GPII 1980 Insegnamenti - Al pellegrinaggio delle diocesi dell'Umbria - Venerdi 16 Maggio 1980

Al pellegrinaggio delle diocesi dell'Umbria - Venerdi 16 Maggio 1980


Come i vostri grandi santi abbiate la convinzione della fede

Eccellenze Reverendissime, Carissimi figli e figlie dell'Umbria! Giorno felice, per me e per voi, è questo! Sia ringraziato il Signore che ci dà la consolazione di incontrarci tutti insieme nel suo amore e nella sua grazia!

1. Avete desiderato questo incontro per rinnovare il vostro omaggio di devozione al Papa ed anche per ricambiare la visita che ho compiuta nella vostra Terra, sia ad Assisi, sia recentemente a Norcia.

Vi ringrazio di cuore per questa vostra così delicata gentilezza, segno di fede e di sensibilità cristiana e, mentre vi saluto uno ad uno con paterno affetto, estendo il mio pensiero a tutta la vostra cara Regione, ai vostri concittadini, specialmente ai fanciulli, ai giovani, ai sofferenti, ai vicini a Cristo e ai lontani, e tutti desidero raggiungere col mio saluto di Padre e di Pastore.

Voi riempite il mio animo di gioia, ma anche di nostalgia! Com'è possibile infatti dimenticare quel pomeriggio d'autunno quando mi recai ad Assisi, sul "Colle del Paradiso", per pregare sulla tomba del nostro amabile San Francesco? Tra il glorioso scampanio delle Chiese ed il fremito della moltitudine esultante, il Vicario di Cristo giungeva pellegrino per affidare al grande Santo italiano ed universale la sollecitudine e la trepidazione degli inizi del suo Ministero pastorale; E poi, per commemorare degnamente San Benedetto, Patrono dell'Europa, nel XV centenario della nascita, sono venuto a Norcia, sua città natale, e nella Valnerina, austera e severa. E porto ancora con me la dolorosa visione dello strazio causato dal terremoto, insieme pero col ricordo del coraggio intrepido e della fede commovente di quelle popolazioni, tanto provate e pur così generose.

Guardando ora questo vostro pellegrinaggio così numeroso, mi viene spontaneo immaginare le vostre città dai nomi tanto suggestivi, ricchi d'arte e di storia, e noti in tutto il mondo: Perugia, Foligno, Spoleto, Orvieto, Gubbio, Todi, Città della Pieve, Città di Castello, Amelia, Terni, Nocera, Cascia.

2. La vostra Regione richiama alla memoria soprattutto la magnifica schiera dei Santi che l'hanno caratterizzata: insieme con San Francesco e San Benedetto, sempre vivo è il ricordo e lo spirito di Santa Scolastica, di Santa Chiara, di Santa Rita, della Beata Angela da Foligno, e di tante altre figure meno note, ma ugualmente grandi.

Ed è proprio considerando questo mondo di alta spiritualità, patrimonio specifico ed inesauribile della vostra Terra, che desidero proporvi un pensiero di meditazione, che possa servirvi nella vostra vita cristiana ed aiutarvi nell'itinerario di evangelizzazione e di fede proposto dai vostri Vescovi per il triennio 1978-1981.

Quel è stata la forza interiore che ha formato i vostri Santi, e perciò è tuttora valida per costruire l'autentico cristiano? La risposta è semplice: la convinzione della fede! I Santi furono, e sono, persone totalmente convinte del valore assoluto, determinante ed esclusivo del messaggio di Cristo. La convinzione li ha portati ad abbracciarlo e a seguirlo, senza dubbi, senza incertezze, senza vani ritorni, pur lottando e soffrendo, con l'aiuto della grazia di Dio, sempre invocata e non mai rifiutata.

La convinzione! Ecco la grande parola! Ecco il segreto e la forza dei Santi! I Santi agirono di conseguenza; e così deve essere ogni cristiano, sempre, ma specialmente oggi, in questo nostro tempo, esigente e critico, in cui, se mancano convinzioni logiche e personalizzate, la fede s'indebolisce e alla fine cede.

Sempre il cristiano deve saper rendere conto della fede e della speranza che sono in lui, ha scritto San Pietro (cfr. 1P 3,15); ma soprattutto nella società attuale, pluralistica ed edonistica, in cui il fedele si trova immerso, tra una varietà impressionante di diverse e talvolta avverse ideologie. Bisogna perciò creare e mantenere le convinzioni, e tutto il "piano pastorale" deve oggi essere convogliato soprattutto nella Catechesi, pur senza dimenticare le altre iniziative liturgiche, caritative, sociali, ricreative.

