GP2 Discorsi 2001 91


AI VESCOVI DEL GIAPPONE IN VISITA


"AD LIMINA APOSTOLORUM"


Sabato, 31 marzo 2001




Cari Fratelli Vescovi,

1. Gioendo di nuovo delle "imperscrutabili ricchezze di Cristo" (Ep 3,8), vi do il benvenuto, Vescovi del Giappone, in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum, un pellegrinaggio autentico in spirito di comunione con la Chiesa universale e con il Successore di Pietro. Attraverso di voi saluto tutta la dimora di Dio nel vostro Paese, "ringrazio Dio ogni volta ch'io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del Vangelo" (Ph 1,3-4).

Nell'Anno del Grande Giubileo, tutta la Chiesa ha reso lode a Dio per le grazie infinite di duemila anni dalla nascita del Salvatore. Ora nel salutarvi non posso non rendere grazie a Dio per l'eredità della fede cristiana che è fiorita in Giappone dal giorno in cui san Francesco Saverio sbarcò sui vostri lidi. I primi missionari insegnarono ai cristiani del Giappone un profondo timore reverenziale per la maestà di Dio, una grande stima per la Redenzione, un fervido amore per il Salvatore crocifisso e un risoluto rifiuto del peccato. Hanno fatto appello al senso innato del vostro popolo per la caducità delle cose terrene e alla mancanza di paura di fronte alla morte, infondendo in loro l'amore per le cose dei Cieli e per l'eternità che vi si trova. Di conseguenza i primi secoli di cristianesimo in Giappone sono stati segnati indelebilmente dal coraggio e dalla solidità dei vostri martiri. La loro testimonianza eroica non solo adorna il vostro passato dello splendore del Signore crocifisso, ma indica anche la via della vocazione presente e futura e dell'impegno dei cristiani giapponesi.

2. Nella Lettera Apostolica Novo Millennio ineunte, ho riflettuto sulla storia della pesca miracolosa descritta nel Vangelo di san Luca (5, 1-11).

Duc in altum! Queste parole sono risuonate nella mia mente al ricordo della grazia del Grande Giubileo e al pensiero del futuro di cui il Giubileo ha costituito una preparazione eccellente. Non solo in Giappone, ma in molte altre parti del mondo, i Pastori possono sentirsi come Pietro quando Gesù gli ordinò di gettare le reti per la pesca. Facciamo tutto il possibile per realizzare questa pesca, ma, a volte, sentiamo di aver preso poco o niente e che, almeno per il momento, non c'è più nulla da pescare. Tuttavia Gesù dice: getta le tue reti! La fede ci assicura che il Signore conosce il nostro mondo meglio di noi, che Egli vede attraverso le acque profonde dell'animo umano e della cultura che siete chiamati a evangelizzare.

La storia dimostra che periodi che sembrano particolarmente difficili per la proclamazione di Gesù Cristo e ostici per il suo Vangelo possono anche essere i più fecondi. Vi sono infatti molti segni di un'esigenza diffusa di spiritualità (Novo Millennio ineunte, NM 33). Cristo ci chiama a "un'entusiasmante opera di ripresa pastorale" (ibidem, n. 29). Con immaginazione e coraggio dobbiamo cercare di applicare al mondo di oggi il programma senza età del Vangelo e presentare a chi ci ascolterà la figura infinitamente affascinante del Signore Gesù e la verità del Vangelo, "potenza di Dio per la salvezza" (Rm 1,16).

3. L'inculturazione necessaria della fede nel contesto della società giapponese non può essere il risultato di un piano o di una teoria precostituiti, ma deve nascere dall'esperienza vissuta di tutto il Popolo di Dio in un dialogo costante di salvezza con la società in cui vive. Nel guidare questo dialogo i Padri della Chiesa in Asia hanno un dovere delicato e di importanza vitale da compiere, che l'Assemblea speciale per l'Asia del Sinodo dei Vescovi ha affrontato a lungo, offrendo orientamenti che ho riportato nell'Esortazione Apostolica Ecclesia in Asia. Gli stretti vincoli fra religione, cultura e società rendono particolarmente difficile per i seguaci delle grandi religioni dell'Asia essere aperti al mistero dell'Incarnazione e a concepire Gesù come unico Salvatore.

