GPII 1980 Insegnamenti - Visita al Corcovado - Rio de Janeiro

Visita al Corcovado - Rio de Janeiro

Titolo: Benedizione sulla città in nome del Redentore dell'uomo

Sia lodato Gesù Cristo! 1. CRISTO! Da quale altro posto, nel Brasile e fuori di esso, fare echeggiare questo nome - l'unico che ci può salvare (cfr. Ac 4,12) - e che ha particolare diritto di cittadinanza nella storia dell'uomo e dell'umanità (cfr. RH 10), meglio di questo immenso sperone fatto altare, tra meraviglie naturali, create da Lui, il Verbo di Dio (cfr. Jn 1,3), proprio nel cuore di Rio de Janeiro? Qui la statua, che esattamente cinquanta anni fa un popolo ha voluto innalzare sulla cima del piedistallo naturale, si fa allo stesso tempo simbolo, appello e invito.

REDENTORE! Le braccia aperte abbracciano la città ai suoi piedi! Fatta di luce e di colore e, allo stesso tempo, di ombre e di oscurità, la città è vita e gioia ma è anche un tessuto di afflizioni e sofferenze, di violenza e egoismo, di odio, di male e di peccato. Radiosa alla luce del sole, figura luminosa sospesa nell'aria di notte, il Redentore, in predicazione muta ma eloquente, qui continua a proclamare che "Dio è luce" (cfr. Jn 1,7), "è amore" (1Jn 4,8). Un amore più grande del peccato, della debolezza e della "caducità di ciò che fu creato" (cfr. Rm 8,20), più forte della morte (cfr. RH 9).


2. Si, dall'alto di questi monti non c'è chi non possa contemplare la sua immagine, in atteggiamento di accogliere e abbracciare, e immaginarlo come è, sempre disposto ad incontrarsi con l'uomo, desideroso anche che l'uomo gli venga incontro. Ora, questa è l'unica finalità che la Chiesa - e con essa il Papa in questo momento - ha davanti agli occhi e nel cuore: che ogni uomo possa incontrarsi con Cristo perché Cristo possa percorrere con ogni uomo le strade della vita (cfr. RH 13).

Simbolo di amore, appello alla riconciliazione e invito alla fraternità, qui Cristo Redentore proclama continuamente la forza della verità sull'uomo e sul mondo, della verità contenuta nel mistero dell'Incarnazione e Redenzione (cfr. ivi, RH 13). In questo momento, illuminati dallo sguardo di Cristo, gli occhi del Papa si rivolgono a ogni abitante di questa metropoli e la voce del Papa, semplice eco e risonanza della voce di Cristo, vorrebbe parlare, da cuore a cuore, con tutti e con ciascuno: vorrebbe, come una breve visita, arrivare a ogni focolare e anche vicino a coloro che non ce l'hanno; ai luoghi di incontro e ai luoghi di lavoro, dove c'è gioia ma anche dove c'è dolore, specialmente dove si soffre e si è in pena - ospedali, penitenziari, zone dei senza-tetto, dei senza-pane, dei senza-amore...


3. Con questa breve visita, il Papa con Cristo bramerebbe poter confortare, infondere speranza, animare tutti, senza lasciar fuori nessuno: bambini, giovani, padri e madri di famiglia, anziani, ammalati, detenuti, scoraggiati e angustiati.

Per tutti vorrebbe essere portatore di fiducia, di amore e di pace. E' questo il senso e l'intenzione della benedizione sulla città e su tutti i suoi abitanti, che daro subito dopo, in nome di Cristo Redentore, Redentore dell'uomo nel suo più pieno significato.

Prima, pero, per confermare un'amicizia, meglio, per affermare una fraternità - perché Dio ha cura paterna di tutti e vuole che tutti gli uomini facciano una sola famiglia umana - vi inviterei a recitare insieme la preghiera che Cristo Redentore ci ha insegnato.

Rivolgo questo invito a tutti, dovunque si trovino; nelle strade, in casa, sulle automobili, nei luoghi di lavoro o di incontro, negli ospedali, nelle carceri... Tutta la città invito a pregare con me: Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male. Amen. E che questo momento di incontro e di incanto duri nei nostri cuori e nella nostra memoria e si trasformi per tutti in fonte di pace e di grazia: ricchi e poveri, forti e deboli, e, in modo speciale, per i "più piccoli", che soffrono nel corpo o nello spirito.

Con il valido aiuto della Madre della nostra fiducia, Nostra Signora Aparecida.

[Traduzione dal portoghese]

Data: 1980-07-02Data estesa: Mercoledi 2Luglio 1980.


L'omelia durante l'ordinazione di nuovi sacerdoti - Rio de Janeiro (Brasile)

Titolo: Chiamati da Dio ad agire a suo nome

Venerabili fratelli e carissimi figli.

