GPII 1980 Insegnamenti - Consacrazione della Chiesa dei santi martiri dell'Uganda - Quartiere ardeatino di Poggio Ameno (Roma)

Consacrazione della Chiesa dei santi martiri dell'Uganda - Quartiere ardeatino di Poggio Ameno (Roma)

Titolo: Dall'edificio materiale all'edificio spirituale

Venerabili fratelli e figli carissimi! 1. Esprimere la mia soddisfazione nel celebrare questa solenne liturgia mi sembra quasi superfluo, tanto evidenti sono le ragioni di compiacimento e di gioia. Oggi per la prima volta da quando per disposizione della divina provvidenza, ho assunto la responsabilità della sede di Pietro, mi è dato di presiedere qui a Roma al rito della consacrazione di una chiesa. E' una nuova chiesa, una chiesa parrocchiale, la quale viene ad aggiungersi alla splendida corona di edifici sacri che segnano il volto cristiano dell'urbe, ed accoglierà al suo interno il Popolo di Dio, che vi potrà attingere - alla mensa della parola, alla mensa dell'eucaristia, alle altre fonti sacramentali - quel multiforme alimento necessario alla sua crescita soprannaturale. Inoltre, è eretta una pubblica e monumentale memoria in onore dei martiri ugandesi e, pure da questo punto di vista, si può dire che una nuova schiera di testimoni di Cristo si affianca al "candidatus exercitus", a cui la Chiesa tanto spesso ha dedicato sul suolo romano uno speciale luogo di culto: dall'Uganda, infatti, ci è venuta nel secolo scorso una stupenda testimonianza di fede! Oggi, dunque, si può dire che la Roma cristiana guarda ancora una volta all'Africa cristiana per la pagina moderna ed eroica, che essa ha aggiunto al suo martirologio e alla sua storia.


2. Nel rivolgere il mio affettuoso saluto a quanti sono qui convenuti - il signor Cardinale vicario Ugo Poletti e il Cardinale Arcivescovo di Kampala Emanuele Nsubuga, le autorità civili, il parroco con i suoi collaboratori e tutti i fedeli della parrocchia - io desidero far convergere la comune attenzione alla circostanza della consacrazione alle letture liturgiche, che sono state per essa prescelte. Vorrei insistere, in particolare, sulla seconda lettura, e poi sul testo evangelico.

Anzitutto, è da richiamare quel che ci ha detto san Pietro, perché non soltanto si adatta perfettamente all'odierna circostanza, ma consente di passare, secondo una linea di simmetrica coerenza, dall'idea di edificio materiale a quella di edificio spirituale, dalla Chiesa-tempio alla Chiesa-comunione delle anime.

Alla base di tutta l'opera - ci ricorda il principe degli apostoli - c'è Cristo Signore, pietra viva ed angolare, pietra scelta e preziosa davanti a Dio; ma anche le nostre anime sono pietre vive, e come tali sono impiegate per essere costruite sul fondamento di questa stessa pietra, in modo da formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, e perciò abilitate ad offrire sacrifici spirituali, a Dio graditi (cfr. 1P 2,4-5).

Non si rileverà mai abbastanza il profondo significato di questo insegnamento apostolico: dico il mistero del nostro edificarci su Cristo, cioè del farci Chiesa con lui, in lui, per lui! Ricordate a questo proposito, fratelli e figli carissimi, quanto ci è stato riproposto dal Concilio Vaticano II nella costituzione dogmatica Lumen gentium la quale, tra le varie immagini della Chiesa, non ha dimenticato quella dell'edificazione (cfr. LG 6). Noi dobbiamo costruirci su Cristo, perché questo e non altro è il fondamento che dà stabilità e sicurezza alla nostra vita. Spiega, infatti, san Paolo, facendo eco perfettamente al co-apostolo Pietro: nella Chiesa "nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova: Gesù Cristo... Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" (1Co 3,11 1Co 3,16).

Ecco, ancora, l'idea dell'edificazione sviluppata sino al suo punto terminale, di un tempio completo in tutte le sue parti. Ciascuno di noi in questo tempio è una pietra vivente, ma non isolata, non autonoma, non autosufficiente.

