GPII 1980 Insegnamenti - Recita del Regina Coeli - Basilica di san Pietro - Città del Vaticano (Roma)


2. Perché proprio Torino? Dopo la visita, vedo ancora meglio i motivi che hanno spinto il Cardinale Arcivescovo a farmi questo invito e quale risonanza essi hanno trovato nel mio cuore! Ebbene, prima di tutto, il bisogno di un atto di particolare solidarietà con quella città e con quella Chiesa, verso le quali si rivolgono, non senza preoccupazione, gli occhi di tutta l'Italia.

Contemporaneamente: il bisogno di avvicinamento a quel particolare santuario che è Torino, la Torino della sacra Sindone, la Torino di tanti santi a cominciare dal Vescovo san Massimo, e soprattutto di quelli che hanno svolto il loro apostolato in quella città alla soglia dei nostri tempi, il Cafasso, don Bosco, il Cottolengo, il Murialdo.

Infine: il bisogno di comprendere, in particolare, il paradosso di Torino. Da una parte, una eredità così potente di santità dalla chiara dimensione sociale, e dall'altra una così grave minaccia dei fondamentali valori della convivenza e dell'ordine sociale. La tensione fra l'eredità della santità, l'industrializzazione e il terrorismo.

Se tutto ciò costituisce una particolare sfida per la Chiesa, se con tutto ciò si spiega l'invito del Papa a Torino, oggi, dopo la realizzazione di quell'invito, mi sia permesso di dire che il frutto di tale pellegrinaggio pasquale e della visita è una nuova esperienza della fede in Cristo, il quale costantemente restituisce all'uomo la gioia di essere uomo.

Si. Cristo dà all'uomo questa gioia. E questo è il dono più grande. E' il fondamento di tutto ciò che gli uomini desiderano e che possono realizzare attraverso qualsiasi loro programma o ideologia.

Si. Ciò è alle basi di ogni cosa. L'uomo deve essere riconciliato con la sua umanità. Non lo si può privare di ciò su qualsiasi strada. Non lo si può privare soprattutto dell'accettazione della propria umanità. Non lo si può privare della gioia semplice, fondamentale del fatto di essere uomo.

Cristo dà all'uomo questa pace. E gli dà questa gioia. Questa è proprio la gioia pasquale.

Insieme con voi, ed insieme con tutti coloro che hanno partecipato al mio pellegrinaggio, desidero ringraziare Cristo perché per le vie di Torino è passata questa gioia pasquale e questa pace che dà Cristo.

"Regina coeli, laetare!" Sul ferimento dell'ambasciatore di Turchia presso la santa Sede Desidero ora esprimere la mia pena più profonda per l'attacco terroristico, diretto all'ambasciatore di Turchia presso la santa Sede, signor Vecdi Türel, giovedi scorso, qui a Roma.

Ricordo con animo grato come quell'eccellente diplomatico sia stato al mio fianco, quando, nello scorso novembre, ho visitato la sua patria; e non posso non pensare con dolore che egli avrebbe potuto perdere ora la vita come avvenne al suo predecessore, in un vile atto proditorio, tanto insano quanto inutile, rivolto contro un funzionario fedele al proprio dovere, incaricato di rappresentare il suo nobile paese presso la santa Sede, protetto, nell'adempimento del suo quotidiano lavoro, dal diritto delle genti.

Ringrazio Iddio perché l'attentato non ha avuto conseguenze più gravi e rinnovo all'ambasciatore, e al suo collaboratore ferito, il mio augurio cordiale di una pronta ripresa; al tempo stesso, ripeto tutta la mia riprovazione per metodi inqualificabili del terrorismo, che provocano lo sdegno di tutte le coscienze rette.

Non così, non così si risolvono i problemi dell'umana convivenza, ma soltanto si aggravano di più, perché creano confusione ideologica, colpiscono persone innocenti, danno origine a spirali di violenza irrazionale, che distrugge senza costruire e, soprattutto, offendono e umiliano l'uomo: l'uomo creatura sublime di Dio, che non si può, non si deve oltraggiare.

Come in tutte le precedenti analoghe occasioni, io levo alta la mia voce contro queste paurose espressioni della barbarie moderna - da qualunque parte esse vengano - che fanno retrocedere l'umanità verso secoli bui di distruzione e di terrore e non possono, proprio perché ricorrono a tali estremi, essere posti a sostegno di nessuna causa; e prego il Signore che plachi gli animi inquieti e conceda finalmente quella tranquillità dell'ordine e nel rispetto dei diritti di ogni persona umana senza la quale il mondo non può avanzare verso gli auspicabili e necessari traguardi di solidarietà, di progresso, di pace, nelle relazioni nazionali e internazionali.

