GPII Discorsi 2000 1802

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Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Con grande gioia vi incontro in questa Basilica, a cui hanno posto mano alcuni tra i sommi geni dell'architettura e della scultura. Benvenuti! Saluto il Signor Cardinale Roger Etchegaray, che ha presieduto la celebrazione della Santa Messa. Con lui saluto l'Arcivescovo Mons. Francesco Marchisano, Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, e gli altri Presuli e Sacerdoti. Saluto pure le Autorità civili intervenute e gli Artisti presenti. A tutti va il mio apprezzamento per questa intensa testimonianza di fede. Nessuno come voi, cari cultori dell'arte, può sentirsi a casa sua qui, dove fede ed arte si incontrano in modo tanto singolare, elevandoci alla contemplazione della gloria divina.

Ne avete fatto esperienza or ora nella celebrazione eucaristica, cuore della vita ecclesiale. Se, come ha detto il Concilio, "nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste" (Sacrosanctum Concilium
SC 8), ciò acquista particolare evidenza nello splendore di questo tempio. Esso ci porta col pensiero alla Gerusalemme celeste, nella quale - secondo l'espressione dell'Apocalisse - le fondamenta sono "adorne di ogni specie di pietre preziose" (21,19), e non c'è più bisogno della luce del sole e della luna, "perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello" (21, 23).

2. Sono lieto di rinnovare a voi, oggi, i sentimenti di stima che espressi lo scorso anno nella mia Lettera agli artisti. E' ora che si riallacci quella feconda alleanza tra Chiesa ed arte che ha segnato largamente il cammino del cristianesimo in questi due millenni. Ciò suppone la vostra capacità, cari artisti credenti, di vivere profondamente la realtà della fede cristiana, così che essa diventi generatrice di cultura e doni al mondo nuove «epifanie» della bellezza divina, riflessa nella creazione.

E' appunto per esprimere la vostra fede che oggi siete qui. Siete venuti per celebrare il Giubileo. Che cosa significa questo, in ultima analisi, se non fissare lo sguardo sul volto di Cristo, per riceverne la misericordia e lasciarsi inondare dalla sua luce? Il Giubileo è Cristo! E' lui la nostra salvezza e la nostra gioia, è lui il nostro canto e la nostra speranza. Chi entra in questa Basilica per la Porta Santa, lo incontra innanzitutto volgendo gli occhi alla Pietà di Michelangelo, quasi confondendo lo sguardo con quello di Maria nel suo abbraccio al corpo senza vita del Figlio. Quel corpo martoriato, e pur dolce, del "più bello tra i figli dell'uomo" (Ps 45,3), è sorgente di vita. Maria, figura dell'umanità nuova, essa stessa salvata, lo consegna a ciascuno di noi come seme di risurrezione. Noi infatti – come ci insegna l'apostolo Paolo - "per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme con lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,4).

3. Il Giubileo ci chiede di accogliere questa grazia di risurrezione così che essa penetri in tutte le pieghe della nostra vita, risanandola non solo dal peccato, ma anche dalle scorie che esso lascia in noi persino dopo che ci siamo riconciliati con Dio. Si tratta, in certo senso, di «scalpellare» la pietra del nostro cuore, perché affiorino i lineamenti di Cristo, l'Uomo nuovo.

L'Artista che può far questo in profondità è lo Spirito Santo. Egli tuttavia esige la nostra corrispondenza e docilità. La conversione del cuore è, per così dire, opera d'arte comune dello Spirito e della nostra libertà. Voi artisti, abituati a modellare le più diverse materie secondo l'estro del vostro genio, sapete quanto somigli alla fatica artistica lo sforzo quotidiano di migliorare la propria esistenza. Come scrivevo nella Lettera a voi dedicata, "nella «creazione artistica» l'uomo si rivela più che mai «immagine di Dio», e realizza questo compito prima di tutto plasmando la stupenda «materia» della propria umanità e poi anche esercitando un dominio creativo sull'universo che lo circonda" (Lettera agli artisti, 1). Tra l'arte di formare se stessi e quella che si esplica nella trasformazione della materia c'è una singolare analogia.

4. Nell'uno e nell'altro compito il punto di partenza è sempre un dono dall'alto. Se la creazione artistica ha bisogno di una «ispirazione», il cammino spirituale ha bisogno della grazia, che è il dono con cui Dio comunica se stesso, avvolgendo di amore la nostra vita, dando luce ai nostri passi, bussando al nostro cuore, fino ad abitarlo e renderlo tempio della sua santità: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Jn 14,23).

