GPII Discorsi 2000 308

UDIENZA DI GIOVANNI PAOLO II


AI DOCENTI E AGLI STUDENTI


DELL’UNIVERSITÀ JAGHELLONICA DI CRACOVIA


309
Lunedì 11 Settembre 2000

Illustri Signori e Signore,


Do un cordiale benvenuto a tutti Voi che durante le celebrazioni romane del Giubileo delle Università rappresentate - in un gruppo così numeroso - la Comunità dell’Università Jaghellonica. Saluto gli illustri Professori con a capo il Signor Rettore. Saluto anche gli Studenti e i Rappresentanti del personale amministrativo qui presenti.

Mentre penso all’Università Jaghellonica, si destano in me i ricordi - quelli lontani, ancora di prima della guerra e quelli recenti, come per esempio la memoria del nostro incontro nella Collegiata di Sant’Anna e nel Collegium Maius, nel 1997. Mi si presentano davanti agli occhi i volti dei professori e degli studenti, che formavano e formano l’antica e l’attuale storia di questa Università. Questo tornare indietro con il pensiero è tanto più giustificato per il fatto che stiamo ancora vivendo l’atmosfera delle celebrazioni del 600° anniversario della fondazione jaghellonica e del rinnovamento dell’Alma Mater cracoviense.

Oggi, tuttavia, mentre ci incontriamo nell’ambito del Grande Giubileo dell’Anno 2000, occorre che - mantenendo nella viva memoria questa storia di sei secoli - ci soffermiamo sull’oggi nella prospettiva del futuro. Sembra che sia un momento propizio per riflettere - a cavallo tra i millenni - sul ruolo e sui compiti di questa Università, che sempre ha dato il tono allo sviluppo della scienza e della cultura polacche.

Un tentativo di riflessione di questo genere lo intrapresi già in una certa misura, durante il nostro incontro del 1997. Partendo proprio dal nome Alma Mater, dissi allora che il compito di un’istituzione accademica in un certo senso è: generare le anime per il sapere e per la sapienza, per la formazione delle menti e dei cuori. Un tale compito non può essere realizzato diversamente che mediante un generoso servizio alla verità - scoprendola e trasmettendola ad altri. Dissi anche che questo servizio alla verità viene attuato nella dimensione sociale come servizio del pensiero, cioè la fatica di un’analisi della realtà di questo mondo che sempre si richiama al supremo ideale della verità, del bene e della bellezza, e mediante esso può diventare voce di una coscienza critica nei riguardi di tutto ciò che minaccia o sminuisce l’uomo. Naturalmente questa missione comporta una particolare responsabilità, esige dagli uomini di scienza una straordinaria sensibilità etica.

Oggi ritorno alla riflessione di tre anni fa, per ricordare i principi a cui si richiamavano le generazioni succedutesi all’Università Jaghellonica. In ogni circostanza e, prima di tutto, nei periodi di pericolo per la Patria e per la nazione, tali principi costituirono il fondamento e furono l’ispirazione nella grande opera della formazione di questo luminoso retaggio a cui ci richiamiamo oggi con orgoglio. Tali regole sono sempre attuali. Se l’università non deve essere soltanto un luogo in cui si trasmette la scienza, ma deve essere soprattutto il tempio della sapienza, non ci si può allontanare da esse.

In questo contesto, tenendo in considerazione il futuro della Polonia e dell’Europa, voglio far notare un compito molto concreto, che si presenta davanti alle istituzioni accademiche in Polonia, e in modo particolare dinanzi all’Università Jaghellonica. Si tratta di formare nella nazione un sano spirito di patriottismo. L’Alma Mater di Cracovia è sempre stata un ambiente nel quale un‘ampia apertura verso il mondo era in armonia con un profondo senso d’identità nazionale. Qui è stata sempre viva la consapevolezza che la Patria è un patrimonio che non soltanto comprende una certa riserva di beni materiali in un dato territorio, ma è soprattutto un tesoro, l’unico nel suo genere, di valori e di contenuti spirituali, cioè di tutto ciò che compone la cultura di una nazione. Le generazioni, l’una dopo l’altra, di maestri, di professori e di studenti dell’Università, hanno custodito questo tesoro e hanno contribuito a formarlo, perfino a prezzo di grandi sacrifici. Proprio in questo modo hanno imparato il patriottismo, cioè l’amore di ciò che è della Patria, di ciò che è frutto del genio degli avi e di quello che distingue un popolo tra gli altri popoli, e che allo stesso tempo costituisce terreno d’incontro e di scambio creativo nella dimensione del genere umano.

