GPII Discorsi 2000 272


AI VARI PELLEGRINAGGI GIUBILARI


Castel Gandolfo, venerdì 18 agosto 2000

1. Con grande gioia vi accolgo, carissimi Fratelli e Sorelle, in questo speciale incontro, che ha luogo durante le celebrazioni della quindicesima Giornata Mondiale della Gioventù. Il clima di fede e di spiritualità, che si respira in questi giorni, offre a tutti i pellegrini l'opportunità di approfondire la conoscenza di Cristo e di verificare la propria fedeltà a Lui.


Auguro di cuore che così sia anche per ciascuno di voi, che provenite da diverse nazioni e continenti, mentre vi saluto con viva cordialità.

273 2. Sono lieto di accogliervi, cari amici del Patriarcato copto cattolico, mentre realizzate il vostro pellegrinaggio giubilare. Saluto molto cordialmente il Patriarca Stéphanos II Ghattas e i Vescovi presenti. È per me una felice occasione per ricordare il mio recente viaggio giubilare in Egitto e per ringraziare ancora tutte le persone che hanno contribuito al suo buon svolgimento.

Voi avete risposto all'appello della Chiesa, che invita ogni fedele a volgersi maggiormente al Signore, a convertirsi e a rendere testimonianza di una più grande fraternità, solidarietà e carità verso i più poveri della società. In effetti, nella prospettiva biblica, il giubileo è al contempo un'occasione privilegiata per rendere grazie a Dio, per lodarlo e per chiedergli la sua forza al fine di essere testimoni autentici del Vangelo, con le parole e con gli atti. Nel vostro Paese è anche importante sviluppare i legami con tutti i vostri concittadini, in particolare con i fedeli delle altre Confessioni cristiane, affinché procediamo insieme verso la piena unità, come pure con i credenti delle diverse religioni, nel rispetto delle persone e della libertà di coscienza.

Affidandovi all'intercessione materna della Vergine Maria, auguro a ognuno di voi e a tutti i fedeli della Chiesa copta cattolica di ricevere nel corso di questo anno giubilare le grazie necessarie. Che questo gesto ecclesiale rafforzi anche la testimonianza evangelica dell'insieme dei membri del Patriarcato, mediante la crescita della vita liturgica e spirituale, nella fedeltà alla bella eredità ricevuta dalla tradizione, come pure mediante lo sviluppo della vita pastorale e missionaria, in particolare con i giovani, affinché conoscano Cristo e l'insegnamento della Chiesa. Grazie. Vorrei ancora inviare fraterni saluti al Papa Shenouda.

3. Moju re… sad upravljam vama, dragi sveštenici Srpske Pravoslavne Crkve, iz Šaba…ko-valjevske eparhije. Sa ljubavlju pozdravljam vas i vašeg vladiku preosveštenog Lavrentija Trifunoviƒa, zajedno sa beogradskim katoli…kim nadbiskupom koadjutorom monsinjorom Stanislavom Ho…evarom.

Preko vas ñelim da pošaljem bratski pozdrav sa izrazom mog velikog poštovanja vašem Patrijarhu, Njegovu Blañenstvu Pavlu. Moja misao u ovom trenutku leti ka vascelom srpskom narodu, koji se u poslednje vreme nalazi u naro…ito teškom iskušenju. Vašem dragom narodu ñelim da ostane veran svom hrišƒanskom predanju, zahvaljujuƒi takope i vašem dušebriñni…kom delu. Zato prizivam izobilan Boñiji blagoslov na vas i na zajednice vaših vernika u kojima ñivite i delujete kao sasluñitelji u Jevanpelju Hristovom. Da Hristos Gospod naš podari plodove vašem svešteni…kom trudu za Carstvo Boñije.

Vašoj ota…bini Srbiji ñelim da uspe u savlapivanju problema koji je mu…e, i da moñe spokojno da gleda na buduƒnost mira i razvijanja, koju ƒe da obeleñava saradnja i uzajmi…no uvañenje sa susednim zemljama.