Questo dialogo con la grazia impegna soprattutto sul piano etico, ma tocca tutte le dimensioni della nostra esistenza, ed acquista una sua espressione peculiare nell'esercizio del talento artistico. Nel vostro spirito Dio si lascia intravedere attraverso il fascino e la nostalgia della bellezza. Non c'è dubbio, infatti, che l'artista viva con la bellezza una particolare relazione e si può anzi dire che la bellezza sia "la vocazione a lui rivolta dal Creatore" (Lettera agli artisti, 10). Se si è capaci di scorgere nelle molteplici manifestazioni del bello un raggio della bellezza suprema, allora l'arte diventa una via verso Dio, e spinge l'artista a coniugare il suo talento creativo con l'impegno di una vita sempre più conforme alla legge divina. Talvolta proprio il confronto tra lo splendore della realizzazione artistica e la pesantezza del proprio cuore può destare quell'inquietudine salutare, che fa sentire il desiderio di superare la mediocrità e iniziare una vita nuova, aperta con generosità all'amore di Dio e dei fratelli.

5. E' allora che la nostra umanità si libra in alto, in un'esperienza di libertà, e direi d'infinito, come quella che ancora Michelangelo ci ispira nella cupola che insieme sovrasta e corona questo tempio. Guardata dall'esterno, essa sembra disegnare un curvarsi del cielo sulla comunità raccolta in preghiera, quasi a simboleggiare l'amore con cui Dio si fa ad essa vicino. Contemplata dall'interno, nel suo vertiginoso slancio verso l'alto, essa evoca invece il fascino insieme e la fatica dell'elevarsi verso il pieno incontro con Dio.

Proprio a questa elevazione, cari artisti, vi chiama l'odierna celebrazione giubilare. Essa è invito a praticare la stupenda «arte» della santità.Se essa dovesse sembrare troppo difficile, vi sia di conforto il pensiero che in questo cammino non siamo soli: la grazia ci sostiene anche attraverso quell'accompagnamento ecclesiale, con cui la Chiesa si fa madre per ciascuno di noi, ottenendo dallo Sposo divino sovrabbondanza di misericordia e di doni. Non è forse questo senso della «mater Ecclesia» che il Bernini ha efficacemente evocato nell'abbraccio solenne del colonnato? Quelle braccia maestose sono pur sempre braccia materne, che si aprono all'umanità intera. In esse accolto, ogni membro della Chiesa può sentirsi rinfrancato nel suo passo di pellegrino, in cammino verso la patria.

La nostra riflessione torna così al punto da cui era iniziata, allo splendore della Gerusalemme celeste, a cui aneliamo come popolo di Dio pellegrinante.

Vi auguro, cari artisti, di sentirvi sempre attratti da quello splendore e, a conforto del vostro impegno, vi imparto di cuore la mia Benedizione.



AI PARTECIPANTI AL GIUBILEO DEI DIACONI PERMANENTI

19 febbraio 2000

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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Carissimi Diaconi e familiari!

1. Con grande gioia vi incontro in questo significativo appuntamento giubilare. Saluto il Prefetto della Congregazione per il Clero, il Cardinale Darío Castrillón Hoyos, e i suoi collaboratori, che hanno curato queste intense giornate di preghiera e di fraternità. Saluto i Signori Cardinali e i Presuli qui convenuti. Saluto specialmente voi, carissimi Diaconi permanenti, le vostre famiglie e quanti vi hanno accompagnato in questo pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli.

Siete venuti a Roma per celebrare il vostro Giubileo: vi accolgo con affetto! L'occasione è quanto mai propizia per approfondire il significato e il valore della vostra identità stabile e non transeunte di ordinati non per il sacerdozio, ma per il diaconato (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium
LG 29). Quali ministri del popolo di Dio, siete chiamati ad operare con l'azione liturgica, con l'attività didattico-catechistica e con il servizio della carità in comunione con il Vescovo ed il Presbiterio. E questo singolare anno di grazia, che è il Giubileo, mira a farvi riscoprire ancora più radicalmente la bellezza della vita in Cristo. La vita in Lui, che è la Porta Santa!

2. In effetti, il Giubileo è tempo forte di verifica e di purificazione interiore, ma anche di recupero di quella missionarietà che è insita nel mistero stesso di Cristo e della Chiesa. Chi crede che Cristo Signore è la via, la verità e la vita, chi sa che la Chiesa è il suo prolungamento nella storia, chi di tutto questo fa esperienza personale non può fare a meno di diventare, per ciò stesso, ardentemente missionario. Cari Diaconi, siate attivi apostoli della nuova evangelizzazione. Portate tutti a Cristo! Si dilati, grazie anche al vostro impegno, il suo Regno nella vostra famiglia, nel vostro ambiente di lavoro, nella parrocchia, nella Diocesi, nel mondo intero!