Mi piace ricordare anche a voi ciò che ho recentemente scritto alla Chiesa Ungherese: "Viviamo in un mondo difficile, nel quale l'angoscia derivante dal vedere le migliori realizzazioni dell'uomo sfuggirgli di mano e rivoltarsi contro di lui, crea un clima di incertezza. E' entro questo mondo che la catechesi deve aiutare i cristiani ad essere, per la loro gioia e per il servizio di tutti, "luce" e "sale". La catechesi deve insegnare ai giovani ed agli adulti delle nostre Comunità ad essere lucidi e coerenti nella loro fede, ad affermare con serenità la loro identità cristiana e cattolica, ad aderire così fortemente all'Assoluto di Dio, da poterlo testimoniare ovunque ed in ogni circostanza".

3. Carissimi fedeli dell'Umbria! Questa è l'esortazione che intendo lasciarvi, insieme con i vostri Vescovi e nella sempre viva memoria dei vostri Santi: siate cristiani convinti! La convinzione esige la riflessione! Bisogna sapersi estraniare un poco dal flusso travolgente degli avvenimenti; nella storia, che è sempre oscura e imprevedibile per tutti, bisogna prendere sulle spalle il proprio destino, e per questo sono necessari momenti di silenzio, di meditazione, di studio. Nel travaglio profondo del proprio tempo, San Benedetto volle appunto che ognuno riflettesse personalmente sulle verità eterne: "In omnibus rebus respice finem - respice Deum - respice caelum". così si potrebbe sintetizzare tutta la celebre Regola monastica. E San Francesco volle che ognuno meditasse sull'amore di Cristo Crocifisso, per poter radicare la convinzione della propria redenzione avvenuta attraverso la Croce.

Perciò impegnatevi seriamente nel realizzare le varie attività diocesane e parrocchiali. La Parrocchia è e deve rimanere il centro propulsore della vita cristiana, e quindi anche della Catechesi, per motivo di continuità pastorale e di omogeneità dottrinale e formativa.

La parrocchia, con tutte le sue necessarie succursali e con i gruppi ecclesiali ausiliari, ha la grande responsabilità di formare dei cristiani convinti. La convinzione genera la esatta valutazione cristiana degli avvenimenti e delle scelte, secondo l'ammonizione di San Benedetto: "Non mettere mai nulla prima dell'amore di Cristo" e l'esclamazione di San Francesco: "Deus meus et omnia".

La convinzione fa sentire impellente e assillante la vocazione del cristiano alla testimonianza in generale, e, in particolare, anche alla consacrazione totale a Cristo nella vita sacerdotale o religiosa.

Per questo non dobbiamo temere di spendere ogni fatica nel creare in noi e nel prossimo esatte e profonde convinzioni.

Ogni giorno pregate anche per tale scopo e non manchi mai l'invocazione e la devozione a Maria Santissima, la "Vergine fedele", che si consacro totalmente al mistero della Redenzione, nell'accettazione umile e ardente della volontà del Signore.

Possa la mistica Umbria crescere sempre e dilatarsi nella fede cristiana e nella carità! Con la mia propiziatrice Benedizione Apostolica.

Data: 1980-05-17 Data estesa: Sabato 17 Maggio 1980.


Ai direttori delle Pontificie Opere Missionarie - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Generoso impegno missionario di una Chiesa dinamica

Fratelli e figli carissimi, Con viva cordialità saluto in voi i Direttori Nazionali delle Pontificie Opere della Propaganda della Fede, di San Pietro Apostolo, dell'Unione Missionaria e dell'Infanzia Missionaria. Sono lieto di incontrarmi con voi, in occasione della vostra annuale Assemblea, per dirvi la mia riconoscente stima ed il mio incoraggiamento a proposito del vostro prezioso lavoro.

Voi vi dedicate ad un'attività estremamente importante, qual è l'animazione missionaria del Popolo di Dio. Il Concilio Vaticano II, come ben sapete, nel Decreto "Ad Gentes" così si esprime: "Tutti i figli della Chiesa devono avere la viva coscienza della loro responsabilità di fronte al mondo, devono coltivare in se stessi una spiritualità veramente cattolica, devono spendere le loro forze nell'opera di evangelizzazione" (AGD 36). Ciò vale non solo a livello di singoli battezzati, ma anche a dimensione comunitaria, infatti, "poiché il Popolo di Dio vive nelle comunità, specialmente in quelle diocesane e parrocchiali,... tocca anche a queste comunità rendere testimonianza a Cristo di fronte alle Genti". E le Chiese più giovani, come pochi giorni fa ho avuto la gioia di costatare personalmente in alcuni Paesi africani, desiderano e sono disponibili ad un incontro di identica partecipazione alla stessa vita cristiana; purché questa non sappia di importazione, ma sia semplice e matura condivisione di un patrimonio di fede, che tutti ci accomuna in una uguale fraternità.