Versione italiana:

La mia parola si rivolge ora a voi, cari Sacerdoti della Chiesa Ortodossa Serba, provenienti dall'Eparchia di Šabac-Valjevo. Vi saluto con affetto insieme con il vostro Vescovo, Mons. Lavrentije Trifunoviƒ, e con l'Arcivescovo cattolico coadiutore di Belgrado, Mons. Stanislav Ho…evar.

Per il vostro tramite vorrei far giungere il mio deferente e fraterno saluto al vostro Patriarca, Sua Beatitudine Pavle. Il mio pensiero va in questo momento all'intera Nazione serba, che in questi anni è stata così duramente provata. Possa il vostro caro Popolo restare fedele alle sue tradizioni cristiane, grazie anche al vostro servizio pastorale. Invoco a questo scopo l'abbondanza della benedizione di Dio su di voi e sulle comunità di fedeli presso le quali vivete e lavorate, servendo la causa del Vangelo. Il Signore coroni di frutti il vostro impegno apostolico per il Regno di Dio.

Auspico di cuore che la vostra Patria, la Serbia, riesca a superare presto i problemi che l'affliggono così da poter guardare con serenità verso un futuro di pace e di sviluppo, in un contesto di collaborazione e di rispetto reciproco con i Paesi vicini.

4. Sono molto lieto di salutarvi, cari giovani cubani, accompagnati dal Signor Cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, Arcivescovo dell'Avana, e da Monsignor Carlos J. Baladrón Valdés, Vescovo di Guantánamo-Baracoa, venuti a Roma per rappresentare tanti vostri coetanei nella Giornata Mondiale della Gioventù nell'anno del Grande Giubileo. Questa è un'occasione privilegiata di evangelizzazione, di comunione ecclesiale e di rinnovamento interiore mediante l'incontro personale con Cristo, insieme a numerosissimi giovani di tutto il mondo, pellegrini presso le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo.

274 Oggi desidero ricordare le parole che vi ho rivolto durante il mio indimenticabile viaggio a Cuba. Continuate a volgere lo sguardo a Cristo. Egli desidera offrirvi di nuovo la sua amicizia; i suoi occhi, pieni di tenerezza, continuano a fissare la gioventù cubana, speranza viva della Chiesa e di Cuba. "Non abbiate paura di aprire il vostro cuore a Cristo". Non vi chiudete al suo amore. Siate i suoi testimoni di fronte agli altri giovani assumendo impegni concreti per diffondere la civiltà dell'amore in tutti gli ambiti: famiglia, comunità ecclesiali e lavoro. Chiedo dunque al Signore, in questo Anno Giubilare, che lo Spirito vi colmi con i suoi doni e le sue benedizioni. Allo stesso tempo, prima di ritornare ai vostri luoghi di origine, vi ripeto, affinché le facciate vostre, le parole con cui mi avete ricevuto a Camaguëy: "Benedetti i piedi del messaggero che annuncia la pace!".

5. Rinnovo, ancora una volta, l'espressione del mio affetto a ciascuno di voi qui presenti e, mentre invoco la materna protezione di Maria Assunta in cielo, ben volentieri vi imparto la Benedizione Apostolica, estendendola a tutte le persone a voi care.

XV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ


VEGLIA DI PREGHIERA PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE


GIOVANNI PAOLO II


Tor Vergata, sabato 19 agosto 2000



1. "Voi chi dite che io sia?" (Mt 16,15).

Carissimi giovani e ragazze, con grande gioia mi incontro nuovamente con voi in occasione di questa Veglia di preghiera, durante la quale vogliamo metterci insieme in ascolto di Cristo, che sentiamo presente tra noi. E' Lui che ci parla.

"Voi chi dite che io sia?". Gesù pone questa domanda ai suoi discepoli, nei pressi di Cesarea di Filippo. Risponde Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). A sua volta il Maestro gli rivolge le sorprendenti parole: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17).

Qual è il significato di questo dialogo? Perché Gesù vuole sentire ciò che gli uomini pensano di Lui? Perché vuol sapere che cosa pensano di Lui i suoi discepoli?

Gesù vuole che i discepoli si rendano conto di ciò che è nascosto nelle loro menti e nei loro cuori e che esprimano la loro convinzione. Allo stesso tempo, tuttavia, egli sa che il giudizio che manifesteranno non sarà soltanto loro, perché vi si rivelerà ciò che Dio ha versato nei loro cuori con la grazia della fede.

