GPII 1980 Insegnamenti - Castel Gandolfo - Roma


Al Catholicos Patriarca dell'antica apostolica Chiesa di Georgia - Città del Vaticano (Roma

Titolo: Restaurare l'unità è impegno di tutti i cristiani

Vostra santità e beatitudine, cari fratelli nel Signore.

Oggi è davvero un giorno gioioso nella lunga storia delle nostre Chiese, poiché è la prima volta che un Catholicos Patriarca della antica chiesa apostolica di Georgia visita questa apostolica sede di Roma per scambiare il bacio di pace con il suo Vescovo. In anni recenti c'è stata una continua crescita nelle buone relazioni tra le nostre Chiese ciascuna delle quali ha condiviso i dolori e le gioie dell'altra, secondo le parole dell'apostolo: "Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri" (Rm 12,15-16). Il Vescovo Nikolosi di Sukhumi e di Abkhasia, che sono lieto di salutare qui di nuovo, rappresento vostra santità ai funerali del mio predecessore Giovanni Paolo I e anche alla messa che inauguro il mio stesso pontificato; fu pure una gioia per me il sapere che la vostra Chiesa mi esprimeva la sua solidarietà pregando il Signore perché mi desse la sua benedizione all'inizio del mio ministero. Tre anni fa Paolo VI invio propri rappresentanti ai funerali del vostro predecessore, il Catholicos Patriarca David V; e l'anno scorso il Cardinale Willebrands, presidente del segretariato per l'unità dei cristiani, guido una delegazione che vi portava i miei stessi fraterni saluti. Ci siamo allora salutati l'un l'altro, ma da lontano. Ora Dio ci ha consentito di incontrarci e di parlarci "a viva voce, perché la nostra gioia sia piena" (2Jn 12).

Ci incontriamo come fratelli. La Chiesa di Georgia conserva come proprio tesoro la predicazione di sant'Andrea; la Chiesa di Roma è stata fondata dalla predicazione di san Pietro. Andrea e Pietro erano fratelli di sangue, ma divennero fratelli anche nello spirito tramite la loro risposta alla chiamata di Gesù Cristo, vero Figlio di Dio e "primogenito fra molti fratelli" (Rm 8,29), che, assumendo su di sé la natura di tutti gli uomini, "non si vergogno di chiamarli fratelli" (He 2,11).

Come eredi di Andrea e di Pietro noi ci incontriamo oggi quali fratelli in Cristo.

E' stato con amore e preoccupazione fraterna che la Chiesa di Roma ha partecipato da vicino alle gioie e ai dolori della Chiesa di Georgia. Sia in tempo di pace che in tempo di persecuzione la vostra Chiesa ha dato una fedele ed esemplare testimonianza per quanto attiene alla fede cristiana e ai sacramenti cristiani, una testimonianza data da molti santi uomini e martiri dai giorni di san Nina in poi.

La preoccupazione di vostra santità per il rinnovamento della Chiesa, un rinnovamento fermamente radicato nella tradizione apostolica e nelle particolari tradizioni della Chiesa in Georgia, è causa di particolare gioia. Voi siete ben consapevoli che il rinnovamento della vita cristiana è ugualmente una preoccupazione della Chiesa di Roma. E' questa preoccupazione per il rinnovamento che ci ha reso così fortemente consapevoli della necessità e dell'obbligo di restaurare la piena comunione tra le nostre Chiese. Il lungo svolgersi della nostra storia ci ha condotto a tristi e talvolta amare divisioni che ci hanno portato a perdere di vista la nostra fraternità in Cristo; e la nostra preoccupazione per il rinnovamento è uno dei fattori che ci hanno condotto a vedere con maggior chiarezza il bisogno che c'è dell'unità fra tutti coloro che credono in Cristo. Il Concilio Vaticano II affermo: "Ogni rinnovamento della Chiesa essenzialmente consiste in una crescita della fedeltà alla sua propria chiamata. Senza dubbio questo spiega il dinamismo del movimento in direzione dell'unità" (UR 6). Lo stesso documento continua ricordando a tutti i fedeli che: "tanto più vicina sarà la loro unione con il Padre, con il Verbo e con lo Spirito, quanto più profondamente e facilmente essi saranno capaci di crescere nel mutuo amore fraterno" (UR 7).

Oggi il compito di restaurare la piena comunione tra i cristiani divisi è un impegno prioritario per tutti coloro che credono in Cristo. E' nostro dovere nei confronti di Cristo, la cui veste senza cuciture è lacerata dalle divisioni.

E' nostro dovere nei confronti dei nostri confratelli, poiché è soltanto parlando a una sola voce che possiamo effettivamente proclamare la nostra fede e la buona novella di salvezza e perciò obbedire al comando del Signore di portare il suo Vangelo a tutta l'umanità. Ed è nostro dovere reciproco, poiché noi siamo fratelli e dobbiamo esprimere la nostra fratellanza.

