GPII 1980 Insegnamenti - Alla nuova Curia Generale dei Lazzaristi - Castel Gandolfo (Roma)


L'"Interrogatorio a Maria" di G. Testori davanti al Papa - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Maria ci parla di se stessa

Si potrebbe dire semplicemente: grazie. Ma sento che non basta dire grazie perché è necessario spiegare perché grazie.

Grazie innanzitutto all'autore e agli artisti. Avevo già letto qualche mese fa questo testo, ma la sua trasposizione teatrale è un'altra cosa. La vera lettura del suo oratorio, signor Testori, l'ho fatta dunque questa sera. Perché dico grazie. E questo secondo ringraziamento entra già nel merito dell'opera. Mi son chiesto, mentre assistevo alla rappresentazione, se era la prima volta che seguivo una tale impostazione teatrale.

E' stata certamente la prima volta perché ogni vera opera artistica è prima, unica e irripetibile. Si può pero parlare della tradizione ed in questo caso la tradizione affonda le sue radici nei secoli. Si deve cioè riandare all'epoca in cui la nostra fede era profondamente vissuta.

"Interrogatorio" è un'espressione direi quasi centrale in questo contesto. "Interrogatorio a Maria". Noi siamo abituati a parlare con Maria, ad interrogarla continuamente. Ogni nostra preghiera è un interrogatorio. In questo interrogatorio rimane sempre il "tu" e l'"io" dove questo "io" è ciascuno di noi.

Nell'interrogatorio al quale abbiamo assistito questa sera invece, ci sembra di trovarci in una situazione inversa: Maria è diventata quell'"io" e tutti noi, qui rappresentati anche dagli artisti siamo quelli che abbiamo provocato, con il nostro interrogatorio, Maria a parlarci di se stessa. E credo che ciò sia molto originale e che si trovi in linea con lo stile delle opere medioevali. Nel mio paese la letteratura del medioevo ha segnato il passaggio da una letteratura di tipo latino e polacco insieme ad una letteratura di tipo esclusivamente nazionale.

L'opera del nostro autore credo possa collocarsi proprio su questa linea di fedeltà alla tradizione della letteratura teatrale pur essendo radicalmente moderna.

Ed anche se prendiamo la letteratura drammatica di tipo religioso non troviamo, anche in epoca più vicina alla nostra o anche contemporanea, questo tipo di impostazione.

Interrogatorio a Maria, questo interrogatorio è moderno nel suo contenuto, nel modo di proporre i problemi, di fare le domande a Maria, e anche nella sua semplicità. Anche se questa semplicità era tipica per l'arte medioevale, per il dramma paraliturgico medioevale, si trattava di un altro tipo di semplicità, direi più primitivo almeno per il nostro giudizio. Ma forse non siamo più capaci di giudicare gli atteggiamenti di tanti secoli fa. Invece la semplicità che si sentiva nelle domande e anche nelle risposte è una semplicità, direi, molto coraggiosa per entrambe le parti; dalla parte degli interlocutori e dalla parte della Vergine che rispondeva con grandissima semplicità, confessando che cosa vuol dire essere madre, essere madre del Verbo divino, essere madre di Cristo, spiegando anche che cosa significasse quella sua maternità nel senso possiamo dire umano, fisico, di due elementi, di due aspetti di quella maternità certamente umana, ma insieme divina; maternità del Verbo, del Verbo incarnato; maternità che introduceva la Vergine Maria nel mistero, nel seno della santissima Trinità; maternità che la situava nel centro della storia, storia della salvezza umana; maternità che ha condizionato sostanzialmente il mistero dell'incarnazione non solamente come fatto storico ma mistero dell'incarnazione come un processo, come un processo che dura, processo permanente, processo nel quale tutti siamo coinvolti con la nostra umanità, con la nostra vita umana, con il nostro destino, tutti, ciascuno ed anche tutto il cosmo, tutto il mondo visibile di cui facciamo parte e che porta in sé la grande minaccia della sua morte. Alla fine di questo interrogatorio, l'autore e gli artisti hanno toccato anche questa dimensione del credo e così in quella forma, molto originale, molto moderna, abbiamo sentito una catechesi, possiamo dire, catechesi fatta dalla catechista più competente in tutto l'universo, perché una catechista che poteva e può dare una testimonianza piu personale del mistero divino. Allora non so cosa ci ha attirato di più: o l'aspetto artistico, drammatico nella tradizione un po' dei misteri liturgici medioevali o la catechesi complessiva, perché era quasi tutto il credo spiegato nel colloquio, nell'interrogatorio a Maria. L'atteggiamento degli interlocutori era anche tipico dell'uomo moderno. Siamo noi, tutti noi, a fare le domande a Maria, così come hanno fatto i nostri artisti. Queste sono le mie impressioni e tutto quello che ho detto l'ho detto per dare una risposta alla domanda: perché grazie? Per tutto questo e per molti altri valori e contenuti, per molte altre esperienze vissute durante questo spettacolo così semplice, così ridotto nei suoi elementi visivi e così affascinante per il suo contenuto essenziale, religioso, profondamente teologico, profondamente umano, perenne e insieme, possiamo dire, totalmente nostro, dico e ripeto: grazie. E questo grazie lo dico non solamente in mio nome ma anche in nome di alcuni miei ospiti che in questi giorni stanno qui vicino. Si tratta di miei amici che tempo fa erano anche loro studenti ed ora sono professori, ingegneri, dottori, e altri sono già, almeno la maggioranza di loro, anche genitori. Sono venuti con i loro figli per farmi visita qui a Castel Gandolfo in questi giorni. Devo dire che ho passato con loro molti anni durante l'estate, e anche l'inverno, approfittando del tempo delle vacanze, per essere insieme, per far un po' di turismo insieme e per vivere insieme anche la comunità cristiana. Erano presenti, hanno cercato di ascoltare. Forse non sono riusciti a comprendere. Ma penso che se non hanno potuto capire le parole, hanno potuto capire certamente il clima di questo spettacolo, di quel mistero religioso, mistero in senso artistico, e teatrale. Ecco, anche a nome di questi miei amici dico grazie.