Questo evento nei pressi di Cesarea di Filippo ci introduce in un certo senso nel "laboratorio della fede". Vi si svela il mistero dell'inizio e della maturazione della fede. Prima c'è la grazia della rivelazione: un intimo, un inesprimibile concedersi di Dio all'uomo. Segue poi la chiamata a dare una risposta. Infine, c'è la risposta dell'uomo, una risposta che d'ora in poi dovrà dare senso e forma a tutta la sua vita.

Ecco che cosa è la fede! E' la risposta dell'uomo ragionevole e libero alla parola del Dio vivente. Le domande che Cristo pone, le risposte che vengono date dagli Apostoli, e infine da Simon Pietro, costituiscono quasi una verifica della maturità della fede di coloro che sono più vicini a Cristo.

2. Il colloquio presso Cesarea di Filippo ebbe luogo nel periodo prepasquale, cioè prima della passione e della resurrezione di Cristo. Bisognerebbe richiamare ancora un altro evento, durante il quale Cristo, ormai risorto, verificò la maturità della fede dei suoi Apostoli. Si tratta dell'incontro con Tommaso apostolo. Era l'unico assente quando, dopo la resurrezione, Cristo venne per la prima volta nel Cenacolo. Quando gli altri discepoli gli dissero di aver visto il Signore, egli non volle credere. Diceva: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò" (Jn 20,25). Dopo otto giorni i discepoli si trovarono nuovamente radunati e Tommaso era con loro. Venne Gesù attraverso la porta chiusa, salutò gli Apostoli con le parole: "Pace a voi!" (Jn 20,26) e subito dopo si rivolse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!" (Jn 20,27). E allora Tommaso rispose: "Mio Signore e mio Dio!" (Jn 20,28).

275 Anche il Cenacolo di Gerusalemme fu per gli Apostoli una sorta di "laboratorio della fede". Tuttavia quanto lì avvenne con Tommaso va, in un certo senso, oltre quello che successe nei pressi di Cesarea di Filippo. Nel Cenacolo ci troviamo di fronte ad una dialettica della fede e dell'incredulità più radicale e, allo stesso tempo, di fronte ad una ancor più profonda confessione della verità su Cristo. Non era davvero facile credere che fosse nuovamente vivo Colui che avevano deposto nel sepolcro tre giorni prima.

Il Maestro divino aveva più volte preannunciato che sarebbe risuscitato dai morti e più volte aveva dato le prove di essere il Signore della vita. E tuttavia l'esperienza della sua morte era stata così forte, che tutti avevano bisogno di un incontro diretto con Lui, per credere nella sua resurrezione: gli Apostoli nel Cenacolo, i discepoli sulla via per Emmaus, le pie donne accanto al sepolcro... Ne aveva bisogno anche Tommaso. Ma quando la sua incredulità si incontrò con l'esperienza diretta della presenza di Cristo, l'Apostolo dubbioso pronunciò quelle parole in cui si esprime il nucleo più intimo della fede: Se è così, se Tu davvero sei vivo pur essendo stato ucciso, vuol dire che sei "il mio Signore e il mio Dio".

Con la vicenda di Tommaso, il "laboratorio della fede" si è arricchito di un nuovo elemento. La Rivelazione divina, la domanda di Cristo e la risposta dell'uomo si sono completate nell'incontro personale del discepolo col Cristo vivente, con il Risorto. Quell'incontro divenne l'inizio di una nuova relazione tra l'uomo e Cristo, una relazione in cui l'uomo riconosce esistenzialmente che Cristo è Signore e Dio; non soltanto Signore e Dio del mondo e dell'umanità, ma Signore e Dio di questa mia concreta esistenza umana. Un giorno san Paolo scriverà: "Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo" (
Rm 10,8-9).

3. Nelle Letture dell'odierna Liturgia troviamo descritti gli elementi di cui si compone quel "laboratorio della fede", dal quale gli Apostoli uscirono come uomini pienamente consapevoli della verità che Dio aveva rivelato in Gesù Cristo, verità che avrebbe modellato la loro vita personale e quella della Chiesa nel corso della storia. L'odierno incontro romano, carissimi giovani, è anch'esso una sorta di "laboratorio della fede" per voi, discepoli di oggi, per i confessori di Cristo alla soglia del terzo millennio.

