GP2 Discorsi 2001 25


AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE


DELL’UNGHERIA IN VISITA


"AD LIMINA APOSTOLORUM"


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Martedì, 30 gennaio 2001




Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell'Episcopato!

1. La grazia del Signore Nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti Voi e con ciascuno di Voi! Sono lieto di poterVi ricevere in occasione della vostra visita ad limina. Il pellegrinaggio alla Tomba del Principe degli Apostoli è un momento significativo nella vita di ciascun Pastore: gli offre l'occasione di esprimere la sua comunione col Successore di Pietro e di condividere con lui le sollecitudini e le speranze connesse col ministero episcopale.

La vostra visita si colloca nell'ambito di due grandi ricorrenze: è stata da poco chiusa la Porta Santa del Grande Giubileo e nella vostra Patria è in corso la celebrazione dei mille anni da che la vostra Nazione è diventata cristiana. Tali ricorrenze mi hanno già dato l'opportunità di salutarVi, sia per il tramite del mio Cardinale Segretario di Stato che ha fatto le mie veci in occasione della festa di Santo Stefano, sia personalmente, quando pochi mesi fa siete venuti alla Tomba di San Pietro con il pellegrinaggio nazionale del vostro Paese.

2. Chi vuole affrontare efficacemente il futuro, deve ritornare alle proprie radici. Le celebrazioni giubilari qui a Roma, come quelle nel vostro Paese, si sono concentrate sull'evento storico da cui ha avuto origine il cristianesimo. Il Grande Giubileo ci ha invitati a volgere lo sguardo verso il momento in cui il Verbo di Dio ha preso la nostra natura umana ed è nato nel tempo, Lui che è lo stesso ieri, oggi e sempre (cfr
He 13,8). E' mio profondo desiderio che i nostri occhi rimangano fissi sull'unico Redentore dell'uomo, come ho rilevato nella mia recente Lettera apostolica Novo millennio ineunte. In tale documento ho offerto un programma esigente per l'avvenire, presentando alcune linee di fondo che ritengo importanti per non perdere di vista il volto del Salvatore e per mettere in pratica il messaggio evangelico.

Il primo compito dei Pastori della Chiesa è quello di annunciare le verità della fede, che culminano nell'Incarnazione e nel Mistero pasquale. Il nostro messaggio trae la sua forza dalla contemplazione del volto di Cristo Dio-uomo, morto e risorto per noi. Solo perché il Figlio di Dio è diventato veramente uomo, possiamo noi uomini, in Lui e attraverso di Lui, divenire realmente figli di Dio. Il rilievo da Voi dato alla contemplazione di Cristo sarà un segno chiaro della volontà di conferire alla vostra missione un'impronta spirituale e pastorale, che non mancherà di influenzare lo stile di vita di quanti Vi sono affidati.

3. In questo contesto, vorrei esprimere il mio apprezzamento per i vostri sforzi volti a promuovere nel clero, nei religiosi e nei fedeli laici delle vostre Chiese locali un'autentica spiritualità, che li metta in grado di affrontare le varie sfide pastorali con un nuovo slancio di entusiasmo nutrito dalle esperienze giubilari. Al riguardo, vorrei richiamarmi ancora al programma che ho delineato nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte: ho raccolto in essa alcuni esigenti imperativi evangelici. Lo sguardo fisso a Cristo, venuto perché abbiamo la vita e l'abbiamo in abbondanza (cfr Jn 10,10), ci impegna ad accogliere questo suo dono in ogni suo aspetto, a cominciare da quello fisico. Più che mai, alla soglia del terzo millennio, sentiamo l'esigenza che la vita sia difesa e coltivata. Bisogna suscitare nel nostro mondo una vera "cultura della vita".

Mi è nota l'energia con cui Vi impegnate come difensori della vita. Ma nonostante la vostra instancabile dedizione, anche nella vostra Patria si notano i dati preoccupanti che segnalano in molti Paesi del vecchio continente il diffondersi di una cultura della morte sempre più preoccupante. Le statistiche dell'aborto pubblicate negli ultimi decenni nel vostro Paese sono allarmanti. Esse devono spingere a difendere senza timore e con chiarezza la vita umana in ogni fase della sua esistenza, dal concepimento fino alla morte naturale. Fate tutto il possibile per incoraggiare le donne incinte a portare a compimento la gravidanza.

In questi tempi drammatici la Chiesa assume una funzione importante. I cristiani devono diventare sempre più ciò che sono chiamati ad essere: sale della terra e luce del mondo (cfr Mt 5,13-14). Tale nobile vocazione obbliga soprattutto i Pastori che, come si legge nella seconda Lettera a Timoteo, devono essere pronti a prendere la parola in ogni occasione opportuna e non opportuna (cfr 2Tm 4,2). FateVi coinvolgere là dove pensate di dover difendere Dio e l'uomo! Non siete del mondo, ma non segregateVi dal mondo (cfr Jn 15,19). Una società laica, in cui si fa sempre più silenzio su Dio, ha bisogno della vostra voce. Per dare alla società un'anima, può essere conveniente cercare d'allearsi con i Pastori e i cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali. L'ecumenismo della testimonianza apre di fatto un ampio campo di collaborazione.

