GPII 1980 Insegnamenti - L'incontro con i rappresentanti della diocesi di Belém, nella cattedrale


2. "Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano" (Lc 11,28); osservare la parola di Dio e sinonimo di vivere il comandamento dell'amore: amore a se stessi, illuminato e ordinato, fonte di serenità; amore ai fratelli nella fede e a tutti gli uomini, un amore operante - "ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fate a loro" (Lc 6,31) -, fonte di pace; amore a Dio, sopra tutte le cose, fonte di gioia.


3. Beati "i miti e umili di cuore" che coltivano in sé "gli stessi sentimenti che furono in Gesù Cristo" (cfr. Ph 2,5): coltivate la verità che è lui (cfr. Jn 14,6), poiché obbedendo alla verità santificherete le vostre anime per praticare un sincero amore fraterno: "onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate" l'autorità (cfr. 1P 2,17). Praticate la giustizia, quella giustizia del regno di Dio che ha sempre e in tutto la priorità (cfr. Mt 6,33); fare questo, spiega l'apostolo Giovanni, è restare in lui, in Cristo, e non peccare, poiché "chi pratica la giustizia è giusto com'egli è giusto" (1Jn 3,7). Si, è necessario vincere il male con il bene, porre i doni ricevuti al servizio gli uni degli altri, e rivestirsi continuamente di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine e di pazienza, ma "al di sopra di tutto vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione" (Col 3,14).


4. "Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio" (cfr. Rm 10,15), in particolare la buona novella per eccellenza, l'amore di Dio rivelato in Gesù Cristo: la gioia di avere un Salvatore e di essere da lui chiamati ad essere figli di Dio e fratelli gli uni degli altri...

Siate araldi di questa bella notizia a tutti. Annunciatela in tutti gli ambienti, proponendola all'adesione dei cuori degli uomini, in pieno rispetto della libertà delle coscienze, e così contribuirete alla trasformazione dell'umanità internamente ed esternamente, rinnovandola con la perenne novità di Gesù Cristo, Redentore dell'uomo.


5. E' in queste semplici parole, il mio messaggio per voi, fratelli e sorelle.

Pregate per il Papa che prega per voi. E perché il nostro incontro sia più intimo e ci lasci un ricordo duraturo, cominciamo già a pregare gli uni per gli altri: un momento di orazione silenziosa, con Maria santissima, Madre della nostra fiducia... affinché la nostra fede cresca forte e radiosa, secondo l'immagine evangelica del grano di senapa (cfr. Lc 13,19 Lc 17,6). Come la fede della Madonna: lei è stata tanto vicina a Dio che ha potuto accogliere il Verbo, venuto affinché tutti quelli che in lui credono diventino figli di Dio (cfr. Jn 1,12).

Implorando questa grazia per tutti, vi benedico.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

[Traduzione dal portoghese]

Data: 1980-07-08 Data estesa: Martedi 8 Luglio 1980.


L'incontro con gli abitanti di Fortaleza (Brasile)

Titolo: Gli sguardi di tutti i brasiliani sono rivolti alla vostra città

Signor Cardinale Aloisio Lorscheider, Arcivescovo di Fortaleza, miei cari fratelli nell'episcopato, diletti figli e figlie nel Signore.

1. A voi la grazia e la pace da parte di Dio nostro Padre e del Signore Gesù Cristo che vi ha qui radunati nell'amore del suo Spirito, per ravvivare e confermare la vostra fede e la vostra speranza in questo incontro col Papa, capo visibile della grande famiglia del Popolo di Dio, la Chiesa, a cui tutti apparteniamo.

Toccando il suolo di Fortaleza e dello Stato di Cearà, già benedetto, agli albori della sua evangelizzazione, dal martirio del padre gesuita Francesco Pinto e dall'opera del padre Luigi Figueira, il mio pensiero ripercorre, con profonda gratitudine al Signore, i quattro secoli del vostro cristianesimo. Si sofferma poi aperto ad una gioiosa fiducia, sulla realtà viva e palpitante di questa Chiesa e di questa città di Fortaleza, capitale dello Stato di Cearà e sede del segretariato regionale di nordest della conferenza nazionale dei Vescovi del Brasile.

Sono lietissimo di questo incontro con la vostra città. Ringraziando per le sue parole fraterne di benvenuto, rivolgo anzitutto il mio saluto cordiale al signor Cardinale Arcivescovo Aloisio Lorscheider, che rappresenta l'unità della Chiesa di Fortaleza, che ha il suo saldo fondamento in Cristo Gesù. Come pure ai signori Vescovi qui convenuti non solo dagli Stati confinanti, ma dall'intero Brasile, in occasione del decimo congresso eucaristico nazionale.

Il mio pensiero si dirige poi con deferenza e gratitudine alle autorità, per la considerazione e la premura con cui mi hanno accolto. Ad esse auspico un servizio fruttuoso per il bene di tutta la comunità cittadina e dello Stato di Cearà.

Saluto con particolare affetto i sacerdoti, i religiosi e le religiose di tante congregazioni, che condividono con dedizione e generosità l'opera di evangelizzazione, di assistenza e di promozione umana di questa Chiesa. Saluto i cari ammalati, i sofferenti, i poveri. Saluto i giovani e, con affetto tutto speciale, il centinaio di seminaristi del ricostituito seminario regionale. Essi rappresentano la lieta speranza di una comunità credente, pasquale, dinamica, impegnata nel servire i più poveri. Saluto ed accolgo in un grande abbraccio, tutti e ciascuno, quanti formano cioè la Chiesa pellegrina in questo lembo di terra brasiliana.