Data: 1980-07-29 Data estesa: Martedi 29 Luglio 1980.





Messa per un gruppo di pellegrini - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: La vanità ed il valore

Nell'insieme delle letture dell'odierna liturgia è contenuto un profondo paradosso, il paradosso tra la "vanità e il valore". Le prime parole del libro di Qoèlet parlano della vanità di tutte le cose; in un certo senso della vanità degli sforzi, delle attività dell'uomo in questa vita, della vanità del creato in un certo qual modo; della vanità dell'uomo, pure lui una creatura al passare e alla morte.

In questo salmo che cantiamo nella liturgia di oggi subito dopo sentiamo l'elogio del creato. Del resto quell'elogio è una lontana, primogenita eco, contenuta in tutta la Genesi, dell'elogio della creazione: quando il Dio disse che tutto il suo operato fu un bene, anzi, vide che fu un bene dell'uomo, che creo all'immagine e somiglianza sua, disse che era molto buono. Vide che era molto buono. Perciò ci troviamo davanti a un certo interrogativo: perché la vanità, e perché il valore? Quale rapporto lega l'una con l'altro? La risposta, almeno quella principale, la si trova nel Vangelo letto oggi. Non si tratta di dare giudizio sul creato. Si tratta della via della saggezza. Non dimentichiamo che la Genesi è, prima di tutto, un libro (ho in mente i suoi primi capitoli). E' dunque un libro sul mondo, in un certo senso un libro-manuale teologico sulla cosmologia e sul creato. I1libro di Qoèlet, invece, è un libro sulla saggezza. Insegna come vivere. E questo che nel Vangelo di oggi dice Cristo è il prolungamento di quella saggezza dell'Antico Testamento. Cristo parla attraverso esempi e parabole: parla dell'uomo che ha racchiuso il senso della sua vita nei beni di questo mondo. Li ha avuti in tale quantità che ha dovuto costruire nuovi granai per poterli contenere tutti. Il programma della vita dunque è accumulare e usare. E in ciò deve essere racchiusa la felicità. A un tale uomo il Cristo risponde: "Stolto, questa stessa notte chiederanno l'anima tua".

Se hai interpretato così il senso del valore, allora si ritorcerà contro di te la legge della vanità. E questa è già una risposta. Non si tratta allora di giudizio sul mondo, ma di saggezza dell'uomo; del modo del suo agire. Nelle mie conversazioni con un indimenticabile amico, Jurek, chiamavamo tutto ciò gerarchia dei valori. E' necessario stabilire, nella propria vita, una gerarchia dei valori.

Il Cristo attraverso tutto ciò che ha detto e, soprattutto, attraverso ciò che Lui è stato, attraverso tutto il mistero pasquale, ha stabilito la gerarchia dei valori nella vita dell'uomo. Nella seconda lettura odierna S. Paolo si riallaccia proprio a questa gerarchia quando dice che dobbiamo cercare ciò che è in alto.

Dunque l'uomo non può chiudere l'orizzonte della sua vita con la temporaneità; non può ridurre il senso della sua vita nell'usufruire i beni che gli sono stati donati dalla natura, dal creato, che lo circondano e che si trovano anche dentro di lui. Non può racchiudere in questo modo il primato della sua esistenza, ma deve andare oltre se stesso. Essendo ad immagine e somiglianza di Dio deve vedere se stesso più in alto e deve cercare per sé un senso in questo che lo sovrasta.

Il Vangelo contiene la verità sull'uomo perché contiene tutto ciò che sovrasta l'uomo e che, nello stesso tempo, l'uomo può raggiungere in Cristo collaborando con l'azione di Dio che agisce dentro l'uomo. Questa è la strada della saggezza. E su questa strada della saggezza si risolve il paradosso tra la vanità e il valore; il paradosso che spesso vive l'uomo.

Molte volte l'uomo è propenso a guardare la sua vita dal punto di vista della vanità. Eppure Cristo desidera che noi la guardiamo dal punto di vista del valore, stando pero sempre attenti ad usare la giusta gerarchia dei valori, la giusta scala dei valori.

E quando la liturgia odierna, insieme con la parola: Alleluia, ci ricorda anche la beatitudine: "Benedetti i poveri di spirito perché di loro è il Regno dei Cieli", riassume in essa un tale programma della vita.

Cristo ha esortato l'uomo alla povertà, ad assumere un atteggiamento che non lo faccia chiudere nella temporaneità, che non gli faccia vedere in essa il fine ultimo della propria esistenza e non gli faccia fondare tutto sul consumo, sul godimento. Un tale uomo è in questo senso povero, perché è continuamente aperto. Aperto verso Dio e aperto verso questi valori che ci vengono portati dalla Sua azione, dalla Sua Grazia, dal Suo Creato, dalla Sua Redenzione e dal Suo Cristo.

Ecco il breve sunto dei pensieri contenuti nella liturgia di oggi; pensieri sempre importanti. Essi non perdono mai il loro significato; rimangono perpetuamente attuali.