La missione, almeno quanto ad intenzione e passione, deve urgere nel cuore dei sacri ministri e sospingerli fino al dono totale di sé. Non arrestatevi davanti a nulla, proseguite nella fedeltà a Cristo, seguendo l'esempio del diacono Lorenzo, la cui venerata ed insigne reliquia avete voluta qui, per questa occasione.

Anche ai nostri tempi non mancano persone che Dio chiama al martirio cruento; molto più numerosi, però, sono i credenti sottoposti al "martirio" dell'incomprensione. Non si turbi il vostro animo per le difficoltà ed i contrasti, ma, al contrario, cresca nella fiducia in Gesù che ha redento gli uomini mediante il martirio della Croce.

3. Cari Diaconi, inoltriamoci nel nuovo millennio insieme con tutta la Chiesa, che spinge i suoi figli a purificarsi, nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi (cfr Lett. Ap. Tertio millennio adveniente, 33). I primi ad offrire l'esempio non potrebbero non essere i ministri ordinati: Vescovi, Presbiteri, Diaconi. Questa purificazione, questo pentimento sono da intendersi soprattutto in riferimento a ciascuno di noi personalmente. Vengono interpellate in primo luogo le nostre coscienze di sacri ministri operanti in questo tempo.

Innanzi alla Porta Santa, avvertiamo la necessità di "uscire" dalla nostra terra egoistica, dai nostri dubbi, dalle nostre infedeltà e sentiamo impellente l'invito ad "entrare" nella terra santa di Gesù, che è la terra della piena fedeltà alla Chiesa Una, Santa, Cattolica ed Apostolica. Risuonano nel nostro animo le parole del divino Maestro: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e stanchi ed io vi ristorerò" (Mt 11,28).

Cari Diaconi, alcuni di voi sono forse affaticati per gli impegni gravosi, per la frustrazione a seguito di iniziative apostoliche non riuscite, per l'incomprensione di molti. Non perdetevi di coraggio! Abbandonatevi fra le braccia di Cristo: Egli vi ristorerà. Sia questo il vostro Giubileo: un pellegrinaggio di conversione a Gesù.

4. Fedeli in tutto a Cristo, carissimi Diaconi, sarete pure fedeli ai vari ministeri che la Chiesa vi affida. Quanto prezioso è il vostro servizio alla Parola e alla catechesi! Che dire poi della diaconía dell'Eucaristia, che vi pone a diretto contatto con l'altare del Sacrificio nel servigio liturgico?

Giustamente, inoltre, voi vi impegnate a vivere in modo inseparabile il servizio liturgico con quello della carità nelle sue espressioni concrete. Questo rende evidente come il segno dell'amore evangelico non sia riducibile a categorie puramente solidaristiche, ma si ponga come coerente conseguenza del mistero eucaristico.

In forza del vincolo sacramentale, che vi lega ai Vescovi ed ai Presbiteri, voi vivete pienamente la communio ecclesiale. La fraternità diaconale nella vostra Diocesi, pur non costituendo una realtà strutturale analoga a quella dei Presbiteri, vi sprona a condividere la sollecitudine dei Pastori. Dall'identità diaconale scaturiscono con chiarezza tutti i lineamenti della vostra specifica spiritualità, che si presenta essenzialmente come spiritualità di servizio.

5. Carissimi, il Giubileo è tempo propizio per restituire a questa identità e a questa spiritualità la propria fisionomia originaria ed autentica, così da rinnovare interiormente e mobilitare ogni energia apostolica.

La domanda di Cristo: "Quando il figlio dell'uomo tornerà, troverà la fede sulla terra?" (Lc 18,8) risuona con singolare eloquenza in questa occasione giubilare.

La fede va trasmessa, va comunicata. E' anche vostro compito partecipare alle giovani generazioni l'unico e immutabile Vangelo della salvezza, perché il futuro sia ricco di speranza per tutti.

Vi sostenga in questa missione la Santa Vergine. Io vi accompagno con la mia preghiera, avvalorata da una speciale Benedizione Apostolica, che imparto di cuore a voi, alle vostre spose, ai vostri figli e a tutti i Diaconi che servono il Vangelo in ogni parte del mondo.




AI RESPONSABILI DELLA COMUNITÀ MONDIALE DI VITA CRISTIANA

Lunedì, 21 Febbraio 2000

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Con grande gioia vi do il benvenuto in Vaticano, Responsabili della Comunità Mondiale di Vita Cristiana, e in particolare saluto il vostro Presidente, il sig. José María Riera, i membri del Comitato Esecutivo della Comunità e il vostro vice Assistente ecclesiastico, che rappresenta il Superiore Generale della Società di Gesù. Avete voluto essere qui oggi per poter proclamare pubblicamente, durante questo Grande Giubileo dell'Anno 2000, il vostro desiderio che Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Maria, sia il centro autentico della vita apostolica di tutta la vostra Comunità.