92 La proclamazione di Cristo quindi richiede uno sforzo attento e duraturo per tradurre con precisione le verità della fede in categorie più facilmente accessibili alla sensibilità asiatica e alla mentalità del vostro popolo. La sfida consiste nel presentare "il volto asiatico di Gesù" in un modo che sia in perfetta armonia con la tradizione teologica, filosofica e mistica della Chiesa.

La Buona Novella dell'amore di Dio manifestata in Gesù Cristo è una buona novella per tutti, perché riguarda il significato dell'esistenza e del destino dell'uomo. Un noto testo del Concilio Vaticano II afferma: "In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo" (Gaudium et spes
GS 22). In un periodo in cui molti sono confusi sul significato della vita o cercano una luce che illumini le numerose questioni morali ed esistenziali che li affliggono, la verità sulla condizione umana è la base essenziale per l'edificazione di una cultura e di una società degne dell'immagine di Dio, innata in ogni uomo e in ogni donna. Quando si compie uno sforzo per promuovere il progresso e la prosperità senza però fare riferimento a Dio, arrecando dunque un danno incalcolabile alla dignità della persona umana, la Chiesa ha il dovere di ricordare alle persone ciò che è essenziale: la verità, la bontà, la giustizia e il rispetto di tutti. La presentazione di questa realtà è una forma fondamentale di solidarietà con gli altri esseri umani. Proclamare questo alla società è una forma eccellente di carità pastorale.

4. Nel rispondere all'anelito dello spirito umano ci affidiamo completamente alla grazia di Dio, riconoscendo anche la necessità di un programma pastorale attento e fiducioso (cfr Novo Millennio ineunte NM 29). Le sfide che il vostro ministero pastorale deve affrontare sono numerose e complesse. Ora il diritto alla libertà religiosa è pienamente riconosciuto nel vostro Paese e i giorni della persecuzione appartengono al passato. Tuttavia sono sopraggiunte pressioni di altro tipo a turbare la fede e a sfidare il vostro ministero. Alcune di queste sfide sono comuni alla Chiesa in tutti i Paesi industrializzati mentre altre sono specifiche del vostro Paese.

Come spesso accade, il benessere porta con sé una serie di problemi, le cui radici vanno ricercate nel cuore umano. Mentre alcuni godono dei benefici del progresso materiale, altri vengono lasciati ai margini, in forme nuove e a volte particolarmente degradanti di povertà. Quando attecchisce una mentalità consumista, le persone vengono assorbite dalla preoccupazione dell'"avere" a detrimento dell'"essere". L'armonia dello spirito risulta frammentata e la conseguenza è l'insoddisfazione e l'incapacità di costruire rapporti personali e di assumersi un impegno di amore e di servizio generosi verso il prossimo. Quante persone, anche quelle ricche, sono minacciate dalla disperazione per la mancanza di significato nella loro vita, dalla paura della vecchiaia o della malattia, dall'emarginazione o dalla discriminazione sociale! Alcuni modi in cui le persone cercano sollievo sono estremamente controproducenti e distruttivi degli individui e della società: vengono subito in mente la violenza, la droga e il suicidio. Tuttavia in quanto Pastori di anime siete pienamente consapevoli della verità di ciò che san Paolo scrive ai Romani: "laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" (5, 20). È la vostra fiducia in questa grazia di Dio a darvi la speranza e la forza di affrontare le sfide ed è un'autentica carità pastorale a spingervi a raccogliere tutte le energie delle comunità affidate alla vostra guida pastorale, nello sforzo grande e generoso di portare il Vangelo a influire in modo più visibile ed efficace sulla realtà in cui vivete.

5. Nel clima di preghiera che regna durante la vostra visita alle tombe degli Apostoli, sarà forse più facile riaffermare che lo scopo di tutta la programmazione e dell'attività pastorale è la santità secondo i modelli delle Beatitudini (Novo Millennio ineunte NM 31). La chiamata alla santità, anche se si applica in modi specifici ai Vescovi, ai sacerdoti e ai religiosi, è, come sottolinea il capitolo 5 della Lumen gentium, una chiamata universale. Esistono diversi ministeri e differenti ruoli nella Chiesa, ma ciò non significa che alcuni sono chiamati alla santità e altri no. Chi è battezzato è chiamato alla santità di Dio e quindi "sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalistica e di una religiosità superficiale" (Novo Millennio ineunte NM 31).