In un certo senso, cercavamo sempre una risposta per la domanda: che cosa vuol dire essere un cristiano? Che cosa vuol dire essere cristiano nel mondo moderno: essere cristiano in ogni giorno, essendo, nello stesso tempo, un professore d'università, un ingegnere, un medico, un uomo contemporaneo e, prima ancora, uno studente o una studentessa.

Cosa vuol dire essere cristiano? E scoprendo questo valore e soprattutto questo contenuto della parola "cristiano" e il valore ad essa congenito, trovavamo anche la gioia. Non solamente una immediata consolazione, ma una continua affermazione. Una risposta per la domanda se vale la pena di vivere, qui trova la sua conferma. In tal caso, vale la pena di vivere. Con una tale comprensione della gerarchia dei valori, della scala dei valori, vale la pena di vivere. Se la vita ha questo senso, vale la pena di viverla. E vale la pena di sforzarsi e di patire, perché la vita umana non è da ciò libera, ed ognuno di noi, individualmente e nella nostra comunità, ha vissuto le grandi sofferenze.

In questa prospettiva vale la pena di sforzarsi e di patire, perché: "Benedetti i poveri di spirito, perché di loro è il Regno dei Cieli". così agli inizi si formava la Chiesa, così la comincio a formare Cristo stesso, e così essa si formava grazie al ministero degli apostoli e dei loro successori, e così si forma anche oggi. Costruite la Chiesa in questa dimensione della vita di cui siete partecipi. Amen. Data: 1980-08-03 Data estesa: Domenica 3 Agosto 1980.


Angelus Domini - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: La figura di Paolo VI nella luce del suo magistero

1. "Venite, applaudiamo al Signore, / acclamiamo alla roccia della nostra salvezza. / Accostiamoci a lui per rendergli grazie, / a lui acclamiamo con canti di gioia. / Venite, prostrati adoriamo, / in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati. / Egli è il nostro Dio, / e noi il popolo del suo pascolo / il gregge che egli conduce. (Ps 94,1-2 Ps 94,6-7).

Queste parole del salmo noi ripetiamo nell'odierna liturgia domenicale.

La Chiesa ripete le stesse parole tutti i giorni nella "liturgia delle ore". Sono parole che ci invitano ad adorare Dio, alla venerazione dovuta a lui, la venerazione che l'uomo manifesta non soltanto nel suo intimo, ma anche col comportamento esteriore.


2. Tra pochi giorni, nella festa della Trasfigurazione del Signore, ricorrerà il secondo anniversario della morte di Papa Paolo VI, che ebbe luogo qui, a Castel Gandolfo, il giorno 6 di agosto.

Tra le molte immagini che hanno fissato la figura di questo grande Vescovo di Roma e successore di san Pietro ce n'è una particolarmente suggestiva.

Paolo VI, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa, immerso nella preghiera, profondamente inclinato, sta in ginocchio sulla nuda terra, nel luogo dove, un tempo, passarono i piedi del Figlio di Dio.

Visitando i diversi altri luoghi della terra, il Papa Paolo soleva, dopo l'atterraggio dell'aereo, iniziare la sua visita col baciare la terra nella quale era giunto. Io ho ripreso questa abitudine da lui e la osservo fedelmente.

Penso che questo gesto esprima proprio ciò che proclama il salmo di oggi: "Venite, prostrati adoriamo, / in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati".

Ci sono momenti in cui l'uomo sente il bisogno di un particolare abbassamento davanti a Dio, presente nel mondo e negli uomini, di una particolare manifestazione della venerazione verso la maestà del Creatore, verso colui che è la "roccia della nostra salvezza": amore solo e sola santità.

Tutta la vita di Paolo VI fu piena di una simile adorazione e venerazione verso l'infinito mistero di Dio. Proprio così vediamo la sua figura nella luce di tutto ciò che ha fatto ed insegnato; e la vediamo sempre meglio, a misura che il tempo ci allontana dalla sua vita terrestre e dal suo ministero.

In questi giorni del secondo anniversario della sua morte, raccomandandolo in modo particolare a Cristo Signore, ricordiamo con gratitudine tutta la testimonianza che questo servo dei servi di Dio ha reso al Dio vivo dinanzi alla Chiesa e al mondo.


3. Ascoltando le parole dell'odierno salmo domandiamoci anche se il nostro atteggiamento nella preghiera esprime la venerazione e l'adorazione che dovrebbe esprimere, dato che ci troviamo davanti a Dio, che siamo in intimità con lui e parliamo con lui. Certamente la cosa più importante in questo incontro è l'atteggiamento interiore. Tuttavia esso si manifesta anche per mezzo di quello esteriore. E sebbene ci siano possibili ed utili diversi gesti nella preghiera, non possono tuttavia mancare quelli di cui parla oggi il salmo: "Venite, in ginocchio davanti al Signore", anzi "prostrati adoriamo". Poiché soltanto essendo un atteggiamento di adorazione davanti al Signore, possiamo anche acclamare a lui "con canti di gioia".

Per il Vietnam Vorrei invitarvi a rivolgere il vostro pensiero ad una nazione e ad un popolo che sono distanti geograficamente ma che mi sono molto vicini al cuore.

Oggi ritorna in patria un primo gruppo di Vescovi vietnamiti, venuti a Roma per la visita "ad limina". Con loro mi sono potuto intrattenere sui diversi aspetti della vita della Chiesa nel loro paese. Questa visita, questo incontro è segno ed attuazione della collegialità che unisce il successore di Pietro e i successori degli apostoli, il Papa ed i Vescovi.