Per questa ragione la Chiesa cattolica ha pregato ardentemente in queste ultime settimane perché il Signore benedisse il primo incontro della commissione congiunta del dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e tutte le Chiese ortodosse. Quanto mai opportuno è stato che la commissione si riunisse per la prima volta nell'isola di Patmos, dove Giovanni ebbe il privilegio di ricevere la rivelazione che lo mise in grado di chiederci "di udire ciò che lo Spirito dice alle Chiese" (Ap 2,7). Sono felice di sapere che due membri della vostra delegazione, il Vescovo Nikolosi e il Vescovo David, hanno preso parte a quella riunione come rappresentanti della Chiesa di Georgia, e penso con piacere alla possibilità di parlare con voi di questo argomento.

Preghiamo insieme che questo dialogo ci porti a quella piena unità di fede che noi entrambi ardentemente desideriamo. Ma il nostro progresso verso l'unità della fede deve essere segnato da una costante crescita della conoscenza e della comprensione l'uno dell'altro e da un amore sempre più profondo. Quando sono ritornato dalla visita da me compiuta al Patriarca ecumenico l'anno scorso, ebbi occasione di dire: "L'unione può essere solo il frutto della conoscenza della verità nell'amore. La verità e l'amore devono operare insieme; l'uno e l'altro ognuno per proprio conto non sono ancora abbastanza, poiché la verità senza l'amore non è ancora la piena verità, così come l'amore non esiste senza la verità" (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio in Audientia Generali habita": die 5 dec. 1979.

Vostra santità, è anche molto opportuno che la vostra gradita visita a Roma abbia luogo immediatamente dopo questo inizio del nostro dialogo teologico, poiché ciò ci abilita a testimoniare che la necessità di tale dialogo sia radicata nel vincolo di amore fraterno che deve caratterizzare i rapporti fra le Chiese di cui siamo pastori. Nel momento in cui rinnovo a lei il mio cordiale saluto, mi piace ricordare le parole di san Pietro, il fratello di sant'Andrea: "Siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno, misericordiosi, umili", (1P 3,8).

Possano le tre divine Persone, la cui unità è il più alto esempio e fonte del mistero dell'unità della Chiesa (cfr. UR 2) concederci questa grazia, e così benedire il nostro incontro di oggi cosicché esso contribuisca al raggiungimento della meta per la quale Cristo prego e che noi così ardentemente attendiamo.

[Traduzione dall'inglese.]

Data: 1980-06-06 Data estesa: Venerdi 6 Giugno 1980.


Ad un gruppo di Vescovi dell'Indonesia in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Concilio è la guida delle attività ecclesiali

Venerabili e cari fratelli nel nostro Signore Gesù Cristo.

1. Vi sono molto grato per la vostra visita odierna - grato per i saluti che voi mi portate dalle vostre Chiese locali, grato per il vostro stesso paterno amore in Gesù Cristo, grato per la ecclesiale comunione che noi celebriamo insieme in cattolica unità. Questa comunione ecclesiale - questa cattolica unità - è stata il tema del mio indirizzo di saluto ai vostri fratelli Vescovi della Indonesia quando furono qui meno di due settimane or sono. Ed è ugualmente il fondamento di questa visita "ad limina" e di ogni visita "ad limina" a Roma.


2. Proprio a causa di questa comunione ecclesiale, io personalmente, come successore di Pietro, sperimento profondamente il bisogno di fare ogni sforzo per comprendere più che posso i problemi delle vostre Chiese locali e per assistervi nella soluzione di tali problemi in armonia con ciò che Cristo vuole per la sua Chiesa. I problemi che voi mi avete esposto riguardano il benessere del vostro popolo. Alcuni di essi sollevano questioni che toccano la fede cattolica e la vita cattolica in genere. Tutti implicano preoccupazioni di ordine pastorale che in modi diversi sono oggetto della vostra responsabilità e della mia, questioni che devono essere esaminate con l'assistenza dello Spirito Santo, alla luce del perenne valore della parola di Dio confermata dal magistero della Chiesa, e nel contesto della comunione ecclesiale.


3. Alcuni di questi problemi, e anche altre questioni, hanno bisogno di essere approfonditamente esaminate, il che a sua volta richiede tempo e un fiducioso scambio di vedute tra i Vescovi dell'Indonesia e la sede apostolica. In ogni discussione in tema di bisogni pastorali, deve essere data priorità alla parola di Dio come base di ogni soluzione veramente efficace. L'interpretazione autentica della parola di Dio e le sue implicazioni con la vita di ogni giorno è stata compito della Chiesa per secoli e secoli, e questa interpretazione e queste implicazioni formano parte del patrimonio della vita cattolica oggi.

In questa generazione, il Concilio Vaticano II - un Concilio ecumenico eminentemente pastorale - ha ripetutamente insegnato e stabilito norme che continuano a dirigere tutti i nostri sforzi pastorali e tutte le nostre attività ecclesiali.


4. Per parte mia, faro ogni cosa mi sia possibile per promuovere il bene del vostro popolo e della Chiesa universale. Con l'aiuto di Dio spero di adempiere al mio compito, che è quello di confermarvi nel vostro ministero di annunciatori delle "imperscrutabili ricchezze di Cristo" (Ep 3,8), di proclamare la salvezza in Gesù Cristo come grande dono dell'amore di Dio, di costruire la Chiesa giorno dopo giorno, anno dopo anno. In particolare, il mio compito in quanto successore di Pietro consiste nel sostenere la fede cattolica dei miei fratelli Vescovi, la quale fede essi professano e insegnano, e che è il fondamento di ogni sforzo pastorale e di tutta quanta la vita cristiana.