Ognuno di voi può ritrovare in se stesso la dialettica di domande e rsposte che abbiamo sopra rilevato. Ognuno può vagliare le proprie difficoltà a credere e sperimentare anche la tentazione dell'incredulità. Al tempo stesso, però, può anche sperimentare una graduale maturazione nella consapevolezza e nella convinzione della propria adesione di fede. Sempre, infatti, in questo mirabile laboratorio dello spirito umano, il laboratorio appunto della fede, s'incontrano tra loro Dio e l'uomo. Sempre il Cristo risorto entra nel cenacolo della nostra vita e permette a ciascuno di sperimentare la sua presenza e di confessare: Tu, o Cristo, sei "il mio Signore e il mio Dio".

Cristo disse a Tommaso: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (Jn 20,29). Ogni essere umano ha dentro di sé qualcosa dell'apostolo Tommaso. E' tentato dall'incredulità e pone le domande di fondo: E' vero che c'è Dio? E' vero che il mondo è stato creato da Lui? E' vero che il Figlio di Dio si è fatto uomo, è morto ed è risorto? La risposta si impone insieme con l'esperienza che la persona fa della Sua presenza. Occorre aprire gli occhi e il cuore alla luce dello Spirito Santo. Allora parleranno a ciascuno le ferite aperte di Cristo risorto: "Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto crederanno".

4. Carissimi amici, anche oggi credere in Gesù, seguire Gesù sulle orme di Pietro, di Tommaso, dei primi apostoli e testimoni, comporta una presa di posizione per Lui e non di rado quasi un nuovo martirio: il martirio di chi, oggi come ieri, è chiamato ad andare contro corrente per seguire il Maestro divino, per seguire "l'Agnello dovunque va" (Ap 14,4). Non per caso, carissimi giovani, ho voluto che durante l'Anno Santo fossero ricordati presso il Colosseo i testimoni della fede del ventesimo secolo.

Forse a voi non verrà chiesto il sangue, ma la fedeltà a Cristo certamente sì! Una fedeltà da vivere nelle situazioni di ogni giorno: penso ai fidanzati ed alla difficoltà di vivere, entro il mondo di oggi, la purezza nell'attesa del matrimonio. Penso alle giovani coppie e alle prove a cui è esposto il loro impegno di reciproca fedeltà. Penso ai rapporti tra amici e alla tentazione della slealtà che può insinuarsi tra loro.

Penso anche a chi ha intrapreso un cammino di speciale consacrazione ed alla fatica che deve a volte affrontare per perseverare nella dedizione a Dio e ai fratelli. Penso ancora a chi vuol vivere rapporti di solidarietà e di amore in un mondo dove sembra valere soltanto la logica del profitto e dell'interesse personale o di gruppo.

Penso altresì a chi opera per la pace e vede nascere e svilupparsi in varie parti del mondo nuovi focolai di guerra; penso a chi opera per la libertà dell'uomo e lo vede ancora schiavo di se stesso e degli altri; penso a chi lotta per far amare e rispettare la vita umana e deve assistere a frequenti attentati contro di essa, contro il rispetto ad essa dovuto.

5. Cari giovani, è difficile credere in un mondo così? Nel Duemila è difficile credere? Sì! E' difficile. Non è il caso di nasconderlo. E' difficile, ma con l'aiuto della grazia è possibile, come Gesù spiegò a Pietro: "Né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17).

276 Questa sera vi consegnerò il Vangelo. E' il dono che il Papa vi lascia in questa veglia indimenticabile. La parola contenuta in esso è la parola di Gesù. Se l'ascolterete nel silenzio, nella preghiera, facendovi aiutare a comprenderla per la vostra vita dal consiglio saggio dei vostri sacerdoti ed educatori, allora incontrerete Cristo e lo seguirete, impegnando giorno dopo giorno la vita per Lui!

In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E' Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna.