4. Gli attuali condizionamenti della Chiesa in Ungheria non devono essere identificati semplicemente con un contesto agnostico di indifferenza religiosa. Anche se estromesso o taciuto, Dio è presente. Certo: molti vivono come se Dio non esistesse. Ma il desiderio di Lui è sempre vivo nei cuori. L'uomo, infatti, non si accontenta soltanto di quanto è umano, ma cerca una verità che lo trascende, perché avverte, anche se confusamente, che in essa sta il senso della propria vita. La risposta alla questione del senso della vita è la grande occasione favorevole della Chiesa. Apriamo dunque le nostre porte a tutti quelli che sinceramente sono in cerca di Dio! Chi chiede alla Chiesa la verità, ha diritto di attendersi che da essa gli sia esposta autenticamente ed integralmente la parola di Dio scritta o trasmessa (cfr Dei Verbum DV 10). Così, la ricerca della verità viene protetta dai pericoli di una religiosità indeterminata, irrazionale e sincretistica, e la Chiesa del Dio vivente si rivela per quello che è, "colonna e sostegno della verità" (1Tm 3,15).

27 5. La Chiesa nel vostro Paese è stata sottoposta a vari generi di persecuzione: vi sono state forme di persecuzione violenta, e ve ne sono state altre sofisticate e più sottili. Negli ultimi dieci anni la Chiesa ha vissuto una realtà diversa: la "svolta" ha portato non soltanto una nuova libertà, ma anche un "choc consumistico". I beni materiali sono messi in evidenza con un'insistenza tale da soffocare spesso qualsiasi desiderio di valori religiosi e morali. Ma col passare del tempo, se l'anima rimane senza nutrimento e soltanto le mani sono riempite, l'uomo sperimenta il vuoto: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4 cfr Dt 8,3).

In questo contesto vorrei esprimere la mia sollecitudine riguardo al significato della domenica, che sempre di più è minacciata di svuotamento. Nella Lettera apostolica Dies Domini ho illustrato la domenica come giorno del Signore e giorno dell'uomo. Desidero ripetere un pensiero che mi sta molto a cuore: l'uomo, in quanto persona, non deve essere schiacciato dagli interessi economici. E' questo un rischio reale, perché "la società dei consumi", dove Dio spesso viene dato per morto, ha creato idoli a sufficienza, tra i quali sta in evidenza l'idolo del profitto ad ogni costo. Durante il Grande Giubileo si è manifestato anche un volto diverso di queste società: molti uomini hanno riscoperto le riserve del cristianesimo, le riserve della Chiesa, cioè la fede testimoniata e vissuta da tanti credenti. Nonostante le apparenze che potrebbero dare l'impressione del contrario, la fede cristiana è radicata profondamente nell'anima del vostro popolo. Tocca a Voi risvegliare la voce di Dio nelle coscienze degli uomini.

6. Alla verità della fede deve corrispondere la coerenza della vita. La Chiesa in Ungheria, non ricca di beni materiali, possiede inestimabili ricchezze spirituali, costituite dalle testimonianze di fede e di santità di tanti suoi membri. Penso in particolare alle famiglie cristiane, vere "chiese domestiche". Di fronte alle sfide della società moderna ci vuole una rinnovata pastorale della famiglia. Questo mio desiderio Ve l'ho già affidato nel Messaggio mandatoVi in occasione della festa di Santo Stefano in questo indimenticabile Anno 2000. Vi scrivevo allora: "Siate consapevoli della centralità della famiglia per una convivenza ordinata e florida" (l.c., 4). Sono lieto che abbiate dato alla famiglia un posto privilegiato nella gerarchia delle priorità pastorali, scrivendo una comune Lettera Pastorale sulla Famiglia.Apprezzo quest'azione concertata ed auspico che ne seguiranno tante altre.

L'opera dell'evangelizzazione nel vostro Paese è di fatto così grande che richiede tutte le vostre forze ed energie. Ci sono gli "amboni" tradizionali come la predica, la catechesi, i ritiri spirituali, le Lettere Pastorali. Ma sono allo stesso tempo importanti i nuovi "areopaghi" che Vi attendono: la radio, la televisione, le nuove tecnologie. E' difficile utilizzare ed "evangelizzare" questi nuovi mezzi, ma con fantasia e coraggio è possibile! Mi congratulo con Voi per l'iniziativa di voler realizzare una radio cattolica. Una tale istituzione, ben gestita e utilizzata, può diventare per Voi, Pastori, una specie di pulpito dal quale Vi sarà possibile raggiungere anche le persone che si sono allontanate dalla Chiesa.