La vostra è la tradizione lunga e ricca delle Congregazioni mariane, che risalgono al XVI secolo, all'iniziativa di s. Ignazio da Loyola e dei suoi compagni. Nel corso dei secoli, i Pontefici hanno sostenuto e incoraggiato l'apostolato delle Congregazioni, anche attraverso la pubblicazione di documenti pontifici. Nel 1968, le Congregazioni Mariane, unite alla Federazione Mondiale, hanno chiesto a Paolo VI di approvare i nuovi Principi Generali e gli Statuti della Federazione e nel 1971 il nome della Congregazione è stato trasformato in "Federazione Mondiale delle Comunità di Vita Cristiana". Più recentemente, nel 1990, con l'approvazione da parte della Sede Apostolica dei Principi Generali e delle Norme, siete diventati la "Comunità Mondiale di Vita Cristiana".

Nonostante questi cambiamenti di nome e di struttura, la Comunità resta fedele alle comuni radici spirituali che condivide con la Società di Gesù e alla tradizione ignaziana che ha ereditato.

Attualmente siete presenti in cinquantaquattro Paesi in tutto il mondo come comunità unita di laici e laiche che rendono testimonianza di Gesù Cristo e operano per edificare il Regno. Traete ispirazione e forza per questo compito dagli esercizi spirituali di s. Ignazio. L'enfasi che ponete su una formazione cristiana completa e accurata vi è di particolare aiuto nel compiere il vostro apostolato. Quali membri del laicato siete chiamati a essere testimoni fedeli di Gesù Cristo in tutti i settori della vita: nella famiglia, nella vita professionale, nel mondo della politica e della cultura, nelle comunità ecclesiali locali alle quali appartenete. Sono lieto di apprendere che, quali responsabili della Comunità di Vita Cristiana, avete chiesto ai vostri gruppi individuali di cooperare più intensamente durante questo anno giubilare con i loro Pastori locali e di rafforzare i vincoli d unione con i Vescovi diocesani.

In obbedienza alla "potenza di Dio" (
Rm 1,16), vi sforzate di portare nel cuore della cultura umana gli insegnamenti della Chiesa che illuminano e orientano l'anelito a una società più giusta e fraterna. Siete particolarmente sensibili alla necessità di portare il Vangelo a supportare tutte le realtà umane, "la Buona novella di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell'uomo decaduto... continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli" (Gaudium et spes GS 58). L'abilità di compiere questo difficile apostolato deriva dallo sforzo quotidiano per essere conformi a Cristo, vivendo nella sua grazia e coltivando in se stessi i suoi medesimi sentimenti (cfr Ph 2,5). Mediante l'adesione fedele a questi fini nobili la vostra vita di fede risulterà arricchita e la vostra testimonianza di Gesù Cristo nella società moderna recherà frutti abbondanti nella vita della Chiesa.

Vi invito a ricordare sempre la vostra storia e la vostra tradizione, in particolare quelle incarnate dalle prime Congregazioni mariane dalle quali trae ispirazione l'attuale Comunità Mondiale di Vita Cristiana. Rinnovate la vostra fiducia nella Beata Vergine Maria, Madre di nostro Signore Gesù Cristo e nostra Madre. Il suo esempio di fede e di preghiera vi porterà a livelli sempre più elevati di servizio generoso alla Chiesa e alla società. È l'esempio più eloquente di obbedienza al Signore e di accettazione della sua volontà. Con Lei come modello, Gesù sarà certamente il centro della vostra vita e del vostro apostolato. Invocando su tutti i membri della Comunità Mondiale di Vita Cristiana la grazia e la pace di nostro Signore Gesù Cristo, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.



MESSAGGIO ALLA VI SESSIONE PLENARIA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DI SCIENZE SOCIALI

23 febbraio 2000

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Ai Partecipanti alla Sesta Sessione Plenaria
della Pontificia Accademia di Scienze Sociali

1. Sono lieto di salutarvi in occasione della Sesta Sessione Plenaria della Pontificia Accademia di Scienze Sociali. Ringrazio Lei, Presidente, Professor Edmond Malinvaud, e tutti voi, membri dell'Accademia, per la vostra dedizione e il vostro impegno nell'opera che intraprendete per il bene della Chiesa e della famiglia umana.