Carissimi giovani, in questi nobili compiti non siete soli. Con voi ci sono le vostre famiglie, ci sono le vostre comunità, ci sono i vostri sacerdoti ed educatori, ci sono tanti di voi che nel nascondimento non si stancano di amare Cristo e di credere in Lui. Nella lotta contro il peccato non siete soli: tanti come voi lottano e con la grazia del Signore vincono!

6. Cari amici, vedo in voi le "sentinelle del mattino" (cfr
Is 21,11-12) in quest'alba del terzo millennio. Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni. Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti.

Cari giovani del secolo che inizia, dicendo «sì» a Cristo, voi dite «sì» ad ogni vostro più nobile ideale. Io prego perché Egli regni nei vostri cuori e nell'umanità del nuovo secolo e millennio. Non abbiate paura di affidarvi a Lui. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione.

Maria Santissima, la Vergine che ha detto «sì» a Dio durante tutta la sua vita, i Santi Apostoli Pietro e Paolo e tutti i Santi e le Sante che hanno segnato attraverso i secoli il cammino della Chiesa, vi conservino sempre in questo santo proposito!

A tutti ed a ciascuno offro con affetto la mia Benedizione.

Alla fine del suo discorso ai giovani, Giovanni Paolo II ha così proseguito:

Voglio concludere questo mio discorso, questo mio messaggio, dicendovi che ho aspettato tanto di potervi incontrare, vedere, prima nella notte e poi nel giorno. Vi ringrazio per questo dialogo, scandito con grida ed applausi. Grazie per questo dialogo. In virtù della vostra iniziativa, della vostra intelligenza, non è stato un monologo, è stato un vero dialogo.

Al termine della celebrazione il Papa ha salutato i giovani con queste parole:

C’è un proverbio polacco che dice: "Kto z kim przestaje, takim si? staje". Vuol dire: se vivi con i giovani, dovrai diventare anche tu giovane. Così ritorno ringiovanito. E saluto ancora una volta tutti voi, specialmente quelli che sono più indietro, in ombra, e non vedono niente. Ma se non hanno potuto vedere, certamente hanno potuto sentire questo "chiasso". Questo "chiasso" ha colpito Roma e Roma non lo dimenticherà mai!

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


GIOVANNI PAOLO II


IN OCCASIONE DELLE CELEBRAZIONI


DEL MILLENNIO DI SANTO STEFANO D’UNGHERIA


(BUDAPEST, 20 AGOSTO 2000)




277 Carissimi Fratelli e Sorelle in Cristo!
Amato Popolo Ungherese!

1. Te Deum laudamus, Te Dominum confitemur! Queste gioiose parole dell'inno Te Deum ben si addicono alla solenne celebrazione del primo Millennio dell'incoronazione di Santo Stefano. In quest'ora di grazia il pensiero va a quell'evento chiave che segna la nascita dello Stato ungherese. Con cuore riconoscente, desideriamo lodare Dio e ringraziarlo per le grazie ricevute dal popolo d'Ungheria in questi mille anni di storia.

E' una storia che inizia con un Re santo, anzi con una "famiglia santa": Stefano con la moglie, la Beata Gisella, ed il figlio Sant'Emerico costituiscono la prima famiglia santa ungherese. Sarà un seme che germoglierà e susciterà una schiera di nobili figure che illustreranno la Pannonia Sacra: basti pensare a San Ladislao, a Sant'Elisabetta ed a Santa Margherita!

Guardando poi al tormentato secolo ventesimo, come non ricordare le grandi figure del compianto Card. József Mindszenty, del Beato Vescovo martire Vilmos Apor e del Venerabile László Batthyány-Strattmann? E' una storia che si snoda nei secoli con una fecondità che a voi spetta di continuare ed arricchire con nuovi frutti nei vari campi dell'attività umana.

Nello scorrere del suo glorioso passato, l'Ungheria è stata anche baluardo di difesa della cristianità contro l'invasione dei tartari e dei turchi. Non mancarono certo, in così ampio arco di tempo, momenti oscuri; non mancò l'esperienza amara di arretramenti e sconfitte, su cui è doveroso ritornare con un esame critico che metta in luce le responsabilità e induca a ricorrere, in ultima analisi, alla misericordia di Dio, il quale sa trarre il bene anche dal male. Nel suo insieme, tuttavia, la storia della vostra Patria è ricca di splendide luci sia nell'ambito religioso che in quello civile, così da suscitare l'ammirazione di quanti ne intraprendono lo studio.