La "Giornata dell'Università Cattolica" Oggi si celebra in tutta Italia la "Giornata dell'Università Cattolica".

Voi conoscete le grandi finalità che tale istituzione persegue. Ne offre una sintesi significativa il tema proposto quest'anno alla riflessione della comunità cristiana: "Verità per l'uomo". Nel servizio all'uomo, non sono solo i bisogni materiali che contano. V'è una fame dello spirito, che può essere saziata soltanto col pane della verità. L'Università Cattolica è nata per recare il proprio contributo all'appagamento di questa fame. E' una causa nobilissima, come vedete.

L'affido alla vostra preghiera.

[Omissis. Seguono i saluti ai motociclisti e ad altri gruppi presenti.]

Data: 1980-04-20 Data estesa: Domenica 20 Aprile 1980.


Omelia alla parrocchia di santa Maria Regina Pacis - Ostia (Roma)

Titolo: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini"

1. "Pace a voi!". Con queste parole Cristo saluto, dopo la sua risurrezione, gli apostoli riuniti nel cenacolo, venendo a loro per la prima volta. "Pace a voi!".

Ciò successe quel giorno, il primo dopo il sabato, in cui le donne si erano recate, di buon mattino, al sepolcro e non avevano trovato in esso il corpo di Cristo - e in seguito, Pietro e Giovanni, da esse avvertiti, avevano fatto la stessa constatazione: la pietra ribaltata, la tomba vuota, le bende, in cui era avvolto il corpo del Signore, per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, in un luogo a parte. La sera di quello stesso giorno Gesù venne a loro, nel cenacolo, dove essi si trovavano per timore dei giudei - venne entrando per la porta chiusa, e li saluto con le parole "Pace a voi" (cfr. Jn 20).

Con le stesse parole desidero salutare la parrocchia dedicata alla Madre di Dio Regina della Pace che mi è dato di visitare oggi, terza domenica del periodo pasquale. E pronuncio queste parole del saluto di Cristo con gioia tanto grande, perché la vostra parrocchia porta il nome della Regina della Pace; le parole "pace a voi" sono perciò particolarmente vicine allo spirito che vivifica la vostra comunità. Sotto il patronato di Maria "Regina della Pace" questo saluto di Cristo risorto risuona con la forza particolare della fede, della speranza e della carità. La pace è infatti un particolare frutto di quella carità che vivifica la fede. E' la pace che il mondo non può dare, la pace che dà Cristo soltanto: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Jn 14,27).


2. Il mio saluto, pertanto, si rivolge a tutti voi, cominciando dal signor Cardinale Carlo Confalonieri, del titolo della Chiesa suburbicaria di Ostia e decano del Sacro Collegio, che ha voluto essere presente a questa mia visita pastorale. Saluto poi il signor Cardinale Vicario Ugo Poletti, che con la sua presenza ha voluto testimoniare l'affetto che lo lega a questa punta avanzata della città di Roma. Saluto, poi, il Vescovo ausiliare, monsignor Clemente Riva, alla cui sollecitudine è affidata in particolare la zona della quale fa parte questa parrocchia: egli ha compiuto durante lo scorso mese la visita pastorale della vostra comunità, si è reso conto di persona dei problemi che vi si vivono ed ha maturato con voi un progetto concreto di impegno cristiano per il prossimo futuro. Ora è giunto il tempo di attuarlo. Saluto il parroco, don Giuseppe De Filippi, e gli altri sacerdoti, che attendono con dedizione umile e generosa alla cura pastorale di questa porzione del gregge del Signore.

Una particolare parola di saluto desidero rivolgere alle religiose delle quattro congregazioni, che operano nell'ambito della parrocchia: all'apprezzamento con cui l'intera comunità segue il loro servizio nelle varie attività educative ed assistenziali, voglio aggiungere anche il mio plauso, sottolineando in special modo la disponibilità ammirevole che esse dimostrano nel collaborare con le iniziative pastorali, programmate dalla parrocchia.

Non può mancare, infine, un saluto cordiale ai vari gruppi, nei quali si articola l'impegno del laicato cattolico: in parrocchia v'è un nutrito gruppo di catechisti che affiancano i sacerdoti e le suore nella preparazione dei ragazzi ai sacramenti dell'eucaristia e della cresima, due momenti fondamentali della vita cristiana; ve ne sono poi altri che, dalla preghiera e dalla riflessione comunitaria sulla parola di Dio, traggono incitamento per una adesione più generosa alle esigenze della loro personale vocazione vissuta in dimensione decisamente ecclesiale; vi sono, infine, quelli che si dedicano ad attività di promozione umana fra i ragazzi, i giovani, gli anziani. A tutti va la mia stima sincera ed il più caloroso incoraggiamento.