Come sapete, la dottrina sociale della Chiesa intende essere un veicolo attraverso il quale portare il Vangelo di Gesù Cristo nelle diverse situazioni culturali, economiche e politiche che gli uomini e le donne di oggi devono affrontare. È in questo preciso contesto che la Pontificia Accademia di Scienze Sociali rende un importantissimo contributo: in quanto esperti nelle varie discipline sociali e seguaci del Signore Gesù, partecipate a quel dialogo fra la fede cristiana e la metodologia scientifica che cerca risposte autentiche ed efficaci ai problemi e alle difficoltà che affliggono la famiglia umana. Come disse il mio predecessore Papa Paolo VI: "ogni azione sociale implica una dottrina" (Populorum progressio PP 39) e l'Accademia contribuisce a garantire che le dottrine sociali non ignorino la natura spirituale degli esseri umani, il loro anelito profondo alla felicità e il loro destino soprannaturale che trascende gli aspetti della vita meramente biologici e materiali. Il compito della Chiesa, suo diritto e dovere, è di enunciare i fondamentali principi etici che governano la base e il giusto funzionamento della società, all'interno della quale uomini e donne compiono il proprio pellegrinaggio verso il loro destino trascendente.

2. Il tema scelto per la Sesta Sessione Plenaria dell'Accademia, "Democrazia - Realtà e Responsabilità", rappresenta un tema molto importante per il nuovo millennio. Anche se è vero che la Chiesa non offre un modello concreto di governo o di sistema economico (cfr Centesimus annus
CA 43), "la Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno" (ibidem, n. 46).

All'alba del Terzo Millennio la democrazia deve affrontare una grave questione. Esiste infatti la tendenza a considerare il relativismo intellettuale come il corollario necessario di forme democratiche di vita politica. Da tale punto di vista, la verità è determinata dalla maggioranza e varia secondo transitorie tendenze culturali e politiche. Quanti sono convinti che certe verità siano assolute e immutabili vengono considerati irragionevoli e inaffidabili. D'altro canto, in quanto cristiani crediamo fermamente che "se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia" (Centesimus annus CA 46).

Per questo è importante che i cristiani vengano aiutati a dimostrare che la difesa delle norme morali universali e immutabili è un servizio reso non solo agli individui, ma anche alla società nella sua interezza: tali norme "costituiscono, infatti, il fondamento incrollabile e la solida garanzia di una giusta e pacifica convivenza umana, e quindi di una vera democrazia" (Veritatis splendor VS 96).

Infatti, la democrazia stessa è un mezzo e non un fine, e "il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna e promuove" (Evangelium vitae EV 70). Questi valori non si possono basare su un'opinione mutevole, ma solo sul riconoscimento di una legge morale oggettiva, che resta sempre il necessario punto di riferimento.

3. Al contempo, la Chiesa rifiuta di sposare l'estremismo o il fondamentalismo che, nel nome di un'ideologia che sostiene di essere scientifica o religiosa, rivendica il diritto di imporre agli altri la sua idea di ciò che è giusto e buono. La verità cristiana non è un'ideologia. Piuttosto riconosce che le mutevoli realtà politiche e sociali non possono essere confinate nell'ambito di strutture rigide. La Chiesa riafferma costantemente la dignità trascendente della persona umana e difende sempre la libertà e i diritti umani. La libertà che la Chiesa promuove trova il suo pieno sviluppo e la sua autentica espressione solo nell'apertura e nell'accettazione della verità. "In un mondo senza verità la libertà perde la consistenza, e l'uomo è esposto alla violenza delle passioni e a condizionamenti aperti od occulti" (Centesimus annus CA 46).

4. Senza dubbio, il nuovo millennio assisterà al progredire del fenomeno di globalizzazione, quel processo per mezzo del quale il mondo diventa sempre più un tutto omogeneo. In questo contesto è importante ricordare che la "salute" di una comunità politica si può valutare in massima parte in base alla partecipazione libera e responsabile di tutti i cittadini agli affari pubblici. Infatti, questa partecipazione è "condizione necessaria e garanzia sicura di sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini" (Sollicitudo rei socialis SRS 44). In altre parole, le unità sociali più piccole, siano esse nazioni, comunità, gruppi etnici o religiosi, famiglie o individui, non devono essere assorbite in maniera anonima in un conglomerato più grande, perdendo in tal modo la propria identità e vedendo usurpate le loro prerogative. Piuttosto, l'autonomia propria di ogni classe e organizzazione sociale, ognuna nella sua sfera, va difesa e sostenuta. Non è altro che il principio della sussidiarietà, che esige che una comunità di ordine superiore non interferisca nella vita interna di una comunità di ordine inferiore, privando quest'ultima delle sue funzioni legittime. Al contrario l'ordine superiore dovrebbe sostenere quello inferiore e aiutarlo a coordinare la propria attività con quella del resto della società, tenendo sempre presente il servizio al bene comune (cfr Centesimus annus CA 48).