Ciascuno di noi si può edificare solo in Cristo, mentre senza di lui l'intera costruzione sarebbe destinata a crollare: è la sopraedificazione. Ciascuno di noi si deve edificare insieme con gli altri fratelli, in forza della legge della comunione ecclesiale, che è come il "cemento" che tutti ci amalgama in Cristo: è la co-edificazione. Solo a queste condizioni si leva maestoso il tempio di Dio.

Tutti formiamo la Chiesa di Dio, perché siamo saldamente fondati su Cristo, suo Figlio, e siamo intimamente collegati ai nostri fratelli di fede.

Proprio una tale coscienza è tra i punti qualificanti della professione cristiana: "Credo unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam"! Noi recitiamo spesso questo articolo della nostra fede, ma dobbiamo anche meditarlo, chiedendo allo Spirito di illuminarci interiormente, affinché accenda la sua luce divina nel mistico tempio della nostra anima, in cui egli stesso inabita.


3. E' indubbio, peraltro, che anche il tempio materiale è necessario. Noi tutti conosciamo le difficoltà che presenta la costruzione di nuovi edifici sacri. E' problema talora grave e di non facile soluzione. Ma l'edificio di pietra non è tutto: esso ha una funzione manifestatamente strumentale ed emblematica rispetto all'altro superiore edificio, di cui vi ho parlato finora.

Qual è allora - possiamo chiederci - il rapporto tra i due edifici? Ce lo spiega Gesù nel Vangelo, in un passo del suo colloquio con la samaritana.

"Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre... E' giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito..." (Jn 4,21 Jn 4,23). Troviamo in questo testo una rivelazione, che ci illumina su che cosa deve essere realmente la vita religiosa. E' "verità", perché deve adeguarsi a ciò che è Dio: essendo Dio purissimo spirito, l'adorazione, come atto supremo del culto che gli prestiamo, non può non essere in spirito. Alla realtà ontologica di Dio-spirito corrisponde la realtà psicologica dell'uomo che l'adora in spirito: ecco la verità, come dimensione del culto voluto da Cristo.

Formo perciò l'auspicio che il tempio, che oggi pubblicamente s'inaugura, quale centro propulsore della vita comunitaria di questa parrocchia, riunisca ed accolga sempre più numerosi gli adoratori quali il Padre li cerca (cfr. Jn 4,21 Jn 4,23). Inseriti come pietre vive nell'edificio ecclesiale, potranno essi seguire, senza esitazioni e senza sbandamenti, Cristo che è via sicura per andare al Padre (cfr. Jn 14,6). Sarà così avviata fin da quaggiù la liturgia la quale ci fa partecipare, già pregustandola, alla liturgia celeste che viene celebrata lassù, nella santa città di Gerusalemme, in forma piena e perfetta (cfr. SC 8). Sarà lassù che canteremo al Signore il nostro inno di gloria, con tutti gli angeli e con i santi.


4. L'ultimo pensiero che voglio proporvi, carissimi figli, s'ispira a questa visione di cielo, dove vivono in Dio, i ventidue martiri dell'Uganda. Tanto più volentieri io mi volgo a questi nostri fratelli, come alla loro terra d'Africa, perché laggiù mi rechero verso la fine della prossima settimana. Come già Paolo VI, dopo averli canonizzati (18 ottobre 1964), volle recarsi in pellegrinaggio a Kampala per la consacrazione dell'altare del loro santuario e per concludere un importante simposio dell'episcopato africano, così l'umile suo successore, per un non dissimile disegno pastorale, ha deciso un nuovo pellegrinaggio in altri diversi paesi di quel medesimo continente. Ora a me sembra che si debba tener conto del legame, che la celebrazione di questa sera ha con entrambi i pellegrinaggi: è sempre la Chiesa di Roma che, come in passato, si muove adesso per visitare elette porzioni dell'organico ed indiviso suo corpo, per stabilire, come allora, un più stretto contatto con le pietre vive del suo edificio unitario e promuoverne, altresi, la mutua edificazione nella carità e nella pace.