5. E' nella prospettiva della fede e della parola di Dio che Giovanni XXIII interpreto "i segni dei tempi". Prima che il Concilio Vaticano Il iniziasse a prendere in esame le molte questioni che aveva di fronte, Papa Giovanni volle insistere sulla natura pastorale di quell'avvenimento. Poiché egli sapeva che un Concilio pastorale - per essere genuinamente efficace, per riflettere veridicamente l'amore pastorale del buon pastore - doveva avere una solida base dottrinale. Per questa ragione, nella sua allocuzione in apertura del Concilio egli dichiaro: "La maggior preoccupazione del Concilio ecumenico è questa: che il sacro deposito della dottrina cristiana possa essere più effettivamente conservato ed insegnato" (Ioannis XXIII "Allocutio in solemni SS. Concilii inauguratione", die 11 oct. 1962). Questa sempre più efficace custodia ed insegnamento della parola di Dio dovrebbe tener conto del modo di presentare la dottrina, e anche dell'intera questione dell'incarnazione della parola di Dio nelle culture locali, ma dovrebbe anche implicare la trasmissione della dottrina nella sua purezza e completezza, dottrina che, attraverso i secoli, nella sua perenne validità è divenuta patrimonio comune di ognuno.


6. In questo spirito, il Concilio stesso più tardi avrebbe sottolineato il ruolo del Vescovo in quanto annunciatore della piena verità del Vangelo e proclamatore "dell'intero mistero di Cristo" ("Christus Domini", 12). Pertanto, nel momento in cui noi affrontiamo i molti problemi pastorali che si trova di fronte il nostro popolo cristiano - molti dei quali sono legati al battesimo con cui sono stati eletti, altri alle particolari circostanze delle loro vite - siamo sempre impegnati a rendere testimonianza della pienezza della fede cattolica. Lo Spirito Santo che ci assiste e ci aiuta a leggere i segni dei tempi è lo stesso Spirito Santo che discese sugli apostoli, lo stesso Spirito Santo che ha assistito il magistero attraverso le epoche e che ha provveduto ai bisogni della Chiesa in ogni secolo, e che ha prodotto frutti di giustizia e di santità in abbondanza nei cuori dei fedeli.

In questioni morali come in questioni dottrinali dobbiamo continuare a proclamare l'insegnamento della Chiesa "in ogni occasione opportuna e non opportuna" (2Tm 4,2). Pertanto noi sollecitiamo la nostra gente a tenere per fermo una sola misura dell'amore cristiano: amare gli altri come Cristo ci ha amati (cfr. Jn 13,34); ed assegnamo anche alla nostra gente il compito di rendere costante testimonianza della giustizia di Cristo e della sua verità.


7. Nel nostro ministero a servizio della vita noi siamo chiamati a testimoniare della pienezza della verità che portiamo con noi, così che tutti possano venire a conoscere che la Chiesa cattolica si fonda sulla assoluta inviolabilità della vita umana dal momento del concepimento. Pertanto noi proclamiamo con profonda convinzione che ogni distruzione della vita umana tramite l'aborto procurato, per qualunque ragione, non è in accordo con il comandamento di Dio, ed è completamente al di fuori della giurisdizione di ogni persona o gruppo, e che non può militare a favore del vero progresso umano.


8. Nella questione dell'insegnamento della Chiesa riguardo alla regolazione delle nascite, siamo chiamati a professare in unione con l'intera Chiesa l'esigente ma irrinunciabile insegnamento sancito dall'enciclica "Humanae Vitae", che il mio predecessore Paolo VI emano "in virtù del mandato a noi assegnato da Cristo" (Pauli VI "Humanae Vitae": AAS 60 [1968] 485). In particolare a questo riguardo dobbiamo essere consci del fatto che la saggezza di Dio supera i calcoli umani e che la sua grazia è potente nella vita delle persone. E' importante per noi renderci conto della diretta influenza di Cristo sulle membra del suo corpo in tutti gli ambiti in cui si pongono dei problemi morali. In occasione della visita "ad limina" di un altro gruppo di Vescovi ho fatto riferimento a questo principio, che ha molte applicazioni, dicendo: "Non dobbiamo mai pensare che l'impegno che si pone sia troppo pesante per la nostra gente: essa è stata redenta dal sangue prezioso di Cristo; la nostra gente costituisce il suo popolo. Attraverso lo Spirito Santo, Gesù Cristo rivendica a sé la responsabilità ultima per quanto attiene all'accettazione della sua parola e alla crescita della sua Chiesa. E' lui, Gesù Cristo, che continua a dare la grazia al suo popolo perché possa adempiere ai precetti che derivano dalla sua parola, nonostante tutte le difficoltà e nonostante tutte le debolezze. Ed è compito nostro continuare a proclamare il messaggio di salvezza nella sua interezza e purezza, con pazienza, compassione e con la convinzione che ciò che è impossibile all'uomo è possibile a Dio. Noi stessi siamo solo una parte di una generazione nella storia della salvezza, mentre "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre" (He 13,8). Egli è anche capace di sostenerci quando noi riconosciamo la forza della sua grazia, il potere della sua parola e l'efficacia dei suoi meriti" (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio ad sacros Praesules Papuae Novae Guineae atque Insularum Salominiarum, occasione oblata eorum ipsorum visitationis "ad limina"", die 23 oct. 1979: "", II,2, [1979] 835).