In un certo senso, la santità del clero e dei religiosi è intesa come servizio ai laici, permettendo loro di progredire sempre più sulla via verso la santità, cosicché possano compiere la propria vocazione battesimale. Un laicato impregnato di virtù cristiana al grado eroico non è una novità nella storia della Chiesa in Giappone. Sulla lista dei vostri martiri figurano moltissimi nomi di laici e quando per lunghi periodi sono persistite delle difficoltà sono stati i laici a trasmettere una fede ardente alle generazioni successive. La verità è che Pastori santi produrranno laici santi e da questi ultimi scaturiranno quelle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa di cui la Chiesa ha bisogno in ogni tempo e in ogni luogo. Dobbiamo ricordare questo concetto di complementarità e collaborazione, cosicché il rapporto fra clero e laicato rifletta sempre più la comunione (koinonia) che è la natura autentica della Chiesa.

6. Uno degli obiettivi principali della vostra programmazione pastorale, in unione con i vostri collaboratori, sarà quello di aiutare le comunità ecclesiali in Giappone a divenire sempre più "autentiche "scuole" di preghiera", "dove l'incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino a un vero "invaghimento" del cuore" (Novo Millennio ineunte NM 33). Questa preghiera significa più della comodità e della forza nella vita del discepolo: essa è anche la fonte dell'evangelizzazione. Una "nuova evangelizzazione" scaturirà da una nuova intensità di preghiera e di contemplazione.

Un rinnovamento specifico dell'attività e della metodologia pastorali è necessario nelle parrocchie e nelle comunità che vengono trasformate dall'influenza degli immigrati, molti dei quali sono cattolici. Nella maggior parte dei casi questi fratelli e queste sorelle nella fede affrontano con pochissime risorse difficoltà di adattamento a una situazione che non è loro familiare. Spesso non hanno amici, sono svantaggiati dal punto di vista linguistico e culturalmente estranei, con conseguenze negative per le opportunità di lavoro, l'educazione dei figli e perfino i servizi necessari quali la sanità e la tutela legale. Molti non sono ben istruiti nella fede e hanno bisogno di sostegno spirituale e materiale. Bisogna fare tutto il possibile per soddisfare le loro legittime necessità e per farli sentire accolti nella comunità cattolica. La Chiesa non può non opporsi a tutte le forme di discriminazione e di ingiustizia, agendo con determinazione a nome di coloro che vengono sfruttati o non hanno voce propria.

Una "nuova evangelizzazione" in Giappone significherà anche un'apertura ponderata ma generosa alle comunità e ai movimenti che lo Spirito Santo sta facendo emergere nella Chiesa come frutto speciale del Concilio Vaticano II. Spesso è in questi gruppi che le persone, in particolare i giovani, trovano fervore spirituale e l'esperienza della comunità che li conduce a un incontro personale con Cristo, rendendoli a loro volta missionari del nuovo millennio. Chiaramente queste comunità e questi movimenti devono lavorare in unione con i Vescovi e i sacerdoti e in piena armonia con la vita pastorale delle Chiese locali. È compito del Vescovo esaminare "ogni cosa", tenere "ciò che è buono" (1Th 5,21).

7. Cari Fratelli Vescovi, il seme buono è stato piantato nel fertile suolo del Giappone (cfr Lc 8,15). L'opera di san Francesco Saverio e dei primi missionari, che ha portato tale frutto in passato, continuerà a recare frutti abbondanti fino a quando la loro memoria sarà venerata. La testimonianza dei martiri giapponesi non smetterà di dimostrare la "gloria divina che rifulge sul volto di Cristo" (2Co 4,6). Le fedeltà eroica di questi cristiani giapponesi che hanno serbato in segreto la propria fede per secoli, nonostante la persecuzione e la mancanza di sacerdoti, è certamente una garanzia del fatto che l'incontro fecondo fra fede e cultura giapponese può avvenire ai livelli più profondi di mente e di cuore.

Affidando voi, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli di Cristo in Giappone, a Maria "Madre della nuova creazione e Madre dell'Asia" (Ecclesia in Asia, n. 51), imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica in pegno di grazia e di pace nel Suo Figlio divino.


AI MEMBRI DELL’ISTITUTO


DELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA


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Sabato, 31 marzo 2001


Signor Cardinale,
Signor Presidente,
Illustri Studiosi!