Sembra che oggi, mentre osserviamo un processo di unificazione delle nazioni dell’Europa che desta speranza, ma non è privo di pericoli, l’Università Jaghellonica dovrebbe assumere, con particolare fervore, questa tradizione. Come un ambiente eccezionale dove si forma la cultura della nazione, sia essa luogo di formazione dello spirito patriottico - di un amore per la Patria che custodisca il suo bene, ma non chiuda le porte; costruisca piuttosto ponti, per moltiplicare questo bene condividendolo con altri. La Polonia ha bisogno di illuminati patrioti, capaci di sacrifici per amore della Patria e allo stesso tempo preparati ad uno scambio creativo di beni spirituali con le nazioni dell’Europa che si sta unificando.

Illustri Signori e Signore,

siete venuti qui come pellegrini dell’Anno Giubilare, come coloro che credono nell’infinito amore di Dio, che per noi e per la nostra salvezza si fece Uomo, morì e risuscitò. Prego Dio affinché il vostro soggiorno nella Città Eterna sia un particolare tempo di consolidamento in questa fede. La sua luce vi conduca e vi ispiri nella fatica della ricerca della verità, della moltiplicazione del bene e della creazione della bellezza.

310 Con questa preghiera abbraccio anche i rappresentanti dell’Università Cattolica di Lublino. Sono lieto che siate venuti qui e con la vostra presenza conferiate a questo incontro carattere interuniversitario. E’ vero che il discorso è stato rivolto direttamente all’Università Jaghellonica, ma nel suo contenuto essenziale può riferirsi anche all’Università Cattolica di Lublino e a tutte le istituzioni accademiche della Polonia. Vi prego di portare ad esse il mio cordiale saluto. Dio vi benedica tutti.



UDIENZA DI GIOVANNI PAOLO II


AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO GIUBILARE


DEL PATRIARCATO ARMENO CATTOLICO


Giovedì 14 Settembre 2000




1. "Gioisci, santa Chiesa, poiché Cristo, il re dei cieli, ti ha coronata oggi con la sua croce e ha ornato le tue mura con lo splendore della sua gloria".

La vostra liturgia recita queste parole in numerose circostanze, cari fratelli e care sorelle del popolo armeno, che siete venuti qui per celebrare il vostro Giubileo. Il Vescovo di Roma porge a tutti voi il suo cordiale saluto e vi abbraccia paternamente.

Scambio un santo bacio di fraternità con Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni cattolici, e con i Vescovi che l'accompagnano. In questa lieta occasione, formulo i miei voti migliori per lo svolgimento del Sinodo che comincerà fra qualche giorno in questa città di Roma. Saluto i sacerdoti, i religiosi, le religiose e tutti i laici che sono venuti per questo incontro e per la celebrazione odierna.

"Cristo ti ha coronato oggi con la sua croce". Vergogna suprema, supplizio ignobile, la croce dei condannati è divenuta corona di gloria. Noi esaltiamo e veneriamo ciò che fu per tutti il segno esecrabile dell'abbandono e della vergogna. Come è possibile questo paradosso? L'inno che voi canterete nell'Officio di questa sera lo spiega: "Su questa Santa Croce, o Dio, tu sei stato fissato, e su di essa hai versato il tuo sangue prezioso". La nostra salvezza ha la sua origine nell'umiliazione totale di Cristo.

"Io, quando sarò elevato da terra - dice - attirerò tutti a me" (Jn 12,32).
Dal dolore inesprimibile dell'Amore nasce la potenza che trionfa sulla morte, e lo Spirito, effuso dal crocifisso sul mondo, restituisce all'albero secco dell'umanità il ricco fogliame del paradiso terrestre.
L'umanità è stupefatta di fronte a questo mistero; non le resta che inginocchiarsi e adorare il disegno divino della nostra liberazione.