2. Agli albori del Millennio si staglia la figura del Santo Re Stefano. Egli volle fondare lo Stato sulla pietra salda dei valori cristiani, e per questo desiderò ricevere la corona regale dalle mani del Papa, il mio Predecessore Silvestro II. In tal modo, la Nazione ungherese si costituiva in profonda unità con la Cattedra di Pietro e si legava con stretti vincoli agli altri Paesi europei, che condividevano la medesima cultura cristiana. Proprio questa cultura fu la linfa vitale che, permeando le fibre della pianta in formazione, ne assicurò lo sviluppo ed il consolidamento, preparandone la futura, straordinaria fioritura.

Nel cristianesimo il vero, il giusto, il buono, il bello si ricompongono in mirabile armonia sotto l'azione della grazia, che tutto trasforma ed eleva. Il mondo del lavoro, dello studio e della ricerca, la realtà del diritto, il volto dell'arte nelle sue molteplici espressioni, il senso dei valori, la sete - spesso inconscia - di cose grandi ed eterne, con il bisogno di assoluto che è presente nell'uomo, trovano il loro estuario in Gesù Cristo, che è la Via, la Verità, la Vita. E' quanto rilevava Agostino, quanto affermava che l'uomo è fatto per Dio, e per questo il suo cuore è irrequieto finché non riposa in Lui (cfr Confess.I, 1).

In questa inquietudine creativa pulsa tutto ciò che esiste di più profondamente umano: il senso di appartenenza a Dio, la ricerca della verità, l'insaziabile bisogno del bene, la sete ardente d'amore, la fame di libertà, la nostalgia del bello, lo stupore del nuovo, la voce sommessa ma imperativa della coscienza. Proprio questa inquietudine rivela pertanto la vera dignità dell'uomo, il quale nel più profondo del suo essere avverte come il proprio destino sia indissolubilmente legato a quello eterno di Dio. Ogni tentativo di elidere o di ignorare questo insopprimibile bisogno di Dio riduce ed immiserisce il dato originale dell'uomo: il credente, che di ciò è consapevole, deve farsene testimone nella società, per servire anche in questo modo l'autentica causa dell'uomo.

3. E' a tutti noto che la vostra nobilissima Nazione si è formata sulle ginocchia materne della Santa Chiesa. Purtroppo nelle due ultime generazioni, non tutti hanno avuto la possibilità di conoscere Gesù Cristo, nostro Salvatore. Tale periodo della storia è stato segnato da tribolazioni e sofferenze. Ora spetta a voi, cristiani ungheresi, il compito di portare il nome di Cristo e di annunciare la sua Buona Novella a tutti i vostri cari concittadini, facendo loro conoscere il volto del nostro Salvatore.

Quando Santo Stefano scrisse i suoi Ammonimenti al figlio Emerico, è a lui soltanto che egli si rivolgeva? E' questa la domanda che vi ponevo, nel corso del mio primo viaggio pastorale in Ungheria, durante l'indimenticabile celebrazione avvenuta nella Piazza degli Eroi, il 20 agosto del 1991. Osservavo allora: "Non ha forse il Santo Re scritto i suoi Ammonimenti per tutte le future generazioni degli Ungheresi, per tutti gli eredi della sua corona? Il Re che voi venerate, cari figli e figlie della Nazione ungherese, vi ha lasciato come eredità non soltanto la sacra corona, ricevuta dal Papa Silvestro II, ma vi ha lasciato anche un testamento spirituale, un'eredità di valori fondamentali e indistruttibili: la vera casa costruita sulla roccia".

278 Resta, inoltre, sempre attuale quanto il Santo Re, in quel testo venerando, ricordava al figlio: "Un paese che ha una sola lingua e un solo costume è debole e cadente. Per questo ti raccomando di accogliere benevolmente i forestieri e di tenerli in onore, così che preferiscano stare piuttosto da te che non altrove" (Ammonimenti, VI). Come non ammirare la lungimiranza di un simile monito? Vi è delineata la concezione di uno Stato moderno, aperto verso le necessità di tutti, alla luce del Vangelo di Cristo.