Una parrocchia ha sempre problemi delicati da risolvere; la vostra ne ha di particolarmente complessi. Non è possibile pensare di poterli affrontare efficacemente senza la collaborazione di tutti. Penso, soprattutto, ai problemi posti dalla crescita vertiginosa della popolazione; a quelli derivanti dalla diversa provenienza dei vari nuclei familiari, molti dei quali hanno alle spalle tradizioni, abitudini, mentalità notevolmente distanti; ai problemi connessi con le difficoltà di inserimento sociale dei giovani e con il conseguente sbandamento di non pochi fra loro... Non è facile costruire, in un simile contesto, una parrocchia che sia veramente Chiesa, nella quale cioè le singole persone giungano a fare un'esperienza di autentica comunione ed a provare la gioia che deriva dal condividere i medesimi beni spirituali nella prospettiva di una comune speranza.

E' necessario per questo l'impegno di tutte le varie componenti della comunità ed in particolare l'impegno delle famiglie, sul cui apporto all'azione parrocchiale giustamente si è molto insistito durante la visita pastorale. La parrocchia è un edificio per la cui costruzione ognuno deve portare la propria pietra, cioè la testimonianza cristiana data nelle parole e nella vita.


3. In questa luce prego adesso voi, abitanti di Roma, voi, cristiani di Roma, a volervi soffermare con attenzione particolare su di una frase, che ha pronunciato il primo Vescovo di Roma, l'apostolo Pietro. Egli ha pronunciato questa frase insieme con gli altri apostoli con i quali era stato condotto, come testimoniano gli Atti degli Apostoli, davanti al supremo consiglio dei giudei, davanti al sinedrio. Il sommo sacerdote accusa gli apostoli, opponendo loro una contestazione. Dice così: "Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell'uomo" (Ac 5,28). Molto significative sono specialmente le ultime parole. Noi infatti ricordiamo bene che dinanzi a Pilato, il quale, quasi per giustificarsi della sentenza pronunciata contro Gesù, aveva detto: "Non sono responsabile, di questo sangue", la folla ivi riunita, eccitata dal sinedrio, aveva gridato: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli" (Mt 27,24-25).

Adesso ascoltando simili parole dalla bocca del sommo sacerdote, Pietro e gli apostoli rispondono: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (Ac 5,29). E il significato di questa risposta lo spiegano le parole che seguono.

Mentre, infatti, gli anziani di Israele chiedono agli apostoli il silenzio su Cristo, Dio invece non permette loro di tacere: "Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avevate ucciso appendendolo alla croce. Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui" (Ac 5,30-33).

Nelle poche frasi pronunciate da Pietro troviamo una testimonianza intera e completa della risurrezione di Cristo: un'intera e completa teologia pasquale.

Questa verità, che nella nostra epoca ripeterà di nuovo con tutto l'ardore e la convinzione della fede il Concilio Vaticano II, la troviamo già, in tutta la sua profondità e pienezza, in quella risposta di Pietro data al sinedrio.


4. A questa verità si riferiscono le parole: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini".

La verità che confessiamo mediante la fede proviene da Dio. E' la parola del Dio vivente. Questa sua parola, indirizzata agli uomini, Dio l'ha pronunciata molte volte per mezzo degli uomini che egli ha mandato - soprattutto l'ha pronunciata mediante il suo Figlio che è diventato uomo. E quando s'erano spente le parole del Figlio, quando la sua testa si era piegata sulla croce nell'ultimo spasimo della morte, quando la sua bocca si era chiusa, allora Dio, per così dire, al di sopra di questa morte, ha pronunciato la parola ultima e decisiva per la nostra fede, la parola della risurrezione di Cristo. E questa parola del Dio vivente ci obbliga più di qualsiasi ordine o intenzione umana. Questa parola porta in sé l'eloquenza suprema della verità, porta in sé l'autorità di Dio stesso.

Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Egli è la fonte della verità indubbia e infallibile - mentre la verità che può attingere la conoscenza umana e l'intelligenza anche degli uomini più geniali porta con sé la possibilità di sbaglio e di errore. Infatti, la storia del pensiero testimonia che qualche volta hanno sbagliato le più grandi autorità nel campo della filosofia e della scienza - e coloro che ad essi succedevano mettevano in evidenza questi errori portando avanti in questo modo l'opera della conoscenza umana, per altro meravigliosa..., ma sempre umana.