1. Ricevo quest'oggi volentieri dalla Direzione della prestigiosa Enciclopedia Italiana la poderosa opera, in bellissima veste tipografica, realizzata in occasione del Grande Giubileo del Duemila. I tre volumi dell'Enciclopedia dei Papi si propongono come uno dei frutti culturali più significativi dell'Anno giubilare. Grazie di cuore per questo dono veramente prezioso.

Si tratta di un'opera eccezionale, realizzata da ben 137 collaboratori di circa dodici Paesi diversi, sotto la direzione di eminenti Maestri. Con accurata disciplina scientifica e ricca iconografia originale, l'Enciclopedia attesta la sorprendente continuità del Papato attraverso le vicende della storia. Essa offre, al tempo stesso, un'ampia veduta sui due millenni di cristianesimo appena conclusi. Lo rileva nella sua dotta prefazione il Cardinale Paul Poupard, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. A lui rivolgo il mio cordiale saluto, ringraziandolo per le cordiali espressioni con cui ha interpretato i comuni sentimenti. Saluto pure il Presidente della Treccani e tutti i presenti, in vario modo interessati all'opera.

Questa monumentale realizzazione, già ritenuta dagli studiosi un riferimento d'obbligo, è destinata a fornire un contributo sostanziale non soltanto alla storia della Chiesa, ma alla cultura stessa, all'alba del terzo millennio.

2. Il Papato ha segnato la storia dell'umanità, a partire dalla vicenda di uno sconosciuto pescatore di Galilea, Simone figlio di Giona, a cui Cristo diede il nome di Pietro. Di lui io sono l'umile Successore, in una continuità bimillenaria non scevra di prove anche durissime, fino al martirio. Martire fu anzitutto Pietro, il quale, versando il suo sangue nella capitale dell'Impero, fece di Roma il centro della cristianità. Quest'Enciclopedia dei Papi introduce il lettore in un mondo che ha, secondo la volontà del Signore, nei Successori dell'Apostolo il suo punto di riferimento costante, in condizioni storiche diverse e talora drammatiche. Attraverso il succedersi di tanti Pontefici diversi per provenienza, cultura e stili di vita, il Papato, pur rinnovandosi continuamente, ha mantenuto la sua identità essenziale nello sviluppo storico della sua funzione.

L'Enciclopedia dei Papi mette pure in rilievo il rapporto storico vitale che lega il Papato in special modo all'Italia, nell'adempimento di un ministero davvero universale qual è quello cattolico. Tale vincolo è ben attestato dal ricchissimo patrimonio artistico e culturale che Roma e l'Italia custodiscono, a testimonianza eloquente dell'inculturazione del Vangelo.

3. Il Signore vi renda merito per aver voluto offrire ai lettori attenti il frutto di un prezioso lavoro di ricerca storica con rigore metodologico, seria analisi scientifica, apparato bibliografico accurato. Mi rallegro vivamente per il lungo e diligente lavoro della Redazione, condotto su sicura base di conoscenza storica e senza alcun intento apologetico. Ringrazio sentitamente gli Organi dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana per quest'iniziativa editoriale di alto valore culturale che li onora, e, mentre assicuro il mio ricordo nella preghiera, imparto a tutti la mia affettuosa Benedizione.




AI PARTECIPANTI AL CORSO SUL FORO INTERNO PROMOSSO


DALLA PENITENZIERIA APOSTOLICA


Sabato, 31 Marzo 2001

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Signor Cardinale,

Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Seminaristi!

1. Questo tradizionale incontro annuo è sempre per me motivo di particolare gioia. L'Udienza concessa alla Penitenzieria Apostolica, ai Padri Penitenzieri delle Basiliche Patriarcali dell'Urbe e ai giovani sacerdoti e candidati al sacerdozio, partecipanti al Corso sul Foro interno promosso dalla Penitenzieria, mi offre infatti l'occasione per intrattenermi sull'uno o sull'altro aspetto del Sacramento della riconciliazione, tanto importante per la vita della Chiesa.