2. Ed ora il mio cuore si apre fraterno e amico come già quello di Gesù verso le folle, su questa immensa e festosa assemblea qui convenuta per recarmi il caloroso benvenuto di Fortaleza. Carissimi fratelli e sorelle, vi abbraccio con profonda amicizia e vi dico subito che, come mi è nota la gloria del vostro passato, impegnato a favore dell'indipendenza e dell'abolizione della schiavitù, così conosco le doti del vostro cuore: l'accogliente ospitalità; la semplicità d'animo: l'atteggiamento intrepido di fronte alle lotte per la sopravvivenza, esasperate dall'inclemenza della natura e dall'asprezza climatica, le quali, tuttavia, non sono riuscite a fiaccare, ma anzi hanno temprato la vostra pazienza, la vostra longanimità, il vostro proverbiale coraggio.

Coraggio, fratelli e sorelle, coraggio sempre, tenendo fede allo spirito delle origini della vostra città, che si è sviluppata attorno alla fortezza ed alla cappella della Madonna assunta, la quale ha maternamente protetto fin dall'inizio le vostre famiglie, il vostro lavoro, i vostri progetti. Alla vostra città sono rivolti, oggi, gli sguardi di tutti i brasiliani, perché tra le sue mura sta per essere inaugurato un grandioso avvenimento di fede, che coinvolge tutti i credenti della "Terra de Vera Cruz": il decimo congresso eucaristico nazionale.


3. Il congresso eucaristico è anzitutto un grande e comunitario atto di fede nella presenza e nell'azione di Gesù eucaristia, che rimane sacramentalmente con noi, per percorrere con noi le nostre strade, affinché noi possiamo affrontare, con la sua forza, i nostri problemi, le nostre fatiche, le nostre sofferenze. Nutriti dal corpo del Signore, possediamo in noi la vita (cfr. Jn 6,53) e possiamo così fiduciosamente adoperarci, nel suo Spirito e col suo Spirito, per rendere più umana, più dignitosa, più cristiana la nostra convivenza su questa terra. Le nostre vie devono essere le sue vie, i nostri metodi siano i suoi metodi, i nostri pensieri siano i suoi pensieri.

Fin da questo momento uniamoci attorno all'ostia consacrata, al divino pellegrino tra i pellegrini, desiderosi di attingere da lui l'ispirazione e la forza per fare nostri i bisogni e le aspirazioni dei nostri fratelli emigranti, con quell'amore efficace che animo il primo Vescovo di Fortaleza, monsignor Luigi Antonio dos Santos, benemerito fondatore del seminario ed infaticabile apostolo della carità durante la grande siccità del 1877-187 9.

Cari fratelli e sorelle, nel segno del pane di vita, che è Cristo, e nell'attesa della messa di apertura del congresso eucaristico, vi rivolgo il mio saluto cordiale ed amico, insieme con la mia benedizione: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1980-07-09 Data estesa: Mercoledi 9 Luglio 1980.


L'omelia della messa inaugurale del congresso eucaristico di Fortaleza - Fortaleza (Brasile)

Titolo: L'eucaristia è amore e carità da cui nasce la condivisione fraterna

Signor Cardinale Aloisio Lorscheider, Arcivescovo di Fortaleza, miei cari fratelli nell'episcopato, nel sacerdozio, figli e figlie carissimi.

"Il sacro banchetto in cui il pane è Cristo, in cui la sua passione è da noi rivissuta, la nostra anima è ripiena di grazia, e ci è offerto un pegno della gloria futura".

A partire da questo momento e per diversi giorni, Fortaleza diventa in modo tutto speciale il cenacolo dove si celebra questo banchetto, cantando e affermando la fede della Chiesa nel santissimo sacramento.

Questa celebrazione ci ricorda di nuovo che il Dio della nostra fede non è un essere lontano, che contempla con indifferenza la condizione degli uomini, le loro difficoltà, le loro lotte e le loro angustie. E' un Padre che ama i suoi figli, a un punto tale da mandare il suo Figlio, il suo Verbo, "perché abbiano la vita, e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10).

E' questo Padre amoroso che ora ci attrae soavemente, con l'azione dello Spirito Santo che abita nei nostri cuori (cfr. Rm 5,5).

Quante volte nella nostra vita abbiamo visto separarsi due persone che si amano. Durante la brutta e dura guerra, nella mia gioventù, ho visto partire giovani senza speranza di ritorno, genitori strappati da casa, senza sapere se avrebbero un giorno ritrovato i loro cari. Al momento di partire, un gesto, una foto, un oggetto che passa da una mano all'altra per prolungare in un certo modo la presenza nell'assenza. E niente di più. L'amore umano è capace solo di questi simboli.

Come testimonianza e come lezione di amore, al momento del distacco, "Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amo sino alla fine" (Jn 13,1). E così, alla vigilia di quest'ultima pasqua passata in questo mondo con i suoi amici, Gesù "prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzo e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi: fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me"" (1Co 11,23-25).

In questo modo, il Signore Gesù Cristo, perfetto Dio e perfetto uomo, congedandosi dai suoi amici non lascia loro un simbolo, ma la realtà di se stesso.

Egli ritorna presso il Padre, ma rimane tra noi uomini. Non lascia un semplice oggetto per evocare il suo ricordo. Sotto le specie del pane e del vino c'è lui, realmente presente con il suo corpo, il suo sangue, la sua anima e la sua divinità. Come diceva un vostro autore classico (Fr. Antônio das Chagas, "Sermoes", 1764, p. 220 - S.Caetano): "Dall'unione di un infinito potere con un infinito amore, che cosa doveva derivare se non il più grande miracolo e la più grande meraviglia?".

