GPII 1980 Insegnamenti - Ad abbadesse benedettine d'Italia - Città del Vaticano (Roma)

Ad abbadesse benedettine d'Italia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: In preghiera ai piedi della Croce per la salvezza del mondo

Dilette abbadesse benedettine d'Italia! 1. Al termine del vostro convegno di studio sulla "preghiera monastica considerata nel suo svolgersi dalle origini fino al Vaticano II", avete desiderato incontrarvi con il Papa, per manifestare la vostra fede e la vostra filiale devozione, e per ascoltare una parola di incoraggiamento e di conforto. Vi ringrazio perciò, di cuore, e, nel porgervi il mio saluto particolarmente affettuoso, esprimo a voi e a tutte le consorelle il mio vivo apprezzamento per la vostra consacrazione religiosa e per il vostro costante impegno nell'aggiornamento e nell'approfondimento culturale e formativo.

Anche a voi desidero ripetere ciò che dissi alle claustrali nel Carmelo di Nairobi: "La Chiesa è profondamente cosciente e senza esitazione essa incoercibilmente proclama che vi è un'intima connessione tra la preghiera e la diffusione del regno di Dio, tra la preghiera e la conversione dei cuori, tra la preghiera e la fruttuosa recezione del messaggio salvifico ed elevante del Vangelo" (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio ad moniales Nairobiae habita", 2, die 7 maii 1980: "", III, 1, 1204).

Perciò, la letizia spirituale che provate per essere totalmente consacrate a Gesù Cristo e alla Chiesa, è anche la mia gioia e la mia profonda consolazione. Vi è, inoltre, un motivo particolare che vi rende care al mio cuore: voi siete le figlie di san Benedetto e vi dedicate a perpetuare il suo glorioso ed universale messaggio di formazione cristiana e religiosa, messaggio austero e tuttavia soave, che da ormai quindici secoli spande il suo profumo e la sua energia nel mondo intero. Dovete sentirvi ben liete, in questo anno commemorativo della sua nascita, per tutte le iniziative che si stanno svolgendo per ricordare degnamente il vostro santo fondatore e per sempre meglio valutare la meravigliosa ricchezza spirituale della sua regola.

Posso immaginare quante sagge e utili riflessioni avete compiuto in questi giorni di studio sul tema così interessante della preghiera monastica. E, a conclusione, voglio lasciarvi una breve esortazione, che possa servire a voi e a tutti i chiamati alla vita monastica, in questa epoca così singolare nello sviluppo della storia.


2. Qual è il valore della preghiera monastica nel nostro tempo? Essa ne ha indubbiamente tanti, e voi li conoscete. Alcuni di tali valori sono eminentemente attuali e caratteristici.

La preghiera monastica ha oggi in primo luogo un "valore apologetico", o, come anche si usa dire, "profetico". Oggi ciò che fa più impressione nel mondo moderno è la crisi della fede. Ebbene, la preghiera monastica, come la volle san Benedetto e come in seguito venne praticata dalle varie spiritualità, è come un segno luminoso nella notte, un'oasi nel deserto delle delusioni e delle insoddisfazioni, un vascello stabile e sicuro tra le onde tempestose dei sentimenti e delle passioni. Con la sua preghiera, che sgorga da una fede lungamente maturata e profondamente vissuta, il monaco, la religiosa di vita contemplativa, nell'aura serena della "lectio" e della "meditatio" della Sacra Scrittura, sembrano dire al mondo intero, con modestia ma con fermezza: "Io so che Dio esiste ed è Padre onnipotente e provvidente, e lo credo fermamente - Io so che Dio si è manifestato in Cristo, il Verbo incarnato, e lo amo teneramente - Io so che Cristo è presente nella sua Chiesa, e la seguo fedelmente".

A questo proposito, mi piace ricordare un tratto del messaggio dei Vescovi italiani per il XV centenario della nascita di san Benedetto: "Il nostro tempo ha bisogno di riscoprire la forza di Dio che parla, scuote, provoca, si rivela, si comunica, chiama e attrae a comunione con sé. Ieri tutto sembrava portare a Dio; oggi pare che niente e nessuno aiuti a pensare a lui. Intorno a Dio c'è quasi una tacita congiura del silenzio. Ma non è così; ogni giorno ciascuno di noi, e tutti insieme, possiamo riscoprire il fascino della sua presenza e il bisogno che abbiamo di lui per respirare, per vivere. Forse oggi le "teologie", i "discorsi su Dio", per quanto importanti, non bastano più. Ci vogliono esistenze che gridano silenziosamente il primato di Dio. Ci vogliono uomini che trattano il Signore da Signore, che si spendono nella sua adorazione, che affondano nel suo mistero, sotto il segno della gratuità e senza umano compenso, per attestare che egli è l'assoluto" ("L'Osservatore Romano", die 18 mar. 1980).