1. E' solenne quest'ora. Il Signore è qui presente in mezzo a noi. Per darci certezza di questo basterebbe la sua promessa: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). E' in suo nome che ci troviamo riuniti per l'ordinazione sacerdotale di questi giovani che si trovano qui davanti a questo altare. Su di essi, scelti dalla meravigliosa terra del Brasile con affetto di predilezione, Gesù farà scendere, di qui a poco, lo Spirito del Padre e suo. E lo Spirito Santo, marcandoli col suo sigillo per mezzo dell'imposizione delle mani del Vescovo, arricchendoli di grazie e di poteri speciali, realizzerà in loro una misteriosa e reale configurazione a Cristo, capo e pastore della Chiesa, e farà di loro i suoi ministri per sempre.

E bene, a questo punto del rito, fermarci e meditare. Il Vangelo che abbiamo ascoltato e la cerimonia liturgica che ha preceduto la sua lettura sono argomenti capaci di fissare la nostra mente in una contemplazione senza fine. E' naturale che, in questo momento di intensa gioia, io mi rivolgo in modo speciale a voi, carissimi ordinandi, che siete il motivo di questa celebrazione. E lo faccio con le parole dell'apostolo Paolo: "La nostra bocca vi ha parlato francamente..., e il nostro cuore si è tutto aperto per voi" (2Co 6,11). Il mio ardente desiderio è di aiutarvi a comprendere la grandezza e il significato del passo che state per fare. Questa ora solenne avrà senza dubbio un riflesso su tutte le altre ore che verranno in seguito nel corso della vostra esistenza.

Dovrete ritornare molte volte al ricordo di questa ora per prendere impulso per continuare, con rinnovato ardore e generosità, il servizio che oggi siete stati chiamati a esercitare nella Chiesa.


2. "Chi sono io? Che cosa si richiede da me? Qual è la mia identità?". E' questa la domanda ansiosa che più frequentemente si pone oggi al sacerdote, certamente non immune dai contraccolpi della crisi di trasformazione che oggi scuote il mondo. Voi, carissimi figli, non sentite certamente la necessità di porvi questi interrogativi. La luce che oggi vi invade vi dà una certezza quasi sensibile di ciò che siete, di ciò a cui siete stati chiamati. Ma può succedere che incontriate domani fratelli nel sacerdozio che, presi dall'incertezza, si interrogano sulla propria identità. può darsi che, spento un po' il primo fervore, arriviate anche voi, un giorno, a chiedervi queste cose. Per questo io vorrei proporvi alcune riflessioni sulla vera fisionomia del sacerdote, che servano di forte aiuto per la vostra fedeltà sacerdotale.

Non è certamente nelle scienze del comportamento umano, e neppure nelle statistiche socio-religiose che cercheremo la nostra risposta, ma solo in Cristo, nella fede. Interrogheremo umilmente il divino maestro e chiederemo a lui chi siamo noi, come egli vuole che siamo, qual è, davanti a lui, la nostra vera identità.


3. Una prima risposta ci è data immediatamente: siamo chiamati. La storia del nostro sacerdozio incomincia con una chiamata divina, come è successo per gli apostoli. Nella loro scelta è chiara l'intenzione di Gesù. E' lui che prende l'iniziativa. Egli stesso lo farà notare: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Jn 15,16). Le scene semplici e commoventi che ci presentano la chiamata di ciascun discepolo rivelano l'attuazione precisa di scelte determinate (cfr. Lc 6,13) sulle quali è utile meditare.

Chi sceglie Gesù? Non sembra che egli consideri la classe sociale dei suoi eletti (cfr. 1Co 1,27), né che faccia conto di entusiasmi superficiali (cfr. Mt 8,19-22). Una cosa è sicura: siamo chiamati da Cristo, da Dio. Questo vuol dire: siamo amati da Cristo, amati da Dio. Abbiamo noi riflettuto abbastanza su questo? In realtà la vocazione al sacerdozio è un segno di predilezione da parte di colui che, scegliendovi fra tanti fratelli, vi chiamo a partecipare, in un modo tutto speciale, alla sua amicizia: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma io vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Jn 15,15). La nostra chiamata al sacerdozio, segnando il momento più alto nell'uso della nostra libertà ha provocato la grande ed irrevocabile opzione della nostra vita e, quindi, la pagina più bella nella storia della nostra esperienza umana. La nostra felicità consiste nel non sottovalutarla mai! 4. Col rito della sacra ordinazione sarete introdotti, figli carissimi, in un nuovo genere di vita, che vi separa da tutto e vi unisce a Cristo con un vincolo originale, ineffabile, irreversibile. così la vostra identità si arrichisce di un'altra nota: siete consacrati.