9. La grazia di Cristo non elimina il bisogno di una comprensione compassionevole e di un sempre maggiore sforzo pastorale da parte nostra ma richiama il fatto che, in ultima analisi, ogni cosa dipende da Cristo. E' la parola di Cristo che noi pronunciamo; è la sua Chiesa che noi costruiamo giorno dopo giorno, secondo il suo criterio. Gesù Cristo ha stabilito la sua Chiesa sul fondamento degli apostoli e dei profeti (cfr. Ep 2,20) e in special modo su Pietro (cfr. Mt 16,18). Ma essa rimane la sua Chiesa, la Chiesa di Cristo: "...e su questa pietra io costruiro la mia Chiesa". La nostra gente è nostra, soltanto perché essa è, soprattutto, sua.

Gesù Cristo è il buon pastore, l'autore della nostra fede, la speranza del mondo.

E' importante per noi riflettere sul mistero dell'essere Cristo capo della sua Chiesa. Attraverso il suo Spirito Santo, Gesù Cristo dà la grazia e la forza al suo popolo e invita tutti a seguirlo. Di volta in volta, cominciando da Pietro, Cristo chiama i suoi a seguirlo, come egli stesso spiega, dove essi non vorrebbero andare (cfr. Jn 21,18).


10. Venerabili fratelli: le mie recenti visite pastorali confermano qualcosa che abbiamo tutti sperimentato. La nostra gente si volge costantemente a noi attendendo e supplicando: che noi proclamiamo loro la parola di Cristo; parlaci di Cristo. La loro richiesta è un'eco della domanda ripresa da san Giovanni e rivolta dall'apostolo Filippo: "Vogliamo vedere Gesù" (Jn 12,21). Davvero il mondo ci sollecita a parlare di Cristo. E' lui che darà forma a nuovi cieli e nuova terra.

E' lui che con la sua parola di verità delinea e controlla i destini della nostra gente.

Con rinnovato amore e zelo pastorale, proclamiamo la sua parola di salvezza al mondo. Contando sull'aiuto di Maria, Madre del Verbo incarnato affidiamo insieme la nostra gente e il nostro ministero a lui che solo ha "le parole di vita eterna" (Jn 6,68).

Con questi sentimenti ricambio i saluti a tutti i membri delle vostre Chiese locali, e specialmente a tutte le famiglie cristiane. Offro il mio incoraggiamento e la mia gratitudine ai preti e ai religiosi e a tutti coloro che collaborano con voi nella causa del Vangelo. Ai malati e ai sofferenti vada la mia speciale benedizione, e ad ognuno l'espressione del mio amore nel nostro Salvatore Gesù Cristo.

Data: 1980-06-07 Data estesa: Sabato 7 Giugno 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il sacramento dell'amore nel cuore della Chiesa

1. "Ave verum corpus natum / ex Maria Virgine..." (Ave, o vero corpo, nato / da Maria Vergine...).

Mentre oggi qui, in questa piazza san Pietro, vogliamo manifestare il particolare culto verso l'eucaristia, verso il santissimo corpo di Cristo, i nostri pensieri si rivolgono a colei, dalla quale Dio, il Figlio di Dio, ha preso questo corpo: alla Vergine, il cui nome è Maria. Particolarmente, mentre ci troviamo qui, per recitare, come tutte le domeniche, l'Angelus, la preghiera che tre volte al giorno ci ricorda il mistero della incarnazione: "Verbum caro factum est et habitavit in nobis" (Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi).

Salutiamo quindi con venerazione e amore quel corpo dell'eterno Verbo e colei che, come Madre, ha dato il corpo all'eterno Verbo.

Questo corpo è il sacramento della redenzione dell'uomo e del mondo: "Vere passum, immolatum / in cruce pro homine" (Veramente pati, fu immolato / sulla croce per l'uomo).

Questo corpo martirizzato fino alla morte sulla croce, insieme al sangue versato in segno della buona ed eterna alleanza, è diventato il sacramento più grande della Chiesa, al quale oggi desideriamo rendere particolare adorazione, dimostrare particolare amore e gratitudine.

Infatti, questo corpo è veramente il cibo, così come il sangue è veramente la bevanda delle nostre anime, sotto le specie del pane e del vino.

Ristora le forze interiori dell'uomo e fortifica nel cammino sulla strada dell'eternità. Già qui sulla terra ci permette di pregustare quell'unione con Dio nella verità e nell'amore, alla quale ci chiama il Padre, in Cristo suo figlio.

Perciò l'ultima invocazione: "Esto nobis praegustatum / mortis in examine!".

Che noi tutti possiamo riceverti, corpo di Dio, nell'ultima ora della nostra vita terrena, prima di apparire davanti al cospetto di Dio! 2. Mentre mi preparo insieme con voi, cari fratelli e sorelle, all'adorazione del corpo di Cristo nella piazza san Pietro, qui a Roma, davanti ai miei occhi appaiono due momenti della mia recente visita a Parigi, che si sono particolarmente impressi nel mio cuore.