3. La preghiera monastica ha anche un valore grandemente propiziatorio e impetratorio.

San Benedetto, meditando assiduamente la Sacra Scrittura, sapeva bene che Dio è infinitamente buono e misericordioso, ma è anche infinitamente giusto, e, conoscendo la situazione di sbandamento morale del suo tempo, volle appunto aprire il suo monastero principalmente per la salvezza eterna di tante persone.

Ciò che paventava il santo in quell'epoca rozza e violenta, dobbiamo purtroppo paventarlo ancora di più in questa nostra epoca, orgogliosa e raffinata.

Oggi molti rischiano terribilmente la loro eternità! Sappiamo infatti, come dice l'autore della lettera agli Ebrei, che "è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio" (He 9,27). Ma l'amore di Dio è immenso, e la preghiera monastica può salvare tante anime per la potenza della "grazia": Parce, Domine, parce populo tuo! In procinto di recarmi pellegrino nel santuario di Lisieux, ricordo ciò che scriveva santa Teresa del Bambino Gesù, ancor oggi maestra sapiente e amica intrepida nella strada della nostra vita: "Una domenica, guardando una immagine di nostro Signore in croce, fui colpita dal sangue che colava da una delle sue mani divine; provai una gran pena al pensiero che quel sangue colasse a terra senza che nessuno si desse pena di raccoglierlo e risolsi di restare in spirito ai piedi della croce per ricevere la divina rugiada che ne scendeva e che - comprendevo - avrei dovuto poi spargere sulle anime..." (Santa Teresa del Bambino Gesù, "Storia di un'anima", Man. A, cap. V). La preghiera monastica deve essere così: una preghiera ai piedi della croce per la salvezza del mondo.

Carissime religiose, tornando ora ai vostri conventi recate alle vostre consorelle il mio saluto e il mio augurio di pace e di gioia, in unione con Maria santissima, che visse la sua vita in continua preghiera, vicina al suo divin figlio Gesù, e che in questi giorni ricordiamo orante nel cenacolo, con gli apostoli, nell'attesa dello Spirito. Essa vi guidi nelle ascese della vostra vita consacrata a Cristo e alla Chiesa! Vi accompagni la mia benedizione.

Data: 1980-05-22Data estesa: Giovedi 22Maggio 1980.


Ai capitolari dell'Ordine Mercedario - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ovunque l'uomo moderno sia tenuto prigioniero

Cari fratelli dell'Ordine della Beata Vergine Maria della Mercede, Con profonda gioia comparto con voi questi momenti d'intimità, in un incontro familiare che confido serva per rendere ancora più stretti i legami di comunione affettuosa tra il vostro Istituto e il Papa.

So che vi siete radunati a Roma a motivo del Capitolo Generale, verso il quale guardano con tanta speranza tutti i religiosi dell'Ordine impegnati apostolicamente in 19 paesi di diversi continenti.

Vi ringrazio per la vostra visita, la quale esprime i vostri sentimenti di fedele adesione al Magistero della Chiesa. In questa opportunità voglio confermare la profonda stima che nutro verso il vostro antico e benemerito Ordine, che da più di sette secoli e mezzo si prodiga in favore dei membri più afflitti e bisognosi del corpo mistico del Cristo.

La missione che il vostro fondatore San Pedro Nolasco vi affido, nell'opera diretta di redenzione e aiuto ai prigionieri, e che impregno tutta la sua attuazione apostolica in parrocchie ed ospedali per i poveri, nell'insegnamento e nelle missioni, oggi si ritrova prolungata in un carisma di servizio alla fede, per proiettare un raggio di speranza ed offrire l'assistenza della carità di Cristo a coloro che si trovano sottomessi a nuove forme di prigionia nella nostra società; nei centri penitenziari, nei quartieri di periferia dove c'è la povertà e la fame, negli ambienti della droga, nelle zone di materialismo in cui si perseguitano i credenti o si riduce la Chiesa al silenzio, etc.

Si tratta di un campo vasto nel quale si deve riversare senza riserve il vostro spirito religioso e la disponibilità totale, frutto dell'esperienza generosa dei consigli evangelici e della professione del vostro quarto voto.

Questa sarà la maniera di essere fedeli oggi al vostro carisma, nella scia tracciata da San Pedro Nolasco e raccolta già nelle prime costituzioni del 127 2.