7. Cari Fratelli! Se ogni cristiano è chiamato a conformarsi a Cristo, tanto maggiormente lo è il Vescovo, che deve essere modello del suo gregge. Cristo sia sempre al centro della vostra vita. Mi piace molto il motto che avete scelto per il vostro millenario ungherese: "Il nostro passato è la nostra speranza - Cristo è il nostro avvenire". Cristo sarà il vostro avvenire se continuerete a contemplare il suo volto; se cercherete di vivere sempre di più la Chiesa-comunione; se Vi impegnerete in favore di un'autentica ed entusiasmante pastorale vocazionale per affrontare la scarsità di sacerdoti, religiosi e religiose; se aiuterete i fedeli laici a scoprire e vivere ancora di più la loro propria vocazione, su cui tanto ha insistito il Concilio Vaticano II.

La pupilla privilegiata della vostra pastorale devono essere i giovani. A questo riguardo avete potuto fare negli ultimi anni un passo importante in avanti, rifondando numerose scuole cattoliche ed erigendo l'Università cattolica. Tali istituzioni costituiscono quella sorta di "laboratorio" in cui gli studenti hanno la possibilità di prepararsi a una vita cristiana degna della libertà dell'uomo e fondata sulla verità. Chi segue la voce della coscienza ha bisogno di autentica conoscenza conforme alle verità proposte dal Magistero.

8. Con questi pensieri, cari Fratelli, ho voluto stimolarVi nell'esercizio dei compiti pastorali a Voi affidati a servizio della Chiesa nella vostra Patria. Consapevole della grande dedizione con cui svolgete il vostro ministero episcopale, vorrei esprimerVi il mio fraterno e grato apprezzamento. In ogni situazione Vi conforti il pensiero che Cristo Gesù non Vi ha preso a suo servizio come semplici "manager", ma Vi ha consacrati ministri dei suoi Misteri, chiamandoVi a partecipare alla sua amicizia (cfr Jn 15,14-15).

Infine, affido la vostra esistenza e la vostra missione come Pastori dei vostri greggi all'intercessione di Maria, Magna Domina Hungarorum.Su di Voi, sui sacerdoti, diaconi, religiosi e laici nelle vostre Diocesi discenda l'abbondanza delle grazie celesti, di cui è pegno la Benedizione Apostolica che a tutti imparto di cuore.



                                                               Febbraio 2001

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

AGLI OFFICIALI E AVVOCATI DEL

TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA,


PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO


Giovedì, 1° febbraio 2001




1. L'inaugurazione del nuovo anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana mi offre la propizia occasione di incontrarmi ancora una volta con voi. Nel salutare con affetto tutti i presenti, mi è particolarmente gradito esprimervi, cari Prelati Uditori, Officiali ed Avvocati, il più sentito apprezzamento per il prudente ed arduo lavoro, a cui attendete nell'amministrazione della giustizia a servizio di questa Sede Apostolica. Con qualificata competenza voi operate a tutela della santità ed indissolubilità del matrimonio e, in definitiva, dei sacri diritti della persona umana, secondo la secolare tradizione del glorioso Tribunale Rotale.

28 Ringrazio Monsignor Decano, che si è reso interprete e portavoce dei vostri sentimenti e della vostra fedeltà. Le sue parole ci hanno fatto opportunamente rivivere il Grande Giubileo, appena concluso.

2. In effetti, le famiglie sono state tra le grandi protagoniste delle giornate giubilari, come ho rilevato nella Lettera apostolica "Novo millennio ineunte" (cfr n. 10). In essa ho ricordato i rischi a cui è esposta l'istituzione familiare, sottolineando che "in hanc potissimam institutionem diffusum absolutumque discrimen irrumpit" (n. 47). Tra le più ardue sfide che attendono oggi la Chiesa vi è quella di un'invadente cultura individualista, tendente, come bene ha detto Monsignor Decano, a circoscrivere e confinare il matrimonio e la famiglia nel mondo del privato. Ritengo, pertanto, opportuno riprendere questa mattina alcune tematiche su cui mi sono soffermato in precedenti nostri incontri (cfr Allocuzioni alla Rota del 28 gennaio 1991: AAS, 83, PP 947-953 pp. 947-953; e del 21 gennaio 1999: AAS, 91, PP 622-627), per ribadire l'insegnamento tradizionale sulla dimensione naturale del matrimonio e della famiglia.

Il Magistero ecclesiastico e la legislazione canonica contengono abbondanti riferimenti all'indole naturale del matrimonio. Il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et spes, premesso che "Dio stesso è l'autore del matrimonio, dotato di molteplici beni e fini" (n. 48), affronta alcuni problemi di moralità coniugale rifacendosi a "criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella natura stessa della persona umana e dei suoi atti" (n. 51). A loro volta, entrambi i Codici da me promulgati, formulando la definizione del matrimonio, affermano che il "consortium totius vitae" è "per sua indole naturale ordinato al bene dei coniugi e alla generazione ed educazione dei figli" (CIC, can.
CIC 1055 CCEO, can. 776 ' 1).

Questa verità, nel clima creato da una sempre più marcata secolarizzazione e da una impostazione del tutto privatistica del matrimonio e della famiglia, è non solo disattesa, ma apertamente contestata.