Ora, so bene che voi fate di questi ideali il programma della vostra generosa dedizione, ed è precisamente questo vostro assiduo impegno che io apprezzo grandemente e che vi auguro di coltivare con amore ed efficacia sempre maggiori.

Mi permetto di ricordarvi di insistere, come certamente già fate, su due concrete necessità di metodo operativo: il mantenimento di rapporti sempre più cordiali e dinamici con gli specifici Istituti Missionari, che hanno un ruolo insostituibile, e soprattutto l'intesa e la cooperazione armoniosa con le Conferenze Episcopali nazionali e con i singoli Vescovi, responsabili primi della pastorale in tutte le sue componenti.

Una cura particolare, poi, nella comunità cristiana, meritano gli Alunni dei Seminari ed i Giovani delle Associazioni cattoliche. Il germe dell'ideale missionario, piantato in età giovanile, ha maggiore probabilità di svilupparsi e di produrre frutti benefici e abbondanti, perché favorito da un più fresco entusiasmo. Del resto, un generoso impegno missionario è l'indice più sicuro di una Chiesa non statica, ma aperta verso nuovi orizzonti di crescita: non solo nella sua estensione periferica, ma anche nella sua interiore intensità di fede e di amore.

Affido questi auspici alla feconda potenza della grazia divina, di cui vuol essere pegno la più larga Benedizione Apostolica, che di cuore imparto a tutti voi ed ai vostri collaboratori.

Data: 1980-05-17 Data estesa: Sabato 17 Maggio 1980.


Messaggio al "Religious Communications Congress" riunito a Nashville negli USA

Titolo: I fondamenti etici della comunicazione sociale

Cari amici riuniti a Nashville per il Religious Communications Congress.

Ricordo con gioia il caldo benvenuto che ho ricevuto dagli abitanti degli Stati Uniti durante la mia visita lo scorso ottobre. Sento di dover esprimere ancora la mia gratitudine a tutti gli operatori dei mass media per tutto quello che hanno fatto in quella occasione. Si sono impegnati così generosamente e hanno reso un grande servizio alla comunità mondiale.

Personalmente, sono sempre stato convinto della particolare forza dei mass media di riunire le persone davanti ad un evento o ad una persona. Con l'uso di nuove tecnologie - come il satellite - la comunicazione fra persone separate da oceani o continenti può essere istantanea e personale. E' veramente un potente mezzo da mettere al servizio dell'umanità. Il suo potere deve essere usato, non per limitare, ma piuttosto per espandere gli orizzonti di persone e popoli che cercano di compiere i loro destini umani.

Con il potere viene la responsabilità. Al Nord America, con i suoi straordinari progressi nella comunicazione, spetta una grande parte di questa responsabilità.

Sono perciò rinfrancato dal fatto che, all'inizio di questa nuova decade, giornalisti e produttori - Cattolici, Protestanti, Ortodossi ed Ebrei - si confrontino sul tema cruciale: "Ethics in Communications". Portando i principi religiosi in questo dibattito potete notevolmente influenzare in meglio le menti e i cuori della prossima generazione. Perché la ricerca della verità - la completa verità dell'essere umano creato ad immagine e somiglianza di Dio, e chiamato ad un destino trascendente - affretta il trionfo dell'amore e della pace. Proclamare questa verità difende la dignità umana dalle forze che ridurrebbero l'uomo ad un mero consumatore di beni materiali, o a vittima di interessi nazionali o di ideologie.

Sono anche rinfrancato dal vostro desiderio di ascoltare le opinioni di persone al di fuori dei vostri confini. E non solo la mia voce, ma le voci di molte nazioni, particolarmente di quelle del terzo mondo.

Quest'ascolto non solo arricchirà il Nord America, ma permetterà anche ad altre nazioni di prendere il loro posto nel forum internazionale delle idee, e di avere un giusto spazio nell'uso delle onde magnetiche. La tecnologia delle comunicazioni rende il mondo più piccolo. Quando propriamente usate, possono migliorare il mondo, renderlo un posto dove tutti possono vivere in pace come fratelli e sorelle sotto la Paternità di Dio.

Mentre continuate il vostro dibattito, permettetemi di dirvi ciò che ho detto ai giornalisti delle Nazioni Unite: "Siate fedeli alla verità e alla sua trasmissione, perché la verità resiste; la verità non sparirà. La verità non cederà e non cambierà".

E dico a voi... che il servizio della verità, il servizio all'umanità con il mezzo della verità, è qualcosa degno dei vostri anni migliori, delle vostre qualità più fini, dei vostri sforzi più convinti. Come trasmettitori di verità siete strumenti di comprensione fra la gente e di pace fra le nazioni.

Che Dio benedica il vostro lavoro per la verità con i frutti della pace.

[Traduzione dall'inglese]

Data: 1980-05-17 Data estesa: Sabato 17 Maggio 1980.