Pietro e gli apostoli stanno dinanzi al sinedrio, hanno piena consapevolezza ed assoluta certezza che, in Cristo, ha parlato Dio stesso - che ha parlato definitivamente con la sua croce e con la sua risurrezione. Pietro e gli altri apostoli, pertanto, come quelli a cui direttamente è stata data questa verità - come coloro che, a suo tempo, hanno ricevuto lo Spirito Santo - devono rendere testimonianza ad essa.


5. Credere vuol dire accettare la verità che viene da Dio con tutta la convinzione dell'intelletto, appoggiandosi sulla grazia dello Spirito Santo "che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui" (Ac 5,32): accettare ciò che Dio ha rivelato, e che sempre giunge a noi mediante la Chiesa nella sua viva "trasmissione", cioè nella tradizione. L'organo di questa tradizione è l'insegnamento di Pietro e degli apostoli e dei loro successori.

Credere vuol dire accettare la loro testimonianza nella Chiesa, che custodisce questa testimonianza di generazione in generazione, e poi - in base a questa testimonianza - rendere testimonianza alla stessa verità, con la stessa certezza e convinzione interiore.

Nel corso dei secoli cambiano i sinedri che richiedono il silenzio, l'abbandono oppure la deformazione di questa verità. I sinedri del mondo contemporaneo sono del tutto diversi e sono numerosi. Tali sinedri sono i singoli uomini che rifiutano la verità divina; sono i sistemi del pensiero umano, della conoscenza umana; sono le diverse concezioni del mondo ed anche i diversi programmi del comportamento umano; sono anche le varie forme di pressione della cosiddetta opinione pubblica, della civiltà di massa, dei mezzi delle comunicazioni sociali di tinta materialistica, laica, agnostica, antireligiosa; sono infine anche alcuni contemporanei sistemi di governo, che - se non privano totalmente i cittadini della possibilità di confessare la fede - almeno la limitano in diversi modi, emarginano i credenti e fanno di loro quasi dei cittadini di categoria inferiore... e dinanzi a tutte queste forme moderne del sinedrio d'allora, la risposta della fede rimane sempre la stessa: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avevate ucciso appendendolo alla croce... E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo..." (Ac 5,29-32).

"Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini...".


6. Pensiamo, cari fratelli e sorelle, a tutti quegli uomini nel mondo, nostri fratelli in Cristo, che danno tale risposta di fede... in condizioni a volte molto più difficili di quelle in cui noi ci troviamo. Pensiamo a coloro che pagano il più grande prezzo per tale risposta: a volte quello della vita stessa, a volte quello della privazione della libertà, o dell'emarginazione sociale, o dello scherno...

Il libro degli Atti dice che gli apostoli "se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù" (Ac 5,41).

Anche oggi non mancano simili testimoni. Con la stessa forza dello Spirito fruttificano in essi le parole di Pietro, pronunciate all'inizio della storia della Chiesa: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (Ac 5,29).

Preghiamo spesso per coloro la cui fede richiede il prezzo di questa grande e, a volte, estrema prova, affinché non manchi loro la forza dello Spirito.

E infine guardiamo a noi stessi: qual è la nostra fede? la fede degli uomini di questa Roma, di cui il primo Vescovo fu proprio Pietro? E' questa fede così univoca e chiara come quella confessata da Pietro dinanzi al sinedrio? O non è invece a volte piuttosto equivoca? mescolata con sospetti e con dubbi? mutilata? adattata ai nostri punti di vista umani? ai criteri della moda, della sensazione, dell'opinione umana? Possiamo veramente far nostre le parole di Pietro: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini"? E preghiamo per la nostra fede.

Per la fede della generazione giovane. E per la fede della generazione vecchia. Sono diverse le prove che essa attraversa nei singoli luoghi della terra... nei singoli uomini.

Non ci manchi mai quella vista, che anche a noi - come agli apostoli sul lago - permetta di scoprire la presenza di Cristo: "E' il Signore" (Jn 21,7), e di navigare verso di lui.

Dio non permetta che ci allontaniamo da lui.

Data: 1980-04-20 Data estesa: Domenica 20 Aprile 1980.





A un gruppo di studiosi di economia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Collaborazione e solidarietà nei rapporti economici

Sono felice di dare il benvenuto a voi che partecipate al Congresso internazionale Est-Ovest. Ho aperto volentieri le porte della mia casa, e vi apro ancor più volentieri le porte del mio cuore.

So che i vostri lavori sono centrati sulle prospettive, per gli anni 80, delle relazioni fra l'Europa occidentale e l'Europa orientale, senza dimenticare il problema più vasto e più essenziale delle relazioni fra il mondo sviluppato ed il mondo in via di sviluppo, o, come si dice di solito, fra Nord e Sud.