Non c'è dubbio che la vostra vocazione vi invita a un esigente impegno ecclesiale. Per mantenere viva questa consegna, c'è bisogno che siate persone di profonda vita interiore e che rinnoviate le vostre forze nel contatto col Modello di ogni perfezione: Cristo Gesù, Buon Pastore e Salvatore. Per questo vi ripeto: "Le vostre case devono essere soprattutto centri di preghiera, di raccoglimento, di dialogo - personale e comunitario - con Colui che è e deve essere il primo e principale interlocutore nella successione laboriosa delle ore di ogni vostra giornata" (Ioannis Pauli PP. II Allocutio ad Superiores generales religiosos habita, 4, die 24 nov. 1978: , I [1978] 205).

A questa sublime scuola il religioso sazierà la sete di Dio che deve essere una caratteristica nella sua vita (cfr. Ps 63,1-2) e si riempirà di quel grande amore che dona senso nuovo alla propria esistenza (Ioannis Pauli PP.II RH 10).

Rivolgendomi ai Religiosi il cui fondatore si è tanto impegnato nella devozione alla Madre di Dio e Madre nostra, non posso fare a meno di esortarvi a mantenere ed approfondire quel grande amore mariano che è la caratteristica peculiare del vostro Ordine. Prendete dalla "Madre della misericordia" e dalla "Consolatrice degli afflitti" l'esempio e l'ispirazione di ogni istante. Ella vi guiderà verso il suo Figlio e vi insegnerà il valore di ogni anima, alla quale prodigherete zelantemente la cura del vostro ministero.

Incoraggiandovi nei vostri propositi, vi assicuro la mia fiducia, prego per voi e impartisco a ciascuno dei membri del vostro Ordine la mia speciale benedizione.

[Traduzione dallo spagnolo]

Data: 1980-05-23 Data estesa: Venerdi 23 Maggio 1980.


Ai vescovi della Malaysia-Singapore-Brunei in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ciò che fate come vescovi perpetua nella Chiesa la vita di Cristo

Miei cari fratelli Vescovi, 1. Con profondo affetto fraterno in Cristo Gesù, vi do il benvenuto oggi in Vaticano. La vostra presenza qui come pastori della Chiesa della Malaysia, Singapore e Brunei ci offre l'opportunità di esprimere la nostra unità in Cristo e nella gerarchia della sua Chiesa. Questa è anche una felice occasione per riflettere brevemente sul mistero della Chiesa come è vissuto nella vostra terra e fra la vostra gente.

In questa riflessione, che facciamo con la grazia dello Spirito Santo, troviamo coraggio per il nostro ministero pastorale e forza per la nostra vita. La nostra missione apostolica di evangelizzazione è legata a complessi problemi che riguardano al vita quotidiana della gente, la loro dignità umana e la loro salvezza eterna. Sebbene non ci siano facili soluzioni ai problemi che dobbiamo affrontare, meditare sul mistero della Chiesa alleggerisce il nostro compito e ci da un senso più alto della nostra missione ecclesiale. A nostra volta, saremo in grado di meglio sostenere i nostri fratelli nella loro vocazione cristiana, compiendo così il nostro mandato pastorale: "Pascite qui est in vobis gregem Dei" (1P 5,2).


2. Di grandissima importanza nel mistero della Chiesa è il fatto che Cristo vive nel suo popolo. La sua vita continua nelle comunità di fedeli nel mondo, in tutti coloro che nel battesimo e nella fede sono stati perdonati nel suo nome. La vita di Cristo continua nella Chiesa oggi, in tutti i fratelli del Signore che siete stati mandati a servire. Persino ciò che è più basilare della persona di Cristo - la sua filiazione divina - è vissuto nella Chiesa tramite la grazia dell'adozione divina (cfr. Ga 4,5 Ep 1,5).

E poiché i fedeli si riconoscono in Cristo Figlio di Dio, sono in grado, tramite lo Spirito Santo, di esprimere i sentimenti di cristo verso il Padre.

Perciò, la preghiera di Cristo continua in ogni generazione; la continua lode di cristo al Padre è una realtà nella Chiesa.

Si, Cristo vive nei suoi membri, e per questo vuole soffrire in loro, permettendo a loro di completare quello che manca nelle sue sofferenze a favore del suo Corpo, la Chiesa (cfr. Col 1,24). Questo mistero è entrato nelle coscienze dei cristiani che sanno di dover gioire per la possibilità di condividere le sofferenze di Cristo (cfr. 1P 4,13), e che, quando messi alla prova in suo favore, è meglio soffrire per quel che è giusto, piuttosto che per quel che è sbagliato (cfr. 1P 3,17).

E nella sua Chiesa - sempre secondo il progetto del Padre - Cristo cresce in saggezza, età e grazia (cfr. Lc 2,52) come i suoi membri, tramite la sua parola ed i suoi sacramenti, giungono alla piena maturità in Cristo (cfr. Ep 4,13).