2. Fratelli e sorelle, qualche mese fa sono cominciate le celebrazioni dei millesettecento anni trascorsi dal battesimo del popolo armeno. Con questo gesto, compiuto dai vostri Padri, le acque sante della Redenzione hanno suscitato numerosi semi di vita e di prosperità fra le spine e i cardi che la terra aveva prodotto come conseguenza del peccato dei primi genitori. Questo Giubileo della Chiesa universale apre il vostro Giubileo, in un'ammirevole continuità di spirito e di contenuto teologico: dalla Croce, dal costato del Signore crocifisso è sgorgata l'acqua del vostro Battesimo. Che questo anniversario sia l'occasione di un prezioso rinnovamento, di una speranza ritrovata, di una profonda comunione fra tutti coloro che credono in Cristo!

Il popolo armeno conosce bene la Croce: la porta incisa nel suo cuore. È il simbolo della sua identità, delle tragedie della sua storia e della gloria della sua rinascita dopo ogni evento avverso. In ogni tempo, il sangue dei vostri martiri si è unito a quello del Crocifisso. Intere generazioni di Armeni non hanno esitato ad offrire la propria vita per non rinnegare la propria fede che, come dice uno dei vostri storici, vi appartiene come il colore appartiene alla pelle.

311 Le croci, di cui la vostra terra è disseminata, sono di pietra nuda, come nudo è il dolore dell'uomo; allo stesso tempo vi sono incise eleganti volute, per mostrare che tutto l'universo è santificato dalla Croce, che il dolore è redento. Questa sera, con la Croce voi benedirete i quattro punti cardinali, per ricordare che questo povero strumento di supplizio è divenuto il metro di giudizio del mondo, un simbolo cosmico della benedizione di Dio, che santifica tutto e feconda tutto.

3. Possa questa benedizione raggiungere le vostre regioni e portarvi serenità e fiducia! Prego innanzitutto il Signore crocifisso per le vostre comunità d'Armenia: là nuove e gravi forme di povertà mettono alla prova i vostri fratelli e le vostre sorelle, provocando la tentazione di nuovi esodi per andare a cercare altrove i mezzi per vivere e garantire la sicurezza delle famiglie. Il vostro popolo chiede pane e giustizia, chiede alla politica di essere ciò che essa deve essere per vocazione profonda: il servizio onesto e disinteressato al bene comune, la lotta affinché il più povero e il più abbandonato, sempre rivestito malgrado tutto della dignità indelebile di figlio di Dio, possa vivere un'esistenza degna e umana. Non abbandonate i vostri fratelli che soffrono: oggi più che mai, che gli Armeni che vivono in tutto il mondo, i quali mediante il loro duro lavoro hanno conquistato una sicurezza economica e sociale, si prendano cura dei loro concittadini, in uno sforzo comune di rinascita!

Il Papa vuole portare oggi con voi la croce di quanti soffrono. Vi ricorda che, nelle privazioni e nelle sofferenze quotidiane, il vostro sguardo deve levarsi verso la Croce, da dove la salvezza continua a venire. Il Vangelo non è soltanto una consolazione, è anche un incitamento a vivere fino in fondo i valori che ridanno alla vita civile la sua dignità, eliminando alla radice, nel più profondo del cuore umano, la tentazione della violenza e dell'ingiustizia, dello sfruttamento dei piccoli e dei poveri da parte dei potenti e dei ricchi. È solo rimettendo Cristo Signore al centro della vita che la società sarà giusta e che l'egoismo di un esiguo numero di persone lascerà il posto al bene di tutti.

Oltre che ai cattolici, il mio ricordo e il mio saluto vanno ai figli della Chiesa armena apostolica: che siano certi che il Papa di Roma segue con sollecitudine i loro sforzi per essere "il sale della terra e la luce del mondo", affinché il mondo creda e ritrovi la forza di sperare e di lottare. La Chiesa cattolica intende sostenere tale sforzo, come se fosse il suo, nell'amore che ci unisce tutti in Cristo.