Essi proseguiranno nelle loro rispettive diocesi l'importante missione di pastori. Li saluto e li incoraggio con tutto il cuore insieme con i loro collaboratori: sacerdoti, seminaristi, persone consacrate, laici impegnati nella pastorale.

Alle care popolazioni cattoliche del Vietnam, fedeli nella fede e nell'attaccamento alla Chiesa, così come partecipano generosamente allo sforzo di ricostruzione e allo spirito di sacrificio dei loro connazionali nel sostenere le ristrettezze materiali causate, particolarmente, dalle distruzioni della guerra, vada il mio incoraggiamento e l'augurio più vivo di gioia e di pace, con una paterna benedizione apostolica.

Ad un gruppo di bambine A voi tutti il mio cordiale benvenuto ed il mio sincero ringraziamento per il gesto gentile che, seguendo una ormai tradizionale consuetudine, anche quest'anno avete voluto rinnovare in occasione della sagra delle pesche: voi vi siete fatti delicata premura di recarmi personalmente un cesto di questi pregiati frutto della vostra terra. Mi piace ravvisare in tale iniziativa una testimonianza della cortesia, che distingue gli abitanti di questa città, a me tanto cara.

Desidero, pertanto, esprimere la viva gratitudine che provo per voi e per le vostre famiglie, come per tutti coloro che rappresentate.

La pesca, frutto gustoso e profumato, vanto di questi colli ubertosi, non rappresenta soltanto una fonte di guadagno per chi la coltiva; essa può costituire il tramite di un messaggio di freschezza e di gioia. Il suo sapore e la sua fragranza sono un invito a riscoprire le genuine ricchezza della natura ed a riconoscere, al tempo stesso, in esse, la generosità del Creatore, amoroso datore di "ogni dono perfetto" (Jc 1,17).

Il mio augurio è cge ogni credente, dinanzi a questo come anche agli altri frutti della terra, sappia mettersi nell'ottica di san Paolo, il quale vedeva negli alimenti materiali "cibi che Dio ha creato per essere mangiati con rendimento di grazie dai fedeli e da quanti conoscono la verità (1Tm 4,3). Con questo auspicio, nel rinnovare a tutti voi l'attestazione della mia viva riconoscenza, sono lieto di impartirvi, quale pegno di copiosi favori celesti su di voi e sui vostri familiari ed amici, la propiziatrice benedizione apostolica.

Data: 1980-08-03 Data estesa: Domenica 3 Agosto 1980.


Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Messaggio per il V centenario della nascita di San Gaetano

Al diletto figlio Michele Tucci Preposito Generale dell'Ordine dei Chierici Regolari comunemente Teatini Nella celebrazione liturgica dei Santi la Chiesa è solita ricordare il loro giorno di nascita alla eterna beatitudine; ma è bene rinnovare anche il ricordo, con gratitudine verso Dio, datore di tutti i beni, dei giorni in cui essi sono nati alla terra. I Santi, che Dio chiama "secondo il suo disegno e la sua grazia", perché siano in particolar modo conformi all'immagine di Cristo suo Figlio, sono membra elette del Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa, modelli di perfezione evangelica, e per lo più sono costituiti perché con la loro multiforme attività lascino dei ricordi negli eventi della Chiesa e del genere umano.

Perciò con gioia di padre, o dilettissimi figli spirituali di San Gaetano da Thiene, apprendiamo che voi state per celebrare il suo quinto centenario (della nascita).

Gaetano, nato a Vicenza nell'ottobre dell'anno 1480, come secondo la verità storica è stato tramandato, in una famiglia pervasa di religiosità trovo le condizioni più adatte per corrispondere sin dall'inizio alla santità fondamentale ricevuta nel battesimo, ossia alla grazia santificante, alle virtù soprannaturali e ai doni dello Spirito Santo, che egli coltivo in sé. Per questo egli sempre più, e più fedelmente di giorno in giorno seguiva Cristo, che lo chiamava alla santità, dapprima nello stato laicale e poi in quello sacerdotale e, infine, in quello della vita religiosa.

E' bello osservarlo, giovane di buoni costumi, alunno dell'Università di Padova, dove consegui il dottorato "in utroque iure". Dopo di questo ricevette la sacra tonsura, obbedendo - è lecito congetturarlo - ad una interiore chiamata allo stato ecclesiastico; ammirarlo nell'Aula del Sommo Pontefice, nella quale, preposto all'ufficio di scrittore delle Lettere Pontificie con la dignità di Protonotario Apostolico, sotto i pontificati di Giulio II e di Leone X, che gli volevano un gran bene, lavoro con zelo per la Curia Romana.

La sua attività nell'Oratorio del Divino Amore e l'aiuto portato agli inguaribili nell'Ospizio di San Giacomo in Augusta, furono esempi di carità e di riforma interiore che egli offri, esercitando anche dell'apostolato in Confraternite di laici, specialmente a Vicenza, sua patria, e a Venezia, dove rinnovo lo spirito di quei pii sodalizi - come già quello del sodalizio romano del Divino Amore - incitando i membri a pregare in comune, ad ascoltare la parola di Dio e a meditarla, nonché a ricevere con frequenza i Sacramenti: pii esercizi, questi, che erano connotati dalla carità per i malati e i poveri, perché, come egli diceva, "non con il fervore dell'affetto, ma con il fervore dell'effetto si purificano le anime". Giustamente il Sommo Pontefice Pio XII, nella Lettera a voi diretta in occasione delle celebrazioni centenarie della morte di questo vostro fondatore, lo chiamo "apostolo ardente del Divino Amore e antesignano di misericordia cristiana".

