GPII 1980 Insegnamenti - Visita alla favela Vidigal - Rio de Janeiro (Brasile)

Visita alla favela Vidigal - Rio de Janeiro (Brasile)

Titolo: La Chiesa dei poveri con Cristo proclama le beatitudini

1. Quando Gesù sali al monte e incomincio a proclamare alle folle che lo circondavano il suo insegnamento, che siamo soliti chiamare il "discorso della montagna", sgorgarono dalle sue labbra innanzitutto le beatitudini. Esse son otto e la prima dichiara: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli" (Mt 5,3) E' una sola la montagna nella Galilea sulla quale Gesù pronuncio le beatitudini, pero sono molti i luoghi di tutta la terra dove queste stesse affermazioni sono annunciate e ascoltate. E sono pure molti i cuori che non cessano di riflettere sul significato di quelle parole pronunciate una volta per tutte. Non cessano di meditarle e il loro unico desiderio è di metterle in pratica con tutta l'anima. Essi cercano di vivere la verità delle otto beatitudini.

Certamente ci sono anche in terra brasiliana molti luoghi così. E anche qui sono esistiti e esistono molti di questi cuori.

Quando ho pensato in quale modo io avrei dovuto presentarmi agli abitanti di questo paese che sto visitando per la prima volta ho sentito il dovere di presentarmi prima di tutto con l'insegnamento delle otto beatitudini. così mi nacque il desiderio di parlarvi di queste cose, abitanti di questa favela del Vidigal. Attraverso voi io vorrei parlare anche a tutti coloro che nel Brasile vivono in condizioni simili alle vostre. Beati i poveri in spirito.


2. Tra voi sono molti i poveri. E la Chiesa in terra brasiliana vuole essere la Chiesa dei poveri. Essa desidera che in questo grande paese si realizzi questa prima beatitudine del discorso della montagna.

I poveri in spirito sono coloro che sono più aperti a Dio e alle "grandi opere di Dio" (Ac 2,11). Poveri perché pronti ad accettare sempre quel dono dall'alto che proviene dallo stesso Dio. Poveri in spirito sono coloro che vivono nella coscienza di avere ricevuto tutto dalle mani di Dio come un dono gratuito e che danno valore a ogni bene ricevuto. Costantemente riconoscenti, ripetono senza posa: "Tutto è grazia". "Rendiamo grazie al Signore nostro Dio". Di loro, Gesù disse a un tempo che sono "puri di cuore", "mansueti"; sono essi coloro che "hanno fame e sete della giustizia", essi che sono continuamente "afflitti"; essi che sono "operatori di pace" e "perseguitati per causa della giustizia". Sono essi, infine, i "misericordiosi" (cfr. Mt 5,3-10) Infatti i poveri, i poveri in spirito, sono i più misericordiosi. I cuori aperti a Dio sono per ciò stesso anche i più aperti agli uomini. Sono pronti ad aiutare e a prestarsi. Pronti a dividere ciò che hanno. Pronti ad accogliere in casa una vedova o un orfano abbandonati. Trovano sempre un luogo in più in mezzo alle ristrettezze in cui vivono. E in questo spirito sanno trovare un tozzo di pane e un po' di cibo sulla loro povera tavola.

Poveri ma generosi, poveri ma magnanimi. So che ci sono molti di questi, qui tra voi, ai quali sto parlando, ma anche in diversi altri luoghi del Brasile.


3. Le parole di Cristo sui poveri in spirito farebbero forse dimenticare le ingiustizie? Permettono forse che noi lasciamo senza soluzione i diversi problemi che sorgono nell'insieme di quello che si chiama il problema sociale? Questi problemi che sono permanenti nella storia dell'umanità assumono aspetti diversi nelle diverse epoche della storia e hanno una loro intensità a seconda della dimensione di ogni società in particolare assumendo nello stesso tempo la proporzione di interi continenti e infine di tutto il mondo. E' quindi naturale che questi problemi assumano anche una dimensione propria di questo paese, cioè una dimensione brasiliana.

Le parole di Cristo che proclamano beati i "poveri in spirito" non mirano a sopprimere tutti questi problemi: al contrario esse li mettono in evidenza focalizzandoli in questo punto più essenziale che è l'uomo, che è il cuore dell'uomo, che è ogni uomo senza eccezione. L'uomo davanti a Dio e, allo stesso tempo, l'uomo davanti agli altri uomini.

Poveri in spirito non significa esattamente "l'uomo aperto agli altri" cioè a Dio e al prossimo? Non è forse vero che questa espressione dice a coloro che non sono "poveri in spirito", che essi sono fuori del regno di Dio, che essi non sono e non saranno partecipi di questo regno? Pensando a questi uomini che sono "ricchi", chiusi a Dio e agli uomini... non dirà Cristo in un altro passo: "Guai a voi"? Ma guai a voi, ricchi, "perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti" (Lc 6,24-26).

"Guai a voi", questa parola suona severa e minacciosa specialmente sulla bocca di Cristo che era solito parlare con bontà e mitezza e ripeteva continuamente: "Beati". E ciò nonostante, egli dirà anche "guai a voi".


4. La Chiesa in tutto il mondo vuole essere la Chiesa dei poveri. La Chiesa anche in terra brasiliana vuole essere la Chiesa dei poveri, cioè vuole estrarre tutta la verità contenuta nelle beatitudini di Cristo e soprattutto in questa prima: "Beati i poveri in spirito...". Vuole insegnare questa verità e vuole metterla in pratica così come Gesù venne a fare e ad insegnare.

La Chiesa desidera, quindi, trarre dall'insegnamento delle otto beatitudini tutto quello che in esse si riferisce a ogni uomo: a quello che è povero, che vive nella miseria, a quello che vive nell'abbondanza e nel benessere e, infine, a quello che possiede in eccesso e che ha d'avanzo. La stessa verità della prima beatitudine si riferisce a ogni uomo, ma in un modo diverso. Ai poveri, a coloro che vivono nella miseria essa dice che sono particolarmente vicini a Dio e al suo regno. Ma, allo stesso tempo, dice che non è loro permesso - come non è permesso a nessuno - ridurre alla miseria se stessi e le proprie famiglie: è necessario fare tutto ciò che è lecito per assicurare a se stessi e ai propri familiari tutto ciò che è necessario alla vita e al sostentamento. Nella povertà è necessario conservare soprattutto la dignità umana e anche quella magnanimità, quell'apertura di cuore con gli altri, quella disponibilità, per la quale si distinguono precisamente i poveri, i poveri in spirito.