Saluto innanzitutto il Cardinale Penitenziere, ringraziandolo per le gentili parole che, a nome di tutti, mi ha poc'anzi rivolto. Saluto poi i Membri della Penitenzieria, l'organo della Sede Apostolica che ha il compito di offrire i mezzi della riconciliazione nei casi più gravi e drammatici del peccato, insieme con il consiglio autoritativo per i problemi di coscienza, e l'indulgenza, coronamento della grazia conservata o ritrovata per misericordia del Signore. Saluto, inoltre, i Padri Penitenzieri che vivono il loro sacerdozio con generosa dedizione al ministero della riconciliazione sacramentale, ed i giovani presenti che, ben comprendendo l'eccellenza e l'indispensabilità di questo ministero, hanno voluto approfondire la loro preparazione mediante la partecipazione al corso che giunge ora alla sua conclusione. Il mio pensiero si allarga, infine, con grato apprezzamento a tutti i sacerdoti del mondo che, specialmente nel recente Giubileo, si sono dedicati con paziente e coscienziosa fatica al prezioso servizio del confessionale.

2. Mediante il Battesimo, l'essere umano è assimilato a Cristo con una configurazione ontologica incancellabile. La sua volontà resta, però, esposta al fascino del peccato, che è ribellione alla volontà santissima di Dio. Ciò ha come conseguenza la perdita della vita divina della grazia e, nei casi limite, la rottura anche del vincolo giuridico e visibile con la Chiesa: questa è la tragica causalità del peccato.

Ma Dio, "dives in misericordia" (cfr
Ep 2,4), non abbandona il peccatore al suo destino. Mediante la potestà concessa agli Apostoli e ai loro successori, rende operante in lui, se pentito, la redenzione acquistata da Cristo nel mistero pasquale. E' questa la mirabile efficacia del Sacramento della riconciliazione, che sana la contraddizione prodotta dal peccato e ripristina la verità del cristiano quale vivo membro della Chiesa, mistico Corpo di Cristo. Il Sacramento appare così organicamente connesso con l'Eucaristia, che, memoriale del Sacrificio del Calvario, è fonte e culmine di tutta la vita della Chiesa, una e santa.

Gesù è mediatore unico e necessario della salvezza eterna. E' esplicito, in proposito, san Paolo: "Uno solo infatti è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti" (1Tm 2,5). Deriva da qui la necessità, in ordine alla salvezza eterna, di quei mezzi di grazia, istituiti da Gesù, che sono i Sacramenti. E' quindi illusoria e nefasta la pretesa di regolare i propri conti con Dio, prescindendo dalla Chiesa e dall'economia sacramentaria. E' significativo che il Risorto, la sera di Pasqua, in un medesimo contesto, abbia conferito agli Apostoli il potere di rimettere i peccati e ne abbia dichiarato la necessità (cfr Jn 20,23). Nel Concilio Tridentino la Chiesa ha solennemente espresso questa necessità riguardo ai peccati mortali (cfr sess. XIV, cap. 5 e can. 6 - DS 1679,170).

Si fonda qui il dovere dei sacerdoti verso i fedeli e il diritto di questi verso i sacerdoti alla corretta amministrazione del Sacramento della penitenza. Su questo tema, nei suoi vari aspetti, vertono i dodici Messaggi da me diretti alla Penitenzieria Apostolica, nell'arco di tempo tra il 1981 e lo scorso anno 2000.

3. Il grande afflusso dei fedeli alla Confessione sacramentale durante l'Anno Giubilare ha mostrato come tale tema - e con esso quello delle Indulgenze, che sono state e sono felice stimolo per la riconciliazione sacramentale - sia sempre attuale: i cristiani avvertono questo interiore bisogno e si dimostrano grati quando, con doverosa disponibilità, i sacerdoti li accolgono al confessionale. Perciò, nella Lettera apostolica "Novo millennio ineunte" ho scritto: "L'Anno Giubilare, che è stato particolarmente caratterizzato dal ricorso alla Penitenza sacramentale, ci ha offerto un messaggio incoraggiante, da non lasciar cadere: se molti, e tra essi anche tanti giovani, si sono accostati con frutto a questo sacramento... è necessario... presentarlo e farlo valorizzare" (n. 37).

Confortato da questa esperienza, che è promessa per il futuro, desidero nell'odierno Messaggio richiamare alcuni aspetti di speciale importanza sul piano sia dei principi che dell'orientamento pastorale. La Chiesa è, nei suoi ministri ordinati, soggetto attivo dell'opera della riconciliazione. San Matteo registra le parole di Gesù ai discepoli: "In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo" (18, 18). Parallelamente san Giacomo, parlando dell'Unzione degli infermi, anch'essa Sacramento di riconciliazione, esorta: "Chi è malato, chiami a se i presbiteri della Chiesa, e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore" (5, 14).