Ma perché il carisma proprio di San Gaetano possa essere valutato esattamente, occorre piuttosto tenere conto che egli rinnovo nella Chiesa del suo tempo la vita apostolica; richiamo le persone ecclesiastiche alla santità della loro vocazione; testimonio apertamente la povertà evangelica e, insieme, imito Cristo con intensissimo ardore.

Obbedendo alla ispirazione divina Gaetano, con tre compagni, Giovanni Pietro Carafa, Vescovo di Chieti e poi Papa Paolo IV, e Paolo Consiglieri, con la professione dei voti solenni, emessa il 14 settembre dell'anno 1524 presso la tomba di San Pietro in Vaticano, diede inizio all'Istituto dei Chierici Regolari, il cui scopo era quello di ripristinare gli esempi della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme, nella quale i fedeli, mossi dallo Spirito Santo, vivevano uniti nella fede e obbedienti alle disposizioni degli apostoli, perseveranti nella frazione del pane e nelle preghiere, distribuendo a tutti, secondo il bisogno di ciascuno, i loro bani e, raccolti nell'amore di Cristo, erano un cuore solo e un'anima sola.

Si ripetevano, perciò, quelle note comunità sacerdotali che, costituite a più riprese, erano state al servizio dei Pastori e delle loro Chiese e, avendo sempre testimoniato sinceramente il Vangelo di Cristo, avevano resa sicura ogni vera riforma della Chiesa. A buon diritto l'esimio Cardinale di S.R.C. Guglielmo Sirleto, che per alcuni anni era stato ospite a Roma dei Teatini, disse di questo Istituto: "Nella cura del culto divino, nel disprezzo delle ricchezze, nel rimanente modo di vivere, seguendo le orme degli apostoli, ripropongono nella nostra età quei primi tempi della Chiesa Cristiana". Ugualmente il Cardinale Cesare Baronio, nelle note al martirologio romano, accennando ai Teatini dice: "Santamente e devotamente praticano la primitiva forma di vivere apostolica, restaurata completamente".

Questo è, secondo la storia, il carisma dello spirito di San Gaetano.

Perciò la Chiesa, celebrando nella liturgia la sua memoria, prega così: "O Dio, che al beato sacerdote Gaetano hai concesso di imitare una apostolica forma di vita"; e perciò chiede al Signore che, per la sua intercessione, le dia di aver fiducia in lui e di cercare il suo regno.

Questa noncuranza e disprezzo dei beni umani, e questa fiducia nel Padre celeste, che nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, giovo molto alla diffusione del culto del vostro fondatore, particolarmente tra i popoli detti latini, e a che fosse invocato come "il Santo della Provvidenza".

Da allora, molti insigni Ordini di Regolari, con l'aiuto di Dio, hanno imitato, innanzitutto quanto al tempo dell'istituzione (1524), l'Ordine dei Chierici Regolari, e anch'essi, osservando lo spirito della primitiva comunità apostolica, furono di grande aiuto sia per la celebrazione del Concilio di Trento e alla messa in pratica dei suoi decreti, sia alla realizzazione della riforma cattolica, che comincio ad essere effettuata nel secolo decimosesto.

Con la testimonianza di queste comunità, composte di sacerdoti riformati, San Gaetano mirava anche, e principalmente, alla riforma del clero, richiesta da quel tempo di diffusa corruzione. Dall'Istituto di San Gaetano, come dagli altri del medesimo genere, gli ecclesiastici, traevano una spinta innanzitutto per una riforma interiore, da dimostrare con una vera e totale conversione di mentalità e di costumi e con l'esercizio del ministero sacerdotale, da svolgere secondo la volontà di Cristo Sommo Sacerdote e Pontefice della Nuova Alleanza, il quale li avverte: "Badate a quello che fate". A questo proposito, un analista teatino poté dire con tutta verità: "Coloro che non avevano nessuna regola, guardandosi nello specchio dei Chierici Regolari, si sarebbero accorti di quanto fossero lontani dalla via che anch'essi dovevano seguire".

Ma nel seguire Cristo Gaetano e i compagni, imbevuti del vero spirito della povertà evangelica, offrirono un non minore esempio quanto ai beni materiali.

Con animo grande, anzi eroico, Gaetano e Giovanni Pietro Carafa, insieme con gli altri compagni che avevano pure fondato l'Istituto, lasciarono i loro beni ecclesiastici e il patrimonio. In seguito stabilirono di vivere - come ammoniva San Paolo - con le entrate del sacro ministero, poiché "l'operaio è degno della sua mercede", e delle offerte volontarie dei fedeli. Senza beni fissi e rendite, e senza mendicare, vivevano affidandosi, come figli, alla provvidenza del Padre celeste.

Questo grandissimo e quasi incredibile disprezzo delle cose umane fece si che la società di quell'epoca desse credito alla riforma che Gaetano proponeva agli ecclesiastici e, per mezzo loro, al popolo cristiano, chiamato da Dio alla perfezione evangelica del suo stato.

Gaetano poté fare tutto questo perché era spinto da grande amore di imitare Cristo; tenendo infatti gli occhi fissi in lui raggiunse il vertice della perfezione evangelica, e si consacro talmente alla carità che, prossimo agli ultimi giorni, dopo aver invocato con ardenti preghiere la clemenza divina, offri a Dio la sua vita per impetrare la pace per la città di Napoli, turbata da cruente lotte cittadine: cosa che i suoi biografi narrano concordemente.