A coloro che vivono nell'abbondanza o almeno in relativo benessere, per cui hanno il necessario (anche se forse il superfluo scarseggia!), la Chiesa che vuole essere la Chiesa dei poveri, dice: Usufruite dei frutti del vostro lavoro e di una lecita industriosità, ma, in nome delle parole di Cristo, in nome della fraternità umana e della solidarietà sociale, non chiudetevi in voi stessi.

Pensate ai più poveri! Pensate a coloro che non hanno il sufficiente, che vivono nella miseria cronica, che soffrono la fame! E fatene parte con loro! Fatene parte in un modo programmatico e sistematico. L'abbondanza materiale non vi privi dei frutti spirituali del discorso della montagna, non vi separi dalle beatitudini dei poveri in spirito.

E la Chiesa dei poveri dice lo stesso, con maggior forza a coloro che hanno in eccedenza, che vivono nell'abbondanza, che vivono nel lusso. Essa dice loro: Guardatevi un po' d'attorno! Non vi duole il cuore? Non sentite rimorso di coscienza a causa della vostra ricchezza ed abbondanza? Altrimenti, se volete solamente "avere", sempre più, se il vostro idolo sono il lucro e il piacere, ricordatevi che il valore dell'uomo non è misurato secondo quello che egli "ha", ma secondo quello che egli "è". Quindi, colui che ha accumulato molto e pensa che tutto si riassuma in questo, si ricordi che può valere (nel suo intimo e agli occhi di Dio) molto meno di uno qualunque di quei poveri e sconosciuti, che forse può "essere molto meno uomo" di lui.

La misura delle ricchezze, del denaro e del lusso non è equivalente alla misura della vera dignità dell'uomo.

Dunque, coloro che hanno in sovrabbondanza evitino di chiudersi in se stessi, evitino l'attaccamento alla propria ricchezza, evitino la cecità spirituale. Evitino tutto questo con tutte le forze. Non cessi di accompagnarli tutta la verità del Vangelo e soprattutto la verità contenuta in queste parole: "Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli...". (Mt 5,3).

Che questa verità li inquieti.

Sia per loro un ammonimento continuo e una sfida.

Non permetta loro neanche per un minuto di rendersi ciechi per l'egoismo e per il conseguimento dei propri desideri.

Se hai molto, se possiedi tanto, ricordati che devi dare molto, che c'è molto da dare. E devi pensare come dare, come organizzare la vita socio-economica e ciascuno dei suoi settori perché questa vita tenda all'uguaglianza tra gli uomini e non a un abisso tra loro.

Se hai molte cognizioni e sei collocato in alto nella gerarchia sociale non ti devi dimenticare, neanche per un istante, che, quanto più uno sta in alto, tanto più deve servire! Servire agli altri. Altrimenti ti troverai nel pericolo di allontanare te stesso e la tua vita dal campo delle beatitudini e in particolare dalla prima di esse: "Beati i poveri in spirito". Sono "poveri in spirito" anche i "ricchi" che, nella misura della loro ricchezza, non cessano di "dare se stessi", e di "servire gli altri".


5. così, quindi, la Chiesa dei poveri parla prima di tutto e soprattutto all'uomo.

A ogni uomo e per ciò stesso a tutti gli uomini. E' la Chiesa universale. La Chiesa del mistero dell'incarnazione. Non è la Chiesa di una classe o di un'unica casta. E parla in nome della stessa verità. Questa verità è realista.

Consideriamo bene ogni realtà umana, ogni ingiustizia, ogni tensione, ogni lotta. La Chiesa dei poveri non vuole servire a ciò che causa tensioni e fa esplodere la lotta tra gli uomini. L'unica lotta, l'unica battaglia a cui la Chiesa vuole servire è la nobile lotta per la verità e per la giustizia e la battaglia per il vero bene, la battaglia nella quale la Chiesa è solidale con ogni uomo. In questa strada la Chiesa lotta con "la spada della parola", non risparmiando incoraggiamenti ma anche ammonimenti alle volte molto severi (così come Cristo fece). Molte volte perfino minacciando e mostrando le conseguenze della falsità e del male. In questa sua lotta evangelica, la Chiesa dei poveri non vuole servire a fini immediati politici, alle lotte per il potere, e allo stesso tempo con grande diligenza fa in modo che le sue parole e i suoi atti non siano usati per questo fine, che siano cioè "strumentalizzati".

La Chiesa dei poveri parla, quindi, all'"uomo": a ogni uomo e a tutti.

Al medesimo tempo parla alle società, alle società nella loro globalità e ai diversi strati sociali, ai gruppi e professioni diverse. Parla ugualmente ai sistemi e alle strutture sociali, socio-economiche e socio-politiche. Parla la lingua del Vangelo, spiegandolo anche alla luce del progresso della scienza umana, ma senza introdurre elementi estranei, eterodossi, contrari al suo spirito. Parla a tutti in nome di Cristo e parla anche in nome dell'uomo (specialmente a coloro ai quali il nome di Cristo non dice tutto, non esprime tutta la verità sull'uomo che questo nome contiene).

La Chiesa dei poveri parla, di conseguenza, così: Fate di tutto, voi particolarmente, che avete potere di decidere, voi dai quali dipende la situazione del mondo, fate di tutto perché la vita di ogni uomo, nel vostro paese, diventi "più umana", più degna dell'uomo! Fate di tutto perché scompaia, almeno gradualmente, quell'abisso che separa gli "eccessivamente ricchi", poco numerosi, dalle grandi folle dei poveri, di quelli che vivono nella miseria. Fate di tutto perché questo abisso non aumenti ma diminuisca, affinché si tenda all'uguaglianza sociale, perché la distribuzione ingiusta dei beni ceda il posto a una distribuzione più giusta...