Nel Corpo di Cristo, il suo zelo si perpetua; e la sua Chiesa arde di desiderio per il suo cuore: "Bisogna che io annunzi il Regno di Dio anche alle altre città" (Lc 4,43). I malati sono visitati, sollievo è offerto agli afflitti, ed il Vangelo è predicato ai poveri. La catechesi del Regno procede nei giovani e negli anziani.

E poiché Cristo vive, il suo amore sopra ogni cosa è tenuto vivo nella Chiesa. Gesù ama sempre suo Padre, ed il Padre non smette di amare il Figlio in tutti coloro che il Figlio ha scelto come fratelli e sorelle. Ed il mistero di un amore ricevuto dal Padre e donato al Padre è il lascito di tutti i discepoli di Cristo: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,35).


3. Questo mistero di Cristo che vive nella Chiesa si manifesta in ogni comunità.

E' un mistero che procede di generazione in generazione, e che è divenuto parte della vita del vostro popolo grazie all'azione dei missionari che la grazia di Dio rese fertile. Questo disegno universale di Dio che si realizza in ogni comunità del mondo crea un legame di unità fra tutte le comunità, dando loro un'unità essenziale - l'unità del vivere la vita di Cristo. Ogni Chiesa individuale, se rimane ancorata a questa unità, può tradurre il tesoro della fede nella vita concreta di ogni giorno, dove ha le sue aspirazioni, le sue ricchezze, i suoi limiti ed i suoi modi di pregare, amare e guardare alla vita e al mondo (cfr. Pauli VI EN 63). Nello sforzo di assimilare sempre più la verità, la Chiesa locale è continuamente sfidata a conservare inalterato il contenuto della fede apostolica che il Signore affido agli Apostoli. Questo compito è, soprattutto, la responsabilità dei Vescovi che deve essere esercitata in unione con il Successore di Pietro e tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica.


4. In ogni momento della vita della Chiesa, lo Spirito Santo è presente perché è stato mandato da Dio per dimorare nella Chiesa e per tenerla viva. In poche parole, lo Spirito Santo perpetua la vita di Cristo nella Chiesa. La dignità della vita cristiana e il valore del comportamento cristiano sono collegati alla realtà di Cristo vivente per sempre nella Chiesa. Ed è nel contesto di questa realtà che noi siamo mandati ad esercitare il ministero episcopale.

I mezzi a nostra disposizione - gli unici commensurabili con il fine sovrannaturale dell'attività della Chiesa - sono gli strumenti della fede. Nelle parole di San Paolo, essi sono "l'armatura di Dio" e "la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio" (Ep 6,13 Ep 6,17). Come Vescovi siamo chiamati ad offrire al nostro popolo la parola di Dio, ad esporre loro l'intero mistero di Cristo (cfr. CD 12) secondo l'esempio degli Apostoli che non esitarono ad annunciare "tutta la volontà di Dio" (Ac 20,27).


5. Cari Confratelli, comprendere che il nostro ministero è dedicato completamente alla vita di Cristo nei suoi membri - che si perpetua tramite la proclamazione della parola, soprattutto nel rinnovamento sacramentale della morte di Cristo - ci da profonda gioia e fiducia. Cristo è con noi oggi e sempre, e dice a noi e a tutto il suo popolo: "Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre..." (Ap 1,17-18).


6. Si, beneamati fratelli, Cristo vive in Malaysia, a Singapore e in Brunei - in tutta l'Asia. Vivrà per sempre nelle vostre parrocchie, nelle vostre comunità, nelle vostre diocesi. E possiate voi trovare forza e speranza nel comprendere che tutto ciò che fate come Vescovi è finalizzato a perpetuare la vita di Gesù Cristo nella sua Chiesa.


7. Ed ora vi chiedo di portare i miei saluti ai vostri sacerdoti e ai vostri religiosi, e di parlare con loro dell'importante ruolo che svolgono nel Corpo vivente di Cristo. Vi chiedo di incoraggiare i seminaristi nella loro vocazione, e di fare tutto il possibile per promuovere le vocazioni al sacerdozio. Per favore, dite ai catechisti quanto la Chiesa dipenda dalla loro generosa cooperazione e dalla santità della loro vita. E che a tutte le famiglie cristiane sia costantemente ricordato quanto intimamente siano collegate con il mistero della vita di Cristo nella Chiesa.

E possa la Madre del Cristo vivente, la Stella dell'evangelizzazione, esservi sempre vicina per illuminarvi la via e per portare tutto il vostro popolo alla pienezza della vita in Gesù Cristo nostro Dio Salvatore.

[Traduzione dall'inglese]

Data: 1980-05-23 Data estesa: Venerdi 23 Maggio 1980.