4. Cari amici, su tutti voi qui presenti, su tutte le persone che vi sono care, su tutto il popolo armeno, invoco i benefici del Signore, in particolare per i malati, le persone anziane e tutti coloro che soffrono nel corpo e nell'anima.

Oggi sarò spiritualmente con voi nel vostro pellegrinaggio di fede, che è una dimensione fondamentale del Giubileo. Il pellegrinaggio ci ricorda che il nostro essere è in cammino verso la pienezza del Regno, che ci verrà donato quando, con riconoscente ammirazione, vedremo il Signore dei secoli ritornare nella gloria, recando sempre sul suo Corpo i segni della passione: "per Crucem ad gloriam"

Non dimenticate di pregare anche per me, affinché il Signore guidi i miei passi lungo il cammino della pace!

A tutti imparto di cuore la mia Benedizione!


GIUBILEO DEI RAPPRESENTANTI PONTIFICI



AI PARTECIPANTI AL


GIUBILEO DEI NUNZI APOSTOLICI


315
Venerdì 15 settembre 2000




Carissimi Fratelli nell'episcopato!

1. "Pace a voi!" (
Jn 20,19). Vi accolgo con il saluto pasquale di Cristo agli Apostoli, che ben si intona con la vostra odierna celebrazione giubilare. Essa tende infatti alla riconciliazione ed alla pace con Dio e con i fratelli. Ciò vale per tutti i fedeli, ma in particolare vale per noi pastori, chiamati ad essere "modello del gregge" (1P 5,3).

Di pace hanno tutti bisogno. In modo speciale, tuttavia, deve essere un “uomo in pace” e un “uomo di pace” chi, partecipando come voi alla “sollicitudo omnium ecclesiarum” che è propria del Vescovo di Roma, ha il compito di contribuire con ogni sua energia al ministero di comunione che Cristo ha affidato a Pietro ed ai suoi successori.

Questo impegnativo compito fa sì che io vi senta particolarmente vicini anche quando vi trovate nelle vostre sedi, dislocate nelle varie parti del mondo. Per tale vicinanza, che quotidianamente si alimenta e si sostanzia nella preghiera, sono lieto di potervi rivolgere oggi una cordialissima espressione di saluto, nel contesto del Grande Giubileo. Una speciale parola di affetto vorrei poi riservare a quanti tra voi sono più anziani, per età e per servizio, ed hanno affrontato generosamente il "pondus diei et aestus" in sedi non di rado difficili per la situazione socio-politica o per la condizione climatica.

2. Voi siete, in effetti, Rappresentanti del Papa presso i Governi nazionali o presso le Istituzioni sovranazionali, ma in primo luogo siete testimoni del Suo ministero di unità presso le Chiese locali, ai cui Pastori assicurate la possibilità di un contatto costante con la Sede Apostolica. Un altro compito, che sotto la spinta del Concilio Ecumenico Vaticano II è venuto in questi anni crescendo, è il servizio a quella piena unità di tutti i cristiani che è anelito del cuore di Cristo e, di conseguenza, è pure ardente desiderio del Papa e del Collegio episcopale. Senza dimenticare, inoltre, il grande contributo che voi siete chiamati ad offrire alla ricerca e al consolidamento di un'armonica relazione con tutti i credenti in Dio, e di un dialogo sincero con gli uomini di buona volontà.

In questo servizio voi vi ponete nel solco di tante illustri personalità, alcune delle quali hanno brillato per autentica santità di vita. E come non ricordare, con intima gioia, che i due Papi da poco proposti quali modelli di virtù cristiane a tutta la Chiesa, il Beato Pio IX e il beato Giovanni XXIII, sono stati entrambi, per così dire, vostri "colleghi" nel servizio diplomatico della Santa Sede? Certamente voi li sentite vicini in modo speciale, e questo vi favorisce nella comunione spirituale con loro e nel desiderio di imitarne gli esempi.

3. Soprattutto può essere per ciascuno di voi un validissimo programma il motto di Papa Giovanni XXIII: Oboedientia et pax. Ispirare ad esso la propria disposizione interiore costituisce indubbiamente un valido antidoto contro l'abbattimento o la tristezza che possono assalirvi quando un’iniziativa lungamente curata non sortisce gli esiti desiderati, oppure un passo compiuto con le più nobili finalità viene frainteso, o anche quando emergono aspetti umani meno graditi nelle situazioni di vita o nella stessa organizzazione del vostro lavoro. Il Signore permette tante cose... e a volte stentiamo a riconoscere le trame di grazia di cui sono intessute le nostre esistenze e le stesse vicende della storia.