Ogni volta che ci riuniamo per celebrare, quale Chiesa pasquale che noi siamo, la festa dell'Agnello immolato e redivivo, del risorto presente in mezzo a noi, è necessario avere ben presente in mente il significato dell'incontro sacramentale e dell'intimità con Cristo (cfr. Ioannis Pauli PP. II "Epistula universos Ecclesiae Episcopos: de SS. Eucharistiae mysterio et cultu", 4, die 24 febr. 1980: "", III,1[1980] 585).


2. E' da questa coscienza, maturata nella fede, che sgorga la risposta più profonda e gratificante alla domanda che orienta la riflessione di questo congresso eucaristico nazionale: "Dove vai?". Verso che orizzonti si dirigono gli sforzi con cui costruisci faticosamente il tuo domani? Quali sono le mete che speri di raggiungere attraverso le lotte, il lavoro, i sacrifici, cui ti sottometti ogni giorno? Si, verso che cosa va l'uomo pellegrino sulla strada del mondo e della storia? Sono convinto che se prestassimo attenzione alle risposte coraggiose o esitanti, piene di speranza o di dolore, che queste domande suscitano in ogni persona - non solo in questo paese, ma anche nelle altre regioni della terra - rimarremmo sorpresi dalla loro sostanziale identità. Le vie degli uomini sono, non raramente, molto diverse tra di loro; gli obiettivi immediati che si propongono presentano normalmente caratteristiche non solo divergenti, ma talvolta anche opposte. Eppure la meta ultima verso cui tutti indistintamente si dirigono è sempre la stessa: tutti cercano la piena felicità personale, nel contesto di una vera comunione di amore. Se tentate di penetrare fino al più profondo dei desideri vostri e di chi vi passa accanto, scoprirete che è questa l'aspirazione comune di tutti, questa la speranza che, dopo gli insuccessi, risorge sempre nel cuore dell'uomo dalle ceneri di ogni delusione.

Il nostro cuore cerca la felicità e vuole sperimentarla nel contesto di un amore vero. Ebbene, il cristiano sa che la soddisfazione autentica di questa aspirazione si può trovare solo in Dio, ad immagine del quale l'uomo è stato creato (cfr. Gn 1,27). "Ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te" (S.Augustini "Confessiones", 1,1). Quando Agostino, reduce da una tortuosa e inutile ricerca della felicità in ogni specie di piacere e di vanità, scriveva queste famose parole nella prima pagina delle sue "confessioni", non faceva altra cosa se non esprimere l'esigenza essenziale che emerge dal più profondo del nostro essere.


3. Non è una esigenza destinata alla delusione e alla frustrazione: la fede ci assicura che Dio e venuto incontro all'uomo nella persona di Cristo, nel quale "abita tutta la pienezza della divinità" (Col 2 Col 9). Quindi se l'uomo vuole trovare la soddisfazione alla sua sete di felicità che gli brucia il cuore, è verso Cristo che deve orientare i suoi passi. Cristo non sta lontano da lui. La nostra vita qui sulla terra è, in verità, un continuo succedersi di incontri con Cristo: con Cristo presente nella Sacra Scrittura, come parola di Dio; con Cristo presente nei suoi ministri, come maestro, sacerdote e pastore; con Cristo presente nel prossimo, e specialmente nei poveri, negli infermi, negli emarginati, che sono le sue membra sofferenti; con Cristo presente nei sacramenti, che sono i canali della sua azione salvatrice; con Cristo ospite silenzioso dei nostri cuori, dove abita comunicando la sua vita divina.

Ogni incontro con Cristo lascia segni profondi: possono essere incontri di notte, come quello di Nicodemo; incontri casuali, come quello della samaritana; incontri cercati, come quello della peccatrice pentita incontri di supplica, come quello del cieco alle porte di Gerico; incontri per curiosità, come quello di Zaccheo; oppure incontri di intimità, come quello degli apostoli, chiamati a seguirlo; incontri folgoranti, come quello di Paolo sulla via di Damasco.

Ma l'incontro più intimo e trasformante, cui tutti gli altri sono ordinati, è l'incontro "alla mensa del mistero eucaristico, cioè alla mensa del pane del Signore" (Ioannis Pauli PP. II "Epistula ad universos Ecclesiae Episcopos: de SS. Eucharistiae mysterio et cultu", 11, die 24 febr. 1980: "", III,1[1980]. Qui è Cristo in persona che accoglie l'uomo, tribolato per le difficoltà del cammino, e lo conforta con il calore della sua comprensione e del suo amore. E' nell'eucarestia che trovano la loro piena attuazione quelle dolci parole: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorero" (Mt 11,28). Quel conforto personale e profondo che costituisce la ragione ultima di tutto il nostro affaticarci per le strade del mondo, possiamo trovarlo - almeno come anticipazione e come pregustazione - nel pane divino che Cristo ci offre alla mensa eucaristica.


4. Una mensa. Non è stato per caso che il Signore, volendosi dare tutto a noi, ha scelto la forma del pasto in famiglia. Il ritrovarsi attorno a una tavola dice rapporto interpersonale e possibilità di conoscenza reciproca, di mutuo scambio, di dialogo che arricchisce. Il convito eucaristico diventa così segno espressivo di comunione, di perdono e di amore.