La vostra presenza qui, nel cuore della Chiesa cattolica, mi da l'impressione di veder risplendere oggi più che mai il centro di una croce che si stende ad est e ad ovest, a nord e a sud.

Ed è nel segno di questa croce, nel suo grande significato sovrannaturale e storico di sofferenza ma anche di vita riconquistata e resuscitata, che apprezzo altamente il vostro contributo scientifico, i vostri sforzi politici, i nobili scopi verso i quali sono diretti.

La Santa Sede, per quel che le compete, ha incessantemente incoraggiato la creazione di rapporti sempre più stretti fra i popoli. Capisce che è spesso opportuno intraprendere questo lungo processo cominciando dalla rete di rapporti materiali e favorendo un'espansione progressiva ed equilibrata degli scambi internazionali commerciali. Sa anche che il progresso lega il destino di ogni popolo a quello di tutti gli altri, costituendo il commercio estero una parte sempre più grande del commercio di ogni paese.

La Santa Sede non ignora l'ampiezza e la complessità dei problemi che sono ben sintetizzati nel programma dei vostri lavori; e constata che esiste un comune interesse ed un comune impegno per la creazione di strumenti regolatori sufficienti ed efficaci.

La Santa Sede non intende certo darvi delle direttive sul ruolo specifico degli economisti e dei politici, ma intende esprimere alcune considerazioni in un campo che, oso dire, è innanzitutto il suo: una considerazione che incoraggia a coordinare ed a orientare tutte le iniziative verso uno scopo di benessere integrale per tutti gli uomini.

Anche gli scambi commerciali tendono verso un ideale: lo scambio di beni materiali è positivo se conduce ad una stretta di mani.

La Chiesa è per la convergenza e non per la divergenza fra i popoli. Non ama veder scavare trincee; vuole invece che si costruiscano ponti. Mettendo gli interessi al servizio dei principi, adottando la legge fondamentale della lealtà e del rispetto reciproco, vivendo la legge umana e cristiana dell'amore, è possibile - ed è necessario - creare un nuovo sistema di buoni rapporti commerciali, un nuovo ordine economico internazionale, al di sopra di ogni differenza.

Bisogna che le leggi dell'economia trasmettano il vento della solidarietà fra tutti gli uomini e fra tutti i popoli. Ogni incoraggiamento alla collaborazione è una pietra in più per edificare la pace. Là dove regnano la buona volontà e la fede, le difficoltà possono poco a poco sparire.

Che il vostro congresso fornisca un contributo reale che permetta alle nuove tendenze dell'economia mondiale di orientarsi verso una cooperazione non solo continentale - a livello di questa grande e vecchia Europa - ma anche mondiale.

Possano l'armonia e la pace fra gli uomini far sempre meglio capire ed accettare ovunque - "a solis ortu usque ad occasum", da est ad ovest - la preghiera cristiana che invoca nostro Padre, il Padre di tutti, chiedendogli per tutti il nostro pane quotidiano! Imploro sulle vostre persone e sui vostri sforzi la Benedizione del Dio Onnipotente.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-04-24 Data estesa: Giovedi 24 Aprile 1980.


Al consiglio dell'Unione mondiale insegnanti cattolici - Sala del Trono - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Alla scuola di Cristo per educare e testimoniare

Signor presidente, signore, signori.

In occasione del X Congresso dell'Unione mondiale degli insegnanti cattolici che si è tenuto la scorsa estate sul tema "L'insegnante cattolico per la libertà, la giustizia e la pace", ho voluto, con un messaggio del mio segretario di Stato, testimoniare la stima che porto a questa unione, ed esprimere i miei voti per i suoi lavori. Ricevendovi oggi, voi membri del consiglio generale accompagnati dai vostri assistenti ecclesiastici, sono molto felice di affidarvi personalmente i miei pensieri e le mie speranze.

L'Umec ha ormai quasi trent'anni di vita e di attività. Ha potuto sperimentare la necessità e la fecondità di un coordinamento, a livello mondiale, tra le associazioni nazionali che condividono lo stesso impegno al servizio dell'educazione scolastica, impegno compreso e vissuto secondo il Vangelo e nella fedeltà alla Chiesa. Questo coordinamento rende possibile accogliere, valorizzare, mettere in circolazione i contributi originali delle diverse culture. Esso favorisce anche il superamento dei nazionalismi e l'accrescimento del senso di fraternità e di universalità, di cui è facile comprendere l'urgenza.

Il mezzo educativo permette, forse più di qualche altro, di misurare la gravità dei problemi che preoccupano la nostra generazione, e la ricchezza delle risposte che un senso rinnovato di solidarietà implica. Le iniziative sorte in diversi paesi del mondo, durante l'anno internazionale del bambino, hanno anch'esse messo in evidenza il primato dell'educazione ai valori elementari della vita, come base della formazione permanente, allo scopo di costruire una civiltà veramente umana.