Ci soccorra allora la parola dell'apostolo Paolo ai Romani: "Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rm 8,28). Il segreto spirituale del beato Giovanni XXIII consisteva nella sua capacità di trasformare in occasione di bene, con l'interiore forza della preghiera, ogni situazione: la sua giornata, le sue preoccupazioni, le gioie e le tristezze, lo scorrere degli anni... In effetti, chi legge il suo diario quotidiano, non può non rimanere affascinato dalla ricchezza della sua vita spirituale, nutrita di costante dialogo con Dio in ogni circostanza, nella fedeltà quotidiana al dovere anche oscuro, monotono, pesante.

E' questo un aspetto significativo della sua santità, assieme a quello del suo rispetto per i Collaboratori, verso i quali coltivava sentimenti di paterno affetto. Parlo qui di una dimensione caratteristica della vostra esperienza nelle Nunziature, dove un piccolo gruppo di persone vive a stretto e quotidiano contatto. Collaborare può risultare a volte difficile, anche a motivo della differenza di età, di nazionalità, di formazione, di mentalità. Il Signore vi conceda di realizzare una buona comunità di lavoro, a vantaggio ed edificazione di ciascuno, nonché del servizio stesso a voi affidato.

4. Desidero qui porre in risalto l'impegno del Nunzio per la Chiesa che vive nel Paese al quale egli è mandato come Rappresentante Pontificio. E’ un servizio importante e delicato, da svolgere nella prospettiva ecclesiologica della comunione, tanto sottolineata dal Concilio Vaticano II (cfr Christus Dominus CD 9 CIC, can. CIC 364). In effetti è un servizio di comunione quello che siete chiamati a rendere. Un servizio che per sua natura non può limitarsi ad una fredda intermediazione burocratica, ma dev’essere autentica presenza pastorale. Il Nunzio - non lo dimenticate - è anch’egli un Pastore, e deve far suo l’animo di Cristo “Buon Pastore”!

316 Se da una parte egli esprime questa sua “pastoralità” quale rappresentante del Successore di Pietro, dall’altra deve sentirsi fraternamente vicino ai Pastori delle Chiese locali, condividendo l’ansia apostolica con la preghiera, la testimonianza, e quelle forme di presenza e di ministero che risultino opportune ed utili al Popolo di Dio nel rispetto della responsabilità propria di ciascun Vescovo.

Vissuto così, carissimi Nunzi, il vostro ministero fa emergere chiaramente il necessario legame tra la dimensione particolare e quella universale della Chiesa. Aiutando il Successore di Pietro a pascere il gregge di Cristo, voi aiutate le Chiese particolari a crescere e svilupparsi. In tale servizio, voi vi trovate non di rado ad affrontare problemi, difficoltà, tensioni. Vi ringrazio di cuore per il contributo preziosissimo della vostra espe­rienza, grazie alla quale sapete unire la sensibilità per le Chiese e le società nelle quali operate con la fedeltà alle linee ispiratrici dell’azione della Santa Sede in campo sia ecclesiale che civile.

5. In realtà, la possibilità di fare, nella Chiesa, diretta esperienza della legittima diversità, pur nel rispetto della doverosa unità, è un dono che certo costituisce per voi motivo di arricchimento umano e spirituale, e in qualche modo vi ricompensa dei sacrifici affrontati nei cambiamenti di clima, di lingua, di mentalità, di cultura, di condizioni di vita. Durante i miei viaggi apostolici, ho avuto modo di conoscervi meglio, visitandovi nei rispettivi luoghi di lavoro. Ricordo di aver detto una volta ad uno di voi, nel momento di accomiatarmi: "Oggi per Lei è il giorno della liberazione". Con quella battuta scherzosa intendevo manifestare che avevo compreso cosa significhi per un Nunzio la preparazione e lo svolgimento di una visita apostolica; era un modo per esprimere il mio apprezzamento, che ripeto qui per ciascuno di voi.