Omelia durante la messa per i focolarini - Basilica Vaticana (Roma)

Titolo: Coloro che guardano al futuro sono quelli che fanno la storia

Carissimi giovani del movimento Gn! 1. A voi tutti il mio cordiale benvenuto. La gioia che brilla sui vostri volti e che si esprime nei vostri canti ha creato intorno a questa celebrazione eucaristica un clima di intima e profonda comunione, il clima caratteristico di una famiglia, riunita intorno al focolare.

Si. Il "focolare": un termine che per voi ha un grande significato. Il pensiero va spontaneamente a quel primo "focolare", costituito dai discepoli raccolti nel cenacolo, "al piano superiore della casa" (cfr. Ac 1,13) dopo l'ascensione del Signore. Il libro degli Atti li descrive mentre, "assidui e concordi nella preghiera con Maria" (cfr. Ac 1,14), attendono la venuta dello Spirito Santo, che è stato loro promesso dal maestro. In quella attesa, in quella preghiera, in quella unione fraterna che essi formano - preparandosi alla prima venuta e, poi, attraverso quella stessa venuta, vivendo nella carità - si realizza nel suo principio più profondo quel "per un mondo unito", che costituisce il motto impegnativo di questo vostro incontro. Da questa fusione, avveratasi nel cenacolo, si potrebbe dire che trova il suo inizio e la sua sorgente tutta la spiritualità dei "focolarini".

Il movimento, di cui siete un'espressione, ha il suo centro focale nell'amore, che lo Spirito di Cristo diffonde nel cuore dei credenti. Di tale amore il mondo d'oggi ha un immenso bisogno. Voi ne siete pienamente consapevoli: avete riflettuto a lungo sulle tensioni, che contrappongono tra loro individui, classi sociali, aree economiche e politiche, gruppi che si ispirano ad ideologie e a fedi diverse. In particolare, vi siete resi conto delle divisioni e contraddizioni introdotte nell'umanità da quelle ideologie che hanno una comune base materialistica e che, a bene esaminarle, non possono avere altra prospettiva finale se non quella paurosa di una reciproca distruzione.

Ma voi carissimi giovani, non vi siete rassegnati di fronte a queste realtà. Con l'entusiasmo che è proprio della vostra età, non vi siete arresi al presente, avete rivolto il vostro sguardo al futuro, nella fiduciosa speranza di poter lasciare a chi verrà dopo di voi un mondo migliore di quello che avete trovato.


2. Che cosa vi ispira una simile fiducia? Dove attingete il coraggio per progettare e tentare l'impresa ciclopica della costruzione di un mondo unito? Mi pare di sentire la risposta che prorompe dai vostri cuori: "Nella parola di Gesù.

E lui che ci ha chiesto di amarci fra noi fino a diventare una cosa sola. Lui, anzi, ha pregato per questo".

E' così, infatti: abbiamo riascoltato le sue parole nel brano evangelico or ora proclamato. Gesù pronuncio quelle parole nell'ultima cena, poche ore prima di dare inizio alla sua passione. Sono parole nelle quali è racchiusa l'ansia suprema del cuore del Verbo incarnato. Quest'ansia, Gesù la consegna al Padre come a colui che solo può capirne tutta l'intensità e l'urgenza e che solo è in grado di corrispondervi efficacemente. Al Padre Gesù chiede il dono dell'unità fra tutti coloro che crederanno in lui: "Che tutti siano una sola cosa".

Non si tratta di una raccomandazione rivolta direttamente a noi. Mette conto di sottolinearlo. Gesù, che ci conosce fino in fondo (cfr. Jn 2,24ss), sa di non poter fare particolare affidamento su di noi per l'attuazione di un progetto così radicale. E' necessario un intervento dall'alto che, assumendo i nostri cuori gretti nella corrente d'amore che fluisce tra le persone divine, li rende capaci di superare le barriere dell'egoismo e di aprirsi al "tu" dei fratelli di una comunione vitale, in cui ciascuno si perda come singolo per ritrovarsi in un "noi", che parla con la voce stessa di Cristo, primogenito dell'umanità nuova.

A questo si è richiamato il Concilio Vaticano II quando, rifacendosi allo stesso passo scritturistico, ha parlato di "orizzonti impervi alla ragione umana", orizzonti dai quali tuttavia appare che l'uomo, unica creatura in terra che Iddio abbia voluto per se stessa, "non può ritrovarsi pienamente se non attraverso il dono sincero di sé" (GS 24).

Questi "orizzonti impervi" noi possiamo intravvedere, ed in essi avventurarci, se ci apriamo alla grazia di Cristo, che ci eleva alla partecipazione stessa della vita trinitaria: il mistero altissimo dell'eterna comunione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo diventa allora il modello esemplare e come la sorgente alimentatrice della comunione che deve stabilirsi tra gli uomini: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola" (Jn 17,21).