L'opinione pubblica deve essere educata all'importanza del principio di sussidiarietà per la sopravvivenza di una società autenticamente democratica.

Le sfide globali che la famiglia umana deve affrontare nel nuovo millennio servono anche a illuminare un'altra dimensione della dottrina sociale della Chiesa: il suo ambito è la cooperazione ecumenica e interreligiosa. Il secolo appena trascorso ha assistito a enormi progressi mediante iniziative multilaterali per difendere la dignità umana e promuovere la pace. L'era che stiamo per affrontare deve assistere al proseguimento di tali sforzi: senza un'azione concertata e congiunta di tutti i credenti, uomini e donne di buona volontà, si può fare ben poco per rendere la democrazia autentica, quella basata sui valori, una realtà per gli uomini e le donne del ventesimo secolo.

5. Illustri e cari accademici, esprimo ancora una volta il mio apprezzamento per il servizio prezioso che rendete illuminando cristianamente quelle aree della moderna vita sociale nelle quali la confusione sugli elementi essenziali spesso oscura e soffoca gli elevati ideali radicati nel cuore umano. Pregando per il successo del vostro incontro, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica, che estendo volentieri alle vostre famiglie e ai vostri cari.

Dal Vaticano, 23 febbraio 2000



PELLEGRINAGGIO GIUBILARE AL MONTE SINAI

DURANTE LA CERIMONIA DI ARRIVO ALL'AEROPORTO INTERNAZIONALE DEL CAIRO

24 febbraio 2000

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Signor Presidente,
Santità Papa Shenouda,
Beatitudine Patriarca Stephanos,
Grande Sceicco Mohammed Sayed Tantawi,
Caro popolo d'Egitto,

As-salámu 'aláikum - La pace sia con voi!

1. Attendo da molti anni di poter celebrare il bimillenario della nascita di Gesù Cristo recandomi in pellegrinaggio a pregare sui luoghi legati in modo speciale agli interventi di Dio nella storia. Il mio pellegrinaggio giubilare mi porta oggi in Egitto. Grazie, signor Presidente, per avermi dato la possibilità di venire qui e di andare dove Dio ha rivelato il suo nome a Mosè e ha offerto la sua Legge quale segno della sua grande misericordia e dell'amore verso le Sue creature.
Apprezzo molto le sue cordiali parole di benvenuto.


Questa è la terra di una civiltà che ha 5.000 anni, conosciuta in tutto il mondo per i suoi monumenti e per la sua conoscenza della matematica e dell'astronomia. Questa è la terra nella quale diverse culture si sono incontrate e mescolate, rendendo l'Egitto famoso per la sua saggezza e il suo sapere.


2. In tempi cristiani, la Città di Alessandria, dove fu fondata la Chiesa dall'Evangelista Marco, discepolo di Pietro e di Paolo, ha donato noti scrittori ecclesiastici come Clemente e Origene e grandi Padri della Chiesa come Atanasio e Cirillo. La fama di santa Caterina di Alessandria sopravvive nella devozione cristiana e nel nome di molte chiese in tutte le parti del mondo. L'Egitto, con sant'Antonio e san Pacomio, fu il luogo di nascita del monachesimo, che ha svolto un ruolo essenziale nel tutelare le tradizioni spirituali e culturali della Chiesa.


L'avvento dell'Islam ha portato splendide opere d'arte e insegnamenti che hanno esercitato un'influenza determinante sul mondo arabo e sull'Africa. Il popolo d'Egitto ha perseguito per secoli l'ideale dell'unità nazionale. Le differenze di religione non hanno mai costituito un ostacolo, ma piuttosto una forma di arricchimento reciproco al servizio dell'unica comunità nazionale. Ricordo bene le parole di Papa Shenouda III: "L'Egitto non è la terra natale nella quale viviamo, ma la terra natale che vive in noi".


3. L'unità e l'armonia della nazione sono un valore prezioso che tutti i cittadini dovrebbero tutelare e che i responsabili politici e religiosi devono continuamente promuovere nella giustizia e nel rispetto dei diritti di tutti. Signor Presidente, il suo impegno per la pace nel Paese e in tutto il Medio Oriente è ben noto. Lei ha avuto una funzione importante nel far progredire il processo di pace nella regione. Tutti gli uomini e le donne ragionevoli apprezzano gli sforzi compiuti finora e sperano che la buona volontà e la giustizia prevalgano, affinché tutti i popoli di questa area unica del mondo vedano i propri diritti rispettati e le loro legittime aspirazioni soddisfatte.