Perciò non c'è chi non veda quanto anche di questi tempi valgano gli insegnamenti di San Gaetano per ciò che riguarda l'utilità delle anime e della società.

Giustamente San Gaetano può essere proposto alla imitazione dei fedeli: perché ebbe spirito sacerdotale, appassionatissimo di rinnovare continuamente l'uomo interiore, per dedicarsi meglio all'amore di Dio e del prossimo, nel quale risiede la perfezione cristiana; perché con infaticabile ardore cerco di rinnovare realmente la Chiesa del suo tempo, "sempre bisognosa di essere riformata"; perché con sincerità e forza torno alle fonti pure del Vangelo e alla forma di vita degli apostoli e dei discepoli del Signore, sia nella pratica della povertà privata e comunitaria, sia nel modo di vivere dei cristiani, uniti dall'amore di Cristo in un cuore solo e un'anima sola; perché fervidamente curo il decoro della Casa di Dio e di un degno servizio liturgico, alla cui celebrazione la sua famiglia religiosa doveva provvedere in modo particolare; perché continuamente fu al servizio degli ammalati, dei poveri, degli emarginati, degli appestati e dei colpiti da malattie ripugnanti - simili veramente alle calamità di quest'epoca; perché, infine, si affido, con fiducia alla provvida bontà del Padre celeste, il quale esorta l'uomo a guardare, sperare e raggiungere le cose che sorpassano il modo di sentire di questo mondo, teso solo all'utile e riprovato dal Concilio Ecumenico Vaticano II; perché rifulse per tutti questi meriti e doti dell'anima.

Lieti di partecipare con voi, in qualche modo, a queste celebrazioni, con questa lettera, senza dubbio a voi soprattutto gradita, specialmente perché San Gaetano amo intensamente la fede di Pietro, vi esortiamo nel Signore ad imitare sempre il vostro fondatore, come lui imito Cristo: e ciò senz'altro farete seguendo Cristo, aiutando i fedeli nell'anima e nel corpo; esercitando le opere del vostro ministero sacerdotale, contribuendo alla edificazione del corpo di Cristo.

Con questi sentimenti, diletto figlio, benevolmente impartiamo a te e a tutta la famiglia religiosa, alla quale sei a capo, la Benedizione Apostolica, auspice di grazie celesti.

Dai Palazzi Vaticani, il 7 agosto, anno 1980, secondo del nostro pontificato.

[Traduzione dal latino]

Data: 1980-08-06 Data estesa: Mercoledi 6 Agosto 1980.


Telegrammi di partecipazione al lutto che ha colpito l'Italia

Eminentissimo Cardinale Antonio Poma Arcivescovo di Bologna Presente con l'animo angosciato all Eucaristia celebrata in suffragio delle numerose vittime della strage che ha funestato codesta città e gettato nel lutto l'Italia intera chiedo al Signore che accolga nella sua pace eterna coloro che l'ignobile violenza omicida ha privato della vita consoli con la fermezza della fede e della speranza cristiana quanti ne piangono l'orribile fine dia coraggio alla diletta nazione italiana per proseguire nel cammino del progresso, della prosperità, della concordia e nella edificazione di una autentica e duratura civiltà dell'amore mentre in pegno dell'aiuto divino e della mia commossa benevolenza imparto a tutti i partecipanti al mesto rito di suffragio la particolare confortatrice Benedizione Apostolica.

Ioannes Paulus PP. II Sua Eccellenza Onorevole Sandro Pertini Presidente della Repubblica Italiana Nella mestissima giornata di lutto in cui l'intera nazione italiana rivolge reverente e commossa il pensiero alle ignare vittime di una violenza esecranda e distruttrice che ha perduto ogni elementare rispetto dovuto all'uomo indifeso esprimo a lei, Signor Presidente, e a tutto il Paese la mia partecipazione intima e sofferta al comune dolore, auspico che al di sopra dell'odio omicida la società italiana continui a costruirsi nella operosità, nella mutua collaborazione e nell'amore che vince anche l'orrore della follia terroristica e prego il Signore che in codesto doloroso travaglio non lasci mancare il suo aiuto onnipotente e la sua Benedizione consolatrice, auspicio di più sereno avvenire.

Ioannes Paulus PP. II

Data: 1980-08-06 Data estesa: Mercoledi 6 Agosto 1980.


L'omelia alla messa per il Comitato italiano di solidarietà per giovani drogati - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Per vincere la droga è necessaria la solidarietà

Carissimi figli e fratelli! Avete desiderato questo incontro eucaristico con il Papa per esprimere in modo concreto la vostra fede e la vostra devozione; ed io, accogliendovi attorno all'altare del Signore vi porgo il mio saluto più cordiale e vi esprimo la mia profonda gratitudine. Voi infatti mi date l'occasione di incontrarmi con delle persone serie e impegnate, che partecipano attivamente alle ansie e alle preoccupazioni della Chiesa e che portano delle esperienze, talvolta drammatiche e tuttavia utili per sovvenire a tanti disagi e a tante necessità della società moderna.

La vostra presenza, così deferente e affettuosa, mi è di grande conforto: voi infatti comprendete la sollecitudine del vicario di Cristo, che, come pastore responsabile, immerso in questa società del XX secolo, sente la responsabilità di illuminare e guidare tutti gli uomini. Voi gli offrite il vostro aiuto, la vostra preghiera, la vostra sincera collaborazione. Dove non può arrivare lui, giungete voi, per alleviare pene e sofferenze, per diradare dubbi e apprensioni, per salvare chi nella sconfitta e nella desolazione disperatamente invoca aiuto! Voi mi date fiducia e speranza, e perciò vi ringrazio sentitamente.