"In noi": l'unità piena non la si costruisce su altro fondamento. E' necessario, pertanto, che ciascuno s'impegni, innanzitutto, nella ricerca di una unione sempre più profonda con Dio, mediante la fede, il dialogo della preghiera, la purificazione del cuore, se vuole contribuire efficacemente alla costruzione dell'unità. Per il credente la dimensione verticale dell'apertura a Dio e del rapporto con lui è il presupposto che condiziona ogni altro impegno nella dimensione orizzontale del rapporto con i fratelli.


3. Questo, tuttavia, non significa, com'è ovvio, che sia di poca importanza l'impegno volto a stabilire rapporti nuovi di cordialità sincera con i fratelli.

La qualità di questi rapporti è, anzi, secondo l'insegnamento della Scrittura, criterio di verifica dell'autenticità del rapporto che si dice di avere con Dio (cfr. 1Jn 4,20 1Jn 3,17). Lo sforzo per costruire l'unità si presenta così come il banco di prova, sul quale ogni cristiano deve riscontrare la serietà della propria adesione al Vangelo.

Quale sarà in concreto l'atteggiamento con cui il cristiano dovrà disporsi ad andare incontro ai suoi simili? Dovrà essere fondamentalmente un atteggiamento di fiducia e di stima. Il cristiano deve credere nell'uomo, credere "in tutto il suo potenziale di grandezza, ma anche nel suo bisogno di redenzione dal male e dal peccato che è in lui". Questo ho detto nel messaggio di inizio d'anno per la giornata mondiale della pace (cfr. Ioannis Pauli PP. II "Nuntius scripto datus ob diem ad pacem fovendam toto orbe terrarum Calendis Ianuariis a. 1980 celebrandum: de veritate pacis robore", 2, die 18 dec. 1979: "Insegnamenti di Giovanni Paolo II", II,2[1979] 1446); e mi piace ribadire, in questa circostanza particolarmente significativa, l'urgenza di scavare bene a fondo in noi stessi, per raggiungere quelle zone in cui - al di là delle divisioni che constatiamo in noi e fra di noi - possiamo scoprire che i dinamismi propri dell'uomo lo portano all'incontro, al rispetto reciproco, alla fraternità ed alla pace (cfr. Ioannis Pauli PP. II "Nuntius scripto datus ob diem ad pacem fovendam toto orbe terrarum Calendis Ianuariis a. 1980 celebrandum: de veritate pacis robore", 4, die 18 dec. 1979.

4. Quando ci si è posti in quest'ottica, si è portati spontaneamente a capire l'altro e le sue ragioni, a ridurre gli eventuali suoi errori alle loro reali proporzioni, a correggere o ad integrare i propri punti di vista in base ai nuovi aspetti di verità emersi dal confronto. In particolare, si è in grado di guardarsi dall'atteggiamento di coloro che, nell'ardore della polemica, finiscono per screditare chi la pensa diversamente, attribuendogli intenzioni disoneste e metodi scorretti (cfr. Ioannis Pauli PP. II "Nuntius scripto datus ob diem ad pacem fovendam toto orbe terrarum Calendis Ianuariis a. 1980 celebrandum: de veritate pacis robore", 5, die 18 dec. 1979: "", II,2[1979] 1448).

Solo chi coltiva il rispetto sincero per il proprio simile può aprire con lui un dialogo fruttuoso e costruttivo. In quel messaggio ho definito il dialogo un "indispensabile strumento di pace" (Ioannis Pauli PP. II "Nuntius scripto datus ob diem ad pacem fovendam toto orbe terrarum Calendis Ianuariis a. 1980 celebrandum: de veritate pacis robore", 8, die 18 dec. 1979: "Insegnamenti di Giovanni Paolo II", II,2[1979] 1449-1450). Lo è infatti, almeno quando chi lo pratica si sforza di attenersi alle regole che gli sono proprie. Il mio predecessore, Papa Paolo VI, le ha mirabilmente descritte nella sua enciclica "Ecclesiam Suam": "Il dialogo, egli ricordava, non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l'esempio che propone; non è comando, non è imposizione.

E' pacifico; evita i modi violenti; è paziente; è generoso" (Pauli VI "Ecclesiam Suam", 83).

Il dialogo: ecco la strada sulla quale è possibile fare grandi passi verso un'intesa sempre più profonda e verso quell'unità, che è meta sempre quaggiù perfettibile, perché mai interamente raggiunta.


5. C'è tuttavia un'esigenza pregiudiziale, che condiziona ogni impegno serio in questo senso: essa consiste nella disponibilità a perdonare.

Il peccato fa parte del bagaglio dell'uomo storico. Non è possibile, quindi, immaginare di poter incontrare l'uomo senza incontrare il peccato.