3. Si sono accumulati molti equivoci attorno alla stessa nozione di "natura". Soprattutto se ne è dimenticato il concetto metafisico, che è proprio quello a cui si rifanno i citati documenti della Chiesa. Si tende poi a ridurre ciò che è specificamente umano all'ambito della cultura, rivendicando alla persona una creatività ed operatività completamente autonome sul piano sia individuale che sociale. In quest'ottica, il naturale sarebbe puro dato fisico, biologico e sociologico, da manipolare mediante la tecnica a seconda dei propri interessi.

Questa contrapposizione tra cultura e natura lascia la cultura senza nessun fondamento oggettivo, in balia dell'arbitrio e del potere. Ciò si osserva in modo molto chiaro nei tentativi attuali di presentare le unioni di fatto, comprese quelle omosessuali, come equiparabili al matrimonio, di cui si nega per l'appunto il carattere naturale.

Questa concezione meramente empirica della natura impedisce radicalmente di comprendere che il corpo umano non è un qualcosa di estrinseco alla persona, ma costituisce insieme con l'anima spirituale  ed immortale un principio intrinseco di quell'essere unitario che è la persona umana. E' ciò che ho illustrato nell'Enciclica "Veritatis splendor" (cfr nn. 46-50: AAS, 85 (1993), pag. 1169-1174), dove ho sottolineato la rilevanza morale di tale dottrina, tanto importante per il matrimonio e la famiglia. Si può, infatti, facilmente cercare in falsi spiritualismi una presunta convalida di ciò che è contrario alla realtà spirituale del vincolo coniugale.

4. Quando la Chiesa insegna che il matrimonio è una realtà naturale, essa propone una verità evidenziata dalla ragione per il bene dei coniugi e della società e confermata dalla rivelazione di Nostro Signore, che mette esplicitamente in stretta connessione l'unione coniugale con il "principio" (Mt 19,4-8), di cui parla il Libro della Genesi: "li creò maschio e femmina" (Gn 1,27), e "i due saranno una carne sola" (Gn 2,24).

Il fatto però che il dato naturale sia autoritativamente confermato ed elevato a sacramento da nostro Signore non giustifica affatto la tendenza, oggi purtroppo largamente presente, a ideologizzare la nozione del matrimonio - natura, essenziali proprietà e finalità -, rivendicando una diversa valida concezione da parte di un credente o di un non credente, di un cattolico o di un non cattolico, quasi che il sacramento fosse una realtà successiva ed estrinseca al dato naturale e non lo stesso dato naturale, evidenziato dalla ragione, assunto ed elevato da Cristo a segno e mezzo di salvezza.

Il matrimonio non è una qualsiasi unione tra persone umane, suscettibile di essere configurata secondo una pluralità di modelli culturali. L'uomo e la donna trovano in se stessi l'inclinazione naturale ad unirsi coniugalmente. Ma il matrimonio, come ben precisa San Tommaso d'Aquino, è naturale non perché "causato per necessità dai principi naturali", bensì in quanto è una realtà "a cui la natura inclina, ma che è compiuta mediante il libero arbitrio" (Summa Theol. Suppl., q. 41, a. 1, in c.). E', pertanto, altamente fuorviante ogni contrapposizione tra natura e libertà, tra natura e cultura.

Nell'esaminare la realtà storica ed attuale della famiglia non di rado si tende ad enfatizzare le differenze, per relativizzare l'esistenza stessa di un disegno naturale sull'unione tra uomo e donna. Più realistico risulta invece constatare che, insieme alle difficoltà, ai limiti e alle deviazioni, nell'uomo e nella donna è sempre presente un'inclinazione profonda del loro essere, che non è frutto della loro inventiva, e che, nei tratti fondamentali, trascende ampiamente le diversità storico-culturali.

29 L'unica via, infatti, attraverso cui può manifestarsi l'autentica ricchezza e varietà di tutto ciò che è essenzialmente umano è la fedeltà alle esigenze della propria natura. Ed anche nel matrimonio l'auspicabile armonia tra diversità di realizzazioni ed unità essenziale non solo è ipotizzabile, ma garantita dalla vissuta fedeltà alle naturali esigenze della persona. Il cristiano peraltro sa di poter contare per questo sulla forza della grazia, capace di sanare la natura ferita dal peccato.

5. Il "consortium totius vitae" esige la reciproca donazione degli sposi (CIC, can.
CIC 1057-2 CCEO, can. 817 - 1). Ma tale donazione personale ha bisogno di un principio di specificità e di un fondamento permanente. La considerazione naturale del matrimonio ci fa vedere che i coniugi si uniscono precisamente in quanto persone tra cui esiste la diversità sessuale, con tutta la ricchezza anche spirituale che questa diversità possiede a livello umano. Gli sposi si uniscono in quanto persona-uomo ed in quanto persona-donna. Il riferimento alla dimensione naturale della loro mascolinità e femminilità è decisivo per comprendere l'essenza del matrimonio. Il legame personale del coniugio viene a instaurarsi proprio al livello naturale della modalità maschile o femminile dell'essere persona umana.