La mia visita al Monastero di Santa Caterina, ai piedi del Monte Sinai, sarà un momento di preghiera intensa per la pace e l'armonia interreligiosa. Fare del male, promuovere la violenza e lo scontro in nome della religione è una contraddizione terribile e una grande offesa a Dio. Tuttavia, la storia passata e presente ci offre molti esempi di questo abuso della religione. Dobbiamo tutti operare per rafforzare l'impegno crescente a favore del dialogo interreligioso, un grande segno di speranza per i popoli del mondo.

As-salámu 'aláikum - La pace sia con voi!

Così saluto tutti voi. Questa è la preghiera che elevo per l'Egitto e per il suo popolo.
Che l'Altissimo benedica la vostra terra con la concordia, la pace e la prosperità!



DURANTE L'INCONTRO ECUMENICO NELLA NUOVA CATTEDRALE DI NOSTRA SIGNORA D'EGITTO

Il Cairo, 25 febbraio 2000

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«La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (
2Co 13,14)



Santità Papa Shenouda,
Beatitudine Patriarca Stephanos,
Illustre Rappresentante di Sua Santità Petros,
Vescovi e Dignitari delle Chiese e delle Comunità Ecclesiali d'Egitto,

1. Con la benedizione di san Paolo, che ci conduce direttamente al cuore del mistero della comunione trinitaria, saluto tutti voi con profondo affetto e nei vincoli di amore che ci uniscono nel Signore.

È per me una grande gioia essere pellegrino nel Paese che ha offerto ospitalità e protezione a nostro Signore Gesù Cristo e alla Santa Famiglia. Come è scritto nel Vangelo di san Matteo: «Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall'Egitto ho chiamato mio figlio» (Mt 2,14-15).

L'Egitto è stato dimora per la Chiesa fin dalle origini. Fondata sulla predicazione apostolica e sull'autorità di san Marco, la Chiesa di Alessandria divenne presto una delle comunità guida del primo cristianesimo. Vescovi venerabili con sant'Atanasio e san Cirillo hanno reso testimonianza della fede nel Dio Uno e Trino e in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, come lo hanno definito i primi Concili Ecumenici.

Fu nel deserto dell'Egitto che nacque il monachesimo, sia in forma comunitaria che solitaria, sotto la paternità spirituale di sant'Antonio e di san Pacomio. Grazie a loro e al grande impatto dei loro scritti spirituali, la vita monastica divenne parte del nostro patrimonio comune. Nel corso degli ultimi decenni quello stesso carisma monastico è rifiorito e irradia un messaggio spirituale, vitale ben oltre i confini dell'Egitto.

2. Oggi rendiamo grazie a Dio poiché siamo più che mai consapevoli del nostro patrimonio comune, nella fede e nella ricchezza della vita sacramentale. Abbiamo anche in comune quella venerazione filiale della Vergine Maria, Madre di Dio, per la quale sono famose la Chiesa Copta e tutte le Chiese orientali. «Quando si parla di un patrimonio comune si devono iscrivere in esso non soltanto le istituzioni, i riti, i mezzi di salvezza, le tradizioni che tutte le comunità hanno conservato e dalle quali esse sono state plasmate, ma in primo luogo e innanzitutto questa realtà della santità» (Lettera Enciclica, Ut unum sint UUS 84).

Per tutelare fedelmente e diffondere questo patrimonio, la Chiesa in Egitto ha affrontato pesanti sacrifici e continua a farlo. Quanti martiri appaiono nel venerabile Martirologio della Chiesa Copta, che risale alle terribili persecuzioni degli anni 283-284! Hanno reso gloria a Dio in Egitto attraverso la loro testimonianza, determinata fino alla morte!

3. Fin dall'inizio, questa tradizione e questo patrimonio apostolici comuni sono stati trasmessi e spiegati in varie forme, tenendo conto dello specifico carattere culturale dei popoli. Tuttavia, nel V secolo, fattori teologici e non, combinati con una mancanza di amore e di comprensione fraterni, portarono a dolorose divisioni nell'unica Chiesa di Cristo. Sorsero fra i cristiani sfiducia e ostilità, in contraddizione col fervente desiderio di nostro Signore Gesù Cristo che pregò «perché tutti siano una cosa sola» (Jn 17,21).

Ora, nel corso del XX secolo, lo Spirito Santo ha riavvicinato le Chiese e le Comunità cristiane in un movimento di riconciliazione. Ricordo con gratitudine l'incontro fra Papa Paolo VI e Sua Santità Papa Shenouda III, nel 1973 e la Dichiarazione Cristologica Comune che essi firmarono in quell'occasione. Rendo grazie a quanti hanno contribuito a quell'importante risultato, in particolare alla Fondazione pro Oriente di Vienna e alla Commissione Mista Internazionale fra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Copta Ortodossa. A Dio piacendo, questa Commissione Mista Internazionale e la Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico fra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa presto torneranno a operare normalmente, in particolare a proposito di alcune questioni ecclesiologiche fondamentali che necessitano di chiarimenti.

