GP2 Discorsi 2002 87


AI MEMBRI DELLA "PAPAL FOUNDATION" (USA)


Lunedì, 8 Aprile 2002




Cari amici in Cristo,

nella gioia pasquale della vittoria del Signore sul peccato e sulla morte, sono lieto di salutarvi, membri della Papal Foundation, in occasione del vostro pellegrinaggio annuale a Roma. "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo" (Rm 1,7).

Queste parole dell'Apostolo Paolo ci ricordano che il nostro mondo è pieno di prove convincenti del bisogno disperato dell'umanità della grazia e della pace di Dio. Le conseguenze terribili degli eventi tragici dell'11 settembre sono ancora fra noi. La spirale di violenza e l'ostilità armata in Terra Santa, la terra della nascita, della morte e della resurrezione del Signore, una terra considerata sacra dalle tre grandi religioni monoteiste, hanno raggiunto livelli inimmaginabili e intollerabili. In tutto il mondo uomini, donne e bambini innocenti continuano a soffrire per i danni della guerra, della povertà, dell'ingiustizia e dello sfruttamento di ogni sorta.

Viviamo una difficilissima situazione internazionale. Tuttavia la vittoria del Signore e la sua promessa di restare con noi "fino alla fine del mondo" (Mt 28,20) sono fari che ci illuminano mentre affrontiamo le sfide con coraggio e fiducia. La Papal Foundation stessa, grazie alla generosità di molti, realizza opere necessarie in nome di Cristo e della sua Chiesa. Per questo, vi sono molto grato: grazie al vostro sostegno il messaggio pasquale di gioia, pace e speranza viene proclamato più ampiamente.

Vi assicuro che il vostro amore e la vostra dedizione alla Chiesa e al Successore di Pietro sono molto apprezzati. Mentre continuiamo a percorrere il cammino di luce, vi incoraggio a proseguire nel vostro generoso impegno, cosicché "vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre" (Mt 5,16).

Affidandovi all'intercessione della Santissima Vergine Maria, della quale dobbiamo divenire tutti figli (cfr Novo Millennio ineunte NM 58), imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica a voi e alle vostre famiglie quale pegno di gioia e di pace nel Signore Risorto.




AI PARTECIPANTI ALLA SESSIONE PLENARIA


DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE SOCIALI


Giovedì, 11 aprile 2002




88 Signor Presidente,
Eccellenza,
Signore e Signori Accademici,

1. È con gioia che vi accolgo in occasione dell'ottava Assemblea generale della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Saluto in modo particolare il signor Edmond Malinvaud, vostro Presidente, al quale esprimo la mia gratitudine per il messaggio che a nome di tutti voi mi ha appena rivolto, e ringrazio anche Monsignor Marcelo Sánchez Sorondo e tutte le persone che coordinano i lavori della vostra Accademia. Con le competenze che vi sono proprie, avete scelto di proseguire la vostra riflessione sui temi della democrazia e della mondializzazione, aprendo così la ricerca sulla questione della solidarietà fra le generazioni. Un tale approccio è prezioso per lo sviluppo della dottrina sociale della Chiesa, per l'educazione dei popoli e per la partecipazione dei cristiani alla vita pubblica, in tutti gli organismi della società civile.

2. La vostra analisi mira anche a offrire una luce sulla dimensione etica delle scelte che i responsabili della società civile e ogni uomo devono effettuare. La crescente interdipendenza fra le persone, le famiglie, le imprese e le nazioni, come pure fra le economie e i mercati, - quella che viene chiamata mondializzazione -, ha sconvolto il sistema delle interazioni e dei rapporti sociali. Pur avendo sviluppi positivi, essa comporta anche minacce inquietanti, in particolare l'aggravarsi delle disuguaglianze fra le economie potenti e le economie dipendenti, fra le persone che beneficiano delle nuove opportunità e quelle che sono lasciate in disparte. Tutto ciò invita dunque a esaminare in maniera rinnovata la questione della solidarietà.