L'ambito dell'agire degli sposi e, pertanto, dei diritti e doveri matrimoniali, è consequenziale a quello dell'essere e trova in quest'ultimo il suo vero fondamento. Pertanto, in questo modo l'uomo e la donna, in virtù di quell'atto singolarissimo di volontà che è il consenso (CIC, can. CIC 1057-2 CCEO, can. 817 - 1), stabiliscono tra loro liberamente un nesso prefigurato dalla loro natura, che ormai costituisce per entrambi un vero cammino vocazionale attraverso cui vivere la propria personalità quale risposta al piano divino.

L'ordinazione alle finalità naturali del matrimonio - il bene dei coniugi e la procreazione ed educazione della prole - è intrinsecamente presente nella mascolinità e nella femminilità. Quest'indole teleologica è decisiva per comprendere la dimensione naturale dell'unione. In questo senso, l'indole naturale del matrimonio si comprende meglio quando non la si separa dalla famiglia. Matrimonio e famiglia sono inseparabili, perché la mascolinità e la femminilità delle persone sposate sono costitutivamente aperte al dono dei figli. Senza tale apertura nemmeno ci potrebbe essere un bene dei coniugi degno di tal nome.

Anche le proprietà essenziali, l'unità e l'indissolubilità, s'iscrivono nell'essere stesso del matrimonio, non essendo in alcun modo leggi ad esso estrinseche. Solo se è visto quale unione che coinvolge la persona nell'attuazione della sua struttura relazionale naturale, che rimane essenzialmente la stessa attraverso la vita personale, il matrimonio può porsi al di là dei mutamenti della vita, degli sforzi, e perfino delle crisi attraverso cui passa non di rado la libertà umana nel vivere i suoi impegni. Se invece l'unione matrimoniale si considera come unicamente basata su qualità personali, interessi o attrazioni, è evidente che essa non appare più come una realtà naturale, ma come situazione dipendente dall'attuale perseveranza della volontà in funzione della persistenza di fatti e sentimenti contingenti. Certo, il vincolo è causato dal consenso, cioè da un atto di volontà dell'uomo e della donna; ma tale consenso attualizza una potenza già esistente nella natura dell'uomo e della donna. Così la stessa forza indissolubile del vincolo si fonda sull'essere naturale dell'unione liberamente stabilita tra l'uomo e la donna.

6. Molte conseguenze derivano da questi presupposti ontologici. Mi limiterò ad indicare quelle di particolare rilievo ed attualità nel diritto matrimoniale canonico. Così, alla luce del matrimonio quale realtà naturale, si coglie facilmente l'indole naturale della capacità per sposarsi: "Omnes possunt matrimonium contrahere, qui iure non prohibentur" (CIC, can. CIC 1058 CCEO, can. 778). Nessuna interpretazione delle norme sull'incapacità consensuale (cfr CIC, can. CIC 1095 CCEO, can. 818) sarebbe giusta se rendesse in pratica vano quel principio: "Ex intima hominis natura - afferma Cicerone - haurienda est iuris disciplina" (Cicerone, De Legibus, II).

La norma del citato can. 1058 si chiarisce ancor di più qualora si tenga presente che per sua natura l'unione coniugale riguarda la stessa mascolinità e femminilità delle persone sposate, per cui non si tratta di un'unione che richieda essenzialmente delle caratteristiche singolari nei contraenti. Se così fosse, il matrimonio si ridurrebbe ad una fattuale integrazione tra le persone e le sue caratteristiche come anche la sua durata dipenderebbero unicamente dall'esistenza di un affetto interpersonale non meglio determinato.

Per una certa mentalità oggi assai diffusa questa visione può sembrare in contrasto con le esigenze della realizzazione personale. Ciò che per questa mentalità risulta difficile da comprendere è la stessa possibilità di un vero matrimonio che non sia riuscito. La spiegazione s'inserisce nel contesto di una integrale visione umana e cristiana dell'esistenza. Non è certo questo il momento per approfondire le verità che illuminano questa questione: in particolare, le verità sulla libertà umana nella situazione presente di natura caduta ma redenta, sul peccato, sul perdono e sulla grazia.

Sarà sufficiente ricordare che anche il matrimonio non sfugge alla logica della Croce di Cristo, che esige sì sforzo e sacrificio e comporta anche dolore e sofferenza, ma non impedisce, nell'accettazione della volontà di Dio, una piena e autentica realizzazione personale, nella pace e serenità dello spirito.

7. Lo stesso atto del consenso matrimoniale si comprende meglio in rapporto alla dimensione naturale dell'unione. Questo infatti è l'oggettivo punto di riferimento rispetto al quale la persona vive la sua naturale inclinazione. Da qui la normalità e semplicità del vero consenso. Rappresentare il consenso quale adesione ad uno schema culturale o di legge positiva non è realistico, e rischia di complicare inutilmente l'accertamento della validità del matrimonio. Si tratta di vedere se le persone, oltre ad identificare la persona dell'altro, hanno veramente colto l'essenziale dimensione naturale della loro coniugalità, la quale implica per esigenza intrinseca la fedeltà, l'indissolubilità e la potenziale paternità/maternità, quali beni che integrano una relazione di giustizia.