Questa missione del sacerdozio non è un semplice titolo giuridico. Non consiste solo in un servizio ecclesiale prestato alla comunità, delegato da questa, e per ciò stesso revocabile dalla stessa comunità o rinunciabile per libera scelta del "funzionario". Si tratta, al contrario, di una reale ed intima trasformazione attraverso la quale è passato il vostro organismo soprannaturale per opera di un "sigillo" divino, il "carattere" che vi abilita ad agire "in persona Christi" (nelle veci di Cristo) e per questo vi qualifica in relazione a lui come strumenti vivi della sua azione.

Capite ora come il sacerdote diventi un "segregatus in Evangelium Dei" (prescelto per annunziare il Vangelo di Dio, cfr. Rm 1,1), non appartiene più al mondo, ma si trova d'ora in avanti in uno stato di esclusiva proprietà del Signore. Il carattere sacro lo tocca in tale profondità da orientare integralmente tutto il suo essere e il suo agire per una destinazione sacerdotale. così non resta più in lui niente di cui possa disporre come se non fosse sacerdote, o, meno ancora, come se fosse in contrasto con tale dignità. Anche quando compie delle azioni che, per loro natura, sono di ordine temporale, il sacerdote è sempre il ministro di Dio. In lui tutto, anche ciò che è profano, deve essere sacerdotale come in Gesù, che sempre fu sacerdote, sempre agi come sacerdote, in tutte le manifestazioni della sua vita.

Gesù ci identifica in tal maniera con lui nell'esercizio dei poteri che ci ha conferito, e la nostra personalità in certo senso sparisce davanti alla sua poiché è lui che agisce per nostro mezzo. "Col sacramento dell'ordine - ha detto qualcuno appropriatamente - il sacerdote diventa definitivamente idoneo a prestare a Gesù nostro Signore la voce, le mani e tutto il suo essere. E' Gesù che, nella santa messa, con le parole della consacrazione, cambia la sostanza del pane e del vino in quella del suo corpo e del suo sangue" (cfr. I. Escrivà de Balaguer, "Sacerdote per l'eternità", Milano 1975, p. 30). E possiamo continuare. E' Gesù stesso che, nel sacramento della penitenza, pronunzia la parola autorevole e paterna: "Ti sono perdonati i tuoi peccati" (Mt 9,2 Lc 5,20 Lc 7,48 cfr. Jn 20,23). E' lui che parla quando il sacerdote, esercitando il suo ministero in nome e nello spirito della Chiesa, annuncia la parola di Dio. E' ancora lo stesso Gesù Cristo che ha cura degli infermi, dei bambini e dei peccatori, quando li coinvolge l'amore e la sollecitudine pastorale dei sacri ministri.

Come potete vedere, qui ci troviamo dinanzi ai vertici del sacerdozio di Cristo, del quale noi siamo partecipi e che faceva esclamare all'autore della lettera agli Ebrei: "Su questo argomento abbiamo molte cose da dire, difficili da spiegare" (He 5,11).

L'espressione "il sacerdote è un altro Cristo", creata dall'intuizione del popolo cristiano, non è un semplice modo di dire, una metafora, ma una meravigliosa, sorprendente e consolante realtà.


5. Questo dono del sacerdozio, ricordatelo sempre, è un prodigio che fu realizzato in voi ma non per voi. Esso lo fu per la Chiesa, ciò che equivale a dire, per il mondo che deve essere salvato. La dimensione sacra del sacerdozio è totalmente ordinata alla dimensione apostolica, cioè alla missione, al ministero pastorale.

"Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" (Jn 20,21).

Il sacerdote è, quindi, un "inviato". Ecco un'altra connotazione essenziale dell'identità sacerdotale.

Il sacerdote è l'uomo della comunità, legato in forma totale e irrevocabile al suo servizio, come il Concilio ha chiaramente illustrato (cfr. PO 12). Sotto questo aspetto voi siete destinati al compimento di una duplice funzione, che da sola basterebbe per una smisurata meditazione sul sacerdozio. Rivestendovi della persona di Cristo voi eserciterete in una certa misura la sua funzione di mediatore. Sarete interpreti della parola di Dio, dispensatori dei misteri divini (cfr. 1Co 4,1 2Co 6,4) presso il popolo. E sarete, presso Dio, i rappresentanti del popolo in tutte le sue componenti: i bambini, i piccoli, gli ammalati, e perfino i lontani e gli avversari. Sarete i portatori delle sue offerte. Sarete la sua voce orante e supplicante, esultante e gemente. Sarete la sua espiazione (cfr. 2Co 5,21).

Per questo dobbiamo procurare di portare impressa nella memoria e nel cuore la parola dell'apostolo: "Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro" (2Co 5,20), per fare della nostra vita una intima, progressiva e ferma imitazione di Cristo redentore.


6. Cari figli, con questa rapida esposizione ho voluto illustrarvi i tratti fondamentali della figura del sacerdote.

Desidero ora trarre alcune conseguenze pratiche che vi aiuteranno nel compimento della vostra attività sacerdotale dentro e fuori della comunità ecclesiale.