3. In questa prospettiva, e con il progressivo allungamento della vita umana, la solidarietà fra le generazioni deve essere oggetto di grande attenzione, con una sollecitudine particolare per i membri più deboli, i bambini e le persone anziane. In passato la solidarietà fra le generazioni era in molti Paesi un atteggiamento naturale da parte della famiglia; oggi è divenuta anche un dovere della comunità che deve esercitarlo con spirito di giustizia e di equità, vegliando affinché ognuno abbia la sua giusta parte dei frutti del lavoro e possa vivere in ogni circostanza con dignità. Con i progressi dell'era industriale, si sono visti Stati mettere in atto sistemi di aiuto alle famiglie, in particolare per ciò che concerne l'educazione dei giovani e i sistemi pensionistici. È bene che si sviluppi l'attitudine a prendersi cura delle persone grazie a un'autentica solidarietà nazionale, affinché nessuno venga escluso e si consenta a tutti di accedere a una assistenza sociale. Non si può non gioire di questi progressi, dei quali beneficia però un'esigua parte degli abitanti del pianeta.

In questo spirito, spetta in primo luogo ai responsabili politici ed economici fare tutto il possibile perché la mondializzazione non si realizzi a discapito dei più bisognosi e dei più deboli, allargando maggiormente il divario esistente fra ricchi e poveri, fra nazioni povere e nazioni ricche. Invito le persone che hanno funzioni di governo e i responsabili della vita sociale ad essere particolarmente vigilanti, conducendo una riflessione per prospettare decisioni a lungo termine e per creare equilibri economici e sociali, soprattutto mettendo in atto sistemi di solidarietà che tengano conto dei mutamenti prodotti dalla mondializzazione e che evitino che tali fenomeni impoveriscano ancora di più fasce considerevoli di certe popolazioni, se non di interi Paesi.

4. A livello mondiale, si devono prospettare e applicare scelte collettive, attraverso un processo che favorisca la partecipazione responsabile di tutti gli uomini, chiamati a costruire insieme il loro futuro. In tale prospettiva, la promozione di modi democratici di governo permette di coinvolgere tutta la popolazione nella gestione della res publica, "sulla base di una retta concezione della persona umana" (Centesimus annus
CA 46) e nel rispetto dei valori antropologici e spirituali fondamentali. La solidarietà sociale presuppone di uscire della semplice ricerca d'interessi particolari, che devono essere valutati e armonizzati "in base a un'equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un'esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona" (Centesimus annus CA 47). È dunque opportuno sforzarsi di educare le giovani generazioni a uno spirito di solidarietà e a una vera cultura di apertura all'universale e di attenzione verso tutte le persone, di qualunque razza, cultura o religione esse siano.

5. I responsabili della società civile sono fedeli alla loro missione quando ricercano prima di tutto il bene comune, nell'assoluto rispetto della dignità dell'essere umano. L'importanza delle questioni che le nostre società devono affrontare e delle poste in gioco per il futuro dovrebbe stimolare una volontà comune di ricercare questo bene comune, per una crescita armoniosa e pacifica delle società, come pure per il benessere di tutti. Invito gli organi di regolamentazione che sono al servizio della comunità umana, come gli organismi intergovernativi o internazionali, a sostenere, con rigore, giustizia e comprensione, gli sforzi delle Nazioni, in vista del "bene comune universale". È così che verranno poco a poco garantite le modalità di una mondializzazione non subita ma controllata.

Di fatto, spetta alla sfera politica regolamentare i mercati, sottoporre le leggi del mercato a quelle della solidarietà, affinché le persone e le società non siano in balia di cambiamenti economici di ogni tipo e siano protette dalle scosse legate alla deregolamentazione dei mercati. Incoraggio dunque ancora una volta i protagonisti della vita sociale, politica ed economica ad approfondire le vie della cooperazione, fra persone, imprese e nazioni, cosicché la gestione della nostra terra venga realizzata in vista delle persone e dei popoli e non del mero profitto. Gli uomini sono chiamati a superare i loro egoismi e a mostrarsi più solidali. Possa l'umanità di oggi, nel suo cammino verso un'unità, una solidarietà e una pace più grandi, trasmettere alle generazioni future i beni della creazione e la speranza in un futuro migliore!