Il mio viaggio vuol essere un lieto riconoscimento dell'affermazione di Paolo VI: "Africa est nova patria Christi" (Pauli VI "Homilia in solemni canonizatione martyrum ugandensium", die 18 oct. 1964: AAS 56 [1964] 907-908) ed è parimenti una celebrazione di unità ecclesiale; sicché l'esserci stasera qui riuniti, circondati dalla presenza fraterna dei fedeli ugandesi, vale come un fausto auspicio per l'ormai vicina partenza. Io vi chiedo, amati figli, di porre tra le intenzioni della vostra preghiera anche un pensiero per tale mia visita in Africa, perché sia il Signore, solo il Signore, a guidare i miei passi e voglia egli aiutarmi nel ministero, che specificamente mi compete quale successore di Pietro, di confermare i fratelli (cfr. Lc 22,32). E di questa carità vi ringrazio fin d'ora.


5. E adesso rivolgo uno speciale saluto al pellegrinaggio dell'Uganda.

Cari pellegrini dell'Uganda.

Ho già dato il benvenuto, nel corso dell'udienza generale di mercoledi, ai pellegrini dell'Uganda che sono venuti per la celebrazione. E' una gioia avervi qui oggi. Siete gli eredi dei martiri in onore dei quali è stata costruita questa chiesa. Essi vi hanno trasmesso il tesoro della fede cristiana. Ed è un tesoro il cui valore è tanto più evidente a causa della loro testimonianza ad esso. Erano pronti a morire piuttosto che essere privati di questo tesoro. Sapevano che valeva più di ogni altra ricchezza terrena, perché introduce alle ricchezze che sono infinitamente superiori e che durano per sempre, perché è la porta alla vita con la quale la vita del corpo non può essere paragonata.

Verificate voi stessi il valore dell'eredità che voi avete ricevuto.

Mostrate che voi valutate la vostra fede cristiana in modo tanto elevato quanto fece san Charles Lwanga e i suoi santi compagni. Vivete in conformità con il programma che il mio predecessore Paolo VI vi espresse quando visito la vostra nazione: "Primo, avere un grande amore per Gesù Cristo; tentare di conoscerlo bene, rimanere uniti a lui, avere una grande fede e fiducia in lui. Secondo, essere fedeli alla Chiesa; pregare con lei, amarla, farla conoscere, e essere sempre pronti, come lo furono i vostri martiri, ad offrire una franca testimonianza di essa. Terzo, essere forti e coraggiosi; essere contenti, essere felici e gioiosi sempre. Perché, ricordatevi sempre questo, la vita cristiana è una cosa molto bella!".

Data: 1980-04-26 Data estesa: Sabato 26 Aprile 1980.


Recita del Regina Coeli - Piazza san Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Un particolare pellegrinaggio al cuore degli uomini

1. Vi ringrazio, cari fratelli e sorelle, per la vostra presenza nell'ora della nostra comune preghiera domenicale in piazza san Pietro. "Regina coeli, laetare...". Durante tutto il periodo pasquale, la Chiesa non cessa di invitarci a partecipare alla gioia di Maria, madre del Signore risorto. La sua gioia concentra in sé tutto ciò, di cui gioisce la Chiesa: ogni bene della natura e della grazia, il bene che si manifesta nelle opere del pensiero umano e dell'arte, e soprattutto il bene che fruttifica nelle coscienze e nei cuori di tutti gli uomini.

In ogni aspetto di tale bene è presente il mistero pasquale, in ognuno di essi "la vita vince la morte", e la risurrezione di nostro Signore vi imprime la sua durevole traccia.

La Chiesa gioisce in mezzo alle sofferenze, che non mancano mai nella sua vita, e in mezzo alle fatiche e alle minacce, tra cui si sviluppa l'opera del Vangelo in tutta la terra. Lo testimoniano gli Atti degli Apostoli, che in questo periodo pasquale costituiscono una particolare fonte per le letture liturgiche del Popolo di Dio. Questa più antica registrazione degli avvenimenti della vita della Chiesa apostolica coglie il mistero pasquale, che si riflette nelle fatiche dei primi testimoni di Cristo sulle vie del mondo.


2. Nello Spirito della più genuina gioia pasquale della Chiesa, intraprendo, nei prossimi giorni, il mio nuovo viaggio pastorale in Africa. Anche questo viaggio è un particolare pellegrinaggio al cuore di quegli uomini e di quei popoli, che in notevole misura hanno già accettato il Vangelo, e in notevole misura sono sempre aperti ad accettarlo. E ciò costituisce quasi la prosecuzione degli Atti degli Apostoli, di cui si scrivono ancora ulteriori capitoli di generazione in generazione, di secolo in secolo.