Anzitutto, sabato scorso, nel pomeriggio, la visita a Rue du Bac: il santuario particolare dell'Immacolata nascosto in una modesta cappella della casa generalizia delle Figlie della Carità di san Vincenzo de' Paoli; da più di cento anni, luogo di incessante preghiera degli uomini e delle donne di Parigi, della Francia e del mondo.

La domenica seguente, quasi a mezzanotte, la visita alla Basilica del Sacro Cuore a Montmartre, nella quale da quasi un secolo perdura l'incessante adorazione del santissimo Sacramento, senza intervallo, giorno e notte. E senza intervallo vi sono uomini che pregano, che adorano, che, nello spirito di santa Margherita Maria, offrono riparazione a quel cuore, che tanto ha amato il mondo, e l'uomo in questo mondo, e che subisce da esso tanti oltraggi e dimenticanze.

Questi due luoghi, i due santuari della grande Parigi, si uniscono in questo momento nella mia grata memoria, mentre ci accingiamo ad adorare, qui in piazza san Pietro a Roma, nel cuore della Chiesa, il sacramento dell'amore: "Ave, verum corpus, natum / ex Maria Virgine; / vere passum, immolatum / in cruce pro homine; / esto nobis praegustatum / mortis in examine".

La giornata di preghiera per la pace dei profughi cambogiani Sono informato che oggi, 8 giugno, i profughi cambogiani fanno una giornata di preghiera per la pace. Mi unisco volentieri a loro ed invito tutti a farlo, così da rinnovare, nella comune invocazione a Dio, la nostra fraternità e la nostra premurosa attenzione per coloro che sono maggiormente nel bisogno.

Desidero assicurare tutti i profughi, anche quelli di altri paesi, che sono molto vicino a loro col mio affetto e che li ricordo costantemente al Signore, insieme a tutti quelli che sono afflitti da varie forme di privazione; in particolare penso ai bambini e alla loro sofferenza innocente.

Preghiamo tutti per ottenere che si possa realizzare l'aspirazione di tutti i popoli alla pace, in un mondo che sia sempre più umano e più cristiano.

[Omissis. Seguono i saluti ai sottufficiali del III stormo dell'aereonautica militare di Villafranca di Verona; a tutti i presenti.]

Data: 1980-06-08 Data estesa: Domenica 8 Giugno 1980.


Omelia alla messa del "Corpus Domini"

Titolo: Pellegrinare con Cristo per le strade del mondo

1. La Chiesa ha scelto, da secoli, il giovedi dopo la festa della santissima Trinità come il giorno dedicato a una particolare venerazione pubblica dell'eucaristia, il giorno del "Corpus Domini". Ma, a motivo dell'obbligo di lavoro del giovedi, celebriamo tale solennità in questa domenica. La celebriamo presso la Basilica di san Pietro, desiderando associare a questa solennità tutta la fede e tutto l'amore di Pietro e degli apostoli, i quali, il Giovedi Santo, prima di Pasqua, furono partecipi dell'ultima cena, cioè dell'istituzione di questo sacramento, che sempre nella Chiesa fu considerato come il più santo: il sacramento del corpo e del sangue del Signore. Il sacramento della Pasqua divina.

Il sacramento della morte e della risurrezione. Il sacramento dell'amore, che è più potente della morte. Il sacramento del sacrificio e del banchetto della redenzione. Il sacramento della comunione delle anime con Cristo nello Spirito Santo. Il sacramento della fede della Chiesa pellegrinante e della speranza dell'unione eterna. Il cibo delle anime. Il sacramento del pane e del vino, delle specie più povere che diventano il nostro tesoro e la nostra ricchezza più grandi.

"Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini" (Sequentia), "...non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno" (Jn 6,58).


2. Perché per la solennità del "Corpus Domini" è stato scelto un giovedi? La risposta è facile. Questa solennità si riferisce al mistero storicamente legato a tale giorno, al Giovedi Santo. E quel giorno è, nel senso strettissimo della parola, la festa eucaristica della Chiesa. Il Giovedi Santo si sono compiute le parole che, una volta, Gesù pronuncio nella sinagoga di Cafarnao; al sentirle, "molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui", mentre gli apostoli risposero per bocca di Pietro: "Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,6 Jn 6 Jn 6,68). L'eucaristia racchiude in sé il compimento di queste parole.

In essa la vita eterna ha la sua caparra e il suo inizio.

"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risuscitero nell'ultimo giorno", (Jn 6,54). Ciò vale già per lo stesso Cristo, che inizia il suo triduo pasquale il Giovedi Santo con l'ultima cena, viene condannato a morte e crocifisso il Venerdi Santo, e risorgerà il terzo giorno. L'eucaristia è il sacramento di questa morte e di questa risurrezione.

In essa il corpo di Cristo diventa veramente il cibo, e il sangue la bevanda per la vita eterna, per la risurrezione. Infatti, colui che mangia questo corpo eucaristico del Signore e beve nell'eucaristia il sangue da lui versato per la redenzione del mondo, perviene a quella comunione con Cristo, della quale il Signore stesso dice: "Rimane in me e io in lui" (Jn 15,4). E l'uomo, rimanendo in Cristo, nel Figlio che vive del Padre, vive egli stesso, mediante lui, di quella vita che costituisce l'unione del Figlio con il Padre nello Spirito Santo: vive la vita divina.