Ho grande considerazione per il vostro impegno a far da tramite tra la Santa Sede e gli Episcopati locali, come pure per tutto il lavoro di mediazione che svolgete rispetto alle istanze politiche e sociali dei Paesi nei quali operate o nel rapporto con gli Organismi internazionali presso i quali siete inviati. Vostro obiettivo costante è quello di promuovere la pace, quella autentica, che non e­siste se non poggia sui pilastri della verità, della giustizia, della libertà e della solidarietà (cfr Encicl. Pacem in terris PT 49-55 PT 64). Tale impegno, voi lo sapete bene, in concreto si traduce nella lotta alla povertà e nella promozione di uno sviluppo umano integrale, perché solo su questi presupposti è possibile fondare una pace vera e duratura tra i popoli della terra, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana, che è immagine di Dio.

6. Nella vostra azione voi potete contare sul prestigio di una diplomazia che ha una storia secolare e che si è arricchita dell’apporto di uomini insigni per equilibrio, saggezza e vivo senso della Chiesa. Il loro esempio resti per ciascuno di voi quasi paradigma a cui guardare per trarne orientamento e sostegno.

Al di là, tuttavia, di ogni pur nobile riferimento umano, la luce vera viene a voi da Cristo e dal suo Vangelo. Le doti di umana prudenza, intelligenza e sensibilità devono sposarsi, in ciascuno di voi, allo spirito delle Beatitudini. In certo senso la vostra deve essere la “diplomazia del Vangelo”! Sta qui, in questa tensione spirituale, la vostra forza e il vostro segreto. Per questo la fede in Cristo deve essere la fiamma che illumina e riscalda ogni vostra giornata.

Questa fede voi avete voluto confermare e rafforzare anche con l’attuale pellegrinaggio giubilare. L’avete voluto compiere, in qualche caso, con non pochi sacrifici. Nel dirvi la mia riconoscenza anche per questa testimonianza di fede e di comunione, vi assicuro il mio costante ricordo nella preghiera.

Affido ciascuno di voi ed il vostro lavoro alla materna protezione della Vergine Santissima e, nel chiedere anche a voi la carità di un frequente ricordo per me e per il mio ministero soprattutto nella celebrazione della Santa Messa, a ciascuno imparto con affetto la Benedizione Apostolica, che estendo volentieri ai vostri Collaboratori ed alle persone a voi care.

GIUBILEO DEI RAPPRESENTANTI PONTIFICI



AI PARTECIPANTI AL


GIUBILEO DEI NUNZI APOSTOLICI


Venerdì 15 settembre 2000




Carissimi Fratelli nell'episcopato!

1. "Pace a voi!" (Jn 20,19). Vi accolgo con il saluto pasquale di Cristo agli Apostoli, che ben si intona con la vostra odierna celebrazione giubilare. Essa tende infatti alla riconciliazione ed alla pace con Dio e con i fratelli. Ciò vale per tutti i fedeli, ma in particolare vale per noi pastori, chiamati ad essere "modello del gregge" (1P 5,3).

317 Di pace hanno tutti bisogno. In modo speciale, tuttavia, deve essere un “uomo in pace” e un “uomo di pace” chi, partecipando come voi alla “sollicitudo omnium ecclesiarum” che è propria del Vescovo di Roma, ha il compito di contribuire con ogni sua energia al ministero di comunione che Cristo ha affidato a Pietro ed ai suoi successori.

Questo impegnativo compito fa sì che io vi senta particolarmente vicini anche quando vi trovate nelle vostre sedi, dislocate nelle varie parti del mondo. Per tale vicinanza, che quotidianamente si alimenta e si sostanzia nella preghiera, sono lieto di potervi rivolgere oggi una cordialissima espressione di saluto, nel contesto del Grande Giubileo. Una speciale parola di affetto vorrei poi riservare a quanti tra voi sono più anziani, per età e per servizio, ed hanno affrontato generosamente il "pondus diei et aestus" in sedi non di rado difficili per la situazione socio-politica o per la condizione climatica.