Mi sembra che le associazioni aderenti all'Umec siano chiamate ad offrire un proprio contributo particolare e qualificato a questo compito, in ragione della fede professata dai loro membri. E' un contributo essenziale perché Cristo è lui stesso una risposta, "la" risposta, alle domande dell'uomo sul senso della vita. Succede che le nuove generazioni sollecitino precisamente, in modo più deciso senza dubbio che in altre epoche, una proposta vera e credibile di vita e di speranza. La Chiesa si aspetta dunque molto dalle associazioni di insegnanti cattolici, perché riconosce nel loro servizio educativo un elemento determinante per lo sviluppo personale dei giovani e per il progresso sociale dell'intera famiglia umana.

Per ricoprire questa funzione, gli insegnanti cattolici devono essere disponibili a una collaborazione rispettosa e attiva con le famiglie e le comunità ecclesiali, al fine di realizzare una educazione completa e armoniosa di ciascun allievo, e insieme di orientarli liberamente verso la verità che è una delle vie della pace. Tutto questo esige da loro, oltre ad una competenza culturale e pedagogica, una testimonianza veramente esemplare. E ciò non può derivare che dalla loro intimità con Dio, e dal loro sforzo quotidiano per rendere effettiva una sintesi serena tra la fede e la cultura, come tra la fede e la vita.

A rischio di essere paradossale, permettete al Papa, in tutta umiltà perché egli conosce i vostri meriti e la vostra alta coscienza, di invitarvi a mettervi alla scuola di Cristo. E' lui il nostro "maestro" per tutti. E' lui "la via, la verità e la vita". Io lo prego per ciascuno di voi, signore e signori, e anche per tutti coloro che voi rappresentate, domandandogli di benedirvi, e assicurandovi di nuovo la mia piena fiducia.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-04-25 Data estesa: Venerdi 25 Aprile 1980.


Udienza generale straordinaria - Piazza san Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cristo rinsalda la nostra comunione

Cari fratelli e sorelle.

1. Sono lieto di rivolgervi un cordialissimo saluto, che sicuramente corrisponde alla spontaneità ed al fervore della vostra odierna presenza. Voi siete venuti a Roma certo per "vedere il Papa", come si dice. Ma sapete bene che questo non significa un puro gesto di curiosità, bensi comporta la profonda intenzione di rafforzare la propria fede mediante la conferma della vostra comunione con lui, così come san Paolo sali "a Gerusalemme per conoscere Cefa" (Ga 1,18) e con lui misurare il proprio impegno apostolico. Sul povero pescatore di Betsaida, infatti, come su una solida "roccia", Gesù ha fondato la sua Chiesa (cfr. Mt 16,18), che fu poi affidata al ministero dei suoi continuatori e rappresentanti.

Abbiate, perciò, un sentito ringraziamento per aver desiderato questo incontro col successore di Pietro! Io vi assicuro tutta la mia benevolenza; e, con essa, il mio benvenuto va a tutti i gruppi qui presenti, variamente composti e di diversa provenienza.


2. Permettete, che mi indirizzi in primo luogo al numeroso pellegrinaggio della diocesi di Crema, in Lombardia, che è guidato dal suo venerato pastore, monsignor Carlo Manziana, e accompagnato anche dal Vescovo Placido Cambiaghi. Tutti vi saluto, figli carissimi, mentre uno speciale pensiero va ai sacerdoti ed ai seminaristi, ai religiosi e religiose, ai diletti giovani, ai responsabili delle associazioni cattoliche, ai rappresentanti delle varie autorità locali.

So che l'occasione immediata di questo pellegrinaggio è la ricorrenza del IV centenario di erezione della vostra diocesi, dovuta al mio predecessore Papa Gregorio XIII ed alla sua bolla "Super universas" dell'11aprile dell'anno 1580. Quattrocento anni di vita cristiana, anzi diocesana, cioè di comunione con un vostro Vescovo proprio, non sono certo pochi! Chi potrà contare le iniziative, le testimonianze di impegno ecclesiale, gli attestati di vitalità battesimale, le opere compiute nel corso di questi quattro secoli? E, soprattutto, chi sarà in grado di stendere un diario delle innumerevoli volte in cui i vostri antenati hanno espresso la loro fede, speranza e carità; e chi computerà le fatiche, le lacrime, le sofferenze da essi patite in unione a Cristo Signore? Questo straordinario accumulo di vita umana e cristiana certo sfugge a noi, ma non al Signore; infatti, come ci assicura il profeta Malachia, "un libro di memorie fu scritto davanti a lui per coloro che lo temono e che onorano il suo nome" (Ml 3,16 cfr. Ps 56,9). Sia esso fondamento e garanzia di ulteriore e sempre più fecondo inserimento nella vita in Cristo e nella Chiesa.