Le Chiese dell'Africa - in particolare le Chiese nello Zaïre e nel Ghana - compiono il primo secolo della loro esistenza. Quante cose tale fatto dice a noi, che abbiamo già alle spalle poco meno di due millenni di battesimo e d'evangelizzazione! Quanto desideriamo condividere la gioia di coloro che, con gratitudine verso la santissima Trinità, pensano al loro primo centenario, guardando contemporaneamente con speranza al futuro.

Quanto desideriamo, condividendo la loro gioia pasquale, edificarci con questa stessa gioia, ritrovare in essa ciò che è eternamente giovane nella missione di Cristo e della Chiesa: ciò che è sempre uguale "ieri, oggi e domani" (cfr. He 13,8).


3. Perciò, mi reco là con gioia. Mi reco contemporaneamente con senso di servizio, al quale sono stato chiamato come Vescovo di Roma e successore di Pietro. Ritengo questo servizio particolarmente legato allo spirito dell'epoca in cui viviamo. In tempi, in cui gli uomini e le nazioni, i paesi e i continenti si avvicinano l'uno all'altro, è necessario che la Chiesa dimostri a se stessa e al mondo quella unità, che è dono del Signore risorto; che essa cerchi i segni di questa unità e, nello stesso tempo, le nuove vie e i mezzi per esprimerla.

Questa chiamata della Chiesa e del mondo è stata intuita così magnificamente dal Papa Paolo VI, il quale l'ha lasciata al suo successore come un compito che ulteriormente bisogna assumere ed approfondire. E il servizio, che viene compiuto in questo modo verso la Chiesa, è nello stesso tempo un servizio verso gli uomini e le nazioni.

Non predispone forse a grande gioia il fatto di poter visitare i popoli dell'Africa nera nei loro propri paesi, nei loro Stati sovrani, come i veri padroni della propria terra e i timonieri del proprio destino? Non è questo anche un riflesso di quella gioia pasquale della Chiesa? Come figlio di una nazione che, nella sua storia, ha provato, in modo particolare, quale sia il prezzo della propria libertà, mi affretto con gioia tanto più grande verso questi popoli del continente africano, che da poco godono la loro indipendenza e da essa vogliono trarre il proprio avvenire storico.


4. Raccomando questo mio servizio verso la Chiesa in Zaire, Congo, Kenya, Ghana, Alto Volta, Costa d'Avorio, alla preghiera della Chiesa intera. Lo raccomando particolarmente alla vostra preghiera, cari fratelli e sorelle, che così volentieri vi unite a me ogni domenica, in questo nobile luogo.

Sia con noi Cristo risorto, redentore dell'uomo, Dio della pace e Signore per sempre! 5. Ed ora, cari fratelli e sorelle, uniamoci con tutta la Chiesa, che nella domenica odierna prega in modo particolare per le vocazioni. Pregano le diocesi.

Pregano le congregazioni religiose. Pregano tutti coloro che amano Cristo e la sua Chiesa. La Chiesa, dappertutto e sempre, ha bisogno dei sacerdoti, scelti fra gli uomini e costituiti per il bene degli uomini (cfr. He 5,1).

Ha anche bisogno di suore e di frati, che vivono secondo i consigli evangelici in una totale dedizione a Cristo. E' lo stesso Signore Gesù che ci ha insegnato che dobbiamo pregare il Signore della messe affinché "mandi operai nella sua messe" (Mt 9,38). Questa messe è grande. E immensa. Grande deve essere anche la domanda, grande la preghiera della Chiesa intera per gli operai, indispensabili alla messe.

Preghiamo per le vocazioni, recitando il saluto pasquale "Regina coeli, laetare". Qual è la migliore testimonianza della maturità pasquale della Chiesa - in ogni dimensione: di parrocchia, di diocesi, di congregazione, di paese, di continente - qual è, ripeto, la migliore testimonianza di questa gioia pasquale, se non l'accrescersi delle vocazioni? Che Cristo risorto vinca in tanti giovani cuori; che la sua chiamata, "Seguimi!", riporti vittoria! Che l'umiltà e la fiducia di tutta la Chiesa, l'affidamento alla Genitrice di Dio portino i frutti tanto desiderati. "Regina coeli, laetare".