L'opera di recupero e di prevenzione dalle nefaste e terribili conseguenze della droga è attualmente non solo benemerita, ma necessaria: la strada in cui giacciono i tanti feriti e percossi dai traumi dolorosi della vita si è spaventosamente allargata, e tanto piu c'è bisogno di buoni samaritani.

In modo speciale, prendendo lo spunto da questa celebrazione eucaristica, vorrei farvi alcune concrete esortazioni.

Dicono gli psicologi e i sociologi che la prima causa che spinge giovani ed adulti alla deleteria esperienza della droga è la mancanza di chiare e convincenti motivazioni di vita. Infatti la mancanza di punti di riferimento, il vuoto dei valori, la convinzione che nulla abbia senso e che pertanto non valga la pena di vivere, il sentimento tragico e desolato di essere dei viandanti ignoti in un universo assurdo, può spingere alcuni alla ricerca di fughe esasperate e disperate.

Già lo scriveva la ben nota pensatrice francese Raïssa Maritain, narrando le esperienze della sua giovinezza, all'inizio del secolo, quando era studente alla Sorbona di Parigi ed aveva perso ogni fede: "Tutto diventava assurdo e inaccettabile... L'assenza di Dio spopolava l'universo. Se dobbiamo rinunciare a trovare un senso qualunque alla parola "verità", alla distinzione del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto, non è più possibile vivere umanamente. Non volevo saperne di una tale commedia - dice la scrittrice -. Avrei accettato una vita dolorosa, non una vita assurda... O la giustificazione del mondo era possibile, ed essa non poteva farsi senza una conoscenza veritiera; o la vita non valeva la pena di un istante di attenzione". E concludeva con drammatico realismo: "Quest'angoscia metafisica che penetra alle sorgenti stesse del desiderio di vivere, è capace di divenire una disperazione totale e di sfociare nel suicidio".

("I grandi amici", Vita e Pensiero, Milano, 1955, pp. 73-75).

Sono parole che fanno pensare: gli uomini hanno bisogno della verità; hanno la necessità assoluta di sapere perché vivono, muoiono, soffrono! Ebbene: voi sapete che la "verità" è Gesù Cristo! Lui stesso l'ha affermato categoricamente: "Io sono la verità!" (Jn 14,6), "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non cammina nelle tenebre" (Jn 8,12). Amate dunque la verità! Portate la verità al mondo! Testimoniate la verità che è Gesù, con tutta la dottrina rivelata da Lui stesso ed insegnata dalla Chiesa, divinamente assistita ed ispirata. E' la verità che salva i nostri giovani: la verità tutta intera, illuminante ed esigente come è! Non abbiate paura della verità e opponete solo e sempre Gesù Cristo ai tanti maestri dell'assurdo e del sospetto, che possono magari affascinare, ma che poi fatalmente portano alla distruzione.

C'è un secondo motivo, sempre a detta degli esperti, che spinge alla ricerca dei "paradisi artificiali" nei vari tipi di droga, ed è la struttura sociale carente e non soddisfacente.

Indubbiamente è questo un argomento molto importante, ma anche assai difficile e complicato. Infatti stiamo assistendo al diffondersi e al radicarsi in tutti gli Stati di una "morale laica", che prescinde quasi totalmente dalla morale oggettiva, cosiddetta "naturale", e dalla morale rivelata dal Vangelo. Noi non vogliamo fare il processo alla società: dobbiamo pero costatare che tante carenze nella struttura della società, come la disoccupazione, la mancanza di alloggi, l'ingiustizia sociale, l'arrivismo politico, l'instabilità internazionale, l'impreparazione al matrimonio, la legalizzazione dell'aborto e del divorzio, causano fatalmente un senso di sfiducia e di oppressione, che può sfociare talvolta anche in esperienze paurosamente negative.

Non dobbiamo perderci d'animo! Nonostante le difficoltà, continuate ad influenzare in bene la società; portate il vostro contributo fattivo anche in campo politico e legislativo; sostenete sempre e con entusiasmo quello che deve essere il primo e principale intento di ogni organismo e di ogni Stato: il rispetto e l'amore per l'uomo! Ciò che scriveva san Giovanni ai primi cristiani, vale anche oggi: "Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio.

Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita" (1Jn 5,11).

A questo proposito, mi associo con tutta la profonda partecipazione del mio spirito alle preoccupazioni espresse dall'"Associazione Medici Cattolici Italiani" circa la proposta di legge riguardante la liberalizzazione delle droghe erroneamente definite "leggere" e la facoltà di somministrare eroina in ambiente ospedaliero (XV Congresso Nazionale, Assisi, novembre 1979; VI Congresso Europeo, Bruxelles, maggio 1980). Come ormai dimostra la dolorosa esperienza di alcune nazioni, una legislazione più permessiva in tale campo, non serve né per prevenire né per redimere.

Infine, dicono ancora gli esperti di psicosociologia, causa del fenomeno della droga è anche il senso di solitudine e di incomunicabilità che purtroppo pesa nella società moderna, rumorosa ed alienata, ed anche nella stessa famiglia.

E' un dato di fatto dolorosamente vero che, insieme con l'assenza di intimità con Dio, fa comprendere ma non certo giustificare, la fuga nella droga per dimenticare, per stordirsi, per evadere da situazioni diventate insopportabili e opprimenti, addirittura per iniziare volutamente un viaggio senza ritorno.