Non sono queste le realtà di cui il nostro cuore pellegrino sente di aver bisogno? E' impensabile una felicità umana autentica, fuori da questo contesto di incontro e di amicizia sincera. Ebbene, l'eucarestia non solo significa questa realtà, ma la promuove efficacemente. A questo proposito, san Paolo ha una frase estremamente chiara: "Noi - osserva - siamo un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane" (1Co 10,17). L'alimento eucaristico facendoci "consanguinei" di Cristo, ci rende fratelli e sorelle tra noi. San Giovanni Crisostomo sintetizza così, con parole incisive, gli effetti della partecipazione all'eucarestia: "Noi siamo quello stesso corpo. Che cos'è in realtà il pane? Il corpo di Cristo. Di fatto, come il pane è il risultato di molti grani e, benché questi rimangano se stessi, tuttavia non si distinguono perché sono uniti, così anche noi ci uniamo mutuamente con Cristo. Non ci alimentiamo chi da un corpo chi da un altro diverso, ma tutti dallo stesso corpo" (S.Ioannis Chrysostomi "In Epistulam 1ad Corinthios").

La comunione eucaristica costituisce dunque il segno della riunione di tutti i fedeli. Segno veramente suggestivo, perché alla sacra mensa scompare ogni differenza di razza o di classe sociale, restando solo la partecipazione di tutti allo stesso sacro alimento. Questa partecipazione, identica in tutti, significa e realizza la soppressione di tutto ciò che divide gli uomini, ed effettua l'incontro di tutti ad un livello più alto, dove ogni opposizione rimane eliminata. L'eucarestia diventa così il grande strumento dell'avvicinamento degli uomini tra loro. Ogni volta che i fedeli vi partecipano con cuore sincero, ricevono un nuovo impulso per stabilire un migliore rapporto tra di loro, che porta a riconoscere reciprocamente i propri diritti e anche i corrispondenti doveri. In questo modo si facilita la soddisfazione delle esigenze della giustizia, proprio per il clima particolare di rapporti interpersonali che la carità fraterna crea all'interno della stessa comunità.

E' istruttivo ricordare a questo proposito quello che succedeva tra i cristiani dei primi tempi, che gli Atti degli Apostoli ci descrivono "assidui... nella frazione del pane" (Ac 2,42). Di loro si diceva che "stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno" (Ac 2,44-45). così facendo i primi cristiani mettevano in pratica spontaneamente "il principio secondo cui i beni di questo mondo sono destinati dal Creatore per rispondere alle necessità di tutti senza eccezione" (cfr. Paoli VI "Nuntius christianis totius orbis fidelibus, ineunte tempore quadragesimali", die 7 febr. 1878: "Insegnamenti di Paolo VI", XVI [1978] 112). La carità, alimentata nella comune "frazione del pane", si esprimeva con naturale conseguenza nella gioia di godere assieme dei beni che Dio generosamente aveva posto a disposizione di tutti. Dall'eucarestia scaturisce, come atteggiamento cristiano fondamentale, la condivisione fraterna.


5. A questo punto e con questa luce, mi viene spontaneo pensare alla difficile condizione di quelli che, per diversi motivi, devono abbandonare la loro terra di origine e trasferirsi in altre regioni: gli emigranti. La domanda "dove vai?" assume nel loro caso una dimensione molto realistica: la dimensione del malessere e della solitudine, spesso la dimensione dell'incomprensione e del rifiuto.

Il quadro della mobilità umana in questo vostro paese è ampio e complesso. Ampio perché coinvolge milioni di persone di tutte le categorie.

Complesso per le cause che suppone, per le conseguenze che provoca, per le decisioni che esige. Il numero di coloro che emigrano all'interno di questa immensa nazione raggiunge, per quello che mi è dato sapere, livelli tanto alti che preoccupano i responsabili. Una parte degli emigranti va alla ricerca di migliori condizioni di vita, emigrando da ambienti saturi di popolazione verso luoghi più disabitati; un'altra parte va alla ricerca di migliori condizioni di clima che offrono, per ciò stesso, la possibilità di un progresso economico e sociale più facile. E non sono pochi i brasiliani che attraversano la frontiera.

Ma il Brasile, come pure gli altri paesi del continente americano, è una nazione che ha già dato molto e molto deve all'immigrazione. Mi piace ricordare qui i portoghesi, gli spagnoli, i polacchi, gli italiani, i tedeschi, i francesi, gli olandesi e tanti altri venuti dall'Africa, dal medio oriente e dall'estremo oriente, praticamente dal mondo intero, che qui trovarono vita e benessere. E ancor oggi non sono pochi gli stranieri che chiedono lavoro e casa a questo Brasile sempre generoso. In una situazione complessa, come non pensare allo sradicamento culturale e qualche volta linguistico, alla separazione temporanea o definitiva dalla propria famiglia, alle difficoltà di inserimento e di integrazione del nuovo ambiente, allo squilibrio socio-politico, ai drammi psicologici e a tante altre conseguenze, specialmente di carattere morale e spirituale? La Chiesa del Brasile ha voluto unire la celebrazione di questo congresso eucaristico al problema dell'emigrazione. "Dove vai?". E' una domanda alla quale ciascuno deve dare la sua risposta, che rispetti le legittime aspirazioni degli altri. La Chiesa non si è stancata né si stancherà mai di proclamare i diritti fondamentali dell'uomo: "Il diritto di rimanere liberamente nel proprio paese, di avere una patria, di emigrare al di dentro e al di fuori del paese, per motivi legittimi, di poter avere una vita di famiglia piena, di contare sui beni necessari per la vita, di conservare e sviluppare il proprio patrimonio etnico, culturale, linguistico, di professare pubblicamente la propria religione, di essere riconosciuto e trattato conformemente alla dignità della sua persona in qualunque circostanza" (Pont. Comm. per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo, "Chiesa e mobilità umana", 17, 26 maggio 1978: AAS 70 [1978] 366). Per questo motivo la Chiesa non può fare a meno di denunciare le situazioni che costringono molti all'emigrazione, come lo fa Puebla (cfr. "Puebla", 29 et 71).