[Omissis. Seguono i saluti ai partecipanti alla staffetta podistica Bologna-Roma; ai giovani dell'oratorio Sacro Cuore di Castellanza; al gruppo di studentesse di Trapani; a due complessi canori; a due gruppi parrocchiali.

Data: 1980-04-27 Data estesa: Domenica 27 Aprile 1980.


Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il saluto ai medici cattolici italiani

Cari ed illustri Signori dell'Associazione Medici Cattolici Italiani! Sono lieto di incontrarmi nuovamente con voi in questo Cortile di San Damaso, dopo l'incontro, per così dire, ufficiale e solenne che io ebbi, all'inizio del Pontificato, con codesta Associazione, e di rinnovarvi il mio compiacimento e il mio plauso per la vostra benemerita attività umanitaria e, ancor più, per l'ispirazione cristiana, che la illumina e dirige.

Ai sentimenti di sincero apprezzamento, si aggiungono oggi quelli non meno sentiti, della riconoscenza per il dono che avete recato con voi: l'Unità Mobile di Rianimazione, che vedo qui esposta, quale segno tangibile di filiale affezione verso il Papa e di cristiana solidarietà, perché destinata a soccorrere, a proteggere e a salvare vite umane, con le sue attrezzature tecniche di avanguardia.

Vada il mio elogio a quanti hanno voluto promuovere questa bella iniziativa e vi hanno apportato il loro contributo, e in particolare allo zelante Assistente Ecclesiastico Centrale, Monsignor Fiorenzo Angelini, ai membri del Consiglio Centrale, ai Delegati Regionali ed ai Presidenti delle Sezioni diocesane. Un encomio speciale, per la loro generosa contribuzione, esprimo ai Medici e a numerosi Cappellani ospedalieri e Religiose infermiere della diocesi di Roma, che hanno voluto così riaffermare il loro particolare vincolo di comunione ecclesiale col loro Vescovo.

In questa felice occasione vi voglio lasciare anche un'esortazione: voi che lavorate nel servizio medico, abbiate sempre un alto concetto della vostra missione, che "per nobiltà, per utilità, per idealità si avvicina da presso alla vocazione stessa del sacerdote", come già ebbi a dirvi nel precedente incontro.

Vi conforti nel preciso compimento del vostro dovere la consapevolezza di dare un apporto indispensabile alla tutela ed alla difesa della vita umana, di quella vita che porta in sé l'impronta di Dio Creatore, che ha formato l'uomo a sua immagine e somiglianza. Questa coscienza diffonda sul vostro lavoro una luce religiosa e vi aiuti a vedere sempre nel malato il corpo sofferente del Cristo.

Accompagno con questi voti la vostra attività, e, mentre auguro che sentimenti sempre nobili e cristiani la sostengano, prego Colei che voi invocate come "Salus Infirmorum" di assistere e di remunerare quanti di voi, con buoni intenti e con buoni procedimenti, impiegano il loro ingegno e la loro opera per restituire salute e serenità a tanti fratelli nostri provati dal dolore e dalla infermità.

Vi sia di sostegno la Benedizione Apostolica, che con grande effusione imparto a voi, ai vostri cari ed a tutti i vostri colleghi ed amici.

Data: 1980-04-27 Data estesa: Domenica 27 Aprile 1980.


Alla parrocchia di santa Maria in Trastevere - Roma

Titolo: La forza irreversibile della redenzione

1. "Acclamate al Signore, voi tutti della terra, / servite il Signore nella gioia, / presentatevi a lui con esultanza". (Ps 99,2).

Queste parole della liturgia odierna vengono con insistenza sulle mie labbra, mentre mi trovo tra le nobili mura di questo tempio, che è il centro della vostra parrocchia e le dà il nome. La Basilica di santa Maria in Trastevere è una chiesa che conosco bene; è la chiesa, in cui mi sono soffermato e in cui ho pregato più di una volta. Si tratta, infatti, di un tempio fortemente collegato con la storia della Chiesa in Polonia, con la mia patria. Qui, nell'anno 1579 furono deposte le spoglie mortali del grande cardinale Stanislaw Hozjusz, Vescovo di Warmia, che fu uno dei legati pontifici al Concilio Tridentino, dando un cospicuo personale contributo per il rafforzamento della fede e della Chiesa. Nel monumento funebre si leggono le sue celebri parole: "Catholicus non est qui a Romana Ecclesia in fidei doctrina discordat" (Non è cattolico chi nella dottrina della fede discorda dalla Chiesa di Roma). Fra le antiche pitture dell'atrio del portico della Basilica si ammira una Madonna col Bambino, e san Venceslao di Boemia. E' noto, anche, che da oltre un quarto di secolo la Basilica di santa Maria in Trastevere è la chiesa titolare del Cardinale Stefan Wyszynski, Arcivescovo di Gniezno e di Varsavia, il grande primate della Chiesa in Polonia nei nostri tempi.