Ai giovani del Collegio Vescovile S. Alessandro di Bergamo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Alte e autentiche esperienza di vita intellettuale e morale

Cari giovani del Collegio Vescovile S. Alessandro! Vi ringrazio sinceramente per questa visita, che mi offre l'occasione di vedervi qui raccolti e di rivolgervi la mia affettuosa parola esortatrice.

Ringrazio, in particolare, il vostro zelante Vescovo, Monsignor Giulio Oggioni, per le belle e significative parole, che, interpretando anche i vostri sentimenti, ha voluto rivolgermi. Il mio cordiale saluto si estende ai vostri genitori, a tutto il corpo docente e, soprattutto, al vostro Rettore, Don Achille Sana, per l'iniziativa di questo pellegrinaggio romano presso la Tomba di S. Pietro e presso la dimora del suo Successore, nella Cattedra romana.

La vostra presenza risveglia nel mio animo la stima che nutro per Bergamo, la bella città lombarda da cui voi provenite: mi richiama la sua storia antica e recente, le sue vetuste tradizioni cristiane, le sue istituzioni culturali - tra cui il vostro collegio, che vanta oltre un secolo di vita e di attività - il suo popolo forte, operoso e generoso; ma soprattutto richiama alla mia mente e al mio cuore la cara e paterna figura del vostro più grande conterraneo e mio venerato Predecessore, Papa Giovanni XXIII, il quale, segnando un solco profondo nella vita della Chiesa del nostro secolo ha riempito della sua memoria il mondo intero, illustrando e magnificando così la terra natale e il genio del suo popolo, oltre che il Pontificato Romano.

Cari giovani, quali eredi diretti di una così ricca tradizione religiosa, siate consapevoli e meritevoli di appartenere al Collegio Vescovile Sant'Alessandro, da cui sono usciti uomini illustri, che hanno segnato tanta parte della vostra cultura. Sappiate apprezzare la fortuna che vi è concessa di appartenere ad esso e considerate quale occasione esso vi offre per essere iniziati alle alte ed autentiche esperienze della vita intellettuale e morale.

Abbiate i vostri occhi aperti e i vostri cuori pronti a corrispondere alle istanze ed alle attese dei vostri superiori, delle vostre famiglie e della moderna società con un impegno scolastico e disciplinare serio, sereno e costruttivo.

Vorrei tanto conoscere ciascuno di voi, sapere quali siano i vostri studi, quale il clima culturale della vostra scuola e quale l'atmosfera spirituale della vostra comunità collegiale. Amo pensarla - e auspico che tale possa essere - una reciproca comprensione di animi, fatta di feconda collaborazione tra superiori ed alunni, tra docenti e discenti; in buona forma per intensità di studi e di propositi, per consapevolezza di ciò che siete e di quello che volete diventare.

Ma soprattutto vi dico: siate giovani che sanno cercare il Cristo, conoscerlo ed amarlo. Abbiate fede in Lui: siate "fortes in fide", come esortava l'apostolo Pietro nella sua prima lettera (1P 5,9). Una fede forte vuole da voi la Chiesa, e tale la esige l'impegno della vostra volontà. Abbiate il coraggio di esercitarla, respirarla e professarla non solo interiormente per sperimentarne la luce e la dolcezza, ma anche esternamente per esprimerla nella parola, nel canto e nella condotta quotidiana.

San Pietro dal suo vicino sepolcro vi raccomanda e vi ripete oggi, qui a Roma, nel centro della Cristianità, la sublime e salutare lezione del come credere, del come superare debolezze e ostacoli, e del come essere veramente cristiani.

In questo modo, voi giovani, saprete santificare anche il vostro studio e farne la vostra passione e troverete la forza per superare le pigrizie e le ipocrisie convenzionali, avrete la capacità e il gusto di elevarvi alla comprensione degli altri ed ai problemi del nostro tempo in un atteggiamento di amicizia, di operosità e di servizio. Saprete vivere nel vostro Collegio con animo pieno di giocondità pura e buona, e molto bene potrete fare alla gioventù che vi circonda. Auguro che così possiate dare al vostro Istituto nuove benemerenze, offrire alla società un prezioso contributo di sanità morale, oltre che culturale, e professare a Cristo una testimonianza d'incomparabile valore, meritando di essere chiamati ed essere realmente veri figli della Chiesa, forti, fedeli e generosi.

Con questi pensieri e con questi voti invoco su ciascuno di voi la protezione della Madonna Ss.ma, Sede della Sapienza, e di Sant'Alessandro, vostro celeste Patrono, mentre di cuore vi imparto la propiziatrice Benedizione Apostolica.

Data: 1980-05-23 Data estesa: Venerdi 23 Maggio 1980.