Fatelo per la considerazione verso ogni uomo che è vostro prossimo e vostro concittadino. Fatelo in considerazione del bene comune di tutti. E fatelo anche per considerazione verso voi stessi. Ha motivo di esistere solo una società socialmente giusta che si sforzi di essere sempre più giusta. Solo una società così configurata ha davanti a sé il futuro. La società che non è socialmente giusta e non tende a rendersi tale, mette in pericolo il suo futuro. Pensate, quindi, al passato e guardate al giorno d'oggi e progettate il futuro migliore dell'intera vostra società! Tutto questo è contenuto in ciò che Cristo disse nel discorso della montagna. Nel contenuto di quest'unica frase: "Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli".

Cari fratelli e sorelle, con questo messaggio rinnovo i miei sentimenti di profondo affetto, e come pegno di abbondanti grazie di Dio lascio a voi e alle vostre famiglie la mia apostolica benedizione.

Cari fratelli e sorelle, visitando voi del Vidigal, ho desiderato visitare tutti coloro che abitano nelle favelas in qualunque parte di questo amato Brasile che sto percorrendo in un pellegrinaggio apostolico. Venuto qui, mi sono interessato, come padre e pastore, preoccupato per le condizioni di vita di figli molto cari. Ho fatto domande su tutti e su tutto in relazione a questa favela.

Mi hanno parlato di voi e mi hanno detto come in mezzo a privazioni, lotte e amarezze, esiste solidarietà e aiuto reciproco tra tutti, grazie a Dio. Mi hanno parlato anche del "mutirâo" (una forma spontanea e gratuita di collaborazione per la costruzione di una casa; nota del traduttore), grazie al quale è stata costruita la cappella che fra poco benediro. E' sempre bello e importante che tutte le persone si uniscano, si diano una mano e, congiungendo i loro sforzi, riescano a raggiungere insieme ciò che da sole non potrebbero.

Mi rallegro con quanti, direttamente o indirettamente, nell'area di questa favela sono riusciti a risolvere in modo giusto e pacifico problemi, la cui composizione contribuirà a rendere la vita di tutti più umana e a far diventare questa città meravigliosa sempre più una città di fratelli.

Sono venuto qui non per curiosità, ma perché vi voglio bene e vorrei dire con san Paolo: "Per l'affetto che sentiamo per voi desideriamo condividere con voi non solo il Vangelo, ma anche la stessa vita" (cfr. 1Th 2,8). Assieme a voi, con un "cuore purificato" da cattivi sentimenti, vorrei dire sempre no all'indifferenza, al disinteresse e a tutte le forme di egoismo, e si alla solidarietà, alla fraternità e all'amore, perché "Dio è amore" (1Jn 4,16).

Così saluto voi, le vostre famiglie, in modo speciale i giovani e i bambini, e voi tutti qui del Vidigal, dicendovi che vi penso e prego per voi, perché la divina provvidenza sia assecondata dalle provvidenze umane, perché voi possiate migliorare la vostra vita. Ed ora daro la mia benedizione a tutti.

Data: 1980-07-02Data estesa: Mercoledi 2Luglio 1980.


Allocuzione al consiglio episcopale latino-americano - Rio de Janeiro (Brasile)

Titolo: Realizziamo nella Chiesa le meraviglie dell'amore di Dio

Venerabili e amati fratelli nell'episcopato.

Nel contesto della mia visita pastorale in Brasile vengo con vera gioia a questo incontro con voi, Vescovi dell'America latina, che siete riuniti in questa bella e accogliente città di Rio de Janeiro, dove nacque il Celam.

Nascita del Celam: le sue tappe

1. Sono passati 25 anni da quella conferenza del 1955, durante la quale è maturata l'idea di chiedere alla santa Sede la creazione di un consiglio episcopale latino-americano, che raccogliesse e incanalasse i nuovi bisogni che si sentivano a così ampio livello.

Con grande visione del futuro e con gioiosa speranza davanti agli abbondanti frutti ecclesiali che si annunciavano, il mio predecessore Pio XII anticipava una favorevole risposta: "Nutriamo l'indubbia speranza che i benefici ora ricevuti saranno un giorno restituiti immensamente, moltiplicati. Verrà il giorno nel quale l'America latina potrà restituire a tutta la Chiesa di Cristo quello che ha ricevuto" (Pii XII "Ad Ecclesiam Christi": AAS 47 [1955] 539-544).

Oggi, io successore di Pietro e voi rappresentanti della Chiesa in America latina, che si avvicina ad essere la metà di tutta la Chiesa di Cristo, ci riuniamo per commemorare una data significativa e valutare i risultati con sguardo al futuro.

Davanti ai frutti copiosi raccolti in questi anni, nonostante le inevitabili deficienze e lacune; davanti a questa Chiesa latino-americana, vera Chiesa della speranza, il mio animo si apre alla gratitudine verso il Signore con le parole di san Paolo: "Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo" (1Th 1,2-4).

E' la gratitudine che sgorga pure dai vostri cuori di pastori, perché lo Spirito Santo, anima della Chiesa, ispiro nel momento giusto quella nuova forma di collaborazione episcopale che la nascita del Celam ha consolidato.


2. Organismo primo nel suo genere in tutta la Chiesa per la sua dimensione continentale, pioniere come espressione della collegialità quando le conferenze episcopali non si erano ancora consolidate, strumento di contatto, riflessione, collaborazione e servizio delle conferenze dei Vescovi del continente latino-americano, il Celam ha consegnato nei suoi annali una ricca e vasta azione pastorale. Per tutto questo, a ragione i pontefici miei predecessori l'hanno giudicato un organismo provvidenziale.


3. La vita del Celam è incorniciata, come si sa, da tre grandi momenti, corrispondenti alle conferenze generali celebrate dall'episcopato latino-americano.