4. La fedeltà al messaggio cristiano porti oggi anche voi, carissimi Fratelli e Sorelle ungheresi, a coltivare i valori del rispetto reciproco e della solidarietà, che hanno nella dignità della persona umana il loro indistruttibile fondamento. Sappiate accogliere con animo riconoscente verso Dio il dono della vita e difendetene con intrepido coraggio il valore sacro a partire dal concepimento fino al suo termine naturale. Siate consapevoli della centralità della famiglia per una società ordinata e florida. Promuovete, pertanto, sapienti iniziative per proteggerne la saldezza e l'integrità. Solo una Nazione che possa contare su famiglie sane e solide è capace di sopravvivere e di scrivere una grande storia, come è stato nel vostro passato.

Non manchi poi tra i cattolici d'Ungheria la volontà di coltivare con gli aderenti alle altre confessioni cristiane rapporti di sincero ecumenismo, per essere autentici testimoni del Vangelo. Mille anni fa, la Cristianità non era ancora divisa. Oggi si sente con forza sempre maggiore la necessità di ricomporre la piena unità ecclesiale fra tutti i credenti in Cristo. Le divisioni degli ultimi secoli devono essere superate, nella verità e nell'amore, con impegno appassionato ed insonne.

Favorite ed appoggiate, inoltre, ogni iniziativa volta a promuovere la concordia e la collaborazione all'interno della Nazione e con le Nazioni vicine. Avete sofferto insieme durante i lunghi periodi di prova che si sono abbattuti su voi e sugli altri popoli; perché non dovreste poter vivere insieme anche nel futuro? La pace e la concordia saranno per voi fonte di ogni bene. Studiate il vostro passato e cercate di trarre dalla conoscenza delle vicende dei secoli trascorsi l'insegnamento di cui è ricca la storia, magistra vitae anche per il vostro futuro.

5. Salvum fac populum tuum, Domine, et benedic hereditati tuae! Con questa invocazione, che ancora il Te Deum pone sulle nostre labbra, ci rivolgiamo al Signore per implorarne l'aiuto sul nuovo Millennio che si apre. Lo chiediamo per l'intercessione della Vergine Maria, la Magna Domina Hungarorum, la cui venerazione ha tanta parte nella preziosa eredità del Re Santo Stefano. A Lei egli aveva offerto la sua corona, quale segno di affidamento del popolo ungherese alla sua celeste protezione. Quante immagini che rievocano questo gesto si trovano nelle vostre chiese! Seguendo l'esempio del Santo Re, sappiate anche voi porre il vostro futuro sotto il manto di Colei a cui Dio affidò il suo Unigenito Figlio! Voi porterete oggi solennemente in processione per le vie della vostra Capitale la Mano Destra di Santo Stefano, quella mano con cui egli offrì la corona alla Beata Vergine Maria: la santa mano del vostro antico Re accompagni e protegga sempre la vostra vita!

Con questi pensieri intendo rendermi spiritualmente presente alle vostre solenni celebrazioni, porgendo un saluto deferente al Signor Presidente della Repubblica ed a tutte le Autorità della Nazione, al Signor Cardinale Arcivescovo e a tutti i Confratelli nell'Episcopato ed ai loro collaboratori, alle illustri Delegazioni convenute a Budapest per la solenne circostanza, come a tutta la nobile Nazione ungherese.

Nell'anno del Grande Giubileo dell'incarnazione del Figlio di Dio e nel solenne millennio della vostra Nazione invoco su voi tutti la più larga benedizione di Dio Padre ricco di misericordia, di Dio Figlio nostro unico Redentore, di Dio Spirito Santo, che fa nuove tutte le cose. A Lui gloria e onore nei secoli dei secoli!

Da Castel Gandolfo, il 16 Agosto del 2000, ventiduesimo di Pontificato.

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AL VESCOVO DI RIMINI


IN OCCASIONE DEL XXI MEETING


PER L'AMICIZIA TRA I POPOLI




Al venerato Fratello
Mons. MARIANO DE NICOLÒ
Vescovo di Rimini

279 In occasione del XXI Meeting per l'Amicizia tra i Popoli, che come ogni anno si svolgerà a Rimini, mi è gradito inviare a Lei, agli organizzatori ed ai partecipanti a tale incontro il mio più cordiale saluto.