3. Noi celebriamo, dunque, la solennità del corpo e del sangue di Cristo il giovedi dopo la santissima Trinità, per mettere in evidenza proprio quella vita che ci dà l'eucaristia. Mediante il corpo e il sangue di Cristo rimane in essa un riverbero più pieno della santissima Trinità, così che la vita divina viene partecipata, in questo sacramento, dalle nostre anime. Questo è il mistero più profondo, più interiore, che assumiamo con tutto il nostro cuore, con tutto il nostro "io" interiore. E lo viviamo nel nascondimento, nel raccoglimento più profondo, senza trovare né le parole giuste, né gesti adatti per rispondere ad esso. Le parole più esatte sembrano forse queste: "Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto..." (Mt 8,8), unite ad un atteggiamento di profonda adorazione.

Tuttavia, esiste un unico giorno - e un tale tempo - in cui noi, ad una realtà così intima, desideriamo dare una particolare espressione esterna e pubblica. Questo accade proprio oggi. E' una espressione di amore e di venerazione.

Cristo, pensando alla sua morte, di cui ci ha lasciato il memoriale proprio nell'eucaristia, non ha forse detto una volta: "Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse" (Jn 17,5)? Cristo permane in questa gloria dopo la risurrezione. Il sacramento della sua spogliazione e della sua morte è contemporaneamente il sacramento di questa gloria, nella quale egli permane. E benché alla glorificazione, di cui egli gode in Dio, non corrisponda alcuna espressione adeguata di adorazione umana - tuttavia è giusto che con l'eucaristia del Giovedi Santo sia collegata anche quella liturgia particolare di adorazione, che porta con sé la festa odierna.

Questo è il giorno in cui non soltanto riceviamo l'ostia della vita eterna, ma anche camminiamo con lo sguardo fisso all'ostia eucaristica, tutti insieme nella processione, che è un simbolo del nostro pellegrinaggio con Cristo nella vita terrena.

Camminiamo per le piazze e per le vie delle nostre città - per queste nostre vie sulle quali si svolge normalmente il nostro pellegrinaggio. Là dove, vivendo, lavorando, andando in fretta, noi lo portiamo nel nascondimento dei nostri cuori - là vogliamo portarlo in processione e mostrarlo a tutti, affinché sappiano che, grazie al corpo del Signore, tutti hanno o possono avere in sé la vita (cfr. Jn 6,53). E perché rispettino questa nuova vita che è nell'uomo.

Chiesa santa, loda il tuo Signore! Amen. Data: 1980-06-08 Data estesa: Domenica 8 Giugno 1980.


Intervista al santo Padre - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La provvidenza: regola dei pellegrinaggi

1. Santità, alla vigilia si parlava del viaggio in Francia come di un viaggio difficile. Pensa, ora che il viaggio è alle spalle, che quelle difficoltà siano da considerarsi superate, oppure che in realtà non siano mai veramente state importanti? Penso che ogni viaggio pastorale possiede un suo peso proprio, un suo peso oggettivo. Anche il viaggio in Francia aveva un suo peso oggettivo, che ha avuto una verifica nella realtà del viaggio stesso, corrispondente al peso oggettivo della Chiesa in Francia, della Francia come nazione, come paese, come tradizione, come cultura, come influenza nella vita internazionale, come influenza speciale nella vita della Chiesa. Considerato nel suo insieme, era un viaggio importante, si può dire un viaggio-chiave. Le opinioni soggettive espresse prima del viaggio e le reazioni soggettive registrate dopo il viaggio sono soltanto un aspetto secondario. L'aspetto principale, che si è verificato puntualmente nella realtà, è il peso oggettivo di questo viaggio, o piuttosto pellegrinaggio, che grazie alla provvidenza ho potuto effettuare negli ultimi giorni di maggio e nei primi giorni di giugno.

La grande promessa della gioventù 2. In ogni pellegrinaggio apostolico è incluso, di solito, un incontro con i giovani. Quale pensa che sia stata la caratteristica specifica dell'incontro con i giovani francesi nello stadio del Parco dei Principi? Si direbbe che la caratteristica specifica sia stata la sorpresa.

L'incontro è stato sorprendente, non soltanto per come si è svolto, ma anche per quanto l'ha preceduto. Gli organizzatori avevano riservato per tale incontro uno stadio relativamente grande, il Parco dei Principi, i cui posti si sono poi rivelati insufficienti ad accogliere la grande moltitudine di giovani. Non so quanti siano rimasti fuori, partecipando soltanto indirettamente all'incontro; so che la maggioranza è rimasta all'esterno, mentre sugli spalti ha trovato posto soltanto una minoranza. Questo è un segno: un segno, almeno, dell'interesse della gioventù francese - della gioventù universitaria e, penso, anche di quella delle scuole superiori, e della gioventù operaia e lavoratrice - per i problemi della Chiesa, della religione. L'incontro era stato preparato bene, sia dai giovani, sia dagli stessi organizzatori. Occorrono due metodi di approccio con i giovani: bisogna parlare loro in maniera chiara, e bisogna essere sempre pronti a un dialogo. Questo ha prevalso nell'incontro con la gioventù francese al Parco dei Principi: siamo rimasti su un piano di dialogo. I giovani sono stati molto gentili nell'inviarmi in anticipo un elenco di domande alle quali chiedevano risposta.