La prima conferenza generale costituisce una realtà storica di particolare importanza, perché durante il suo svolgimento sorse l'idea di fondare il Celam. Questa prima tappa è legata in modo speciale alle persone dei Cardinale Jaime de Barros Camara, Arcivescovo insigne di questa arcidiocesi di San Sebastian di Rio de Janeiro, primo presidente del Celam, e di monsignor Manuel Larrain, Vescovo di Talca, pure presidente del consiglio. Il Signore li ricompensi, essi che si trovano nella casa del Padre, e ricompensi quanti resero possibile la creazione del consiglio episcopale latino-americano o l'hanno servito con encomiabile e generoso impegno.

La seconda conferenza generale, convocata dal Papa Paolo VI e celebrata a Medellin, riflette un momento di espansione e di crescita del Celam. Aveva come tema: "La Chiesa nell'odierna trasformazione dell'America latina alla luce del Concilio Vaticano II". Il consiglio, in stretta collaborazione con gli episcopati, ha contribuito all'applicazione della forza rinnovatrice del Concilio.

La terza conferenza generale, che ho avuto la fortuna di inaugurare a Puebla, è frutto dell'intensa collaborazione del Celam con le diverse conferenze episcopali. Ne parlero più avanti.


4. In tappe successive si è verificato un progressivo adattamento delle strutture del consiglio e sono state stabilite o potenziate nuove forme di partecipazione da parte dei Vescovi, per i quali è e lavora il Celam. Le conferenze episcopali in quanto tali sono state presenti, fin dall'inizio, tramite i loro delegati; e, a partire dal 1971, anche con i loro presidenti, membri di diritto. Molto hanno guadagnato le forme di coordinazione grazie alle riunioni regionali e con i nuovi servizi distribuiti nelle diverse aree pastorali. Numerosi pastori hanno preso parte alla sua gestione convinti che la loro grande missione supera, nella sollecitudine per tutte le Chiese, le frontiere delle loro Chiese particolari (cfr. CD 6).

Mi è gradito constatare che è stata mantenuta una frequente e cordiale collaborazione con la sede apostolica e con i diversi dicasteri, in modo particolare con la pontificia commissione per l'America latina, la quale, dal cuore della Chiesa - secondo la felice immagine usata da Paolo VI ("Sollecitudo omnium ecclesiarum") - segue con diligente interesse le attività del consiglio incoraggiando e sostenendo le sue iniziative in vista di una maggiore efficienza in tutti i settori dell'apostolato.

Uno spirito al servizio dell'unità Se tutto questo è stato possibile durante questi 25 anni, è perché il Celam è stato animato da un orientamento fondamentale di servizio, che ha caratteristiche ben definite: 1. Il Celam, uno spirito.

Il Celam, nel suo spirito collegiale, prende nutrimento dalla comunione con Dio e con i membri della Chiesa. Per questo ha voluto mantenersi fedele e disponibile alla parola di Dio, alle esigenze di comunione nella Chiesa, e ha procurato di servire le diverse comunità ecclesiali nel rispetto della loro situazione specifica e della fisionomia particolare di ciascuna di esse. Si è impegnata nel discernimento dei segni dei tempi, per dare risposte adeguate alle mutevoli sfide del momento. Questo spirito è la maggior ricchezza e il maggior patrimonio del Celam ed è insieme la garanzia del suo futuro.


2. Il Celam, servizio all'unità.

La Chiesa è un mistero di unità nello Spirito. E' l'anelito che emerge dalla preghiera di Gesù: "Che tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21). Perciò anche san Paolo esorta a "conservare" l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti..." (Ep 4,3-6).

Orbene, questa unità non consiste in qualcosa ricevuto passivamente o staticamente, ma deve essere costruito dinamicamente, per consolidarlo in questa ricca e misteriosa realtà ecclesiale, che è indispensabile premessa della sua fecondità pastorale. E' questo l'atteggiamento che caratterizza la primitiva comunità ecclesiale: "Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore" (Ac 2,46-47). "La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola" (Ac 4,32). E così "il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati" (Ac 2,48).

Perciò, quanto più gravi sono i problemi, tanto più profonda deve essere l'unità con il capo visibile della Chiesa e dei pastori tra loro. La sua unità è un segno prezioso per la comunità. Soltanto così si conseguiranno efficacemente i frutti dell'evangelizzazione. Questo è il motivo per cui con vera gioia osservai, nell'approvare le conclusioni di Puebla: "La Chiesa dell'America latina è stata rinvigorita nella sua unità, nella sua propria identità" (Ioannis Pauli PP. II "Epistula", die 23 martii 1979: "", II [1979] 700).


3. L'unità "nello Spirito", una unità di fede.

Essa trova infatti la sua origine nel mistero della Chiesa, costruita sulla volontà del Padre, mediante l'opera salvifica del Figlio, nello Spirito. E' una unione che poi discende ai membri della comunità ecclesiale, associati tra loro in maniera sublime dai vincoli di fede, sostenuti dalla speranza e vivificati dalla carità. A noi è affidata la grave responsabilità di tutelare efficacemente questa unità nella vera fede.

Il primo servizio del successore di Pietro è quello di proclamare la fede della Chiesa: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Il Papa, come successore di Pietro, deve confermare in essa i suoi fratelli (cfr. Lc 22,31). Da parte vostra, anche voi, pastori della Chiesa, dovete confermare nella fede le vostre comunità. Questa deve essere la vostra permanente preoccupazione, ben consapevoli che si tratta di una esigenza fondamentale della vostra missione, lasciandovi guidare dai criteri del Vangelo e senza altre motivazioni ad esso estranee. così potrete orientare con chiarezza i fedeli ed evitare pericolosi confusionismi.

Che la vostra unità continui a nutrirsi della carità che emana dall'eucarestia, radice e cardine della comunità cristiana (cfr. PO 6), segno e causa di unità. E' poi evidente che questa unione che deve esistere tra voi, i Vescovi della Chiesa, deve pure riflettersi nei diversi settori ecclesiali: presbiteri, religiosi, laici.