E' pero necessario che questa denuncia della Chiesa sia confermata con un'azione pastorale concreta, che impegni tutte le sue energie. Quelle delle Chiese dei punti di partenza dell'emigrazione, con una preparazione adeguata per coloro che si dispongono a partire. E quelle delle Chiese dei punti di arrivo, che dovranno sentirsi responsabili di una buona accoglienza, che dovrà tradursi in gesti concreti con gli immigranti.

Che questa fraternità, che nell'eucarestia trova il suo punto più alto, diventi qui una realtà sempre più vigorosa. A fianco degli indios, primi abitanti di questa terra, gli emigranti, provenienti da tutte le parti del mondo, formarono un popolo solido e dinamico che, amalgamato dall'eucarestia, seppe affrontare e superare, nel passato, grandi difficoltà. Il mio augurio è che la fede cristiana, alimentata alla mensa eucaristica, continui ad essere il fermento unificatore delle nuove generazioni, in modo tale che il Brasile possa sempre guardare sereno al suo futuro e andare sulla strada di un progresso umano autentico.


6. All'inizio di questa celebrazione, voi avete cantato con entusiasmo: "Hai riunito in un solo popolo / emigranti e gente del nordest, stranieri e nativi: / siamo tutti pellegrini".

E' una costatazione molto aderente alla realtà. Si, siamo tutti pellegrini: inseguiti dal tempo che passa, erranti per le strade del mondo, camminiamo nell'ombra del provvisorio, alla ricerca di quella pace vera, di quella gioia sicura, di cui ha tanto bisogno il nostro cuore affaticato. Nel banchetto eucaristico, Cristo ci viene incontro per offrirci, sotto le umili apparenze del pane e del vino, il pegno di quei beni supremi ai quali tendiamo nella speranza.

Diciamogli perciò con fede rinnovata: "Noi formiamo il tuo popolo / che è santo e peccatore: Crea in noi cuori nuovi / trasformati dall'amore".

Uomini dal cuore nuovo, un cuore trasformato dall'amore, di questo ha bisogno il Brasile per camminare con fiducia verso il suo futuro. Ecco perciò la mia preghiera e il mio augurio: che questa nazione possa prosperare sempre, sul piano spirituale, morale e materiale, animata da quello spirito fraterno, che Cristo è venuto a portare nel mondo. Scompaiano nel suo interno, o si riducano progressivamente al minimo, le differenze tra regioni dotate di particolare benessere materiale e regioni meno fortunate. Scompaia la povertà, la miseria morale e spirituale, l'emarginazione, e che tutti i cittadini si riconoscano e si abbraccino come autentici fratelli in Cristo! Tutto questo sarà certamente possibile se una nuova era della vita eucaristica torna ad animare la vita della Chiesa in Brasile. L'amore e l'adorazione a Gesù sacramentato siano dunque il segno più luminoso della vostra fede, della fede del popolo brasiliano! O Gesù eucarestia, benedici la tua Chiesa, benedici questa grande nazione e concedile la prosperità tranquilla e la pace autentica! Amen!

Data: 1980-07-09 Data estesa: Mercoledi 9 Luglio 1980.


L'allocuzione ai Vescovi del Brasile - Fortaleza (Brasile)

La crescita della comunione e della partecipazione rende sempre più perfetta l'evangelizzazione

Signor presidente, eminentissimi Cardinali, cari confratelli.

1. Nella gioiosa aspettativa della visita che ora faccio al vostro paese, in questi ultimi mesi ho pensato spesso ai vari incontri che avrei avuto. Ognuno di essi mi sembrava molto importante, ma posso dirvi con sincerità di fratello: nessuno è più importante di questo con voi, Vescovi del Brasile.

Oggi voi siete il corpo episcopale più numeroso del mondo; e al numero corrisponde l'intensa attività pastorale per questa Chiesa giovane e dinamica. Per questo e per le promettenti prospettive del vostro paese, l'episcopato di cui fate parte assume un prestigio e una responsabilità che vanno ben oltre le frontiere delle vostre diocesi e della stessa nazione: una responsabilità davanti a tutta la Chiesa.

Pertanto, nel piano di questo pellegrinaggio apostolico, il mio più grande desiderio era di stare personalmente in mezzo a voi, salutarvi "in osculo sancto" (Rm 16,16 1Co 16,20) e "in vinculo pacis" (Ep 4,3), esprimervi a viva voce i miei sentimenti di pastore della Chiesa universale. Il Signore Gesù sa perché vi dico in questa circostanza le parole che egli stesso pronuncio in un momento cruciale della sua vita: "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi" (Lc 22,15). In effetti, questo incontro è una pasqua, un passaggio del Signore in mezzo a noi. Sia lodato Dio che mi offre questa occasione e ci assista in questa ora, perché questo incontro sia per voi fonte di rinnovata fecondità pastorale come è per me fonte di gioia e di conforto.

La conferenza nazionale dei Vescovi del Brasile


2. Le mie prime parole vogliono essere un fraterno saluto alla conferenza nazionale dei Vescovi del Brasile.

Non posso dimenticare il carattere quasi pionieristico di questa conferenza. Nata con questo nome di conferenza di Vescovi nel lontano 1952, fu una delle prime del mondo a formarsi, molto prima che il Concilio Vaticano II ponesse in nuova luce la dottrina della collegialità episcopale e promuovesse giustamente le conferenze episcopali come peculiare espressione e organo particolarmente appropriato di questa collegialità.