2. Voi siete, in effetti, Rappresentanti del Papa presso i Governi nazionali o presso le Istituzioni sovranazionali, ma in primo luogo siete testimoni del Suo ministero di unità presso le Chiese locali, ai cui Pastori assicurate la possibilità di un contatto costante con la Sede Apostolica. Un altro compito, che sotto la spinta del Concilio Ecumenico Vaticano II è venuto in questi anni crescendo, è il servizio a quella piena unità di tutti i cristiani che è anelito del cuore di Cristo e, di conseguenza, è pure ardente desiderio del Papa e del Collegio episcopale. Senza dimenticare, inoltre, il grande contributo che voi siete chiamati ad offrire alla ricerca e al consolidamento di un'armonica relazione con tutti i credenti in Dio, e di un dialogo sincero con gli uomini di buona volontà.

In questo servizio voi vi ponete nel solco di tante illustri personalità, alcune delle quali hanno brillato per autentica santità di vita. E come non ricordare, con intima gioia, che i due Papi da poco proposti quali modelli di virtù cristiane a tutta la Chiesa, il Beato Pio IX e il beato Giovanni XXIII, sono stati entrambi, per così dire, vostri "colleghi" nel servizio diplomatico della Santa Sede? Certamente voi li sentite vicini in modo speciale, e questo vi favorisce nella comunione spirituale con loro e nel desiderio di imitarne gli esempi.

3. Soprattutto può essere per ciascuno di voi un validissimo programma il motto di Papa Giovanni XXIII: Oboedientia et pax. Ispirare ad esso la propria disposizione interiore costituisce indubbiamente un valido antidoto contro l'abbattimento o la tristezza che possono assalirvi quando un’iniziativa lungamente curata non sortisce gli esiti desiderati, oppure un passo compiuto con le più nobili finalità viene frainteso, o anche quando emergono aspetti umani meno graditi nelle situazioni di vita o nella stessa organizzazione del vostro lavoro. Il Signore permette tante cose... e a volte stentiamo a riconoscere le trame di grazia di cui sono intessute le nostre esistenze e le stesse vicende della storia.

Ci soccorra allora la parola dell'apostolo Paolo ai Romani: "Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (
Rm 8,28). Il segreto spirituale del beato Giovanni XXIII consisteva nella sua capacità di trasformare in occasione di bene, con l'interiore forza della preghiera, ogni situazione: la sua giornata, le sue preoccupazioni, le gioie e le tristezze, lo scorrere degli anni... In effetti, chi legge il suo diario quotidiano, non può non rimanere affascinato dalla ricchezza della sua vita spirituale, nutrita di costante dialogo con Dio in ogni circostanza, nella fedeltà quotidiana al dovere anche oscuro, monotono, pesante.

E' questo un aspetto significativo della sua santità, assieme a quello del suo rispetto per i Collaboratori, verso i quali coltivava sentimenti di paterno affetto. Parlo qui di una dimensione caratteristica della vostra esperienza nelle Nunziature, dove un piccolo gruppo di persone vive a stretto e quotidiano contatto. Collaborare può risultare a volte difficile, anche a motivo della differenza di età, di nazionalità, di formazione, di mentalità. Il Signore vi conceda di realizzare una buona comunità di lavoro, a vantaggio ed edificazione di ciascuno, nonché del servizio stesso a voi affidato.

4. Desidero qui porre in risalto l'impegno del Nunzio per la Chiesa che vive nel Paese al quale egli è mandato come Rappresentante Pontificio. E’ un servizio importante e delicato, da svolgere nella prospettiva ecclesiologica della comunione, tanto sottolineata dal Concilio Vaticano II (cfr Christus Dominus CD 9 CIC, can. CIC 364). In effetti è un servizio di comunione quello che siete chiamati a rendere. Un servizio che per sua natura non può limitarsi ad una fredda intermediazione burocratica, ma dev’essere autentica presenza pastorale. Il Nunzio - non lo dimenticate - è anch’egli un Pastore, e deve far suo l’animo di Cristo “Buon Pastore”!