Ai giovani del Seminario Romano Minore - Roma

Titolo: Mettete il vostro entusiasmo al servizio del popolo di Dio

Fratelli e figli carissimi, Come dirvi la mia grande gioia nel trovarmi oggi in mezzo a voi? E' una visita, questa, che vi dovevo da tempo. Certamente, di tutte quelle compiute in vari punti della Diocesi di Roma, essa è tra le più desiderate e significative.

Infatti, mi offre la possibilità di incontrare personalmente i componenti ed i responsabili della comunità, che coltiva, come in un vivaio, quei germogli destinati a diventare i ministri indispensabili alla vita cristiana di questa Chiesa locale, che è la diocesi del Papa. Perciò è con specialissimo calore che saluto tutti voi, Seminaristi interni ed esterni, ed Educatori del Seminario Minore Romano, ai quali è riservato il mio affetto paterno più genuino.

L'incontro odierno mi dà l'occasione di rivolgere, innanzitutto, una particolare parola di incoraggiamento agli adolescenti della comunità interna. A loro dico di procedere sempre spediti e lieti verso la meta del Presbiterato. Là c'è già chi vi attende con ansia: c'è il Signore, al quale vi conformate in maniera del tutto singolare; c'è il Vescovo, col quale siete chiamati a condividere le responsabilità pastorali; e c'è l'intera comunità cristiana, in favore della quale spendete la vostra vita per aiutarla a camminare nella crescita della fede e della testimonianza nel mondo.

Voglio, poi, dedicare un particolare pensiero ai numerosi ragazzi e adolescenti della Comunità Vocazionale diocesana, che costituisce un po' come la "riserva" della "squadra" più direttamente impegnata nella consacrazione a Cristo e alla Chiesa. A loro dico di mantenersi sempre generosamente disponibili ad assumere il loro ruolo in campo, pronti a mettere le proprie energie ed il proprio entusiasmo al servizio del Signore e del popolo di Dio, accogliendo docilmente il suo invito, quando vi dirà con chiarezza: "Seguimi!". Sappiate, comunque, che anche da voi il Papa si aspetta davvero molto.

Non posso, inoltre, tacere sull'effettivo problema delle vocazioni, i cui termini e la cui urgenza sono sotto gli occhi di tutti. La cura amorosa e intelligente delle vocazioni è una delle necessità prime di tutta la Chiesa e deve stare a cuore ai membri più vivi della comunità diocesana. Intendo, pertanto, stimolare ed incoraggiare i Sacerdoti e le Religiose, già impegnati in questo difficile e prezioso apostolato nelle Parrocchie e nelle Scuole cattoliche, ad intensificare i loro sforzi per una efficace catechesi vocazionale. Una speciale ed importante funzione della pastorale delle vocazioni spetta anche ai genitori ed alle famiglie, che sono spesso punto di partenza e favorevole ambiente di maturazione per una totale consacrazione al sacerdozio ministeriale.

A tutte queste categorie di persone assicuro la mia stima cordiale ed il mio ringraziamento più sentito. La loro diuturna attività, insieme con la necessaria grazia di Dio, è il segno più concreto ed il fondamento più sicuro della speranza e della fiducia che mai ci abbandona: quella cioè di vedere che il Signore non lascia mancare "operai nella sua messe" (Mt 9,38).

Il mio augurio più spontaneo, quindi, è che tutti insieme si prosegua con gioia e con abnegazione sulla strada intrapresa, ben sapendo che la posta in gioco merita ogni sforzo. Ed il Signore, al quale dobbiamo innalzare assidue preghiere, fecondi largamente i nostri propositi, che sono tutti orientati alla sua maggior gloria ed al bene della sua santa Chiesa.

Di questi auspici - che affido alla materna intercessione di Maria Santissima - è pegno la Benedizione Apostolica, che di cuore imparto a tutti voi qui presenti ed estendo ai vostri amici e collaboratori, come segno della mia benevolenza ed anche della mia serena fiducia.

Data: 1980-05-24 Data estesa: Sabato 24 Maggio 1980.


Omelia per la celebrazione di Pentecoste - Basilica di san Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'esigenza dell'apostolato dei laici per la comunità della Chiesa di Cristo