Rinnovandovi la certezza della mia stima e il mio ringraziamento per il servizio che rendete alla Chiesa e all'umanità, invoco su di voi l'assistenza del Signore Risorto e, di tutto cuore, vi imparto la Benedizione Apostolica, che estendo alle vostre famiglie e a tutte le persone che vi sono care.



MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI


PER LA CELEBRAZIONE DEL 750° ANNIVERSARIO


DEL MARTIRIO DI SAN PIETRO DA VERONA




89 Al Venerato Fratello
il Signor Cardinale CARLO MARIA MARTINI
Arcivescovo di Milano

1. Ho appreso con gioia che la Chiesa Ambrosiana e l'Ordine dei Frati Predicatori si preparano a celebrare il 750° anniversario del martirio di san Pietro da Verona, religioso domenicano, ucciso per la fede insieme con il suo confratello fra Domenico il 6 aprile 1252, sabato in albis, nei pressi di Seveso, mentre si recava a Milano per intraprendere una nuova missione di evangelizzazione e di difesa della fede cattolica.

La ricorrenza, che anche quest'anno coincide con il sabato dopo Pasqua, spinge a guardare con ammirata riconoscenza alla figura e all'opera di questo Santo che, afferrato da Cristo, fece della sua vita la realizzazione delle parole dell'apostolo Paolo: "Guai a me se non predicassi il Vangelo" (
1Co 9,16) e ottenne con il martirio la grazia della piena configurazione alla Vittima pasquale.

In tale singolare e lieta circostanza, gioisco con l'Arcidiocesi di Milano, che, beneficiata dal suo fervoroso operare, ne promosse a suo tempo la canonizzazione e ne custodisce le spoglie mortali ed il luogo del martirio. Sono cordialmente unito anche ai benemeriti Figli di san Domenico, che in lui onorano il primo confratello martire, singolare modello per i consacrati e per i cristiani anche del nostro tempo.

2. Tutta la vita di san Pietro da Verona si svolse all'insegna della difesa della verità espressa nel ‘Credo’ o Simbolo degli Apostoli, che prese a recitare dall'età di sette anni, benché nato da una famiglia pervasa dall'eresia catara, e continuò a proclamare "fino all'istante supremo" (cfr Bullarium Romanum, III, Augustae Taurinorum, 1858, p. 564). La fede cattolica appresa dalla fanciullezza lo preservò dai pericoli dell'ambiente universitario di Bologna, dove, recatosi per gli studi accademici, incontrò san Domenico, di cui divenne fervente discepolo, trascorrendo, poi, nell'Ordine dei Frati Predicatori la restante parte della sua esistenza.

Dopo l'ordinazione sacerdotale, varie città dell'Italia settentrionale, della Toscana, della Romagna e della Marca Anconitana, come la stessa Roma, furono testimoni del suo zelo apostolico, che si esprimeva principalmente attraverso il ministero della predicazione e della riconciliazione. Priore dei conventi di Asti, Piacenza e Como, estese la sua sollecitudine pastorale alle religiose claustrali, per le quali fondò il monastero domenicano di san Pietro in Campo Santo a Milano.

Di fronte ai danni provocati dall'eresia, si dedicò con cura alla formazione cristiana dei laici, facendosi promotore, nel capoluogo lombardo come in quello toscano, di Società miranti alla difesa dell'ortodossia, alla diffusione del culto della Beata Maria Vergine ed alle opere di misericordia. A Firenze, poi, strinse una profonda e spirituale amicizia con i Sette Santi Fondatori dei Servi di Maria, di cui divenne prezioso consigliere.