Prima di tutto quella ecclesiale. Sapete che la dottrina del sacerdozio comune dei fedeli, così ampiamente svolta dal Concilio, ha offerto al laicato l'occasione provvidenziale di scoprire sempre di più la vocazione di ogni battezzato all'apostolato e il suo necessario impegno attivo e cosciente nel compito della Chiesa. Da ciò venne una vasta e consolante fioritura di iniziative e di attività che costituiscono un inestimabile contributo per l'annuncio del messaggio cristiano sia in terre di missione sia in paesi come il vostro, dove si sente più acutamente la necessità di supplire, con l'aiuto dei laici, la presenza del sacerdote.

Questo è certamente consolante e dobbiamo essere i primi a rallegrarci di questa collaborazione del laicato e incoraggiarla.

Niente di tutto questo pero, è bene dirlo subito, diminuisce in nessun modo l'importanza e la necessità del ministero sacerdotale né può giustificare un minore impegno per le vocazioni ecclesiastiche. Meno ancora può giustificare il tentativo di trasferire all'assemblea e alla comunità il potere che Cristo ha conferito esclusivamente ai sacri ministri. Dobbiamo, si, sollecitare in tutti i modi la collaborazione dei laici. Ma nell'economia della redenzione esistono funzioni e compiti - come l'offerta del sacrificio eucaristico, il perdono dei peccati, l'ufficio del magistero -, che Cristo ha legato essenzialmente al sacerdozio e nei quali nessuno, senza aver ricevuto l'ordine sacro, ci potrà sostituire. Senza il ministero sacerdotale la vitalità religiosa corre il rischio di vedersi tagliata fuori dalle sue fonti, la comunità cristiana di disgregarsi e la Chiesa di secolarizzarsi.

E' vero che la grazia di Dio può agire in ugual modo. specialmente dove esiste l'impossibilità di aver un ministro di Dio e dove non c'è colpa nel fatto di non averlo. E' necessario pero non dimenticare che il cammino normale e sicuro dei beni della redenzione passa attraverso i mezzi istituiti da Cristo e nelle forme stabilite da lui.

Da qui si comprende anche quanto debba stare a cuore a ciascuno di noi il problema delle vocazioni. Vi esortiamo a dedicare a questo campo le prime e le più intense preoccupazioni del vostro ministero. E' un problema della Chiesa (cfr. OT 2). E' un problema importante tra tutti. Da questo dipende la certezza del futuro religioso della vostra patria. Potranno forse scoraggiarvi le difficoltà reali per far arrivare al mondo giovanile l'invito della Chiesa. Ma abbiate fiducia! Anche la gioventù del nostro tempo sente fortemente l'attrattiva per le altezze, per le cose ardue, per i grandi ideali. Non illudetevi che la prospettiva di un sacerdozio meno austero nelle sue esigenze di sacrificio e di rinuncia - come, per esempio, nella disciplina del celibato ecclesiastico - possa aumentare il numero di coloro che intendono impegnarsi nella sequela di Cristo. Al contrario. E' piuttosto una mentalità di fede vigorosa e cosciente ciò che manca ed è necessario creare nelle nostre comunità. Là dove il sacrificio quotidiano mantiene vivo l'ideale evangelico ed innalza ad alto livello l'amore di Dio, le vocazioni continuano ad essere numerose. Lo conferma la situazione religiosa del mondo. I paesi dove la Chiesa è perseguitata sono, paradossalmente, quelli in cui le vocazioni fioriscono di più, alle volte perfino abbondano.


7. E' necessario inoltre che prendiate coscienza, amati sacerdoti, che il vostro ministero si svolge oggi in un ambiente di una società secolarizzata, la cui caratteristica è il declino progressivo del sacro e l'eliminazione sistematica dei valori religiosi. Siete chiamati a realizzare in essa la salvezza come segni e strumenti del mondo invisibile.

Prudenti ma fiduciosi, vivrete tra gli uomini per condividerne le angustie e le speranze, per confortarne gli sforzi per la libertà e la giustizia.

Pero non lasciatevi possedere dal mondo, né dal suo principe, il maligno (cfr. Jn 17,14-15). Non adattatevi alle opinioni e ai gusti di questo mondo, come esorta san Paolo: "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo" (Rm 12,1-2).

Inserite, piuttosto, la vostra personalità, con le sue aspirazioni, nella linea della volontà di Dio.

La forza del segno non sta nel conformismo, ma nella distinzione. La luce è diversa dalle tenebre per poter illuminare la strada di chi sta nell'oscurità. Il sale è diverso dal cibo per potergli dare sapore. Il fuoco è diverso dal ghiaccio per riscaldare le membra irrigidite dal freddo. Cristo ci chiama luce e sale della terra. In un mondo dissipato e confuso come il nostro, la forza del segno sta esattamente nell'essere differente. Esso deve distinguersi tanto più quanto più l'azione apostolica esige maggior inserimento nella massa umana.