Un'impostazione realistica del dialogo non può fare a meno di mettere in conto anche la necessità della "riconciliazione" fra persone divise dal peccato. Per questo Gesù ha insistito con tanta forza sul dovere del perdono, fino a farne la condizione per potere sperare a propria volta nel perdono di Dio (cfr. Mt 6,12 Mt 6,14-15 Mt 18,35).

Ed egli in persona ci ha dato l'esempio, perché sulla croce s'incontrano l'innocenza assoluta con la malizia più proterva. La preghiera: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34) toglie a noi ogni possibile pretesto per chiuderci in noi stessi e rifiutare il perdono.

Santo Stefano lo aveva capito perfettamente: nella prima lettura di questa liturgia lo abbiamo visto mentre, cadendo sotto i colpi delle pietre, pronunciava le parole che ne stagliano la grandezza morale per l'eternità: "Signore, non imputare loro questo peccato" (Ac 7,60).


6. Carissimi giovani, generazione nuova che porta nelle mani il mondo del futuro! Voi avete deciso di fare dell'amore la norma ispiratrice della vostra vita. Per questo l'impegno per l'unità è diventato vostro programma. E' un programma eminentemente cristiano. Il Papa è quindi ben lieto di incoraggiarvi a proseguire su questa strada, costi quel che costi. Voi dovete dare ai vostri coetanei la testimonianza di un entusiasmo generoso e di una inflessibile costanza nell'impegno richiesto dalla volontà di costruire un mondo unito.

La sorgente a cui attingere le energie necessarie per questo non facile cammino, voi sapete dove trovarla; essa è posta nel cuore di colui che è "l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine" (Ap 22,13). Di lui è detto che offre a ciascuno "gratuitamente l'acqua della vita" (Ap 22,17).

Cristo sia dunque il vostro punto di riferimento sicuro, lui il fondamento di una fiducia che non conosce tentennamenti. L'invocazione appassionata della Chiesa: "Vieni, Signore Gesù", diventi il sospiro spontaneo del vostro cuore, non mai soddisfatto del presente, perché sempre proteso verso il "non ancora" del compimento promesso.

Carissimi giovani, la vostra vita deve gridare al mondo la vostra fede in colui che ha detto: "Ecco, io verro presto e portero con me il mio salario" (Ap 22,12). Voi dovete essere l'avanguardia del popolo in cammino verso quei "nuovi cieli" e quella "terra nuova, in cui avrà stabile dimora la giustizia" (2P 3,13).

Gli uomini che sanno guardare al futuro sono quelli che fanno la storia; gli altri ne sono rimorchiati e finiscono per trovarsene ai margini, impigliati in una rete di occupazioni, di progetti, di speranze che, alla resa dei conti, si rivelano ingannevoli ed alienanti. Solo chi s'impegna nel presente, senza farsene "catturare", ma restando con lo sguardo del cuore fisso alle "cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio" (Col 3,1), può orientare la storia verso il suo compimento.

Di tale compimento questa nostra celebrazione eucaristica è una anticipazione "nel mistero". Ora, come in ogni messa, all'invocazione della Chiesa, sposa di Cristo sottoposta ancora alle tribolazioni del mondo presente, si unisce quella dello Spirito: "Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni" (Ap 22,17). La liturgia della terra si armonizza con quella del cielo. Ed ora, come in ogni messa, al nostro cuore bisognoso di conforto giunge la risposta rasserenante: "Colui che attesta queste cose dice: "Si, verro, presto!"" (Ap 22,20).

Sorretti da questa certezza, noi riprendiamo il cammino sulle strade del mondo, sentendoci fra noi più uniti e solidali e, al tempo stesso, portando nel cuore il desiderio fatto più ardente di recare ai fratelli, avvolti ancora nelle ombre del dubbio e dello sconforto, il "lieto annuncio", che anche sull'orizzonte della loro esistenza è sorta "la stella radiosa del mattino" (Ap 22,16): il redentore dell'uomo, Cristo Signore.

Data: 1980-05-18 Data estesa: Domenica 18 Maggio 1980.


Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nell'opera dei missionari la vitalità della Chiesa in Africa

1. Desidero anzitutto che, in questa nostra comune preghiera in onore della Regina del cielo e madre del Risorto, noi ci uniamo ad ogni parrocchia, ad ogni comunità del Popolo di Dio, ad ogni stazione missionaria del continente africano, che ho avuto la gioia di visitare all'inizio di questo mese. Nel corso di quel pellegrinaggio ho incontrato numerose folle, riunite in alcuni centri. Soltanto qualche volta mi è stato possibile giungere alla sede di una normale missione.