Per questi motivi mi è stato dato di visitare, molte volte, questo nobile tempio, di pregare qui, di celebrare il santissimo sacrificio o di assistere ad esso, in particolare durante il Concilio Vaticano II e poi nel periodo postconciliare. Ho avuto anche modo di prender conoscenza dei dintorni della Basilica e quindi dell'ambiente della vostra parrocchia. Ho camminato spesso lungo queste vie, recandomi, per le diverse riunioni, nel vicino palazzo di san Calisto, specialmente quando partecipavo ai lavori del consiglio per i laici.


2. E perciò, tanto più cordialmente saluto oggi la vostra comunità: la parrocchia che ha l'onore di portare il nome di Nostra Signora di Trastevere e che qui, attorno al tempio, pulsa con la molteplice vita degli uomini, degli abitanti, degli stranieri, dei cittadini di questa città e dei suoi ospiti. E' nota la parte che Trastevere ha avuto nella vita della Roma antica e di quella medievale.

L'antichità di questa zona è testimoniata anche dagli edifici e dalle caratteristiche strette vie.

In questo quartiere, dopo il matrimonio abito a lungo, prima di istituire le oblate della congregazione benedettina di Monte Oliveto, santa Francesca Romana, nata nel 1384 e morta nel 1440. Essa trasformo la sua ricca dimora trasteverina in ospizio per i bisognosi e in ospedale per i malati; andava mendicando, di casa in casa, per i poveri attraverso le vie di Trastevere, ella che era imparentata con la nobile famiglia dei Ponziani. La parrocchia di santa Maria in Trastevere è fiera di poter annoverare questa grande santa nella sua comunità storica; è fiera di poter chiamare santa Francesca Romana "sua parrocchiana".

La visita pastorale era fissata il 9 marzo, giorno della memoria liturgica della santa. Purtroppo, come sapete, allora non ho potuto venire qui. Vi rinnovo le mie scuse! Ma eccomi finalmente con voi! Desidero porgere il mio affettuoso e fraterno saluto a tutti i "trasteverini", agli artigiani - lavoratori del rame, del cuoio, vetrai, falegnami, pittori -, agli artisti, ai professionisti, che compongono la varia e simpatica famiglia di Trastevere; a tutti i 6.000 parrocchiani ed alle loro 1.750 famiglie! Un fraterno saluto al parroco, lo zelante monsignor Teocle Bianchi, che da trent'anni dona indefessamente tutto se stesso per il bene delle vostre anime! al vice-parroco, don Carlo Monacchi, ai membri del capitolo della Basilica, ai sacerdoti che, animati da autentico spirito di servizio, danno il loro contributo per le varie iniziative pastorali.

Un saluto alle comunità religiose maschili, che vivono nell'ambito della parrocchia; i minori osservanti francescani, i padri barnabiti, i servi di Maria, i padri maroniti e i claretiani; come pure porgo il mio saluto alle numerose comunità religiose femminili: le suore dell'Immacolata Concezione di Ivrea, le terziarie francescane alcantarine, le suore di nostra Signora di Sion, le suore inglesi di Gesù bambino, le suore del ritiro del Sacro Cuore, le suore della Divina Provvidenza. Saluto altresi le numerose e tanto benemerite confraternite e arciconfraternite.

Un cordiale saluto ai padri ed alle madri di famiglia, che cercano di vivere cristianamente la loro vita di ogni giorno, carica di problemi e di preoccupazioni; agli anziani, agli ammalati, ai poveri della parrocchia, i quali hanno bisogno della nostra comprensione fraterna e della nostra operosa carità. Un saluto del tutto speciale va ai giovani, ai ragazzi e ai bambini, speranza della parrocchia. Ad essi desidero esprimere in questa occasione il mio incoraggiamento e l'auspicio che sappiano guardare al futuro, preparandosi ad esso con impegno e serenità, per essere esemplari cristiani ed integerrimi cittadini.