A questo proposito chi non si accorge che l'aver assorbito una certa mentalità mondana, l'aver frequentato ambienti dissipati, come anche l'abbandono di un modo esterno di presentarsi, distintivo dei sacerdoti, possono diminuire la sensibilità del proprio valore di segno? Quando si perdono di vista questi orizzonti luminosi la figura del sacerdote si oscura, la sua identità entra in crisi, i suoi doveri peculiari non si giustificano più e si contraddicono, si infiacchisce la sua stessa ragion d'essere.

E neppure questa fondamentale ragion d'essere si recupera facendosi il sacerdote "un-uomo-per-gli-altri". Non lo deve forse già essere chi desidera seguire il divino maestro? "Uomo-per-gli-altri" il sacerdote lo è, certamente, ma in virtù della sua peculiare maniera di essere "uomo-per-Dio". Il servizio di Dio è il fondamento sul quale costruire il genuino servizio degli uomini, quello che consiste nel liberare le anime dalla schiavitù del peccato e nel ricondurre l'uomo al necessario servizio di Dio. Dio, infatti, vuole fare dell'umanità un popolo che lo adori "in spirito e verità" (Jn 4,23).

Resti dunque ben chiaro che il servizio sacerdotale, se vuole veramente rimanere fedele a se stesso, è un servizio eccellente ed essenzialmente spirituale. Che questo sia oggi accentuato! Contro le multiformi tendenze a secolarizzare il servizio del prete, riducendolo a una funzione meramente filantropica.

Il suo servizio non è quello del medico, dell'assistente sociale, del politico o del sindacalista. In certi casi, forse, il prete potrà prestare, benché in maniera suppletiva, questi servizi, e, nel passato, li presto in forma egregia.

Ma oggi essi sono realizzati adeguatamente da altri membri della società, mentre il nostro servizio si specifica sempre più chiaramente come un servizio spirituale. E' nell'area delle anime, delle loro relazioni con Dio e del loro rapporto interiore con i propri simili che il sacerdote ha una funzione essenziale da disimpegnare. E' qui che si deve realizzare la sua assistenza agli uomini del nostro tempo. Certo, sempre che le circostanze lo esigano, egli non potrà esimersi dal prestare anche un'assistenza materiale, mediante le opere di carità e la difesa della giustizia. Ma come ho detto, cioè, in ultima analisi, si tratterà di un servizio secondario che non deve mai far perdere di vista il servizio principale, che è quello di aiutare le anime a scoprire il Padre, ad aprirsi a lui e ad amarlo sopra tutte le cose.

Solo così il sacerdote non potrà mai sentirsi inutile, un fallito, anche quando fosse costretto a rinunciare a qualche attività esterna. Il santo sacrificio della messa, la preghiera, la penitenza, il meglio, anzi, del suo sacerdozio rimarrebbe sempre integro come lo fu per Gesù nei trent'anni della sua vita nascosta. Anche a Dio si darebbe così una gloria immensa. La Chiesa e il mondo non rimarrebbero privati di un autentico servizio spirituale.


8. Cari ordinandi, cari sacerdoti, a questo punto il mio discorso si trasforma in preghiera, in una preghiera che desidero affidare all'intercessione di Maria santissima, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli. Nella trepida attesa del sacerdozio voi vi siete collocati certamente vicino a lei, come gli apostoli nel cenacolo. Che alla vi ottenga le grazie di cui più avete bisogno per la vostra santificazione e per la prosperità religiosa del vostro paese. Che ella vi conceda soprattutto l'amore, il suo amore, quello che le diede la grazia di generare Cristo, per essere capaci di compiere la vostra missione di generare anche voi Cristo nelle anime. Che ella vi insegni ad essere puri, come lei lo fu, vi renda fedeli alla chiamata divina, vi faccia comprendere tutta la bellezza, la gioia e la forza di un ministero vissuto senza riserve nella dedizione e nell'immolazione per il servizio di Dio e delle anime. Chiediamo, infine, a Maria per voi e per tutti noi qui presenti, che ci aiuti a dire, a suo esempio, la grande parola: Si alla volontà di Dio, anche quando esigente, anche quando forse incomprensibile, anche quando dolorosa per noi. così sia.

Data: 1980-07-02Data estesa: Mercoledi 2Luglio 1980.


L'omelia alla messa in onore del beato de Anchieta - Sao Paulo (Brasile)

Titolo: Amore e spirito di sacrificio fanno avanzare il Vangelo

1. Sono veramente felice di essere oggi con voi, in questa cara città di Sao Paulo, la cui giunta municipale, con gesto delicato, ha voluto offrirmi il titolo di "cittadino paulista", per il fatto che come sommo pontefice ho recentemente decretato la beatificazione del padre José de Anchieta, della Compagnia di Gesù, considerato a ragione uno dei fondatori della vostra città.