4. L'unità dei presbiteri con i Vescovi scaturisce dalla medesima fraternità sacramentale. Giustamente avete affermato nella conferenza di Puebla: "Il ministero gerarchico, segno sacramentale di Cristo pastore e capo della Chiesa, è il principale responsabile dell'edificazione della Chiesa nella comunione e del dinamismo della sua azione evangelizzatrice" ("Puebla", 659). E aggiungevate: "Il Vescovo è segno e costruttore dell'unità. Esercita evangelicamente la sua autorità a servizio dell'unità..., infonde fiducia nei suoi collaboratori, specie nei presbiteri per i quali dev'essere padre, fratello e amico ("Puebla", 688).

Con questo spirito si deve continuare a stimolare e a fortificare l'unità nel lavoro pastorale, nei diversi centri di comunione e partecipazione nella parrocchia, nella comunità educativa, nelle comunità minori.


5. L'unione con la gerarchia di coloro che hanno abbracciato la vita consacrata ha una grande importanza. Tanti aspetti positivi segnalati a Puebla, come "il desiderio di interiorizzazione e approfondimento del modo di vivere la fede" ("Puebla", 726) e l'insistenza affinché "la preghiera riesca a divenire atteggiamento di vita", ("Puebla", 727); lo sforzo di solidarietà, di condivisione con il povero, devono essere visti nella prospettiva di una piena comunione.

In questo modo la vita consacrata è "mezzo privilegiato per una evangelizzazione efficace" (Pauli VI EN 69). Perciò nel mio discorso inaugurale della III Conferenza generale segnalavo che ai Vescovi "non deve mancare la collaborazione, in pari tempo responsabile e attiva, ma anche docile e fidente dei religiosi" (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae", II,2, die ian. 1979: "Insegnamenti di Giovanni Paolo II", II [1979] 201).

Appartiene ai Vescovi l'orientamento dottrinale e il coordinamento dell'azione pastorale. Perciò tutti coloro che svolgono apostolato devono assecondare, generosamente e responsabilmente, le direttrici indicate dalla gerarchia. tanto in campo dottrinale quanto nelle attività ecclesiali. Questo si applica alla competenza dei vescovi nella loro Chiesa particolare e, secondo i principi di una sana ecclesiologia, alle conferenze episcopali o, nella dovuta misura, al servizio prestato dal Celam. D'altra parte è evidente che una attenta cura per il bene spirituale dei religiosi e delle religiose deve brillare nella pastorale diocesana o supradiocesana.


6. La comunione ecclesiale con i pastori non può nemmeno mancare in un campo tanto importante com'è il mondo dei laici. La Chiesa ha bisogno del formidabile contributo del laico, il cui raggio d'azione è molto ampio.

La conferenza di Puebla ha insistito sul fatto che il laico "ha la responsabilità di ordinare le realtà temporali per porle al servizio dell'instaurazione del regno di Dio" ("Puebla", 789) e che "i laici non possono esimersi da un serio impegno per la promozione della giustizia e del bene comune" ("Puebla", 793). Con speciale accento sull'attività politica (cfr. "Puebla", 791), il laico deve promuovere la difesa della dignità dell'uomo e dei suoi diritti inalienabili ("Puebla", 792).

In questa missione propria dei laici, si deve lasciare ad essi il posto che loro compete, soprattutto nella militanza e leadership dei partiti politici, o nell'esercizio di cariche pubbliche (cfr. "Puebla", 791). E' un criterio solido, che si ispira alla conferenza di Medellin (cfr. "Sacerdotes", 19) e al Sinodo dei Vescovi del 1971, quello che avete indicato: "I pastori..., dovendosi occupare dell'unità, si spoglieranno d'ogni ideologia politico-partitica... Avranno in tal modo la libertà per evangelizzare il politico sull'esempio di Cristo, partendo da un Vangelo scevro da partitismi e ideologizzazioni" ("Puebla", 526). Sono direttive, queste, di dense conseguenze pastorali.


7. La ricerca dell'unità ecclesiale ci conduce al cuore dell'ecumenismo: "E ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore" (Jn 10,16). Bisogna collocare in questa prospettiva il dialogo ecumenico, che in America latina riveste caratteristiche speciali. La preghiera, la fiducia, la fedeltà devono essere il clima dell'ecumenismo autentico. Il dialogo tra fratelli di confessioni diverse non cancella la nostra propria identità, ma la suppone. So bene che voi vi sforzate per creare un'atmosfera di maggiore avvicinamento e rispetto, ostacolata da alcuni che ricorrono a metodi di proselitismo non sempre corretti.


8. L'unità della Chiesa, al servizio dell'unità dei popoli.

La Chiesa si iscrive nella realtà dei popoli: nella loro cultura, nella loro storia, nel ritmo del loro sviluppo. Vive, profondamente solidale, i dolori dei suoi figli, condividendo le loro difficoltà e assumendo le loro legittime aspirazioni. In tali situazioni annuncia il messaggio di salvezza che non conosce frontiere né discriminazioni.

La Chiesa è cosciente di essere portatrice della parola efficace di Dio, parola che creo l'universo e che è capace di ricreare nel cuore dell'uomo e nella società, ai suoi diversi livelli, atteggiamenti e condizioni in cui si possa operare la civiltà dell'amore. Con questa finalità, il documento di Puebla fu presentato ufficialmente all'Onu e all'organizzazione degli Stati americani.

In virtù dell'annuncio del Vangelo, quando l'uomo è schiacciato nella sua eminente dignità, quando si mantiene o prolunga la sua prostrazione, la Chiesa denuncia. Fa parte del suo servizio profetico. Denuncia tutto ciò che si oppone al piano di Dio e impedisce la realizzazione dell'uomo. Denuncia in difesa dell'uomo ferito nei suoi diritti, affinché si risanino le sue ferite e si suscitino atteggiamenti di vera conversione.

Servendo la causa della giustizia, la Chiesa non intende provocare o approfondire divisioni, inasprire conflitti o potenziarli. Bensi, con la forza del Vangelo la Chiesa aiuta a vedere e a rispettare in ogni uomo un fratello, invita al dialogo le persone, i gruppi e i popoli, perché si salvaguardi la giustizia e si preservi l'unità. In certe circostanze giunge a fare anche da mediatrice. E' anche questo un servizio profetico.