Tuttavia, sono pienamente consapevole che proprio in quei posti, intorno a un sacerdote - a volte già aborigeno, spesso ancora missionario - con l'aiuto delle suore e dei catechisti del luogo si elabora l'ossatura stessa della fede e della vita sacramentale della Chiesa in Africa. Ivi i figli e le figlie del continente nero si uniscono intorno a un maestro ed apostolo, intorno al sacerdote di Cristo; e il Signore stesso è in mezzo a loro.

Oggi, prima domenica dopo il ritorno dal mio pellegrinaggio, desidero unirmi in modo particolare, nella gioia pasquale e nella preghiera del "Regina Coeli", a tutte quelle comunità, cellule vive della Chiesa, che si sviluppano in tutto il continente africano, al quale rinnovo con particolare intensità di sentimento il mio saluto ed i miei voti.


2. Contemporaneamente, con la stessa preghiera mi rivolgo in un'altra direzione.

Mi induce a ciò il ricordo di san Giovanni Nepomuceno, sacerdote e martire, figlio della nazione ceca, che è venerato dalla Chiesa proprio in questi giorni di maggio.

Perciò, nel ricordo di questo santo, raccomando alla preghiera di tutti voi che siete qui riuniti - e di tutti coloro che mi ascoltano nostri fratelli e nostre sorelle nella fede, che appartengono a questa nazione e vivono in quel paese. La mia provenienza fa si che essi siano particolarmente vicini al mio cuore; dagli inizi della storia sono stati il popolo affine e contiguo a quello polacco e la mia patria di origine ha ricevuto il cristianesimo proprio da loro, mille anni fa.

Preghiamo quindi che i credenti in Cristo si distinguano nella Cecoslovacchia moderna per la loro coerenza nel confessare Cristo e che possano godere della piena libertà religiosa in ogni campo della vita e dell'attività, ivi compresa anche la possibilità di vivere normalmente la vocazione sacerdotale e religiosa, che il Signore non lascia mancare a tanti nostri fratelli in quelle terre. così facendo, nello stesso tempo preghiamo altresi per il bene della società e dello Stato, che dipende anche dal rispetto dei diritti di tutti i cittadini.

Affido questa supplica alla Madonna, che in quella nazione è molto venerata, mentre rinnovo all'intera popolazione cecoslovacca, con speciale intensità di sentimenti, l'espressione del mio profondo e sincero affetto e gli auspici più fervidi per il progresso sociale e civile del paese.


3. L'odierna domenica è altresi la quattordicesima giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Attesa l'importanza che i "mass-media" rivestono nella vita della Chiesa per l'annuncio del Vangelo all'uomo contemporaneo, ho voluto dedicare a questa celebrazione uno speciale messaggio, che è stato pubblicato nei giorni scorsi, come sapete; il tema sottoposto quest'anno alla comune riflessione è: "Ruolo delle comunicazioni sociali e compiti della famiglia". Ciascuno vede quanto importante e quanto delicato sia l'argomento. L'augurio del Papa è che i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà si adoperino perché, da una parte, gli operatori delle comunicazioni sociali si sentano impegnati a diffondere ciò che contribuisce a rafforzare le basi dell'istituzione familiare ed a promuovere il sano processo formativo dei giovani e, dall'altra, le famiglie sappiano utilizzare con discernimento i vari mezzi della comunicazione in armonia con le esigenze, i doveri ed i diritti di ogni loro componente.

A tale fine non manchi da parte di tutti una particolare, fervorosa preghiera.

[Omissis. Seguono i saluti agli appartenenti alla classe 1920; agli sportivi; ai fedeli dell'Argentina; agli appartenenti al movimento belga "Vie Féminine".]

Data: 1980-05-18 Data estesa: Domenica 18 Maggio 1980.


Omelia alla chiesa di Cristo Re - Roma

Titolo: L'unità testimonia la forza dello Spirito

1. L'odierna visita del Vescovo di Roma alla parrocchia di Cristo Re ha un carattere particolare. Questa visita, così come tutte le altre fatte alle parrocchie della Chiesa romana, è dettata da una antichissima tradizione apostolica e, nello stesso tempo, serve a fondamentali compiti e a scopi pastorali. Non posso tuttavia passare sotto silenzio una circostanza particolare: oggi ricorre il 60° anniversario della posa della prima pietra di questo tempio.

In quel lontano 18 maggio 1920 era anche presente, per quel significativo avvenimento, il servo di Dio padre Leone Dehon, fondatore della congregazione dei sacerdoti del Sacro Cuore, i quali, in questi sessant'anni, hanno svolto con molto impegno e molto frutto il loro apostolato in questa parrocchia, la cui chiesa dalle linee moderne è dedicata al "Sacro Cuore di Cristo Re Pacifico".