Questa manifestazione di cordialità mi commuove e mi fa esprimere il mio vivo e sincero ringraziamento.

Ora desidero riflettere con voi sulla figura affascinante del beato Anchieta, così legato alla storia religiosa e civile di questo amato Brasile.

Il beato Anchieta arrivo qui, in questa parte della vostra grande nazione, il Brasile, nel 155 4. La città non esisteva ancora; c'erano appena alcuni agglomerati di aborigeni. Arrivo il 24 gennaio, vigilia della festa della conversione di san Paolo. Perciò la prima messa celebrata qui fu precisamente quella in onore dell'apostolo delle genti e a lui fu dedicato il villaggio che sarebbe sorto intorno alla piccola capanna - la "chiesina" - che doveva essere il suo cuore. Da qui il nome di questa vostra città, Sao Paulo, la più grande città del Brasile.

Nato nelle isole Canarie, educato in Portogallo, José de Anchieta proveniva da quelle nazioni che, in quell'epoca, tanto contribuirono alla scoperta del mondo: dalla Spagna e dal Portogallo partivano navigatori e pionieri, che, solcando i mari, arrivavano a terre fino allora sconosciute. Li seguivano conquistatori, coloni, commercianti, esploratori.

Il padre Anchieta sarà venuto come un soldato in cerca di gloria, un conquistatore in cerca di terre o un commerciante in cerca di buoni affari e denaro? No! Venne come missionario per annunciare Gesù Cristo e diffondere il Vangelo. Venne con l'unico scopo di condurre gli uomini a Cristo, trasmettendo loro la vita di figli di Dio, destinati alla vita eterna. Venne senza esigere niente per sé; anzi, disposto a dare la vita per essi.

Ebbene, anch'io vengo a voi per lo stesso motivo, mosso dallo stesso amore: vengo a voi come umile messaggero di Cristo.

Questa è sempre stata l'unica motivazione dei viaggi che mi hanno condotto nei vari continenti: viaggi apostolici di colui che, servo di Cristo, vuole confermare i fratelli nella fede.

Anche oggi questo è il motivo per il quale mi trovo in mezzo a voi. Esso mi unisce intimamente al vostro beato José de Anchieta.

Accoglietemi così come accoglieste Anchieta: il mio passaggio tra voi abbia qualche cosa di ciò che fu il passaggio ed è la permanenza del grande apostolo in mezzo alla vostra gente, nei vostri villaggi di allora, nel vostro grande paese. Sia il passaggio della grazia del Signore.


2. Giovane, pieno di vita, intelligente, allegro per natura, di grande cuore e amato da tutti, brillante negli studi all'università di Coimbra, José de Anchieta seppe guadagnare la simpatia dei compagni ai quali piaceva udirlo recitare. Per il timbro della sua voce lo chiamavano "canarino", ricordando così il canto degli uccelli della sua isola nativa, Tenerife, nelle Canarie.

Davanti a lui si aprivano tante strade verso il successo. Ma, giovane di fede, stava attento alle ispirazioni e alle mozioni di Dio che lo attirava per altre strade, lo chiamava e lo indirizzava per un sentiero ben diverso da quello che gli altri avevano forse immaginato per lui. In momenti di oscurità spirituale, il giovane cercava il silenzio, la solitudine, per pregare. Spesso, mettendo da parte i libri, passeggiava, solo, lungo la riva del fiume Mondego.

Durante una di queste passeggiate, José entro nella cattedrale di Coimbra e, davanti all'altare della Vergine Maria, trovo inaspettatamente la pace e la serenità tanto desiderate. Decise, allora, di dedicare la sua vita al servizio di Dio e degli uomini. E, per vivere questo ideale, fece là, in quella stessa ora, il voto di castità, consacrandosi alla Vergine: aveva allora 17 anni.

Da quel giorno intensifico la sua preghiera, prosegui i suoi studi con ardore. Benché giovane, dimostrava un grande senso di maturità di fronte al valore della vita. Il dono di sé fatto alla Madre di Dio comincio a concretizzarsi come una chiamata alla vita religiosa.

In quel tempo, all'università di Coimbra, si leggevano le lettere che Francesco Saverio - il grande missionario - scriveva dall'oriente. Esse contenevano anche insistenti appelli ai giovani studenti delle università europee.

Profondamente impressionato da ciò che il Saverio diceva a proposito delle carenze di tanti popoli e paesi, e desiderando seguire un esempio così eloquente di dedizione alla gloria di Dio e al bene degli uomini, Anchieta decise di entrare nella Compagnia di Gesù: voleva essere missionario! così, qualche anno dopo, venne in Brasile.

Adesso voglio rivolgermi a voi, giovani di Sao Paulo, giovani di tutto il Brasile, della grande nazione che può essere chiamata "giovane", perché la sua popolazione ha un così alto indice di giovani: guardate al vostro Anchieta! Era giovane, come voi, ma aperto a Dio e ai suoi appelli. Era pieno di vita come voi, ma nella preghiera cercava la risposta alla vita. In questo contatto col Dio vivo trovo la strada che conduce alla vita vera, a una vita di amore a Dio e agli uomini.