Parlando qui, in questi luoghi che accolsero, fin dagli inizi del cristianesimo, i primi apostoli e in seguito tanti visitatori e pellegrini, vorrei ricordare un aspetto, che tocca particolarmente il cuore del Vescovo di Roma, pontefice della Chiesa universale. Si tratta della funzione internazionale della Chiesa, svolta proprio qui a Roma, da tante persone, membri degli organismi della curia o incaricati al servizio delle molteplici organizzazioni cattoliche internazionali, che qui hanno la loro sede o il loro segretariato: sacerdoti, laici, religiosi e religiose. A queste persone, inserite nel cuore del servizio apostolico della Chiesa nella sua dimensione universale, il mio riconoscente saluto.


3. La liturgia della domenica odierna è piena della gioia pasquale, la cui sorgente è la risurrezione di Cristo. Noi tutti ci rallegriamo di essere "il suo popolo e gregge del suo pascolo". Ci rallegriamo e proclamiamo "le grandi opere di Dio" (Ac 2,11).

"Riconoscete che il Signore è Dio: / egli ci ha fatti e noi siamo suoi, / suo popolo e gregge del suo pascolo" (Ps 99,3).

Tutta la Chiesa si rallegra oggi perché Cristo risorto è il suo pastore: il buon pastore. A questa gioia partecipa ogni parte di questo grande gregge del risorto, ogni schiera del Popolo di Dio, su tutta la terra. Anche la vostra parrocchia romana in Trastevere, che ho la fortuna di visitare oggi come suo Vescovo, può ripetere queste parole del salmo, che risuona nella liturgia della quarta domenica di Pasqua: "Varcate le sue porte con inni di grazie, / i suoi atri con canti di lode,... / poiché buono è il Signore,... / la sua fedeltà per ogni generazione" (Ps 99 (100),4ss).


4. Noi siamo suoi.

La Chiesa, a più riprese, sviluppa davanti agli occhi della nostra anima la verità sul buon pastore. Anche oggi ascoltiamo le parole, che Cristo ha pronunciato su se stesso: "Io sono il buon pastore... conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me" ("Cantus Alleluiaticus").

Cristo crocifisso e risorto ha conosciuto, in modo particolare, ciascuno di noi e conosce ciascuno. Non è questa soltanto una conoscenza "esteriore", sia pure molto accurata, che permetta di descrivere e di identificare un determinato oggetto.

Cristo, buon pastore, conosce ciascuno di noi in modo diverso. Nel Vangelo di oggi dice a tale proposito queste parole insolite (il testo è breve, possiamo ripeterlo intero): "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, e più grande di tutti, nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola" (Jn 10,27-30).

Guardiamo verso il Calvario sul quale è stata innalzata la croce. Su quella croce è morto Cristo, ed è poi stato deposto nella tomba.

Guardiamo verso la croce, sulla quale si è compiuto il mistero del divino "legato" e della divina "eredità". Dio, che aveva creato l'uomo, ha restituito quell'uomo, dopo il suo peccato - ogni uomo e tutti gli uomini - in modo particolare a suo Figlio. Quando il Figlio sali sulla croce, quando su quella croce offri il suo sacrificio, ha accettato simultaneamente l'uomo affidatogli da Dio, Creatore e Padre. Egli ha accettato e abbracciato, col suo sacrificio e col suo amore, l'uomo: ciascun uomo e tutti gli uomini. Nell'unità della divinità, nell'unione col Padre suo, questo Figlio diventato egli stesso uomo - ed ecco, adesso, sulla croce, diventato "nostra Pasqua" (1Co 5,7) - ha restituito ciascuno e tutti noi al Padre come a colui che ci ha creati a sua immagine e somiglianza e che, a immagine e a somiglianza di questo proprio eterno Figlio, ci ha predestinati "a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" (Ep 1,5).

E per quest'adozione mediante la grazia, per questa eredità della vita divina, per questa caparra della vita eterna, ha lottato fino alla fine, Cristo "nostra Pasqua", nel mistero della sua passione, del suo sacrificio e della sua morte. La risurrezione è diventata la conferma della sua vittoria: vittoria dell'amore del buon pastore che dice: "Esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano".