Non posso, in questo mio incontro, non esprimere il mio compiacimento ed il mio saluto al parroco, padre Mario Barziza, ed ai sacerdoti religiosi suoi collaboratori, uniti insieme fraternamente nella stessa vocazione e nello stesso ideale di donazione per le anime di codesta comunità parrocchiale, pulsante di vita e di iniziative, con i suoi novemila fedeli e i tremila nuclei familiari.

Un cordiale saluto alle religiose, che svolgono il loro prezioso apostolato nell'ambito della parrocchia: le suore carmelitane della Carità; le suore del Preziosissimo Sangue di Monza; le suore canossiane di Santo Spirito in Sassia; le suore della Passione di nostro Signore.

Un affettuoso saluto ai padri ed alle madri, ai quali va la mia ammirazione e il mio incoraggiamento per la missione continua e delicata, che debbono svolgere nelle loro famiglie. Un saluto a tutti i laici impegnati nell'apostolato, cioè ai membri dell'Azione Cattolica, alle collaboratrici familiari, alla Pia Unione Portieri, al gruppo del volontariato vincenziano, a Rinascita Cristiana, al gruppo di preghiera di Padre Pio, al gruppo "Famiglie Nuove", alle "mamme catechiste".

Ai giovani, ai ragazzi, ed ai bambini della parrocchia un particolare ricordo ed un plauso per le varie iniziative spirituali, che essi sanno animare con il loro entusiasmo e la loro generosità.

A tutti, specialmente a coloro che soffrono nello spirito e nel corpo, il mio sincero saluto.

Vengo oggi nella vostra comunità per ringraziare - dopo sessant'anni della sua esistenza e della sua intensa attività - Dio, che è l'origine di ogni cosa; per ringraziarlo insieme con voi, cari fratelli e sorelle, che costituite questa parrocchia: questa comunità della Chiesa romana. Con voi, che siete la generazione prima, la seconda e già la terza dei parrocchiani di Cristo Re.

La nascita di una parrocchia, come la comunità organizzata in modo gerarchico del Popolo di Dio, sul modello delle comunità primitive che gli apostoli formavano e visitavano, nasconde sempre in sé il grande mistero della nascita per Dio di ciascuno di noi, che - nati, dai nostri genitori terrestri, alla vita umana - nasciamo, in pari tempo, nella Chiesa mediante la grazia, nasciamo nel sacramento del battesimo. alla vita divina come figli adottivi di Dio.

E il giorno d'oggi mi fa ricordare pure l'ora della mia nascita, avvenuta sessant'anni fa, in terra polacca, nello stesso giorno, il 18 maggio in cui si poneva la prima pietra di questa chiesa, in cui ora siamo riuniti per celebrare insieme la solennità dell'Ascensione di nostro Signore Gesù Cristo. In questo giorno ricordo con particolare gratitudine i miei genitori: mia madre e mio padre; ma ricordo anche la mia parrocchia (a Wadowice) come la Chiesa-madre la quale, poco dopo mi accolse bambino, nato da genitori terrestri, alla grazia del battesimo e alla comunità del Popolo di Dio.

Mi rallegro, cari fratelli e sorelle, perché, compiendo oggi il mio servizio di Vescovo, posso vivere in unione con voi, nello spirito della fede, della speranza e della carità, la profonda eloquenza e il mistero di questo giorno, nel quale la Chiesa ricorda, con l'ascensione, la glorificazione eterna di Gesù, seduto alla destra del Padre.

Gesù, morto per i nostri peccati, è risorto con un prodigio divino e singolare: la sua umanità è stata trasformata. Con la sua risurrezione egli ha trionfato pienamente sulla corruzione, sulla mortalità, su tutti quei mali che possono impedire l'autentica felicità dell'uomo. Con l'ascensione, la natura umana del Cristo è stata portata all'apice della glorificazione: "la nostra umile natura - dice san Leone Magno - è stata sublimata fino ad assidersi nel Cristo sullo stesso trono di Dio Padre, al di sopra di tutto l'esercito celeste, sopra tutti gli schieramenti angelici, oltre il limite d'altezza di qualsiasi potestà" (S.Leonis Magni "De Ascensione Domini", "Sermo" 74, II, 1: PL 54,397).

Questo grande mistero di fede suscita in noi tutti una straordinaria speranza: anche noi seguiremo Cristo nella sua definitiva glorificazione, ci ricongiungeremo a lui per tutta l'eternità: "Vere erano le ossa di Cristo, veri i nervi, vere le cicatrici... Tutto vero. Ma è anche vero che il suo corpo fisico ci ha preceduto in cielo. Ci ha preceduto il capo. Lo seguiranno le membra" (S.Augustini "De Ascensione", "Sermo 464, IV, 6: PL 38,1218). Questa speranza cristiana dà un significato a tutta la nostra vita terrena.


GPII 1980 Insegnamenti - Al pellegrinaggio delle diocesi dell'Umbria - Venerdi 16 Maggio 1980