Perciò, quando nell'esercizio della propria missione sente il dovere della denuncia, la Chiesa si conforma alle esigenze del Vangelo e dell'essere umano, senza servire interessi di sistemi economici o politici né ideologie del conflitto. Essa, al di sopra di gruppi o classi sociali, denuncia l'incitamento a qualsiasi forma di violenza, il terrorismo, la repressione, le lotte di classe, le guerre, con tutti i loro orrori.

Davanti al doloroso flagello della guerra e della corsa agli armamenti, che producono crescente sottosviluppo, alzi la Chiesa in America latina e in ciascuno dei popoli generati al Vangelo, il grido del venerato Papa Paolo VI: "Non più la guerra!". Di questo grido io stesso mi sono fatto eco davanti all'assemblea delle Nazioni Unite. Che non si aggiungano alle penose situazioni nuovi conflitti, che aggravano la condizione di prostrazione, soprattutto dei più poveri.

La Chiesa, come dimostra la storia con eloquenti esempi, è stata in America latina il più vigoroso fattore di unità e di incontro tra i popoli.

Continuate dunque, diletti pastori, a dare tutto il vostro contributo alla causa della giustizia, di una ben intesa integrazione latino-americana, come un servizio all'unità pieno di speranza. E in questo compito di far talora sentire la vostra voce critica, soprattutto in un servizio collegiale del bene comune, continuino sempre a dirigere i vostri gesti la rigorosa oggettività e il giusto momento, affinché nell'ossequio dovuto alle legittime istanze, la voce della Chiesa interpelli le coscienze, tuteli le persone e la loro libertà, reclami i dovuti interventi.

Il Celam e Puebla sull'orma di Medellin 1. In questa occasione nella quale guardiamo ai passati 25 anni del Celam, per proiettarli verso il futuro, vanno ricordate due conferenze ugualmente importanti e significative: Medellin e Puebla.

Ringraziamo Dio per quanto esse hanno dato alla Chiesa. La prima "ha voluto essere un impulso di rinnovamento pastorale, un nuovo "spirito" di fronte al futuro, in piena fedeltà ecclesiale nell'interpretazione dei segni dei tempi in America latina", (Ioannis Pauli PP. II "Homilia in Basilica B.M.V. a Guadalupe habita", die 27 ian. 1979: "", II [1979] 162-163). Perciò io stesso vi dicevo che doveva "prendere come punto di partenza le conclusioni di Medellin, con tutto quanto hanno di positivo, ma senza ignorare che a volte hanno avuto errate interpretazioni e che esigono sereno discernimento, opportuna critica e chiare prese di posizione" (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae", die 28 ian. 1979: "", II [1979] 189).

La seconda raccolse e assunse l'eredità della precedente, nel nuovo contesto ecclesiale. E' questo presente che ci occupa come pastori. Ma nel voler orientare il momento presente, siamo ben consapevoli che in esso rivive, fornendogli radici e ispirazione, il passato. In questo senso permettetemi che mi riferisca ancora in modo speciale ad alcuni aspetti riguardanti la conferenza di Puebla.

Lo considero tanto più importante in quanto so bene che nel Celam, nelle sue riunioni regionali e in non poche conferenze episcopali, i grandi orientamenti della III conferenza generale sono stati assunti nei loro propri piani pastorali.

La medesima cosa si osserva nelle relazioni quinquennali di molte diocesi.

Mi ha rallegrato molto la rapida diffusione e penetrazione nelle comunità dell'America latina, e fuori di essa, del documento di Puebla. Speravo che così avvenisse. Infatti la conferenza di Puebla, come ho detto in altre occasioni, in un certo modo è una risposta che oltrepassa le frontiere di questo amato continente.

Al documento di Puebla, che conobbi nei dettagli e approvai con gioia dopo la precisazione di alcuni concetti, sono ricorso frequentemente negli incontri avuti durante le vostre visite "ad limina". Ho voluto in questa maniera sottolineare i suoi densi orientamenti dottrinali e pastorali.


2. Insistetti, all'inizio della conferenza, sulla vostra nobile missione di maestri della verità.

Ci sarà nell'approccio pastorale con le nostre comunità, una forma di presenza che il popolo ami di più di questa di maestri? Potrebbe una autentica azione pastorale, o un genuino rinnovamento ecclesiale, fondarsi su fondamenti differenti da quelli della verità su Gesù Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo, quali noi li professiamo? La coerenza davanti a queste verità pone il sigillo pastorale alle direttive e opzioni che la conferenza ha formulato. A queste verità avete prestato grande attenzione, come si vede nei vari capitoli del documento.


3. Avete affrontato, infatti, seri problemi di cristologia ed ecclesiologia, che erano stati sollecitati dagli stessi episcopati e che causano preoccupazioni anche tra voi.

La fedeltà alla fede della Chiesa riguardo alla persona e alla missione di Gesù Cristo ha una importanza capitale, con enormi ripercussioni pastorali.

Continuate dunque ad esigere un impegno di coerenza nell'annuncio del "Redemptor Hominis". Che questa fedeltà risplenda nella predicazione, nelle sue diverse forme, nella catechesi, in tutta la vita del Popolo di Dio.


4. La Chiesa è per il credente oggetto di fede e di amore. Uno dei segni del reale impegno nei confronti della Chiesa è il rispettare sinceramente il suo magistero, fondamento della comunione. Non si può accettare la contrapposizione che a volte si fa tra una Chiesa "ufficiale", "istituzionale", e la Chiesa-comunione. Non sono, non possono essere realtà separate. Il vero credente sa che la Chiesa è Popolo di Dio in ragione della convocazione in Cristo e che tutta la vita della Chiesa è determinata dall'appartenenza al Signore. E' un "popolo" eletto, scelto da Dio.