Per l'edizione di quest'Anno Santo, nel quale la Chiesa celebra il Grande Giubileo bimillenario della nascita di Cristo, è stato opportunamente scelto come tema del Meeting: "2000 anni, un ideale senza fine". Si è voluto così porre al centro dell'attenzione l'evento cristiano, resosi manifesto a Betlemme e proiettato nell'orizzonte del Regno di Dio.

In effetti, la nascita di Gesù, come ho ricordato nell'indire il Giubileo, "non è un fatto che si possa relegare nel passato. Dinanzi a lui, infatti, si pone l'intera storia umana: il nostro oggi e il futuro del mondo sono illuminati dalla sua presenza" (Bolla Incarnationis mysterium, 1). Con il tema di questo Meeting, con gli incontri che durante la settimana ne svilupperanno i contenuti, ma, più ancora, con la realtà stessa di tale raduno annuale, voi intendete farvi eco esplicita e consapevole del grande mistero che durante l'Anno Giubilare tutta la Chiesa sta rivivendo: l'incarnazione del Figlio di Dio. Si tratta di un mistero che trascende l'uomo e la storia e, al tempo stesso, li attraversa profondamente: Gesù è "la vera novità che supera ogni attesa dell'umanità"; incontrando Lui "ogni uomo scopre il mistero della propria vita" (ibid.).

Queste parole, che descrivono l'essenza del Cristianesimo, aprono l'accesso all'orizzonte evocato dal tema del Meeting: "un ideale senza fine".

Nel linguaggio corrente, "ideale" viene spesso inteso in contrapposizione a "reale", come qualcosa a cui si aspira, ma sul piano del pensiero, delle "idee", appunto, senza talora un concreto fondamento nella realtà. Al contrario, nel Cristianesimo, l'ideale è un obiettivo infinitamente grande, immensamente bello e vero, sommamente giusto, una meta a cui si rivolge il nostro cuore con tutte le forze senza mai esaurirne il desiderio; ma esso è, nello stesso tempo, qualcosa che già possediamo, anzi, che ci possiede, e che corrisponde al nostro essere e alle sue attese, conferendo una base di solido realismo alla nostra speranza di infinito.

Di questo i cristiani sono consapevoli a motivo della loro stessa esperienza, meditata alla luce della Sacra Scrittura e vissuta seguendo Cristo. Nessun avvenimento, nella lunga storia del mondo, corrisponde all'ideale come la persona di Gesù di Nazareth, il Verbo incarnato. Egli, che è il primogenito di tutti noi (cfr
Col 1,18), avendo in sé la pienezza di ogni umana dimensione (cfr Col 1,19), ha posto nel nostro cuore un'insaziabile nostalgia di tale pienezza, che ci rende di essa ricercatori attraverso le diverse esperienze della vita.

E' "un ideale senza fine" che si intreccia col cammino della Chiesa. La storia della Chiesa è, pertanto, avvincente, e ad essa oggi noi siamo chiamati ad offrire il nostro contributo: mostrare agli uomini del nostro tempo la ragionevolezza della fede, l'umanesimo della carità, l'energia costruttiva della speranza. Perché ciò sia possibile, è necessario che l'ideale cristiano non venga ridotto a sogno, o ideologia, o utopia, ma diventi sempre più nei credenti annuncio, testimonianza e vita.

Ci guida e ci illumina in questo l'esempio dei Santi, che in Cristo hanno trovato la luce e il sostegno quotidiano per il loro cammino e il loro impegno al servizio del Regno di Dio. E' proprio la santità la meta di tutti noi: essa dimostra che quello di Cristo è un ideale senza fine. Auguro a quanti prenderanno parte all'incontro programmato e a tutti gli amici del Meeting di seguire le orme dei tanti uomini e donne che in duemila anni sono stati generosi testimoni di questo immutato ideale, perché esso sia seme di speranza nei solchi del terzo millennio.

Con tali sentimenti, ben volentieri partecipo a Lei, venerato Fratello, e all'intera "Famiglia del Meeting" l'Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 2 Agosto 2000




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