4. Ripeto quanto ho scritto nella mia Lettera Enciclica Ut unum sint, ossia che ciò che riguarda l'unità di tutte le Comunità cristiane rientra esplicitamente nell'ambito delle preoccupazioni del primato del Vescovo di Roma (cfr n. 95).

Per questo, desidero rinnovare l'invito a tutti «i responsabili ecclesiali e ai loro teologi ad instaurare con me e su questo argomento un dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci al di là di sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa» (ibidem, n. 96).

Riguardo al ministero del Vescovo di Roma, chiedo allo Spirito Santo di donarci la sua luce, illuminando tutti i Pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare insieme le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri (cfr Omelia, 6 dicembre 1987, n. 3; Ut unum sint UUS 95).

Cari Fratelli, non c'è tempo da perdere al riguardo!

5. La nostra comunione nell'unico Signore Gesù Cristo, nell'unico Spirito Santo e nell'unico Battesimo rappresenta già una realtà profonda e fondamentale. Questa comunione ci permette di recare una testimonianza comune della nostra fede in molti modi e, di fatto, esige che cooperiamo nel portare la luce di Cristo al mondo, che ha bisogno di salvezza. Questa testimonianza comune è quanto mai importante all'inizio di un nuovo secolo e di un nuovo millennio che lanciano enormi sfide alla famiglia umana. Anche per questo motivo, non c'è tempo da perdere!

Come condizione fondamentale di questa testimonianza comune, dobbiamo evitare qualsiasi cosa possa condurre ancora una volta alla sfiducia e al disaccordo. Abbiamo concordato di evitare qualsiasi forma di proselitismo, o metodi e atteggiamenti che sono in antitesi con le esigenze dell'amore cristiano o con ciò che dovrebbe caratterizzare le relazioni tra le Chiese (cfr Dichiarazione Comune, di Papa Paolo VI e Papa Shenouda III, 1973). Ricordiamo che la vera carità, fondata sulla totale fedeltà all'unico Signore Gesù Cristo e nel reciproco rispetto per le tradizioni e le pratiche sacramentali di ciascuno, è un elemento essenziale di questa ricerca della comunione perfetta (ibidem).

Non ci conosciamo a sufficienza: troviamo modi per incontrarci! Cerchiamo forme adatte di comunione spirituale, come la preghiera unita al digiuno, gli scambi e l'ospitalità reciproci fra monasteri. Troviamo forme di cooperazione pratica, in particolare oggi, in risposta alla sete spirituale di così tante persone, per risollevarle dall'afflizione, nell'educazione dei giovani, nel garantire condizioni di vita umane, nel promuovere il rispetto reciproco, la giustizia e la pace e nel favorire la libertà religiosa come diritto umano fondamentale.

6. All'inizio della settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani, il 18 gennaio, ho aperto la Porta Santa della Basilica di San Paolo fuori le Mura e ne ho varcato la soglia insieme ai rappresentanti di numerose Chiese e Comunità Ecclesiali. Insieme a me, Sua Eccellenza Amba Bishoi della Chiesa Copta e i rappresentanti della Chiesa Ortodossa e della Chiesa Luterana hanno sollevato il Libro dei Vangeli verso i quattro punti cardinali.

È stata un'espressione profondamente simbolica della nostra missione comune nel nuovo millennio: insieme dobbiamo testimoniare il Vangelo di Gesù Cristo, il messaggio salvifico di vita, amore e speranza per il mondo.

Durante quella stessa liturgia, il Credo Apostolico è stato proclamato da tre rappresentanti di diverse Chiese e Comunità Ecclesiali la prima parte dal rappresentante del Patriarcato greco ortodosso di Alessandria. In seguito, ci siamo scambiati il segno di pace e quel momento gioioso è stato per me l'anticipazione e il presagio della piena comunione che ci sforziamo di ottenere fra tutti i seguaci di Cristo. Che lo Spirito di Dio ci conceda presto l'unità visibile e completa alla quale noi aneliamo!

7. Affido questa speranza alla potente intercessione della Theotokos, l'Archetipo della Chiesa. Ella è la creatura purissima, bellissima e santissima capace di «essere Chiesa» come nessun'altra creatura potrà mai esserlo. Sostenuti dalla sua materna presenza, avremo il coraggio di ammettere le nostre colpe e le nostre esitazioni e di cercare quella riconciliazione che ci permetterà di camminare «nella carità, nel modo che anche Cristo ci ha amato» (Ep 5,2). Venerati Fratelli, che il terzo millennio Cristiano sia il millennio della nostra piena unità nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo! Amen.



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