Questo mi ha facilitato nel dare loro risposte più mediate, più precise, più brevi. Lo stesso fenomeno, d'altra parte, si è verificato in altri viaggi. In Polonia, per esempio, a Cracovia, avevo preparato un discorso che poi, durante l'incontro con i giovani non è stato pronunciato. Al suo posto, si è sviluppato un dialogo, di quelli che si fanno con i giovani, un dialogo pittoresco fatto non solo di parole, ma di canti, di sentimenti, di entusiasmo, perché questo è il modo di manifestarsi dei giovani. Credo che i giovani siano dappertutto gli stessi, che siano abbastanza simili. Ricordo gli incontri nel Messico. C'era sempre una sorpresa. Penso che possiamo essere contenti di questi incontri, di quell'incontro in Francia. Personalmente, sono molto contento, e penso che anche i giovani siano rimasti contenti. Avevano inviato tante lettere prima dell'incontro, e me ne hanno lasciate tante durante l'incontro, affinché le porti ai giovani brasiliani. Ho detto loro scherzando: "Allora per voi, il Papa è un portalettere". Con i giovani bisogna scherzare. Ma bisogna essere anche molto seri, e molto esigenti. Essi stessi vogliono che si sia esigenti con loro. Essendo seri ed essendo esigenti, dando le risposte fondamentali, si deve anche saper gioire, rallegrarsi con loro della loro giovinezza: della grande promessa che rappresentano per il semplice fatto di essere giovani.

La giustizia sociale e i problemi planetari 3. Dall'incontro con i lavoratori a Saint-Denis ha avuto l'impressione che le sue parole sull'ingiustizia e sulle radici della contrapposizione dell'uomo contro l'uomo abbiano trovato un terreno fertile su cui germogliare? Ho pensato che fosse il terreno più adatto per dire quello che ho detto.

E si dovrebbe dire ancora molto di più. In base alla mia esperienza personale - per almeno quattro anni della mia vita ho fatto l'operaio -, ho una grande fiducia nell'onestà e nella comprensione dei principi e valori morali, etici del mondo del lavoro. Si tratta di quella fiducia che è dovuta ad ogni uomo, in ogni ambiente di lavoro. Il lavoro è certamente un peso della nostra condizione umana, ma il lavoro è anche un momento che nobilita la nostra condizione umana. Il fatto che il frutto del lavoro consente di garantire la vita propia e quella della propria famiglia dimostra che il lavoro è vicino al vero amore umano, a ciò che l'uomo ama, a ciò per cui vive, a ciò che dà un senso positivo, fondamentale alla sua vita personale e comunitaria. Su questa linea ho impostato il mio discorso a Saint-Denis e penso che quanti erano presenti abbiano ben capito. Partendo da questo concetto ho toccato i problemi fondamentali della vita quotidiana, come il lavoro e la famiglia, ma anche i problemi internazionali, che hanno oggi un rilievo planetario, come la pace, la guerra, la minaccia dell'autodistruzione, i diritti umani violati in diversi luoghi e in diversi modi, come ho detto dalle tribune dell'Onu e dell'Unesco. Dal punto di vista etico e cristiano, infatti, è un problema di grandissima importanza distinguere bene fra tutto ciò che costituisce una nobile lotta per ogni giustizia, e specialmente per la giustizia sociale, e ciò che può costituire la deviazione, la degradazione di questa lotta in ogni forma di odio, di guerra, di distruzione degli uni da parte degli altri. Tutto ciò va escluso in tutte le dimensioni, a cominciare dalle più immediate, per finire con quelle nazionali, internazionali e anche planetarie. Certamente l'iniziativa dei Vescovi francesi, in particolare dell'Arcivescovo di Parigi e del Vescovo di Saint-Denis, di darmi la possibilità di un incontro pastorale con il mondo operaio, si è rivelata per me molto preziosa. Sono personalmente molto grato ai promotori di questo incontro.

I santi, i missionari, gli uomini di cultura 4. Qual è il dono specifico che la Chiesa universale si attende dalla Chiesa che è in Francia? E qual è, parallelamente, il dono specifico che la Francia, la cultura di Francia, l'anima della Francia può dare oggi al resto del mondo? E' giusta la doppia domanda, ma sarebbe giustificata anche la domanda a senso unico, perché veramente la Chiesa universale, la Chiesa cattolica, il cristianesimo hanno ricevuto molto dalla Chiesa di Francia, dal popolo francese. E non è senza profonda giustificazione il titolo di "figlia primogenita" alla Chiesa di Francia, un titolo che ho ribadito diverse volte durante la mia visita, con grande soddisfazione e convinzione personale. Se consideriamo la partecipazione dei francesi, della Chiesa francese all'opera di santificazione della Chiesa universale, vediamo che questa terra ha dato veramente, in diverse epoche, un gran numero di santi. Non bisogna dimenticare, poi, l'impegno missionario. Lo stesso presidente della repubblica francese ha detto, nel discorso rivoltomi all'arrivo a Parigi, che ancor oggi una religiosa su dieci, nel mondo, è una francese.