Venerati fratelli e carissimi figli! 1. Ecco di nuovo è venuto per noi, secondo l'ordine del calendario liturgico, "il giorno di Pentecoste"(Ac 2,1),... giorno di particolare solennità che si affianca, per dignità di celebrazione e ricchezza di spirituale contenuto, al giorno stesso della Pasqua. E' possibile stabilire un paragone tra la Pentecoste, di cui parlano gli Atti degli Apostoli, quella avvenuta cinquanta giorni dopo la risurrezione del Signore, e la Pentecoste d'oggi? Si, non solo possibile, ma sicuro, indubitato e corroborante è un tale collegamento nella vita e per la vita della Chiesa, a livello sia della sua storia bimillenaria, sia dell'attualità del tempo che noi stiamo vivendo, come uomini di questa generazione. Noi abbiamo il diritto, il dovere e la gioia di dire che la Pentecoste continua. Noi parliamo legittimamente di "perennità" della Pentecoste. Sappiamo infatti che, cinquanta giorni dopo la Pasqua, gli apostoli, riuniti in quello stesso cenacolo, che già era stato il luogo della prima eucaristia e, successivamente, del primo incontro con il risorto, scoprono in sé la forza dello Spirito Santo disceso sopra di loro, la forza di colui che il Signore aveva loro ripetutamente promesso a prezzo del suo patire mediante la croce, e forti di questa forza, cominciano ad agire, cioè a compiere il loro servizio. Nasce la Chiesa apostolica. Ma oggi ancora - ecco il collegamento - la basilica di san Pietro, qui in Roma, è come un prolungamento, è una continuazione del primitivo cenacolo gerosolimitano, come lo è ogni tempio e cappella, come lo è ogni luogo, nel quale si riuniscono i discepoli ed i confessori del Signore: e noi qui siamo riuniti per rinnovare il mistero di questo grande giorno.

Tale mistero si deve manifestare in modo particolare - come sapete - mediante il sacramento della cresima, che oggi, dopo la conveniente preparazione, stanno per ricevere i numerosi fanciulli e giovani cristiani della diocesi di Roma, che sono qui convenuti. A questi figlioli, proprio perché destinatari del "dono di Dio altissimo" e beneficiari dell'azione ineffabile del suo Spirito, si rivolge stamani il mio primo saluto, che vuol significare la predilezione e la fiducia, che nutro per essi. Il mio saluto si estende, poi, ai loro padrini e madrine, ai loro genitori e parenti ed a quanti partecipano, in unione di intenzioni e di sentimenti, a questa significativa e suggestiva celebrazione.


2. Dobbiamo ora riflettere che la Pentecoste si è iniziata proprio la sera stessa della Risurrezione, quando il Signore risorto - come ci ha riferito il Vangelo testé proclamato (Jn 20,19-20) - venne per la prima volta tra i suoi apostoli nel cenacolo e, dopo averli salutati con l'augurio di pace, alito su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi..." (Jn 20,22-23). Ecco, è questo il dono pasquale, perché siamo al primo giorno, come a dire all'elemento generatore di quella serie numerica di giorni, nella quale il giorno di Pentecoste è esattamente il cinquantesimo; perché siamo al punto di partenza, che è la realtà della risurrezione, per la quale, secondo un rapporto di casualità prima che di cronologia, Cristo ha dato lo Spirito Santo alla Chiesa come il dono divino e come la fonte incessante ed inesauribile della santificazione. In altre parole, dobbiamo considerare che, la sera stessa della sua risurrezione, con una puntualità impressionante, Cristo adempie la promessa fatta sia in privato che in pubblico, alla donna di Samaria ed alla folla dei Giudei, allorché parlava di un'acqua viva e salutare, ed invitava ad andare a lui per poterla attingere in abbondanza ed estinguere con essa per sempre la sete (cfr. Jn 4,10 Jn 4,13-14 Jn 7,37). "E questo diceva - commenta l'evangelista - in riferimento allo Spirito, che avrebbero ricevuto i credenti in lui; infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato" (Jn 7,39).

Così, non appena è avvenuta la glorificazione, quella medesima promessa dell'invio-arrivo ("quem mittet; cum venerit") dello Spirito paraclito, formalmente confermata "pridie quam pateretur" ai suoi apostoli (Jn 14,16 Jn 14,26 Jn 15,26 Jn 16,7-8 Jn 16,13), viene immediatamente soddisfatta.

"Ricevete lo Spirito Santo...", e questo dono di santità comincia subito ad agire: la santificazione prende avvio - secondo le parole stesse di Gesù - dalla remissione dei peccati. Prima c'è il battesimo, il sacramento della cancellazione totale delle colpe, quale che sia il loro numero e la loro gravità, poi c'è la penitenza, il sacramento della riconciliazione con Dio e con la Chiesa, ed ancora l'unzione degli infermi. Ma quest'opera di santificazione sempre raggiunge il suo culmine nell'eucaristia, il sacramento della pienezza di santità e di grazia: "Mens impletur gratia". E qual è, in questo mirabile flusso di vita soprannaturale, il posto che spetta alla confermazione? Bisogna dire che la stessa santificazione si esprime anche nel rafforzamento, appunto nella confermazione.