5. Attenzione particolare merita il lavoro dei teologi. Questo ministero è un nobile servizio, che la stragrande maggioranza compie con fedeltà. Il suo lavoro implica un fermo atteggiamento di fede. Insieme con la libertà di investigazione, la comunicazione orale o scritta delle sue investigazioni e riflessioni deve farsi con ogni senso di responsabilità, in accordo con i diritti e i doveri che competono al magistero, posto da Dio per guidare nella fede tutto il popolo fedele.


6. La conferenza di Puebla ha voluto essere anche una grande opzione per l'uomo.

Non si può contrapporre servizio di Dio e servizio degli uomini, diritto di Dio e diritto degli uomini. Servendo il Signore, impegnando la nostra vita nel dire che "crediamo in un solo Dio", che "Gesù è il Signore" (1Co 12,3 Rm 10,9 Jn 20,28), facciamo un taglio netto con tutto quello che pretenda erigersi in assoluto, e distruggiamo gli idoli del denaro, del potere, del sesso, di quelli che si nascondono nelle ideologie, "religioni laiche" con ambizione totalitaria.

Il riconoscimento della signoria di Dio porta la scoperta della realtà dell'uomo. Riconoscendo il diritto di Dio, saremo capaci di riconoscere il diritto degli uomini. "Dell'uomo in tutta la sua verità, nella sua piena dimensione..., di ciascun uomo, perché ognuno è stato compreso nel mistero della redenzione, e con ognuno Cristo si è unito per sempre..." (Ioannis Pauli PP. II RH 13).


7. Data la realtà di tanto vasti settori colpiti dalla miseria e davanti alla frattura esistente tra ricchi e poveri - che segnalai all'inizio delle storiche giornate di Puebla - avete giustamente invitato alla opzione preferenziale per i poveri, non esclusiva né escludente (cfr. "Puebla", 114 5. 1165). I poveri sono, infatti, i prediletti di Dio (cfr. "Puebla", 1143). Nel volto dei poveri si riflette Cristo, il servo di Jahvé. "La loro evangelizzazione è per eccellenza segno e prova della missione di Gesù" (cfr. "Puebla", 1142). Giustamente avete indicato che "il miglior servizio al fratello è l'"evangelizzazione che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente" ("Puebla", 1145). E', quindi, un'opzione che esprime l'amore di predilezione della Chiesa, entro la sua universale missione evangelizzatrice e senza che alcun settore rimanga escluso dalle sue attenzioni.

Tra gli elementi di una pastorale che porta il contrassegno della predilezione per i poveri emergono: l'interesse per una predicazione solida e accessibile; per una catechesi che abbracci tutto il messaggio cristiano; per una liturgia che rispetti il senso del sacro ed eviti i rischi di strumentalizzazione politica; per una pastorale familiare che difenda il povero da campagne ingiuste che offendono la sua dignità, per l'educazione, facendo si che raggiunga i settori meno favoriti; per la religiosità popolare, nella quale si esprime la stessa anima dei popoli.

Un aspetto dell'evangelizzazione dei poveri consiste nel rinvigorire un'attiva preoccupazione sociale. La Chiesa ha sempre avuto questa sensibilità e oggi tale coscienza rinvigorisce: "La nostra condotta sociale è parte integrante della nostra sequela di Cristo" ("Puebla", 476). A questo proposito in ossequio alle direttive che vi diedi all'inizio della conferenza di Puebla, avete sottolineato, amati fratelli, la validità e necessità della dottrina sociale della Chiesa, il cui "oggetto primario... è la dignità personale dell'uomo, immagine di Dio, e la tutela di tutti i suoi diritti inalienabili" ("Puebla", 475).

Un aspetto concreto dell'evangelizzazione e che deve rivolgersi soprattutto a coloro che godono di mezzi economici - affinché collaborino con quelli più bisognosi - è la retta concezione della proprietà privata, sulla quale "grava un'ipoteca sociale" (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae", III,4, die 28 ian. 1979: "Insegnamenti di Giovanni Paolo II", II [1979] 204). Tanto a livello internazionale come all'interno di ciascun paese, quelli che possiedono i beni devono essere molto attenti ai bisogni dei loro fratelli. E' un problema di giustizia e di umanità.

Anche di visione del futuro, se si vuole preservare la pace delle nazioni.

Per questo esprimo la mia compiacenza per il messaggio inviato da Puebla ai popoli dell'America latina e ho insieme fiducia che il "servizio operativo dei diritti umani" del Celam si farà eco della voce della Chiesa dove lo reclamino situazioni di ingiustizia o di violazioni dei legittimi diritti uomo.


8. Tema importante nella conferenza di Puebla è stato quello della liberazione. Vi avevo esortato a considerare la specifica e originale presenza della Chiesa nella liberazione (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae", III,1, die 28 ian. 1979: "", II [1979] 202). Vi segnalavo come la Chiesa "non ha bisogno di ricorrere a sistemi ed ideologie per amare, difendere e collaborare alla liberazione dell'uomo" (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae", III,2, die 28 ian. 1979: "", II [1979] 203). Nella varietà delle esposizioni e delle correnti della liberazione è indispensabile distinguere tra quello che implica "una retta concezione cristiana della liberazione" (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae", III,6, die 28 ian. 1979: "Insegnamenti di Giovanni Paolo II", II [1979] 206), "nel suo significato integrale, profondo, come lo ha annunciato e realizzato Gesù" (Ioannis Pauli PP. II "Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae", III,6, die 28 ian. 1979: "Insegnamenti di Giovanni Paolo II", II [1979] 206), applicando lealmente i criteri che la Chiesa offre, e altre forme di liberazione lontane e perfino contrastanti con l'impegno cristiano.

Dedicaste opportune considerazioni ai segni per discernere quella che è una vera liberazione cristiana, con tutto il suo valore, urgenza e ricchezza, e quello che prende le strade delle ideologie. I contenuti e gli atteggiamenti (cfr. "Puebla", 489), i mezzi che utilizzano, aiutano in tale discernimento. La liberazione cristiana usa "mezzi evangelici, con la loro particolare efficacia, e non ricorre a nessuna forma di violenza né alla dialettica della lotta di classe..." ("Puebla", 486), o alla prassi o analisi marxista, per "il rischio d'ideologizzazione cui si espone la riflessione teologica, quando si realizza a partire da una prassi che ricorre all'analisi marxista. Le sue conseguenze sono la totale politicizzazione dell'esistenza cristiana, la dissoluzione del linguaggio della fede in quello delle scienze sociali e l'eliminazione della dimensione trascendente della salvezza cristiana" ("Puebla", 545).