Certo, in quattrocento anni molte cose cambiano, non solo quanto al progresso civile e sociale, ma anche a livello di costume ecclesiale. Tuttavia, come dicevo recentemente a Torino, Cristo è sempre presente, ed egli basta per ogni tempo! Leggiamo, infatti, nella lettera agli Ebrei, che "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e nei secoli" (He 13,8). Egli solo è colui che fonda e rinsalda la nostra vicendevole comunione: non solo tra di noi viventi, ma anche al disopra del tempo, con tutti coloro che ci hanno preceduti nel vincolo della fede (cfr. Rm 14,9 Mc 12,27a). così si nutre la nostra gioia cristiana, e di qui anche parte lo slancio per la nostra quotidiana testimonianza alla luce del Vangelo.


3. Sono informato che la diocesi di Crema è particolarmente vivace e feconda sul piano della vita ecclesiale. I suoi presbiteri sono dinamicamente votati al loro ministero; i suoi religiosi e religiose sono interamente consacrati ai servizio del Signore e della Chiesa, anche in terreni di missione; il suo laicato è generosamente impegnato in un cammino di limpido ed efficace stile di vita cristiana. Il mio augurio più sincero, pertanto, è che tutto ciò cresca e si moltiplichi sempre più. Infatti, eventuali prove e difficoltà sono permesse dalla divina provvidenza, perché ciascuno di voi e la comunità diocesana nel suo insieme "porti più frutto" (Jn 15,2).

So pure che il vostro contesto sociale è costituito da un ambiente di lavoro parzialmente rurale ed in gran parte industriale. Ebbene, l'invito che vi rivolgo è che riusciate veramente a dimostrare che la nostra comune fede cristiana non può essere negativamente condizionata dalle diverse situazioni materiali, ma deve rifulgere intatta, anzi seducente, al di sopra di ogni possibile diversificazione anche culturale, pur essendo chiamata a coltivare la realizzazione della giustizia con la promozione dei più bisognosi. E' questa fede "che vince il mondo" (1Jn 5,4-5) e che voi siete venuti a rinsaldare qui a Roma, sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo e nelle catacombe dei primi martiri cristiani. Ed è questa fede, gioiosa e ardita, che voi certamente, specialmente voi giovani, porterete a casa vostra e negli ambienti delle vostre ordinarie occupazioni, così da lievitare e vivificare dall'interno ogni attività da voi svolta.

Se una raccomandazione mi è permessa, è che stringiate sempre maggiormente i vostri legami spirituali, sia col vostro degnissimo Vescovo, sia tra di voi. E' così che la fede cristiana diventa adulta e matura: mediante una cosciente e responsabile e zelante partecipazione alla vita comunitaria, tanto parrocchiale che diocesana. Del resto, penso che sia proprio questo il modo migliore per celebrare il vostro IV centenario, affinché esso non sia soltanto una semplice rievocazione del tempo andato, ma, ben di più, un'occasione di ripresa e di rinnovata tensione verso traguardi sempre più promettenti.

Con questi voti, vi concedo di cuore la particolare, propiziatrice benedizione apostolica, come attestato del mio affetto ed in pegno di abbondanti grazie celesti, mentre la estendo a tutti i vostri cari, specialmente ai bambini ed ai sofferenti.

Ai donatori di sangue dell'Avis.

Mi è gradito di poter ora rivolgere un particolare e cordiale saluto ai donatori di sangue appartenenti all'Avis - Associazione volontari italiani sangue - i quali hanno voluto prendere parte a questo incontro insieme col loro presidente nazionale prof. Mario Zorzi.

Ho già espresso il mio plauso e compiacimento ai donatori di sangue per la loro opera tanto necessaria e benemerita nel settembre scorso, in occasione della consacrazione del tempio da essi costruito a Pianezze di Valdobbiadene.

Il gesto di coloro che generosamente donano il loro sangue ai fratelli, che ne hanno bisogno, supera l'aspetto puramente umanitario, di per sé già tanto meritorio ed encomiabile, per diventare nello stesso tempo un atto tipicamente cristiano e, si potrebbe dire, una risposta a quell'amore di Cristo, che chiede di essere imitato e continuato.

In questo tempo in cui la violenza di ogni genere fa tanto parlare di sé ed è causa di frequente spargimento di sangue, spicca maggiormente e fa quasi da contrappeso la vostra generosità, carissimi fratelli, che siete pronti ad offrire parte del vostro sangue per salvare vite o alleviare sofferenze.