In effetti, il mondo moderno ha un estremo bisogno di amicizia, di comprensione, di amore, di carità. Portate dunque con perseveranza e con sensibilità la vostra carità, il vostro amore, il vostro aiuto! E' la carita che salva e si fa via alla verità! Sempre più si comprende che il giovane, avvinto nelle spire avvelenate della droga, ha bisogno essenziale di sentirsi amato e compreso per redimersi e riprendere la strada normale di chi accetta la vita nella prospettiva dell'eternità. Ma soprattutto, siate i portatori e i testimoni dell'amore e della misericordia di Dio, l'amico che non tradisce e che continua ad amare e ad attendere con fiduciosa speranza. Come sono vere e commoventi le parole scritte da santa Teresa di Gesù Bambino nella sua ultima malattia: "Si, lo sento: avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono commettere, mi getterei ugualmente fra le braccia di Gesù, col cuore affranto di pentimento, perché so quanto egli ami il figlio prodigo che ritorna a lui"(S.Teresa di Gesù Bambino, "Ms.C.").

Carissimi! Ecco il vostro compito e la vostra consegna: portate fiducia e amore! La Sacra Scrittura per bocca dell'antico profeta dice che "il giusto vivrà per la sua fede" (Ab 2,4 cfr. Rm 1,17ss; Ga 3,11) e Gesù esorta ad avere fede pari almeno ad un granellino di senapa (Mt 17,18-19).

Anche voi siete impegnati a salvare la società con amore e con fede! Raccomandatevi ogni giorno a Maria santissima, pregatela ogni giorno con affetto e confidenza, affinché illumini sempre i vostri pensieri e guidi i vostri passi sulle strade del mondo, a sollievo di tanti che hanno bisogno di incontrare il suo cuore immacolato e materno! E vi accompagni la mia propiziatrice benedizione! Rispondendo ad un saluto rivoltogli da don Picchi, il santo padre dice tra l'altro.

A volte si abbracciano le persone con le mani; altre volte ci si trova in una situazione un po' diversa, preferendo abbracciare le persone con le parole.

Ciò quando ci troviamo in momenti di riflessione. E quello che viviamo oggi è un momento di riflessione, di riflessione sui problemi fondamentali della vita, dell'esistenza umana, della sofferenza umana e della fiducia, della speranza che ci rimane sempre e comunque. Alla fine di questo incontro allora vorrei ancora una volta abbracciare tutti voi con queste parole. Vorrei abbracciare soprattutto i giovani, questi giovani che, come hanno dimostrato recentemente, hanno potuto vincere e dare una testimonianza del come si possa vincere e recuperare la propria umanità, la propria libertà e il senso dell'"essere", dell'essere uomo e di vivere tra gli uomini.

Essi hanno potuto vincere e questa è la cosa più importante di tutto il lavoro che si compie nel Centro Italiano di Solidarietà e nei diversi centri mondiali, soprattutto in quello statunitense e dovunque nel mondo. Se noi dobbiamo affrontare quel grande pericolo per la persona umana, per l'uomo qualunque, e soprattutto per l'uomo giovane che è la droga, dobbiamo avere le prove della possibilità di vincere.

Se abbiamo la certezza che si può vincere, una certezza provata attraverso le persone che hanno vinto, allora possiamo affrontare il pericolo con speranza.

Allora voi, giovani che avete vinto, diventate per gli altri una testimonianza di speranza, una testimonianza della vittoria possibile; diventate anche per la società preoccupata del fenomeno droga un nuovo impulso per lottare, per impegnare tutte le forze, tutta la buona volontà; ne vale la pena perché la vittoria è possibile. Ecco, con queste parole conclusive vorrei abbracciare tutti i presenti, non solo i giovani ma anche tutti gli altri che partecipano all'impegno sociale contro la droga, contro il pericolo della droga. Un pericolo diretto per l'umanità, per la personalità umana.

Tutti quelli che nella società e nella Chiesa partecipano agli sforzi per vincere la droga, si trovano tra noi oggi, nella nostra comune preghiera ed anche in quella testimonianza che ha quasi completato la nostra preghiera. Che possano trovare un incitamento, un incoraggiamento a continuare. A voi tutti, io, come vostro Vescovo, voglio ripetere i miei ringraziamenti. Siamo veramente uniti in questa preoccupazione ed in questa lotta. Siamo veramente uniti come amici, come cristiani, come discepoli di Cristo perché lui è presente in tutti quelli che soffrono, lui è veramente, realmente, presente in ciascun giovane che soffre le esperienze della droga, tristi e dolorose. Se noi ci impegniamo per aiutare questi giovani, noi troviamo lui stesso in ciascuno di questi che cerchiamo di aiutare. E così voglio ringraziare tutti coloro che si impegnano, tutti i sacerdoti, le suore religiose, tutti i laici che diversamente partecipano a quest'impegno sociale, religioso e apostolico, che oggi ho avuto la possibilità e la gioia di incontrare.

Per questo incontro, vi ringrazio cordialmente, profondamente, e dico ancora una volta: nello spirito abbraccio tutti voi come miei amici, come miei fratelli e sorelle. Vi ringrazio e vi dico: continuate! Sia lodato Gesù Cristo.

Data: 1980-08-09 Data estesa: Sabato 9 Agosto 1980.


GPII 1980 Insegnamenti - Alla nuova Curia Generale dei Lazzaristi - Castel Gandolfo (Roma)