"Anche la più profonda o più sottile scienza del diritto - ammoniva il Papa Pio XII di venerata memoria - non potrebbe additare altro criterio per distinguere le leggi ingiuste dalle giuste, il semplice diritto legale dal diritto vero, che quello percepibile già col solo lume della ragione dalla natura delle cose e dell'uomo stesso, quello della legge scritta dal Creatore nel cuore dell'uomo ed espressamente confermata dalla rivelazione. Se il diritto e la scienza giuridica non vogliono rinunziare alla sola guida capace di mantenerli nel retto cammino, debbono riconoscere gli "obblighi etici" come norme oggettive valide anche per l'ordine giuridico" (Allocuzione alla Rota, 13 novembre 1949: AAS, 41, p. 607).

30 8. Avviandomi alla conclusione desidero soffermarmi brevemente sul rapporto tra l'indole naturale del matrimonio e la sua sacramentalità, atteso che, a partire dal Vaticano II, è stato frequente il tentativo di rivitalizzare l'aspetto soprannaturale del matrimonio anche mediante proposte teologiche, pastorali e canonistiche estranee alla tradizione, come quella di richiedere la fede quale requisito per sposarsi.

Quasi all'inizio del mio pontificato, dopo il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia nel quale fu trattato questo tema, mi sono pronunciato al riguardo nella Familiaris consortio, scrivendo: "Il sacramento del matrimonio ha questo di specifico fra tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste nell'economia della creazione, di essere lo stesso patto coniugale istituito dal Creatore al principio" (n. 68: AAS, 73, pag. 163). Di conseguenza, per identificare quale sia la realtà che già dal principio è legata all'economia della salvezza e che nella pienezza dei tempi costituisce uno dei sette sacramenti in senso proprio della Nuova Alleanza, l'unica via è quella di rifarsi alla realtà naturale che ci è presentata dalla Scrittura nella Genesi (1, 27; 2, 18-25). E' ciò che ha fatto Gesù parlando dell'indissolubilità del vincolo coniugale (cfr
Mt 19,3-12 Mc 10,1-2), ed e ciò che ha fatto San Paolo illustrando il carattere di "mistero grande" che ha il matrimonio "in riferimento a Cristo e alla Chiesa" (Ep 5,32).

Del resto dei sette sacramenti il matrimonio, pur essendo un "signum significans et conferens gratiam", è il solo che non si riferisce ad un'attività specificamente orientata al conseguimento di fini direttamente soprannaturali. Il matrimonio, infatti, ha come fini, non solo prevalenti ma propri "indole sua naturali", il bonum coniugum e la prolis generatio et educatio (CIC can. CIC 1055).

In una diversa prospettiva, il segno sacramentale consisterebbe nella risposta di fede e di vita cristiana dei coniugi, per cui esso sarebbe privo di una consistenza oggettiva che consenta di annoverarlo tra i veri sacramenti cristiani. Perciò, l'oscurarsi della dimensione naturale del matrimonio, con il suo ridursi a mera esperienza soggettiva, comporta anche l'implicita negazione della sua sacramentalità. Per contro, è proprio l'adeguata comprensione di questa sacramentalità nella vita cristiana ciò che spinge verso una rivalutazione della sua dimensione naturale.

D'altra parte, l'introdurre per il sacramento requisiti intenzionali o di fede che andassero al di là di quello di sposarsi secondo il piano divino del "principio", - oltre ai gravi rischi che ho indicato della Familiaris consortio (n. 68, l.c. pag. 164-165): giudizi infondati e discriminatori, dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, in particolare da parte di battezzati non cattolici -, porterebbe inevitabilmente a voler separare il matrimonio dei cristiani da quello delle altre persone. Ciò si opporrebbe profondamente al vero senso del disegno divino, secondo cui è proprio la realtà creazionale che è un "mistero grande" in riferimento a Cristo e alla Chiesa.

9. Ecco, cari Prelati Uditori, Officiali ed Avvocati, alcune delle riflessioni che mi premeva condividere con voi per orientare e sostenere il prezioso servizio che voi rendete al Popolo di Dio.

Su ciascuno di voi, sul vostro quotidiano lavoro invoco la particolare protezione di Maria Santissima, "Speculum iustitiae", e vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica, che ben volentieri estendo ai vostri familiari ed agli alunni dello Studio Rotale.



AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE

DELL’ALBANIA IN VISITA


"AD LIMINA APOSTOLORUM"


Sabato, 3 febbraio 2001

Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio!


1. Sono colmo di gioia nell'accogliervi in questa prima visita ad limina, da quando l'Albania ha ritrovato, dopo la fine della dittatura comunista, il suo posto tra le Nazioni libere e democratiche.
Vi saluto con grande affetto e porgo a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto. Ringrazio Monsignor Angelo Massafra, Presidente della Conferenza Episcopale, per aver voluto interpretare i vostri comuni sentimenti. Rivolgo, altresì, un pensiero beneaugurante a Mons. Rrok Miridita, Arcivescovo di Durrës-Tirana, il quale non ha potuto essere con noi per motivi di salute.