3. Il 13 giugno 1251, il mio venerato Predecessore, Innocenzo IV, gli affidò, mentre era Priore a Como, il mandato speciale di contrastare l'eresia catara a Cremona e, nell'autunno successivo, lo nominò inquisitore per le città e i territori di Milano e della stessa Como.

Il Santo martire iniziava così la sua ultima missione, che lo avrebbe condotto a morire per la fede cattolica. Nello svolgimento di tale importante incarico intensificò la predicazione, annunciando il Vangelo di Cristo e spiegando la sana dottrina della Chiesa, incurante delle ripetute minacce di morte che gli giungevano da più parti.

90 Lo zelo missionario e l'obbedienza lo portarono spesso nella sede di sant'Ambrogio, dove davanti a grandi folle esponeva i misteri del Cristianesimo, sostenendo numerose dispute pubbliche contro i capi dell'eresia catara. La sua predicazione, nutrita di solida conoscenza della Scrittura, era accompagnata da un'ardente testimonianza di carità e confermata da miracoli. Con infaticabile azione apostolica suscitava ovunque fervore spirituale, stimolando un'autentica rinascita della vita cristiana.

Purtroppo, il 6 aprile del 1252, mentre da Como, dove aveva celebrato la Pasqua con la sua comunità, si portava a Milano con il proposito di proseguire il mandato affidatogli dal Vicario di Cristo, fu ucciso per mano di un sicario assoldato dagli eretici, che lo colpì al capo con un 'falcastro', a Seveso, nel territorio di Farga, che poi ha assunto il nome del Martire e dove oggi sorgono il Santuario e la Parrocchia a lui dedicati.

4. Santa Caterina da Siena annota che, con il martirio, il cuore di quest'insigne difensore della fede, ardente di divina carità, continuò a sprigionare "lume nelle tenebre delle molte eresie". Il suo stesso assassino, Carino da Balsamo, da lui perdonato, si convertì e vestì in seguito l'abito domenicano. Note sono, poi, la vastità e l'intensità della commozione suscitata da questa efferata uccisione: ne rimbalzò l'eco non solo nell'Ordine Domenicano e nella Diocesi di Milano, ma anche in Italia e in tutta l'Europa cristiana. Le Autorità milanesi, facendosi interpreti dell'unanime venerazione verso il Martire, chiesero al Papa Innocenzo IV la sua canonizzazione. Questa avvenne a Perugia, a poco meno di un anno dalla morte, nel marzo del 1253. Nella Bolla, con la quale lo iscriveva nel Catalogo dei Martiri, il mio venerato Predecessore ne elogiava la "devozione, umiltà, ubbidienza, benignità, pietà, pazienza, carità", e lo presentava come "amatore fervente della fede, suo cultore esimio e ancor più ardente difensore".

Il culto in onore di san Pietro da Verona attraverso l'Ordine Domenicano si diffuse rapidamente tra il popolo cristiano, come attestano numerose opere d'arte evocatrici della sua intrepida fede e del suo martirio. Una singolare testimonianza di questa perdurante devozione è offerta dal Santuario di Seveso e dalla Basilica di sant'Eustorgio in Milano, dove dal 7 aprile 1252 riposano le venerate spoglie mortali di quest'insigne Martire.

Il Pontefice san Pio V volle dedicargli un'artistica Cappella nella Torre Pia, che è oggi parte dei Musei Vaticani. In essa il santo mio Predecessore celebrava spesso il Sacrificio eucaristico. A partire dal 1818, san Pietro da Verona accompagna e sostiene, con la sua celeste protezione, la formazione dei seminaristi ambrosiani, poiché da quella data nell'antico convento di Seveso, annesso al Santuario che ne ricorda il martirio, trova sede una comunità del Seminario diocesano.