Se da una parte egli esprime questa sua “pastoralità” quale rappresentante del Successore di Pietro, dall’altra deve sentirsi fraternamente vicino ai Pastori delle Chiese locali, condividendo l’ansia apostolica con la preghiera, la testimonianza, e quelle forme di presenza e di ministero che risultino opportune ed utili al Popolo di Dio nel rispetto della responsabilità propria di ciascun Vescovo.

Vissuto così, carissimi Nunzi, il vostro ministero fa emergere chiaramente il necessario legame tra la dimensione particolare e quella universale della Chiesa. Aiutando il Successore di Pietro a pascere il gregge di Cristo, voi aiutate le Chiese particolari a crescere e svilupparsi. In tale servizio, voi vi trovate non di rado ad affrontare problemi, difficoltà, tensioni. Vi ringrazio di cuore per il contributo preziosissimo della vostra espe­rienza, grazie alla quale sapete unire la sensibilità per le Chiese e le società nelle quali operate con la fedeltà alle linee ispiratrici dell’azione della Santa Sede in campo sia ecclesiale che civile.

5. In realtà, la possibilità di fare, nella Chiesa, diretta esperienza della legittima diversità, pur nel rispetto della doverosa unità, è un dono che certo costituisce per voi motivo di arricchimento umano e spirituale, e in qualche modo vi ricompensa dei sacrifici affrontati nei cambiamenti di clima, di lingua, di mentalità, di cultura, di condizioni di vita. Durante i miei viaggi apostolici, ho avuto modo di conoscervi meglio, visitandovi nei rispettivi luoghi di lavoro. Ricordo di aver detto una volta ad uno di voi, nel momento di accomiatarmi: "Oggi per Lei è il giorno della liberazione". Con quella battuta scherzosa intendevo manifestare che avevo compreso cosa significhi per un Nunzio la preparazione e lo svolgimento di una visita apostolica; era un modo per esprimere il mio apprezzamento, che ripeto qui per ciascuno di voi.

318 Ho grande considerazione per il vostro impegno a far da tramite tra la Santa Sede e gli Episcopati locali, come pure per tutto il lavoro di mediazione che svolgete rispetto alle istanze politiche e sociali dei Paesi nei quali operate o nel rapporto con gli Organismi internazionali presso i quali siete inviati. Vostro obiettivo costante è quello di promuovere la pace, quella autentica, che non e­siste se non poggia sui pilastri della verità, della giustizia, della libertà e della solidarietà (cfr Encicl. Pacem in terris PT 49-55 PT 64). Tale impegno, voi lo sapete bene, in concreto si traduce nella lotta alla povertà e nella promozione di uno sviluppo umano integrale, perché solo su questi presupposti è possibile fondare una pace vera e duratura tra i popoli della terra, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana, che è immagine di Dio.

6. Nella vostra azione voi potete contare sul prestigio di una diplomazia che ha una storia secolare e che si è arricchita dell’apporto di uomini insigni per equilibrio, saggezza e vivo senso della Chiesa. Il loro esempio resti per ciascuno di voi quasi paradigma a cui guardare per trarne orientamento e sostegno.

Al di là, tuttavia, di ogni pur nobile riferimento umano, la luce vera viene a voi da Cristo e dal suo Vangelo. Le doti di umana prudenza, intelligenza e sensibilità devono sposarsi, in ciascuno di voi, allo spirito delle Beatitudini. In certo senso la vostra deve essere la “diplomazia del Vangelo”! Sta qui, in questa tensione spirituale, la vostra forza e il vostro segreto. Per questo la fede in Cristo deve essere la fiamma che illumina e riscalda ogni vostra giornata.

Questa fede voi avete voluto confermare e rafforzare anche con l’attuale pellegrinaggio giubilare. L’avete voluto compiere, in qualche caso, con non pochi sacrifici. Nel dirvi la mia riconoscenza anche per questa testimonianza di fede e di comunione, vi assicuro il mio costante ricordo nella preghiera.

Affido ciascuno di voi ed il vostro lavoro alla materna protezione della Vergine Santissima e, nel chiedere anche a voi la carità di un frequente ricordo per me e per il mio ministero soprattutto nella celebrazione della Santa Messa, a ciascuno imparto con affetto la Benedizione Apostolica, che estendo volentieri ai vostri Collaboratori ed alle persone a voi care.


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