31 Un particolare affettuoso saluto va ai quattro nuovi Amministratori Apostolici di Rreshen, di Lezhe, di Sape e di Pulati-Bajze, la cui nomina, dopo il riordino delle circoscrizioni ecclesiastiche, costituisce un segno promettente per la vita dell'intero popolo cristiano d'Albania.

Mi tornano alla mente i contatti che ho avuto con la vostra Comunità ecclesiale. Penso alla Visita pastorale del 25 aprile 1993, e all'ordinazione dei primi quattro Vescovi albanesi, avvenuta in quella stessa memorabile occasione. Il mio pensiero va specialmente a Monsignor Frano Illia ed a Monsignor Robert Ashta, ritornati nella casa del Padre dopo un'esistenza vissuta nella coraggiosa fedeltà al Vangelo. Penso, altresì, all'elevazione alla porpora del compianto Cardinale Mikel Koliqi, testimone fedele di Cristo che, nella sua veneranda figura, quasi sintetizzava la storia delle sofferenze, delle persecuzioni e dell'indomita speranza dei cristiani della vostra amata Terra.

2. Il lungo cammino della Chiesa cattolica in Albania ha conosciuto momenti di promettente vitalità e stagioni di difficoltà, fra ostacoli e persecuzioni. Basti ricordare la lunga dominazione turca che per 450 anni ha messo a dura prova la fede dei cattolici albanesi e, più vicino a noi, il mezzo secolo di dittatura comunista, che li ha costretti a vivere nelle catacombe. Talora è sembrato persino che la comunità ecclesiale fosse inevitabilmente destinata a scomparire, ma la presenza misteriosa del Signore proprio allora poneva i semi di nuove fioriture e di nuovi frutti.

Anche in Albania si è realizzato quanto affermava Tertulliano: "Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani" (Apologeticum, 50,13). Lo attestano i tanti albanesi che hanno conservato la fede, nonostante la dura oppressione subita a causa della loro adesione al Vangelo. Ne sono splendida testimonianza i sacerdoti e i religiosi che hanno subito il carcere e la tortura.

In questa speciale circostanza, desidero ringraziare l'intera Chiesa Albanese per la testimonianza offerta negli anni della persecuzione ed unirmi ad essa nel lodare il Signore per aver potuto celebrare insieme, qui a Roma, lo scorso 4 novembre, il decimo anniversario della riapertura delle Chiese e della ripresa della visibilità della vita ecclesiale nel Paese.

Rivolgo, altresì, un riconoscente pensiero ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, provenienti in gran parte dall'Italia e dal Kosovo, ma anche dalla Bosnia ed Erzegovina, dalla Croazia, dalla Germania, dall'Austria, dalla Slovenia, da Malta, dall'India e dalle Filippine, che con il loro apporto pastorale, culturale e materiale cooperano efficacemente alla causa del Vangelo.

3. Dopo il lungo inverno delle persecuzioni, è iniziata la stagione della speranza. Sono state costruite diverse chiese e sono state aperte numerose case religiose, che costituiscono provvidenziali avamposti di evangelizzazione e di promozione umana. Sono aumentate le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. E' stato riaperto il Seminario Maggiore interdiocesano di Scutari, che il 29 giugno 1999 ha già cominciato a dare i suoi frutti con le prime 5 ordinazioni sacerdotali.

Notevole è poi l'impegno sociale ed educativo che ha portato alla costruzione di cliniche, poliambulatori, scuole per bambini e giovani. Né è mancata l'assistenza ai poveri, attraverso la costruzione di case per i senza tetto e la distribuzione di cibo e di indumenti.

In questo lasso di tempo la vostra Chiesa ha riacquistato il suo posto all'interno della vita della Nazione. Durante i disordini e gli scontri fratricidi del 1997, essa ha svolto un ruolo di pacificazione; attraverso la Caritas nazionale ed altre organizzazioni cattoliche non governative, si è attivata a favore dei rifugiati del Kosovo; ha realizzato, inoltre, significative iniziative come "la campana della pace", voluta dai bambini della zona di Zadrina di Lezha, ed il "villaggio della pace" costruito a Scutari dai Religiosi dell'Opera Don Orione. Né posso dimenticare il dialogo costantemente intessuto con le comunità ortodosse e musulmane.

A tanti motivi di soddisfazione per il lavoro svolto dalla vostra Comunità, non posso non aggiungere un accenno al conforto che ho tratto dalle iniziative culturali da voi promosse, quali la Conferenza internazionale sul tema: "Cristianesimo tra gli Albanesi" del 16-19 novembre 1999, come pure dalla partecipazione di numerose rappresentanze delle vostre Chiese alle celebrazioni giubilari in Roma.