In questi 28 anni - tutti lo riconoscono - ha cercato di compiere una missione e di realizzare un'opera conforme alla sua natura: rendere possibile l'incontro e il dialogo dei Vescovi sempre più numerosi nel paese: agevolare la convergenza dell'azione pastorale, grazie soprattutto a un piano e a una pastorale di insieme che fin dall'inizio sono stati la preoccupazione dominante della conferenza nazionale dei Vescovi del Brasile; rappresentare nel modo più autentico l'episcopato brasiliano presso le altre istituzioni, comprese quelle civili.

Certamente la conferenza, lungi dal fermarsi nell'autosoddisfazione per quello che ha fatto, dovrà continuamente sforzarsi di essere sempre più fedele alla propria missione. Tale fedeltà alla vocazione originaria, agli obiettivi che la sapienza della Chiesa le indica e alle vie che essa stessa ha tracciato, è condizione di efficacia della sua azione. Per essa, dunque, come per ogni organismo vivente, soprattutto se è un organismo a servizio di Cristo, perfezionarsi è segno di interiore sanità, è un'esigenza, è un dovere.

In quali aspetti perfezionarsi e crescere? Il documento di Puebla ci suggerisce la risposta: nella comunione, nella partecipazione, nella evangelizzazione.

La comunione in seno alla conferenza nazionale dei Vescovi del Brasile


3. Anzitutto nella comunione. Perché questa è la ragion d'essere e la prima finalità di ogni conferenza episcopale: creare e mantenere sempre viva la comunione tra i Vescovi che la compongono. Questi sono necessariamente uomini molto diversi tra loro, come diversi erano i primi dodici scelti dallo stesso Signore Gesù. Più sono numerosi, più aumenta questa differenza. Tuttavia il loro servizio pastorale esige una comunione il più possibile profonda e solida. Cemento di questa comunione - ben più forte di quanto potrebbe dividerla o spezzarla - è l'unico Signore che ha chiamato i Vescovi e li ha fatti suoi ministri: l'unica verità della quale sono nello stesso tempo maestri e servitori; l'unica salvezza in Cristo che essi annunciano e attualizzano: la carità fraterna che li "raduna nell'unità" (cfr. Hymnus "Ubi Caritas").

Pastori di una Chiesa che, secondo la teologia del Concilio Vaticano II, ama definirsi "sacramento di unità" (LG 1), i Vescovi sono chiamati a dare per primi la testimonianza viva dell'unità. Non illudiamoci: la migliore predicazione che possano fare i Vescovi di una nazione, il servizio più fruttuoso che possano prestare al proprio popolo, il gesto più efficace che possano compiere sarà certamente la dimostrazione verace e visibile della loro comunione. Al contrario, senza questa comunione, tutto il resto si rivela pericolosamente precario. Nella propria conferenza i Vescovi vogliono e hanno il diritto di trovare uno strumento e uno stimolo di unità.

Se mi fosse permesso ispirarmi alla mia personale esperienza di Vescovo, e anche di membro di una conferenza nazionale, non esiterei a dire che qualsiasi manifestazione di una conferenza episcopale produce un impatto tanto maggiore (parlo di impatto reale, profondo, durevole, non necessariamente clamoroso) quanto più in esso si riflette l'unità, intesa come l'anima della collegialità episcopale che concretamente si incarna in questo gruppo di Vescovi. Considerate, fratelli: la testimonianza della collegialità effettiva sarà tanto facilitata, nella misura che l'accompagna la collegialità affettiva. Questa suppone un dialogo autentico tra tutte le sue componenti, che, come sapete, va da una sempre coltivata povertà nello spirito fino a una costante apertura alla grazia divina che è la sua perfezione. Occorre un'attenzione verso gli altri, nei piccoli gesti della vita quotidiana. così si crea il clima che fa crescere la vicendevole fiducia. Questa fiducia che mai va limitata a semplice cordialità nel tratto vicendevole, ma deve giungere a quel sentimento profondo che ci permette di accettare con semplicità, nell'area dell'opinabile, opinioni o posizioni diverse dalle proprie, purché sia salvaguardato il bene comune della Chiesa sul piano locale e nella sua dimensione universale. E' appunto con una coscienza viva della collegialità episcopale e con un atteggiamento di fiducia fraterna che sono venuto qui fino a voi, e che mi trovo come fratello tra fratelli per parlarvi e ascoltarvi, entro i limiti del tempo.

Vorrei aggiungere - ma forse è superfluo - che la crescita nella comunione richiede la conoscenza reciproca sempre più approfondita, la comprensione dell'altro, il rispetto della sua coscienza, la franchezza e la lealtà. Tutto ciò è frutto di una carità che, su questo piano, si chiama amore fraterno e comunione, che porta a superare particolarismi, partitismi, o dispute tra gruppi e conduce ad integrarsi, entro un certo sano pluralismo, le comprensibili diversità. Una conferenza non può non ringraziare Dio quando è immune da questi problemi, e deve umilmente e fervorosamente supplicarlo perché così sia sempre; e voglia Dio che nei documenti e pronunciamenti di questa conferenza episcopale si manifesti sempre tale consonanza perché "da questo conosceranno gli uomini che siete miei discepoli", dice il Signore, "se vi amate gli uni gli altri".

La partecipazione della conferenza nazionale dei Vescovi del Brasile


4. Crescere nella partecipazione è la seconda meta. Una conferenza episcopale è un'opera comune: spiritualmente ricca se in essa tutti i Vescovi si sentono pienamente membri e stanno presenti con piacere e senza imbarazzi; impoverita ogni qualvolta per qualsiasi motivo qualcuno si senta, si dica o si ponga ai margini.