Anche in essa, infatti, c'è in sovrabbondante pienezza lo Spirito Santo e santificante, in essa c'è lo Spirito di Gesù per operare in una direzione peculiare e con una efficacia tutta propria: è la direzione dinamica, è l'efficacia dell'azione interiormente ispirata e diretta. Anche questo era stato previsto e predetto: "Ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto" (Lc 24,49); "Ma avrete forza dallo Spirito Santo, che scenderà su di voi" (Ac 1,8). La natura del sacramento della confermazione scaturisce da questo conferimento di forza che dallo Spirito di Dio viene comunicato a ciascun battezzato, per renderlo - secondo la nota terminologia catechistica - perfetto cristiano e soldato di Cristo, pronto a testimoniare con coraggio la sua risurrezione e la sua virtù redentrice: "E voi mi sarete testimoni" (Ac 1,8).


3. Se questo è il particolare significato della confermazione per il rinvigorimento in noi "dell'uomo interiore", nella triplice linea della fede, della speranza e della carità, è facile comprendere come essa, per diretta conseguenza, abbia un grande significato anche per la costruzione della comunità della Chiesa, come corpo di Cristo (cfr. "Lectio altera": 1Co 12). Anche a questo secondo significato occorre dare il dovuto risalto, perché consente di cogliere, oltre alla dimensione personale, la dimensione comunitaria e, propriamente, ecclesiale nell'azione fortificante dello Spirito. Abbiamo ascoltato Paolo che ci parlava di questa azione e della distribuzione, da parte dello Spirito, dei suoi carismi "per l'utilità comune". Non è forse vero che in questa elevata prospettiva va inquadrata la vasta ed oggi tanto attuale tematica dell'apostolato e, in special modo, dell'apostolato dei laici? Se "a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per la utilità comune", come potrebbe un cristiano sentirsi estraneo o indifferente o esonerato nell'opera di edificazione della Chiesa? L'esigenza dell'apostolato laicale deriva da qui e si definisce come doverosa risposta ai doni ricevuti. Al riguardo, penso che sarà bene riprendere in mano - mi limito ad un semplice accenno - quel testo conciliare che, sui fondamenti biblico-teologici del nostro inserimento per mezzo del battesimo nel corpo mistico di Cristo e della forza ricevuta dallo Spirito per mezzo della cresima, presenta il ministero che spetta a ciascun membro della Chiesa come un "nobile impegno di lavorare". "Per l'esercizio di tale apostolato - si aggiunge - lo Spirito Santo elargisce ai fedeli anche dei doni particolari", sicché ne discende correlativamente l'obbligo di operare e di cooperare all'"edificazione di tutto il corpo nella carità" (cfr. AA 1 AA 3 - proem. et 3).


4. La confermazione - come tutti sappiamo e come è stato spiegato a voi, cari giovani e ragazzi, a cui vien conferita quest'oggi - si riceve una volta sola nella vita. Tuttavia, essa deve lasciare una traccia durevole: proprio perché segna indelebilmente l'anima, essa non potrà mai ridursi ad un lontano ricordo o ad un'evanescente pratica religiosa presto esaurita. Bisogna, pertanto, domandarsi come l'incontro sacramentale e vitale con lo Spirito Santo, che abbiamo ricevuto dalle mani degli apostoli mediante la cresima, possa e debba perdurare e radicarsi più profondamente nella vita di ognuno di noi. Ce lo dimostra splendidamente la sequenza di Pentecoste "Veni Sancte Spiritus": essa ci ricorda, anzitutto, che dobbiamo invocare con fede, con insistenza questo dono mirabile, e ci insegna anche come e quando dobbiamo invocarlo. Oh! Vieni, Santo Spirito, manda a noi un raggio della tua luce... Consolatore perfetto, donaci il tuo dolce sollievo, il riposo nella fatica e nel pianto il conforto. Donaci la tua forza, perché senza di essa nulla è in noi, nulla è senza colpa! 5. Come ho accennato all'inizio, la Pentecoste è giorno di gioia, ed a me piace esprimere, ancora una volta, un tal sentimento per il fatto che possiamo in questo modo rinnovare il mistero della Pentecoste nella Basilica di san Pietro. Ma lo Spirito di Dio non è circoscritto: esso spira dove vuole (Jn 3,8), penetra dappertutto, con sovrana ed universale libertà. E' per questo che dall'interno di questa Basilica, come umile successore di quel Pietro, che proprio il giorno della Pentecoste inauguro con coraggio intrepidamente apostolico il ministero della parola, io trovo ora la forza di gridare "urbi et orbi": "Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli, e accendi in essi il fuoco del tuo amore". così sia per tutta la Chiesa, per tutta l'umanità!

Data: 1980-05-25 Data estesa: Domenica 25 Maggio 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Ad abbadesse benedettine d'Italia - Città del Vaticano (Roma)