4. "«Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (
Mt 28,20). Questa certezza ... ha accompagnato la Chiesa per due millenni, ed è stata ora ravvivata nei nostri cuori dalla celebrazione del Giubileo. Da essa dobbiamo attingere un rinnovato slancio nella vita cristiana, facendone anzi la forza ispiratrice del nostro cammino. E' nella consapevolezza di questa presenza tra noi del Risorto, che ci poniamo oggi la domanda rivolta a Pietro a Gerusalemme, subito dopo il suo discorso di Pentecoste: «Che cosa dobbiamo fare?» (Ac 2,37)" (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 29).

32 Queste parole, che esprimono la motivazione profonda di ogni progetto pastorale dopo l'esperienza di grazia del Giubileo, risultano quanto mai attuali per voi, carissimi Pastori della Chiesa che è in Albania. Non è forse la certezza della presenza del Risorto che ha sostenuto i vostri martiri, ha alimentato la speranza dei cristiani ed ha dato alle vostre Comunità la forza di risorgere dopo la tremenda esperienza del comunismo ateo? Non deve forse questa certezza fondare ogni vostro progetto nel presente e nel futuro?

In questa nuova stagione emergono alcune priorità, alle quali è legata la qualità del futuro delle vostre Comunità. Sempre nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte scrivevo: "Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo" (Ibid., 43).

Questo impegno deve trovare nella vostra Conferenza Episcopale un riferimento autorevole e sicuro. Sono certo che uno stile accogliente e rispettoso di tutti i carismi vi porterà a valorizzare il contributo dei missionari e delle religiose che, venendo da altre nazioni, hanno scelto di servire Cristo e i fratelli nella vostra Terra. La loro presenza ed il loro impegno pastorale costituiscono un dono per le vostre Comunità. Cooperare insieme, nel reciproco rispetto, perché ci si sente tutti parte di un'unica Chiesa e al servizio dell'unica causa del Vangelo: ecco l'atteggiamento giusto per sviluppare efficacemente il programma di una inculturazione sempre più profonda del messaggio cristiano nel contesto albanese.

5. E' un compito che domanda l'apporto di ciascuno, e per questo occorre che le parrocchie diventino luoghi privilegiati di ascolto della parola di Dio, di formazione e di esperienza cristiana.
Di fondamentale rilevanza è, altresì, la preparazione del clero e la cura della pastorale vocazionale, perché il futuro di una Chiesa è in gran parte legato alla sua capacità di fornire a quanti sono chiamati al sacerdozio ministeriale ed alla vita consacrata un bagaglio spirituale, dottrinale e pastorale solido e attento ai segni dei tempi.

Alla formazione del clero, dei religiosi e degli operatori pastorali, voi unite, venerati Fratelli nell'Episcopato, una spiccata attenzione per altri due irrinunciabili obiettivi della Chiesa del terzo millennio: la pastorale giovanile e quella familiare. E' in effetti urgente preparare le giovani generazioni a costruire un futuro migliore nel proprio Paese, vincendo la tentazione dell'emigrazione e l'illusione di facili successi da conseguire all'estero. Come pure è indispensabile sostenere moralmente e materialmente le famiglie e combattere i gravi mali che, purtroppo, affliggono anche il vostro Paese, quali l'aborto, la prostituzione, la droga, lo spirito di vendetta, lo sfruttamento delle donne, la violenza. Non stancatevi di levare con fermezza la vostra voce in difesa della vita sin dal suo concepimento, e non lasciatevi distogliere dall'impegno di tutelare con coraggiosa determinazione la dignità di ogni persona umana.

6. Vasto è il campo di evangelizzazione e di promozione umana che si apre ai vostri occhi, carissimi e venerati Fratelli nell'Episcopato! La mole delle problematiche potrebbe talora scoraggiarvi. Come adempiere ad un compito così impegnativo? Come costruire comunità adulte, protagoniste della nuova evangelizzazione? Anzitutto mantenendo il cuore saldo in Cristo: è da Lui che potete attingere forza e luce. La sua grazia vi renderà forti e pazienti, pronti ad accogliere i tanti doni con i quali egli stesso ricolma la sua Chiesa. Anche a voi, come ai profeti inviati ad annunciare la Parola in contesti difficili ed ostili, il Risorto continua a ripetere: "Io sarò con voi sino alla fine dei secoli. Io resto con voi. Non abbiate paura!". Rese forti dalla potenza della Croce, le vostre Chiese, piccoli semi nell'immenso campo di Dio, potranno diventare alberi rigogliosi e ricchi di frutti.

Vi accompagni, con la sua materna protezione, la Madre del Signore, che con la sua presenza e la sua preghiera è stata vicina agli Apostoli nel Cenacolo. Sia Lei a rendere fecondo ogni vostro progetto apostolico e prepari per il Popolo di Dio a voi affidato sempre nuove effusioni dello Spirito.

Nella quotidiana fatica del vostro ministero vi sia di conforto anche la Benedizione Apostolica, che di cuore dono a voi ed ai fedeli dell'amata Albania, con un particolare pensiero per gli ammalati, i giovani, le famiglie e quanti sono provati nel corpo e nello spirito.


GP2 Discorsi 2001 25