La crescita nella partecipazione si attua in alcuni fatti, forse umili, ma non per questo meno degni di considerazione. La partecipazione cresce nella misura in cui si fanno sforzi sinceri per percepire e ponderare le prese di posizione in nome di tutta la conferenza, il sentimento profondo e le convinzioni delle singole parti del tutto, quando sono consistenti, anche se non maggioritarie.

In una conferenza episcopale numerosa, la partecipazione è tanto più grande, quanto maggiore è la rappresentatività dei Vescovi membri, negli organi decisionali. La partecipazione cresce, quando i Vescovi, nella pratica, sentono la propria conferenza come lo spazio nel quale possono incontrarsi nell'esercizio della loro condizione di chiamati in modo particolare a partecipare della missione di Cristo profeta. In virtù di tale congiunzione con lo stesso Cristo, i Vescovi servono la verità divina nella Chiesa. Contribuiscono a plasmare la vita della stessa Chiesa, quanto alla sua dimensione fondamentale, e vengono costituiti maestri di fede del Popolo di Dio, in continuità con l'unico maestro divino (cfr. Mt 23,8). Essi hanno una irrinunciabile responsabilità individuale e collegiale dinanzi allo stesso Cristo e dinanzi a tutta la Chiesa. Tuttavia chi potrebbe dubitare del valore di una collaborazione competente che, in vari settori, sacerdoti, laici, religiosi e religiose prestano ai Vescovi in seno alla conferenza episcopale? Essi meritano lode per questo loro contributo.

Naturalmente, sono i Vescovi che conservano la responsabilità delle decisioni, dei pronunciamenti e dei documenti della conferenza come tale, e perciò ne devono rispondere dinanzi alla propria coscienza e dinanzi a Dio. Il circondarsi di collaboratori potrà essere una maniera di appoggiare lo sforzo di fedeltà alla verità divina e di maggior servizio al Popolo di Dio. Tuttavia non dovrebbe sorprendere nessuno il fatto che nelle assemblee e nelle loro conferenze i Vescovi cerchino di disporre di periodi sufficientemente lunghi per incontrarsi e dialogare tra loro senza la presenza di altri, per rinforzare la propria unità come maestri della fede, per condividere la comune responsabilità di essere, ogni volta di più, forza e sicurezza dell'unità fondamentale della Chiesa.

Tutti noi che guardiamo con simpatia e ammirazione alla vostra conferenza auguriamo e preghiamo perché progredisca sempre nella partecipazione.

Che nessuno rifiuti la sua presenza non solo fisica, ma anche attiva ed efficiente. Questa partecipazione sarà la più grande grazia della conferenza.

La conferenza nazionale dei Vescovi del Brasile e l'evangelizzazione


5. In ogni conferenza episcopale il perfezionamento nella comunione e nella partecipazione è in funzione del perfezionamento del suo compito principale che è l'evangelizzazione.

Nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi", che è certamente la "magna charta" dell'evangelizzazione per questo ultimo quarto di secolo e uno dei più notevoli documenti del magistero di Paolo VI, questo grande e indimenticabile papa ricordava che l'evangelizzazione è qualche cosa di ricco, complesso e dinamico (Pauli VI EN 17) che comporta vari elementi; ma aggiungeva: "Evangelizzare è anzitutto testimoniare, in maniera semplice e diretta, Dio rivelato da Gesù Cristo, nello Spirito Santo" (Pauli VI EN 26); la base, il centro e il vertice dell'evangelizzazione è la salvezza in Gesù Cristo (Pauli VI EN 27). Il documento di Puebla segue da vicino l'ispirazione della "Evangelii Nuntiandi" quando, parlando del contenuto dell'evangelizzazione, presenta come "contenuto essenziale" ("Puebla", 351) le "verità centrali" (n. 166) su Gesù Cristo (n. 170ss), sulla Chiesa (n. 220ss) e sull'uomo (n. 304ss), chiamando tutto il resto "parte integrante" dell'evangelizzazione.

E' dovere della Chiesa, specialmente nel nostro mondo minacciato dal secolarismo ateo - non sarà mai superfluo ricordarlo - la proclamazione dell'assoluto di Dio, del mistero di Gesù Cristo, della trascendenza della salvezza, della fede e dei sacramenti della fede. E' dovere dei suoi pastori. Voi sarete certamente d'accordo con me se affermo che noi, ministri di Cristo nella sua Chiesa, avremo credibilità ed efficacia nel parlare delle realtà temporali solo se prima (o almeno nello stesso tempo) siamo attenti a proclamare "una salvezza che sorpassa tutti questi limiti (temporali) per realizzarsi nell'assoluto di Dio" (cfr. Pauli VI EN 7), a proclamare "l'annuncio profetico di un "al-di-là", vocazione profonda e definitiva dell'uomo (Pauli VI EN 28).

Richiamo questo per dire che mi sento felice quando una conferenza episcopale nel programma delle sue assemblee dà spazio a temi connessi con le questioni urgenti di ordine temporale che toccano gli uomini del nostro tempo. La natura stessa di questo organismo esige sempre che tali questioni siano conglobate nell'evangelizzazione e nella prioritaria ricerca del regno di Dio e della sua giustizia (cfr. Mt 6,32), che il Signore ci ha indicato in una visione d'insieme di tutte le nostre preoccupazioni. Egli stesso ci ha lasciato l'esempio. A tutti senza eccezione cgli annunciava la buona novella, pur trovandosi dalla parte dei più piccoli, dei poveri e dei sofferenti con il suo amore di predilezione. Nella nostra attività di ministero dovranno prevalere sempre le cose concernenti Dio se vogliamo che rimanga con tutta la sua vitalità la nostra condizione di preposti a favore degli uomini (cfr. He 5,1). così le assemblee, le conferenze episcopali devono essere preoccupate di confrontare col pensiero di Dio, conosciuto, cercato, approfondito e condiviso fraternamente, i problemi emergenti nella vita degli uomini e della società, senza lasciar di trattare con tempestività e sicurezza i problemi propri della vita della Chiesa, come quelli che si riferiscono alla liturgia, alla preghiera, alle vocazioni sacerdotali, alla vita religiosa e al suo retto rinnovamento, alla catechesi, alla formazione religiosa dei giovani, alla pietà popolare e alle sue esigenze, alla sfida delle sette aberranti, alla valanga dell'immoralità, ecc...