9. Uno dei contributi pastorali più originali della Chiesa latino-americana, come fu presentato nel Sinodo dei Vescovi del 1974 e riassunto nella esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi", è stato quello delle comunità ecclesiali di base.

Possano queste comunità continuare a mostrare la loro vitalità e a dare i loro frutti (cfr. "Puebla", 97. 156), evitando insieme i rischi che possono incontrare e ai quali alludeva la conferenza di Puebla: "E' deplorevole che, in alcuni luoghi, interessi chiaramente politici pretendano di manipolarle e distaccarle dall'autentica comunione coi loro Vescovi" ("Puebla", 98). Davanti al fatto della radicalizzazione ideologica, che in alcuni casi si registra (cfr. "Puebla", 630), e per l'armonioso sviluppo di queste comunità, vi invito ad assumere l'impegno sottoscritto: "Come pastori vogliamo decisamente promuovere, orientare, accompagnare le comunità ecclesiali di base, secondo lo spirito di Medellin e i criteri dell'"Evangelii Nuntiandi" ("Puebla", 648).


10. La conferenza di Puebla ha voluto dare impulso a "un'opzione più decisa per la pastorale d'insieme" ("Puebla", 650), necessaria per l'efficacia dell'evangelizzazione e per la promozione dell'unità delle Chiese particolari (cfr. "Puebla", 703). In essa, quindi, si articolino i diversi aspetti della pastorale, con dinamica unità di criteri teologici e pastorali. Molto può fare a tal proposito il Celam.


11. In questa prospettiva di una adeguata pastorale d'insieme, permettetemi che insista con voi sulle priorità pastorali che indicai a Puebla e che avete accolto con così marcato interesse. Conservano tutta la loro vitalità e urgenza. Mi riferisco alla pastorale familiare, giovanile e vocazionale.

Far si che la famiglia, in America latina, stretta dal sacramento del matrimonio, sia vera Chiesa domestica, è un compito urgente. La civiltà dell'amore deve costruirsi sulla base insostituibile del focolare. Attendiamo dal prossimo Sinodo un forte stimolo per questa priorità.

La gioventù, lo constato spesso nei miei contatti ministeriali e nei miei viaggi apostolici, è disposta a rispondere. Non si è esaurita la sua generosa capacità di impegnarsi in nobili ideali, benché esigano sacrificio. Essa è la speranza del mondo, della Chiesa, dell'America latina. Sappiamo quindi trasmetterle, senza decurtazioni o falsi pudori, i grandi valori del Vangelo, dell'esempio di Cristo. Sono cause che il giovane percepisce come degne di essere vissute, come modi di rispondere a Dio e all'uomo fratello.

La pastorale vocazionale deve meritare una particolarissima attenzione, come ho ripetutamente detto ai Vescovi latino-americani durante la loro visita "ad limina". Le vocazioni al sacerdozio devono essere il segno della maturità delle comunità; e devono anche manifestarsi come conseguenza della fioritura dei ministeri affidati ai laici e di una opportuna pastorale scolare e familiare, che prepari ad ascoltare la voce di Dio.

Si ponga perciò ogni diligenza nella solida formazione spirituale, accademica e pastorale nei seminari. Solo a questa condizione potremo aver fondata garanzia per il futuro. Abbiamo bisogno di sacerdoti pienamente dedicati al ministero, entusiasti del loro impegno totale con il Signore nel celibato, convinti della grandezza del ministero di cui sono portatori.

E voglia Dio che possiate un giorno incrementare l'invio di missionari che siano d'aiuto nelle zone sprovviste, nelle vostre proprie nazioni e in altri continenti.

Conclusione Voglio ora terminare queste riflessioni facendo una pressante chiamata alla speranza. Certamente non è poco il cammino che manca da percorrere nella costruzione del regno di Dio in questo continente. Molti sono gli ostacoli che si interpongono.

Ma non v'è motivo di disperare. Come ci ha promesso, Cristo sarà con noi fino alla fine dei tempi, con la sua grazia, il suo aiuto, il suo potere infinito.

La Chiesa per la quale lottiamo e soffriamo, è la sua Chiesa, nella quale lo Spirito Santo continua a vivere e a spargere le meraviglie del suo amore. Nella fedeltà alle sue ispirazioni andiamo avanti con rinnovato entusiasmo nell'opera di evangelizzazione di tutti i popoli.

Estendo questo invito alla speranza, nella cordiale gratitudine per tanti sforzi consacrati alla Chiesa a tutti i Vescovi dell'America latina, a quanti lavorano nel Celam, ai sacerdoti, ai membri dei vari istituti di vita consacrata e del laicato, che in forme tanto diverse manifestano in modo meraviglioso, spesso nascosto, la magnifica varietà dell'amore al Signore e all'uomo.

Associo in questo sentimento di meritata gratitudine tutti quegli organismi di Europa e Nordamerica, che tanto validamente collaborano, con personale apostolico e con mezzi economici, nella vita di numerose Chiese particolari. Il Signore li ricompensi abbondantemente per questa loro sollecitudine pastorale.

Che la Vergine santissima, Nostra Signora di Guadalupe, ai cui piedi avete depositato con immensa fiducia il documento di Puebla, vi accompagni nel cammino, vi alleggerisca maternamente la fatica, vi sostenga nella speranza, vi guidi a Cristo, al Salvatore, al premio imperituro.

Con la benedizione e l'affetto del successore di Pietro, con dilatato amore alla Chiesa, portate a Cristo tutte le genti. così sia.

Data: 1980-07-02Data estesa: Mercoledi 2Luglio 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Visita alla favela Vidigal - Rio de Janeiro (Brasile)