5. Noi siamo suoi.

La Chiesa vuole che noi guardiamo, durante tutto questo tempo pasquale, verso la croce e la risurrezione, e che misuriamo la nostra vita umana con il metro di quel mistero, che si è compiuto in quella croce e in quella risurrezione.

Cristo è il buon pastore perché conosce l'uomo: ognuno e tutti. Lo conosce con questa unica conoscenza pasquale. Ci conosce, perché ci ha redenti. Ci conosce, perché "ha pagato per noi": siamo riscattati a grande prezzo.

Ci conosce con la conoscenza e con la scienza più "interiore", con la stessa conoscenza con cui egli, Figlio, conosce e abbraccia il Padre e, nel Padre, abbraccia la verità infinita e l'amore. E, mediante la partecipazione a questa verità e a questo amore, egli fa di nuovo di noi, in se stesso, i figli del suo eterno Padre; ottiene, una volta per sempre, la salvezza dell'uomo: di ogni uomo e di tutti, di coloro che nessuno rapirà dalla sua mano... Chi, infatti, potrebbe rapirli? Chi può annientare l'opera di Dio stesso, che il Figlio ha compiuto in unione col Padre? chi può cambiare il fatto che siamo redenti? un fatto così potente e così fondamentale come la stessa creazione? Nonostante tutta l'instabilità del destino umano e la debolezza della volontà e del cuore umano, la Chiesa ci ordina oggi di guardare la potenza, la forza irreversibile della redenzione, che vive nel cuore e nelle mani e nei piedi del buon pastore.

Di colui che ci conosce...

Siamo diventati di nuovo la proprietà del Padre per opera di questo amore, che non indietreggio dinanzi all'ignominia della croce, per poter assicurare a tutti gli uomini: "Nessuno vi rapirà dalla mia mano" (cfr. Jn 10,28).

La Chiesa ci annuncia oggi la certezza pasquale della redenzione. La certezza della salvezza.

Ed ogni cristiano è chiamato alla partecipazione a questa certezza: sono veramente comprato a grande prezzo! Sono veramente abbracciato dall'amore, che è più forte della morte, e più forte del peccato. Conosco il mio redentore. Conosco il buon pastore del mio destino e del mio pellegrinaggio.


6. Con tale certezza della fede, certezza della redenzione rivelata nella risurrezione di Cristo, sono partiti gli apostoli, come lo testimoniano, fra l'altro, nella prima lettura odierna, tratta dagli "Atti degli Apostoli", Paolo e Barnaba sulla via del loro primo viaggio in Asia minore. Si rivolgono a coloro che professano l'antica alleanza, e quando non sono accettati, si dirigono ai pagani, si rivolgono a uomini nuovi e a popoli nuovi.

In mezzo a tali esperienze e a tali fatiche incomincia a fruttificare il Vangelo. Comincia a crescere il Popolo di Dio della nuova alleanza.

Attraverso quanti paesi, popoli e continenti sono passati questi viaggi apostolici fino al giorno d'oggi? Quanti uomini hanno risposto con gioia al messaggio pasquale? Quanti uomini hanno accettato la certezza pasquale della redenzione? A quanti uomini e popoli è giunto e giunge sempre il buon pastore? Al termine di questa grandiosa missione si delinea ciò che l'apostolo Giovanni vede nella sua Apocalisse: "Io, Giovanni... vidi una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani... E uno degli anziani... disse...: Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello" (Ap 7,9-14).

Così dunque anche noi qui riuniti insieme al Vescovo di Roma, successore di Pietro, in questa parrocchia romana in Trastevere, confessiamo la risurrezione di Cristo, rinnoviamo la certezza pasquale della redenzione, rinnoviamo la gioia pasquale, che scaturisce dal fatto che noi siamo "suo popolo e gregge del suo pascolo" (Ps 99[100],3).

Che abbiamo sempre il buon pastore! Perseveriamo presso di lui! Alla sua Madre, che è la Signora di Trastevere, cantiamo: "Regina coeli, laetare!".

Data: 1980-04-27 Data estesa: Domenica 27 Aprile 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Consacrazione della Chiesa dei santi martiri dell'Uganda - Quartiere ardeatino di Poggio Ameno (Roma)