In questo prevalentemente risiede la forza e l'identità della nostra Chiesa. In questo modo e con un tale atteggiamento si avvantaggerà non soltanto la Chiesa nel Brasile, nel vostro caso, ma anche la stessa società brasiliana, e specialmente le generazioni che si affacciano alla vita.

In questi ultimi tempi, da quando è stata resa nota la mia intenzione di fare questa visita pastorale in Brasile, è aumentato molto il numero delle missive che tutti i giorni mi arrivano da questo paese. Sono lettere commoventi per la povertà e semplicità che rivelano da parte di chi scrive, e non nascondono la difficoltà di alcuni che a malapena hanno imparato a maneggiare la penna. Esse manifestano una fame di Dio, un'apertura al sacro e, alle volte, esplicitamente sete della verità del Vangelo e della vita soprannaturale. Questo non può lasciarci indifferenti. Noi, pastori della Chiesa, non possiamo trascurare di dar loro i beni spirituali che essi ci domandano, come piccoli che chiedono pane, cercando qualcuno che lo spezzi loro, come dice la Scrittura. Effettivamente con i beni spirituali e i mezzi propri della Chiesa di cui disponiamo, mediante programmi adeguati di pastorale, animati da una cosciente preoccupazione verso l'uomo concreto, in tutta la sua verità, la Chiesa, senza dover ricorrere a mezzi che le sono estranei, ben può contribuire alla trasformazione della società, aiutandola a rendersi sempre più giusta, fondata sulla giustizia oggettiva. Questo rende evidente la necessità e accentua la grande importanza della catechesi.

Leggendo le vostre relazioni quinquennali, mi fa impressione l'insistenza con cui molti di voi lamentano la mancanza di approfondimento della fede in un popolo che, d'altra parte, è religioso, buono e, per usare l'espressione di Tertulliano, "naturalmente cristiano" (Tertulliani "Apologeticus", 17: Ed. Rauschen, 58). Questa superficialità nella conoscenza della dottrina della fede è causa di non pochi inconvenienti, tra i quali voi stessi citate: una certa vulnerabilità nei confronti di dottrine aberranti; una certa tendenza a una religiosità fatta di esteriorità, più di sentimenti che di convinzioni: il rischio sempre imminente di una fede privatista e distaccata dalla vita... In questa situazione la catechesi è urgente. Non posso che ammirare i pastori zelanti che nelle loro Chiese cercano di rispondere concretamente a questa urgenza facendo della catechesi una vera priorità.

Perciò la catechesi deve essere sempre il compito principale dell'evangelizzazione, come rilevava l'assemblea del Sinodo dei Vescovi del 1964.

Ritengo che la catechesi deve costituire una preoccupazione costante della conferenza episcopale come tale e dei suoi diversi organismi, che non tralasceranno di ricorrere, quando necessario, a teologi e periti nell'arte di insegnare, per la precisazione della dottrina e l'adattamento dei catechismi alle diverse età e ai diversi livelli delle persone alle quali sono destinati.

Quanto al contenuto e ai metodi di questa catechesi, non ripeto qui ciò che ho cercato di esplicitare, nella misura del possibile, nella esortazione apostolica "Catechesi Tradendae". Ricordo solo che i fedeli chiamati alla comunione della Chiesa hanno il diritto di ricevere la "parola della fede" (Rm 10,8) "in tutto il suo rigore e in tutto il suo vigore" (Ioannis Pauli PP. II CTR 30) mediante una catechesi efficace, attiva e adeguata; una catechesi che, con l'integrità del suo contenuto, porti all'uomo del nostro tempo tutto il messaggio di Gesù Cristo. In questo campo noi Vescovi della Chiesa, nella nostra coscienza di pastori, ci troveremo sempre di fronte alla questione dei testi per la catechesi: come sono elaborati? quale il loro contenuto? che messaggio trasmettono? quale immagine di Dio, di Cristo, della Chiesa, della vita cristiana, della vocazione dell'uomo, essi comunicano? Ecco un campo in cui lo zelo e la vigilanza pastorale dovranno essere esercitati come in pochi altri.

Qui verrebbero a proposito alcune parole riguardanti le comunità ecclesiali di base, come le delinea il mio venerato predecessore Paolo VI nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" (Pauli VI EN 58) sui cui orientamenti mi permetto richiamare la vostra attenzione. Tali comunità costituiscono una esperienza attuale nell'America Latina e soprattutto in questo paese. Essa deve essere accompagnata, assistita e approfondita per portare i frutti da tutti desiderati, senza deviare verso finalità che le sono estranee.

Non voglio dilungarmi su questo punto. Affido alla vostra conferenza episcopale il testo speciale riguardante le stesse comunità ecclesiali di base, che avrei gradito di rivolgere personalmente e di viva voce ai destinatari se non fosse mancato il tempo data la complessità del programma.


GPII 1980 Insegnamenti - L'incontro con i rappresentanti della diocesi di Belém, nella cattedrale