95 La celebrazione del Sacramento della penitenza è sempre atto della Chiesa, che in esso proclama la sua fede e rende grazie a Dio, che in Gesù Cristo ci ha liberati dal peccato. Da ciò consegue che, sia per la validità sia per la liceità del Sacramento stesso, il sacerdote e il penitente devono attenersi fedelmente a ciò che la Chiesa insegna e prescrive. Per l'assoluzione sacramentale, in particolare, le formule da usare sono quelle prescritte nell'"Ordo Paenitentiae" e negli analoghi testi rituali vigenti per le Chiese orientali. E' assolutamente da escludere l'uso di formule diverse.

E' necessario anche tener presente il disposto del can. 720 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali e del can. 960 del Codice di Diritto Canonico, secondo i quali la confessione individuale ed integra e l'assoluzione sono l'unico modo ordinario perché il fedele conscio di peccato grave possa riconciliarsi con Dio e con la Chiesa. Perciò l'assoluzione collettiva, senza la previa accusa individuale dei peccati, deve essere rigorosamente contenuta entro le tassative norme canoniche (cfr CCEO, cann. 720-721; CIC, cann.
CIC 961,194 CIC, cann. 961, 962 e 963).

4. Il sacerdote, come ministro del Sacramento, agisce in persona Christi, al vertice dell'economia soprannaturale. Il penitente nella confessione sacramentale compie un atto "teologale", dettato cioè dalla fede, con un dolore derivato da motivi soprannaturali di timore di Dio e di carità, in ordine al ripristino dell'amicizia con Lui, e quindi in ordine alla salvezza eterna.

Al tempo stesso, come è suggerito dalla formula dell'assoluzione sacramentale, con le parole: "Dio... ti conceda il perdono e la pace", il penitente aspira alla pace interiore, e legittimamente desidera anche quella psicologica. Non bisogna tuttavia confondere il Sacramento della riconciliazione con una tecnica psicoterapeutica. Pratiche psicologiche non possono surrogare il Sacramento della penitenza, né tanto meno essere imposte in suo luogo.

Il confessore, ministro della misericordia di Dio, si sentirà impegnato ad offrire ai fedeli con piena disponibilità il suo tempo e la sua comprensiva pazienza. In merito il can. 980 del Codice di Diritto Canonico statuisce che "se il confessore non ha dubbi sulle disposizioni del penitente e questi chiede l'assoluzione, essa non sia negata ne differita"; il can. 986, poi, fa preciso obbligo ai sacerdoti in cura d'anime di ascoltare le confessioni dei loro fedeli "qui rationabiliter audiri petant" (CCEO, can. 735 § 1). Tale obbligo è un'applicazione di un principio generale, di ordine sia giuridico che pastorale, secondo il quale "i ministri sacri non possono rifiutare l'amministrazione dei sacramenti a coloro che la chiedono opportunamente, siano disposti nel debito modo, e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli" (CIC, can. CIC 843 § 1). E poiché "caritas Christi urget nos", anche il sacerdote che non è in cura d'anime si mostrerà al riguardo generoso e pronto. In ogni caso, si rispetti la normativa canonica circa la sede necessaria e opportuna per udire le confessioni sacramentali (cfr CCEO, can. 736; CIC, can. CIC 964).

Oltre che atto della fede della Chiesa, il Sacramento è anche personale atto di fede, di speranza e, almeno in uno stadio incipiente, di carità del penitente. Compito del sacerdote sarà quindi di aiutarlo a compiere la confessione dei peccati non come semplice rivisitazione del passato, ma come atto di religiosa umiltà e di confidenza nella misericordia di Dio.

5. La trascendente dignità, che rende possibile al sacerdote di agire in persona Christi nell'amministrazione dei Sacramenti, crea in lui - salva sempre per il penitente l'efficacia del Sacramento anche se il ministro non fosse degno - il dovere di assimilarsi a Cristo così da riuscire per il fedele viva immagine di Lui: per giungere a ciò è necessario che egli, a sua volta, si accosti fedelmente e spesso, come penitente, al Sacramento della riconciliazione.

La stessa condizione di ministro in persona Christi fonda nel sacerdote l'obbligo assoluto del sigillo sacramentale sui contenuti confessati nel Sacramento, anche a costo, se necessario, della stessa vita. I fedeli, infatti, affidano il misterioso mondo della loro coscienza al sacerdote non in quanto persona privata, ma in quanto strumento, per mandato della Chiesa, di un potere e di una misericordia che sono solo di Dio.