Certamente c'è stata in passato, da parte della Francia, una grande partecipazione all'impegno vocazionale, all'impegno missionario. Oggi la Chiesa in Francia attraversa visibilmente un crisi vocazionale. ma, come ho detto nel messaggio rivolto ai francesi alla vigilia del pellegrinaggio, speriamo che sia "una crisi di crescita". Be sappiamo, infine, quanti e quali sono i meriti della Francia, dei francesi, della Chiesa di Francia, sia per l'intera cultura contemporanea, oltre che per quella del passato, sia per la cultura cattolica, cristiana: teologia, filosofia, letteratura, scienza, storia. Una cultura legata a tanti nomi notissimi non soltanto in Francia, ma anche altrove. Anche da un punto di vista più generale - Chiesa, nazione e tradizione, cultura e persone -, la Francia ha dato molto. Ma certamente ha anche ricevuto molto. C'è una certa reciprocità, infatti, tra quel che si riceve e quel che si dà. La Francia ha dato molto perché ha ricevuto molto.

Prima di tutto, ha ricevuto la sua identità, come anche altre nazioni, come anche la mia nazione, pur in circostanze storiche, etniche, culturali diverse. Sono convinto che la Francia dal cristianesimo, dalla Chiesa universale, dalla Chiesa del Concilio ha ricevuto la sua identità anche come nazione. Attualmente, la Chiesa di Francia (e la Francia come tale) riceve una sfida ad essere se stessa, a continuare a d essere quello che era, a superare le difficoltà, a rimanere fedele, missionaria, creativa. Questo spiega il senso profondo del mio viaggio missionario in Francia.

I grandi temi dei pellegrinaggi 5. Si ha l'impressione, seguendo il suo magistero nei vari paesi del mondo, che un preciso filo conduttore regoli la sequenza dei viaggi apostolici di vostra santità. Come si collegano i grandi temi del pellegrinaggio in Francia alle intenzioni relative all'imminente visita di vostra santità in Brasile? Mi sembra "cosa buona e giusta" parlare di un filo conduttore, e ciò non soltanto nel senso umano, ma anche nel senso divino della parola. C'è un filo conduttore che è tenuto dalla mano della provvidenza. Non mi ero preparato ad andare in Francia quest'anno. Mi preparavo a recarmi nel 1981a Lourdes, considerandolo come un luogo particolarmente adatto per l'incontro con la Chiesa di Francia. Varie circostanze, invece, hanno concorso alla decisione di fissare il viaggio tra quello in Africa e quello in Brasile, nonostante che potesse sembrare come un impegno eccessivo. Molti dicono che il Papa viaggia troppo, e a scadenze troppo ravvicinate. Penso che, umanamente parlando, costoro abbiano ragione. Ma è la provvidenza che ci guida e qualche volta ci suggerisce di fare qualcosa "per excessum". Veramente san Tommaso ci insegna che "in medio stata virtus". Tuttavia si sentiva da un po' di tempo arrivare dalla Francia come un appello, come un invito non formale, che per me suonava come una sorpresa. Non pensavo che in francesi fossero così ansiosi di vedere questo Papa; non l'avrei mai pensato.

Invece si facevano sentire: Popolo di Dio, giovani, persone diverse. Vi sono state, certo, anche circostanze formali, e non meno importanti, e penso specialmente a quell'invito dell'Unesco che mi consentiva di riproporre il grande problema della minaccia alla pace mondiale, di rinnovare l'appello agli uomini di scienza. Poi mi ha scritto il Cardinale Marty, che è un buon amico, dicendomi che il tempo della visita era arrivato. Inoltre, c'è stato l'invito della conferenza episcopale, per mezzo del Cardinale Etchegaray. Il Cardinale Renard è venuto una volta a Roma proprio con lo scopo di sollecitarmi l'incontro con i Vescovi. Si è determinata quindi una situazione in cui non potevo non vedere il filo conduttore guidato dalla provvidenza. La presenza a Parigi, in Francia, mi parve giustificata anche nel contesto del pellegrinaggio africano appena trascorso e di quello brasiliano in preparazione. In alcuni dei paesi africani scelti per il primo viaggio - Zaire, Congo, Alto Volta, Costa d'Avorio -, ci trovavamo in zona francofona. Si sentiva ovunque la presenza della cultura francese, soprattutto della lingua francese. Anche per il Brasile ci sono validi motivi di collegamento.

Si sa bene quale influsso ha sempre esercitato su questo paese la Francia, la cultura francese, specialmente sulla classe intellettuale. Il Brasile è di tradizione iberica, portoghese, ma è stato ed è molto aperto alla cultura e al pensiero francese e anche alla grandi tradizioni intellettuali del cattolicesimo francese. Possiamo dire così che la visita in Francia è stata anche una preparazione, una pertinente anticipazione alla visita in Brasile. Potrei aggiungere che alcuni dei temi affrontati durante il pellegrinaggio a Parigi erano un'anticipazione di quelli che tocchero e sviluppero in Brasile, pur applicandoli certamente a una situazione diversa, come è appunto quella brasiliana.

Data: 1980-06-11Data estesa: Mercoledi 11Giugno 1980.


GPII 1980 Insegnamenti - Castel Gandolfo - Roma