In questa società del progresso, che vede tecniche sempre più avanzate anche nel campo della medicina e della chirurgia, e che, a causa di un crescente e frenetico movimento con sempre più veloci mezzi di trasporto, è spesso colpita da notizie di incidenti stradali, i quali lasciano dietro a sé tante vittime, si rende sempre più urgente e indispensabile il contributo di coloro che, come voi, sono disposti a donare il proprio sangue.

Perciò colgo volentieri l'occasione della vostra presenza per rivolgere nuovamente il mio elogio a tutti gli appartenenti all'Avis, come pure a tutti i donatori di sangue, per il bene che hanno compiuto e continuano a compiere e per l'aiuto ed il buon esempio che danno alla comunità; nel contempo li esorto a perseverare in questa loro benefica opera, che, oltre ad essere un servizio sociale di prim'ordine, è una moderna attualizzazione della parabola del buon samaritano.

Auspico quindi che cresca sempre più il numero di coloro che, non essendone impediti, sono pronti a donare un po' del loro sangue ai fratelli, e che questa donazione sia sempre aliena dalla ricerca di interessi personali, e animata da genuina carità cristiana, per conservare sempre la sua natura nobile ed elevata.

Ecco, cari donatori di sangue, che cosa desideravo dirvi. Portate a tutti i vostri cari, alle vostre associazioni, ai vostri colleghi il mio saluto e l'assicurazione del mio ricordo nella preghiera. E vi accompagni sempre la benedizione, che ora vi imparto in pegno anche della mia paterna benevolenza.

Al gruppo dei rappresentanti dei seminari maggiori Un particolare affettuoso saluto rivolgo al gruppo dei seminaristi studenti di teologia e rappresentanti dei seminari maggiori, riuniti in questi giorni nella Villa Cavalletti, di Grottaferrata, per approfondire il tema "Seminari e vocazioni sacerdotali". Vi sono riconoscente, figli carissimi, per la vostra visita, e desidero estendere il mio ringraziamento ai componenti della segreteria nazionale dei sacerdoti, religiosi e religiose per avervi invitati al Convegno, consentendovi, così, di partecipare a questo incontro.

Grande è la mia gioia nel vedervi: siete, infatti, le speranze delle vostre diocesi e di tutta la Chiesa. Avete già percorso un notevole cammino nella strada verso il sacerdozio: la vostra preparazione culturale, teologica e spirituale è a buon punto. Lo studio della scienza di Dio e della sua parola rivelata, che si svolge nel contesto di altre importanti discipline, deve stimolare sempre più il vostro impegno per Cristo, eterno sacerdote, che vi ha scelti per essere annunciatori del suo messaggio evangelico, dispensatori della sua grazia e dei suoi misteri.

A tale dignità altissima deve corrispondere intensa fede, costante preghiera, trasparenza di pensiero e di costumi, disponibilità generosa alle attese del Popolo di Dio, docile sottomissione al magistero dei vostri pastori assistiti dallo Spirito Santo.

Se l'approdo a questa meta non dovrebbe essere troppo difficile, grazie anche alla paterna sollecitudine dei vostri superiori e maestri, non facile sarà il vostro ministero che, a somiglianza di quello di Gesù, deve essere esercitato con profonda umiltà e, soprattutto, con invincibile confidenza in colui che ha detto: "Vos amici mei estis" (Jn 15,14). Vi sia d'incoraggiamento il sapere che il Papa vi segue con le sue orazioni e col suo affetto.

E poiché siamo alla vigilia della domenica dedicata alle vocazioni, invio il mio pensiero affettuoso a tutti coloro che, generosamente, si preparano al sacerdozio e alla vita religiosa, seguendo la voce divina che li chiama a donarsi alla Chiesa e alle anime; e, con voi, saluto altresi tutti i giovani presenti in questa piazza, rivolgendo loro un fervido invito a riflettere su questa generosa testimonianza, ora delineata, la quale può soddisfare in pieno i loro ardimenti, i loro entusiasmi, i loro ideali di servizio e di promozione, da intraprendere con intrepida fede e senza umani interessi.

Con questi voti invoco su di voi e su tutti i vostri cari la divina assistenza e di cuore v'imparto la benedizione apostolica.

[Omissis. Seguono i saluti agli imprenditori e dipendenti dei calzaturifici di Vigevano; a pellegrini della Garfagnana; ai partecipanti al Congresso per la vita.]

Data: 1980-04-26 Data estesa: Sabato 26 Aprile 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Recita del Regina Coeli - Basilica di san Pietro - Città del Vaticano (Roma)