5. A 750 anni dalla morte, san Pietro da Verona, fedele discepolo dell'unico Maestro, continuamente cercato nel silenzio e nella contemplazione, instancabilmente annunciato e amato fino al dono supremo della vita, esorta i cristiani del nostro tempo a superare la tentazione di un'adesione tiepida e parziale alla fede della Chiesa. Egli invita tutti ad incentrare con rinnovato impegno l'esistenza su Cristo "da conoscere, amare, imitare per vivere in lui la vita trinitaria e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste" (Novo millennio ineunte
NM 29). San Pietro indica e ripropone ai credenti la via della santità, "misura alta della vita cristiana ordinaria", perché la comunità ecclesiale, i singoli e le famiglie si orientino sempre in tale direzione (cfr ibid., 31). Ogni cristiano, seguendo il suo esempio, è incoraggiato a resistere alle lusinghe del potere e della ricchezza per cercare innanzitutto "il regno di Dio e la sua giustizia" (Mt 6,33) e per contribuire all'instaurazione di un ordine sociale sempre più rispondente alle esigenze della dignità della persona.

In una società come quella attuale, dove s'avverte spesso un'inquietante rottura tra Vangelo e cultura, dramma ricorrente nella storia del mondo cristiano, san Pietro da Verona testimonia che tale divario può essere colmato soltanto quando le diverse componenti del Popolo di Dio si impegnano a diventare 'lucerne' che splendono sul lucerniere, orientando i fratelli verso Cristo, che dà senso ultimo alla ricerca ed alle attese dell'uomo.

Formulo voti che le programmate celebrazioni in onore di questo esemplare figlio di san Domenico siano occasione di grazia, di spirituale fervore e di rinnovato impegno ad annunciare con coraggio intrepido e con gioia sempre nuova il Vangelo.

Con tali auspici, imparto a Lei, Venerato Fratello, alla diletta Arcidiocesi di Milano, a quanti nel Seminario intitolato al Santo martire si stanno preparando al sacerdozio, all'Ordine dei Frati Predicatori ed a quanti si affidano alla celeste intercessione di san Pietro da Verona l'implorata Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 25 Marzo 2002

GIOVANNI PAOLO II



AI PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE


DELLA SOCIETÀ SALESIANA DI SAN GIOVANNI BOSCO


Venerdì, 12 aprile 2002




91 Carissimi Fratelli!

1. Sono lieto di accogliervi in occasione del venticinquesimo Capitolo generale della vostra Congregazione. Attraverso di voi vorrei far pervenire il mio cordiale pensiero a tutti i Salesiani impegnati in varie parti del mondo.

Con affetto saluto il nuovo Rettor Maggiore, don Pascual Chavez Villanueva, e il Consiglio generale che lo affiancherà nei prossimi anni. Ad essi auguro di guidare la vostra Famiglia religiosa con entusiasmo e con docilità all'azione dello Spirito Santo, mantenendo vivo il carisma sempre attuale del vostro santo Fondatore.

Non posso poi non far memoria del precedente Rettor Maggiore, don Juan Vecchi, di recente scomparso, al termine d'una malattia accettata con rassegnazione e abbandono alla volontà del Signore. La sua testimonianza sia di stimolo per ogni Salesiano a fare della propria vita una totale offerta d'amore a Dio e ai fratelli.

2. In questo tempo pasquale, la Chiesa, dopo i giorni della passione e della crocifissione del Figlio di Dio, invita i credenti a contemplare il volto sfolgorante del divino Maestro risorto. In effetti, come ricordavo nella Lettera Apostolica Novo millennio ineunte, "la nostra testimonianza sarebbe insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto" (n. 16). In Cristo soltanto possiamo trovare risposta alle attese più intime del nostro cuore. Ciò presuppone che ogni energia sia orientata verso Gesù da "conoscere, amare, imitare, per vivere in Lui la vita trinitaria e trasformare con Lui la storia (ibid., 29).

Cari Salesiani, se a questo impegno sarete fedeli costantemente, se vi sforzerete di imprimere al vostro lavoro una costante carica di amore evangelico, potrete compiere sino in fondo la vostra missione con gioia ed efficacia. Siate santi! E' la santità - voi ben lo sapete - il vostro compito essenziale, come lo è, del resto, per tutti i cristiani.