Il confessore è giudice, medico e maestro per conto della Chiesa. Come tale egli non può proporre la "sua" personale morale o ascetica, cioè le sue private opinioni od opzioni, ma deve esprimere la verità di cui la Chiesa è depositaria e garante nel Magistero autentico (cfr CIC, can. CIC 978).

Nel Giubileo, dei cui frutti spirituali rendiamo grazie a Dio, la Chiesa ha commemorato il bimillenario della nascita tra gli uomini del Figlio di Dio, fattosi uomo nel seno di Maria e resosi partecipe in tutto, fuorché nel peccato, della condizione umana. La celebrazione ha ravvivato nella coscienza dei cristiani la consapevolezza della presenza viva ed operante di Cristo nella Chiesa: "Christus heri et hodie, Ipse et in saecula". E' precisamente a servizio di questo dinamismo della grazia di Cristo che si pone l'economia sacramentaria. In essa la Penitenza, strettamente connessa col Battesimo e con l'Eucaristia, agisce affinché il Cristo rinasca e permanga misticamente nei credenti.

Scaturisce di qui l'importanza di questo Sacramento, di cui Cristo ha voluto far dono alla sua Chiesa nel giorno stesso della sua risurrezione (cfr Jn 20,19-23). Esorto i sacerdoti di ogni parte del mondo a farsene ministri generosi, affinché l'onda della misericordia divina possa raggiungere ogni anima bisognosa di purificazione e di conforto. Maria Santissima, che in Betlemme diede fisicamente alla luce Gesù, ottenga ad ogni sacerdote di essere generatore del Cristo nelle anime, facendosi strumento di un Giubileo senza tramonto.

96 Su queste aspirazioni scenda la benedizione del Signore, che con voi e per voi invoco in umile preghiera: ne sia auspice la Benedizione Apostolica, che di gran cuore a tutti imparto.

Aprile 2001



ALLA DELEGAZIONE DEL COMUNE DI CRACOVIA


Lunedì, 2 aprile 2001




Illustri Signori e Signore,

A tutti voi va il mio cordiale benvenuto e il mio grazie per essere venuti. Rappresentate le autorità locali di Cracovia. E’ presente qui il Sindaco della Città, il Presidente del Consiglio Comunale e i Consiglieri - tutti coloro che si assumono la responsabilità per la forma e per la vita di questa città regale.

Durante la mia ultima visita in Polonia ho visto quanti cambiamenti sono avvenuti. Ho visto anche come la città di Cracovia è diventata più bella e come si è animata. Ricordo che, l’anno scorso, Cracovia è stata annoverata tra le nove Capitali della Cultura Europea. Sono i frutti dello sforzo di tutti gli abitanti della città e del circondario; so tuttavia che anche voi avete in ciò una vostra non piccola parte.

L’immagine di una città non è data soltanto dalla bellezza esterna delle strade, delle piazze e degli edifici, ma consiste, soprattutto, nella forma della vita dei suoi abitanti dal punto di vista sia materiale che spirituale. Le autorità territoriali dunque, prendendo le decisioni riguardanti una città o una località, devono tenere in considerazione prima di tutto il bene degli abitanti - i loro bisogni, le loro attese e le prospettive di un completo sviluppo. Questo oggi è particolarmente importante.

Vi auguro che, grazie al vostro servizio, ogni cittadino di Cracovia, affermando la bellezza della sua città, possa esprimere in questo modo anche la propria tranquillità derivante dal senso di sicurezza materiale e la gioia di partecipare a tutto il patrimonio culturale e spirituale della città. Prego Dio affinché il vostro servizio quotidiano produca buoni frutti. Voglia il Buon Dio benedirvi in questo servizio a favore del bene di Cracovia e dei suoi abitanti.


AD UN GRUPPO ECUMENICO


DI TEOLOGI CATTOLICI ED EVANGELICI


Martedì, 3 aprile 2001




Signor Cardinale,
Cari Fratelli e Sorelle!

1. "La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi" (2Co 13,13).