Il Signore, che visse sulla terra, passando di villaggio in villaggio, facendo il bene (cfr. Mt 9,35), passa anche oggi in cerca di cuori aperti al suo invito: "Vieni e seguimi!" (Mt 19,21, Lc 10,2).

Ricordatevi: José de Anchieta rispose con generosità e il Signore fece di lui l'"apostolo del Brasile" che in modo insigne contribui al bene del vostro popolo.


3. Una volta missionario, Anchieta visse lo spirito dell'apostolo delle genti, che nelle sue lettere parlava delle peripezie, delle difficoltà e dei pericoli affrontati, portando nel cuore il suo "assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese" (2Co 11,26-28).

In una lettera del 1giugno 1560, rivelando il suo grande desiderio di condurre al Signore i popoli di questo paese, il padre Anchieta scriveva testualmente: "perciò senza lasciarci intimidire dalle bonacce, dalle tempeste, dalle piogge, dalle correnti spumeggianti e impetuose dei fiumi, cerchiamo senza riposare di visitare tutti i villaggi e le abitazioni sia degli indios che dei portoghesi; e anche di notte accorriamo presso i malati, attraversando foreste tenebrose, a prezzo di grandi fatiche, sia per le asperità delle strade che per il cattivo tempo" (J.de Anchieta, "Carta ao P.Tiago Laynez, Preposito-General da Companhia de Jesus", 1° de junho de 1560). Descrivendo ancora più chiaramente le condizioni di quelli che, con lui e come lui, si dedicavano ai "brasis" - come usava chiamarli -, rivela ancora più profondamente la grandezza del suo amore e del suo spirito di sacrificio e, soprattutto, la finalità della sua esistenza: "Niente è difficile per quelli che alimentano nel cuore e hanno come fine unico la gloria di Dio e la salvezza delle anime, per le quali non esitano a dare la propria vita" (J.de Anchieta, "Carta ao P.Tiago Laynez, Preposito-General da Companhia de Jesus", 1° de junho de 1560).

Salvare le anime per la gloria di Dio: ecco l'obiettivo della sua vita.

Ciò spiega la prodigiosa attività di Anchieta, nel cercare nuove forme di attività apostolica, che lo portavano a farsi tutto a tutti per il Vangelo; a farsi servo di tutti per guadagnare il maggior numero possibile di uomini a Cristo (cfr. 1Co 9,19-22).

Non risparmio nessuno sforzo per comprendere i suoi "brasis" e condividerne la vita. Se imparo la loro difficile lingua - e così bene che per primo ne compose una grammatica - fu per l'amore che lo spingeva a incarnarsi tra loro, per parlare loro di Gesù e trasmettere la buona novella. così divenne un esimio catechista che - seguendo l'esempio di Cristo Signore, Dio fatto uomo per rivelare il Padre - agli uomini tra i quali viveva parlava di Dio in modo semplice, adattandosi alle loro categorie mentali e ai loro costumi.

Con questa stessa finalità, tenendo conto delle doti e delle qualità naturali degli indios, della loro sete di sapere, della loro generosità e ospitalità e del loro senso comunitario, promosse e sviluppo le "aldeias" (villaggi), centri in cui la vita di ciascuno si fondeva con quella degli altri, in maniera adeguata, nel lavoro, nella solidarietà, nella cooperazione. Cuore di ognuno di questi centri era sempre la casa di Dio, dove il sacrificio eucaristico veniva celebrato regolarmente e il Signore rimaneva presente nel santissimo sacramento. Si, perché un gruppo sociale che non sia animato dalla carità, che solo Dio sa infondere nei cuori (cfr. Rm 5,5), non può durare, né può offrire ciò che il cuore dell'uomo e tutta l'umanità cercano con grande desiderio.

A Puebla, parlando della liberazione dell'uomo, ho insistito che essa deve essere vista alla luce del Vangelo, cioè alla luce di Cristo, che diede la sua vita per redimere l'umanità, liberandola dal peccato. Più recentemente, parlando in Africa, dove è così vivo il senso comunitario, ho raccomandato ai popoli di quel continente che cercassero di sviluppare il loro senso sociale in modo autenticamente cristiano, senza lasciarsi influenzare da correnti estranee, materialiste da una parte, consumiste dall'altra. Lo ripeto anche a voi. Il padre Anchieta riusciva a comprendere la mentalità e i costumi della vostra gente. Con la sua azione sociale prudente, ispirata al Vangelo e in esso radicata, seppe stimolare una crescita e uno sviluppo capaci di integrare questa stessa mentalità e i costumi - in ciò che avevano di autenticamente umano e, pertanto, voluto da Dio - nella vita delle persone e della comunità civile e cristiana.

