa Pasqua! Pasqua, voi ben lo sapete, per il cristiano significa gioia e letizia; gioia che nasce dalla certezza che Cristo è morto in Croce per la salvezza degli uomini ed è veramente risorto per confermare la divinità della sua Persona e della sua missione.

Il Signore vi conceda di poter sempre profondamente gustare la letizia pasquale, pur nei travagli della vita e nelle vicende talvolta dolorose della storia! I1Signore vi illumini per essere anche voi dei testimoni della risurrezione di Cristo con la vostra fede convinta, con la vostra onestà, con la vostra fedeltà al dovere e alla famiglia, con il senso della preghiera e con la bontà.

"Cristo è risorto, Alleluia!", così canta la Liturgia in questi giorni nella solennità commovente dei suoi riti.

E poiché Cristo è risorto, ogni uomo e il suo lavoro, se a Lui unito e in Lui inserito, è veramente redento e santificato: Cristo sarà la nostra eterna Pasqua! Auspico che trascorriate questi santi giorni animati da tali sentimenti, mentre, con particolare benevolenza, imparto a voi e a tutte le persone a voi care, la mia Benedizione Apostolica.

Data: 1980-04-05 Data estesa: Sabato 5 Aprile 1980.


Omelia durante la veglia pasquale - Basilica Vaticana - Roma

Titolo: Vegliamo insieme con gioia nella speranza della risurrezione

1. Cristo, Figlio del Dio vivente! Siamo qui noi, la tua Chiesa: il corpo dal tuo corpo e dal tuo sangue; siamo qui, vegliamo.

Già fu una santa notte la notte di Betlemme, quando siamo stati chiamati dalla voce dell'alto, ed introdotti dai pastori nella grotta della tua natività.

Abbiamo vegliato allora a mezzanotte, riuniti in questa Basilica, accogliendo con gioia la buona novella che sei venuto al mondo dal grembo della Vergine-Madre; che sei diventato uomo simile a noi, tu, che sei "Dio da Dio, luce da luce", non creato come ognuno di noi, ma "della stessa sostanza del Padre", generato da lui prima di tutti i secoli.

Oggi siamo di nuovo qui, noi, la tua Chiesa; siamo presso il tuo sepolcro; vegliamo.

Vegliamo, per precedere quelle donne, che "di buon mattino" si recheranno alla tomba, portando con sé "gli aromi che hanno preparato" (cfr. Lc 24,1), per ungere il tuo corpo deposto nella tomba l'altro ieri.

Vegliamo per essere presso la tua tomba, prima che venga qui Pietro, condotto dalle parole delle tre donne, prima che venga Pietro, il quale, chinandosi, vedrà solo le bende (Lc 24,12); e tornerà dagli apostoli "pieno di stupore per l'accaduto" (Lc 24,12).

Ed era accaduto ciò che avevano sentito le donne: Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo, quando erano giunte alla tomba ed avevano trovato la pietra rotolata via dal sepolcro, "ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù" (Lc 24,3). In quel momento per la prima volta, in quella tomba vuota, nella quale l'altro ieri è stato deposto il tuo corpo, è risuonata la parola: "E' risuscitato!" (Lc 24,6).

"Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato.

Ricordatevi come vi parlo quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell'uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno" (Lc 24,5-7).

Per questo siamo qui adesso. Per questo vegliamo. Vogliamo precedere le donne e gli apostoli. Vogliamo essere qui, quando la sacra liturgia di questa notte renderà presente la tua vittoria sulla morte. Vogliamo essere con te, noi, la tua Chiesa, il corpo dal tuo corpo e dal tuo sangue sparso sulla croce.


GPII 1980 Insegnamenti - Al termine dell'udienza generale - Città del Vaticano (Roma)