97 Faccio volentieri mio l’auspicio dell'Apostolo delle Genti, nel porgervi un caloroso benvenuto nel Palazzo Apostolico. Ringrazio per le cordiali parole con le quali il Presidente Cardinale Karl Lehmann mi ha presentato il vostro gruppo. Con lui saluto anche il co-Presidente evangelico Vescovo Hartmut Löwe. Sono lieto di questo incontro, che si svolge in occasione della conferenza che il vostro gruppo ecumenico ha organizzato quest'anno a Roma.

2. La crescente consapevolezza della comunione nel Dio Uno e Trino ha permesso ai cristiani di diverse Confessioni di non considerarsi più come nemici o estranei e di vedersi come fratelli e sorelle. La consapevolezza dell’appartenenza a Cristo, che ci viene donata con il Battesimo, è divenuta più profonda soprattutto negli anni successivi al Concilio Vaticano Secondo. Per questo possiamo rendere grazie di tutto cuore.

Già prima di questo avvenimento, importante anche da un punto di vista ecumenico, il desiderio del Signore Ut unum sint! (cfr
Jn 17,21) ha trovato un'eco nel cuore di molti cristiani. L'eco di questa esortazione risuona pure nel vostro gruppo ecumenico, che esiste ormai da più di mezzo secolo.

La Seconda Guerra Mondiale ha distrutto il mondo di molte persone. Anche i capisaldi religiosi hanno cominciato a vacillare. Innumerevoli uomini e donne hanno cercato sicurezza e sostegno. Lo scomparso Cardinale Lorenz Jaeger e il Vescovo luterano Wilhelm Stählin riconobbero questi "segni del tempo". Radunarono intorno a sé teologi cattolici ed evangelici nel tentativo di dare un nuovo centro in Gesù Cristo a un mondo disgregato. Così, proprio nel 1946, sorse il gruppo ecumenico, che ha perseguito fino a oggi gli scopi dei suoi fondatori. Rendo grazie al Signore della storia poiché ha suscitato questi "pionieri dell'ecumenismo" e confido che il vostro gruppo continui a restare consapevole della propria origine e contribuisca anche in futuro quale "laboratorio dell'ecumenismo" alla realizzazione dell'unità.

3. Il desiderio di unità ci accompagna oltre la soglia del terzo millennio. Con la firma della Dichiarazione congiunta sulla Dottrina della Giustificazione è stata posta una pietra miliare nel cammino ecumenico. Anche durante la celebrazione del Grande Giubileo abbiamo potuto osservare nuovamente l'incisivo segno profetico dell'ecumenismo.

Al contempo, abbiamo preso coscienza del fatto che non è ancora raggiunto l'obiettivo della piena unità. La commemorazione dell'incarnazione di Cristo ci ha ricordato che il dialogo ecumenico deve essere orientato soprattutto a Cristo. Tale dialogo tende in primo luogo a una dimensione verticale che lo orienta alla pienezza della Rivelazione biblica e all'unico Redentore del mondo. In questo modo esso diviene per tutti gli interessati un "dialogo di conversione".

Così si evidenzia che l'amore per la verità deve essere la dimensione più profonda di una ricerca credibile della piena comunione dei cristiani. Senza l'amore per la verità è impossibile affrontare le difficoltà teologiche e anche psicologiche che incontriamo nell'esame delle differenze ancora esistenti. Con gratitudine constato che in voi l'amore per la verità è accompagnato dal rispetto e dalla stima per il vostro interlocutore. In tal modo potrete sempre sperimentare che il dialogo ecumenico può essere occasione di una migliore conoscenza reciproca e di uno scambio di doni spirituali.

4. Sono certo che si avvererà il desiderio che ho voluto esprimere nella mia Lettera Apostolica Novo millennio ineunte: "Il confronto teologico su punti essenziali della fede e della morale cristiana, la collaborazione nella carità e, soprattutto, il grande ecumenismo della santità, con l'aiuto di Dio non potranno nel futuro non produrre i loro frutti" (n. 48).

Intravedo un segno di speranza nella vostra scelta di Roma quale luogo per la conferenza: forse un giorno con un dialogo paziente si riuscirà a trovare insieme una forma nella quale il ministero petrino possa realizzare un servizio alla verità e all'amore riconosciuta dagli uni e dagli altri (cfr Ut unum sint UUS 95).

Che il gruppo ecumenico di teologi cattolici ed evangelici possa essere d'aiuto in questa ricerca! Per questo imploro su di voi la pienezza dello Spirito Santo e la ricchezza delle benedizioni di Dio.



GP2 Discorsi 2001 91