Apprezzando la sete di sapere dei "brasis", il loro spiccato talento per la musica, la loro abilità e altre doti, creo per loro centri di formazione culturale e artigianale che a poco a poco contribuirono a elevare il livello generale delle generazioni seguenti: Sao Paulo, Olinda, Bahia, Porto Seguro, Rio de Janeiro, Reritiba - dove mori e che oggi si chiama Anchieta - sono luoghi che, insieme con altri, ci parlano dell'instancabile attività apostolica del beato.

In tutto questo suo immenso sforzo, con l'aiuto di molti confratelli sconosciuti da molti ma ugualmente ammirabili, c'era una visione e uno spirito: la visione integrale dell'uomo riscattato dal sangue di Cristo; lo spirito del missionario che tutto fa perché gli esseri umani, ai quali si avvicina per aiutare e educare, raggiungano la pienezza della vita cristiana.

Permettete che ora mi rivolga in modo speciale a voi, Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, che avete donato la vostra vita per servire Dio nella Chiesa. La finalità della vostra azione pastorale, individualmente o collettivamente, non devii mai da quello che - come ho detto nella mia enciclica "Redemptor Hominis" - è il vero scopo per il quale il Figlio di Dio si fece uomo e opero in mezzo a noi. La sua missione di amore, di pace e di redenzione sia veramente la vostra. Ricordate che Cristo stesso ci indico in che cosa consiste la sua missione: "Veni ut vitam habeant et ut abundantius habeant": "Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza"(Jn 10,10).

Se volete essere continuatori della vita e della missione di Cristo, siate fedeli alla vostra vocazione. Padre Anchieta fece di tutto, perfino studio la fauna e la flora, la medicina, la musica, la letteratura, ma tutto egli indirizzava al vero bene dell'uomo, chiamato a essere e a vivere come figlio di Dio.


4. Da dove padre Anchieta attinse la forza per realizzare tante opere in una vita tutta consumata a beneficio degli altri, fino a morire estenuato quando era ancora in piena attività? Certamente non da una salute di ferro. Al contrario, ebbe sempre una salute precaria. Nei suoi viaggi apostolici, fatti a piedi e senza comodità, soffri sempre nel suo corpo le conseguenze di un incidente che ebbe da giovane.

Trovo forse la forza nei suoi talenti e doti umane? In parte si; ma questo non spiega tutto. Con questa sola affermazione non si arriva alla vera radice.

Il segreto di questo uomo era la sua fede: José de Anchieta era un uomo di Dio. Come san Paolo, poteva dire: "Scio cui credidi": "So in chi ho creduto... e sono convinto che egli è capace di conservare fino a quel giorno il deposito che mi è stato affidato" (2Tm 1,12).

Dal momento in cui, nella cattedrale di Coimbra, aveva parlato con Dio e con la Vergine Maria, Madre di Cristo e nostra, da quel momento fino all'ultimo respiro, la vita di José de Anchieta fu di una lineare chiarezza: servire il Signore, essere a disposizione della Chiesa, prodigarsi per quelli che erano o dovevano diventare figli del Padre che è nei cieli.

Certo non gli mancarono dolori e pene, delusioni e insuccessi, anche lui ebbe la sua parte del pane quotidiano di ogni apostolo di Cristo, di ogni sacerdote del Signore. Ma nella sua instancabile attività e nella continua sofferenza, non gli manco mai la tranquilla, serena e virile certezza fondata sul Signore Gesù, che trovava e al quale si univa nel mistero eucaristico, al quale si offriva costantemente per lasciarsi plasmare dal suo Spirito.

José de Anchieta aveva capito qual era la volontà di Dio a suo riguardo il giorno in cui si era umilmente inginocchiato davanti a una immagine di Nostra Signora: la Madre del Salvatore comincio a prendersi cura di lui ed egli comincio a nutrire un tenerissimo amore per lei. Insegno ai suoi "brasis" a conoscerla e ad amarla. Le dedico un poema che è un vero canto dell'anima, scritto in circostanze difficilissime quando, preso come ostaggio, correva continuo pericolo di morte.

Non avendo a disposizione né carta né inchiostro, scrisse con amore sulla sabbia della spiaggia il suo poema, che imparo a memoria: "De Beata Virgine Matre Dei Maria".

La profonda e ardente unione con Dio; l'attaccamento vivo e affettuoso a Cristo crocifisso e risorto, presente nell'eucaristia; il tenero amore a Maria: ecco la fonte da dove scaturisce la ricchezza della vita e dell'attività di Anchieta, autentico missionario, vero sacerdote.

Voglia Dio, per intercessione del beato José de Anchieta, darvi la grazia di vivere come egli insegno, come ci invita con l'esempio della sua vita.

Data: 1980-07-03 Data estesa: Giovedi 3 Luglio 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Visita al Corcovado - Rio de Janeiro