La Famiglia Salesiana si appresta a vivere la gioia dell'imminente beatificazione di tre suoi figli: il sacerdote Luigi Variara, il coadiutore Artemide Zatti e la religiosa María Romero Meneses. La santità costituisce la migliore garanzia di un'efficace evangelizzazione, perché in essa sta la testimonianza più importante da offrire ai giovani destinatari delle vostre varie attività.

3. La Vergine Santissima, che voi venerate con il titolo di Maria Ausiliatrice, guidi i vostri passi e vi protegga dappertutto. San Giovanni Bosco, insieme con i numerosi Santi e Beati che costituiscono la schiera celeste dei vostri protettori, vi accompagni nel compito non facile di dare esecuzione alle linee programmatiche emerse dai lavori capitolari per il bene dell'intero Istituto.

Con questo auspicio vi benedico, carissimi Fratelli, assicurando la mia preghiera per ciascuno di voi e per quanti incontrate nel vostro quotidiano ministero apostolico e missionario.


ALLA CONFERENZA EPISCOPALE BOLIVIANA


IN VISITA "AD LIMINA"


Sabato 13 aprile 2002

Cari Fratelli nell'Episcopato,


92 1. Sono lieto di ricevervi oggi, in occasione della vostra visita ad Limina che, dopo un lungo percorso, vi ha portato a Roma per rinnovare il vostro impegno pastorale presso le tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e a rafforzare i vincoli con la Sede di Pietro e con i suoi successori, nei quali risiede "il fondamento perpetuo e visibile dell'unità della fede e della comunione" (Lumen gentium LG 18).

Ringrazio di cuore il Cardinale Julio Terrazas, Arcivescovo di Santa Cruz e Presidente della Conferenza Episcopale Boliviana, per le gentili parole che mi ha rivolto, esprimendomi il vostro affetto e la vostra adesione e rendendomi al contempo partecipe delle speranze e delle inquietudini del vostro generoso impegno nel ministero pastorale.

Incontrandomi con i suoi Pastori, penso con particolare affetto all'amato popolo Boliviano, suo gregge, che ha avuto la grazia di accogliere il messaggio di Cristo sin dai primi momenti dell'evangelizzazione e che ora si trova di fronte alla appassionante sfida di trasmetterlo, integro e fecondo, alle generazioni di un nuovo millennio.

2. In questo senso, sono lieto di constatare come il Grande Giubileo dell'Anno 2000 abbia segnato profondamente anche la vita ecclesiale boliviana, con diverse celebrazioni diocesane e nazionali che hanno visto una grande partecipazione e hanno dato un particolare impulso alla crescita della vita cristiana. In tale occasione, inoltre, la Chiesa boliviana "si è fatta più che mai popolo pellegrinante, guidato da Colui che è "il Pastore grande delle pecore" (Hb 13,20)" (Novo Millennio ineunte NM 1). Per questo ribadisco a tutti i Pastori, sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti e agli altri agenti di pastorale ciò che ho già detto ai sacerdoti lo scorso anno: "Desidero oggi esprimere a ciascuno di voi il mio grazie per quanto avete fatto durante l'Anno giubilare, affinché il popolo affidato alle vostre cure avvertisse in modo più intenso la presenza salvatrice del Signore risorto" (Lettera del Papa ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 2001, n. 3).

La ricca esperienza di un momento tanto significativo nella storia della Chiesa e dell'umanità non deve rimanere un mero ricordo, ma deve essere scuola e incentivo per un nuovo dinamismo evangelizzatore, giacché "nella causa del Regno non c'è tempo per guardare indietro, tanto meno per adagiarsi nella pigrizia" (Novo Millennio ineunte NM 15). Nelle vostre comunità ecclesiali non mancano le sfide importanti alle quali dovete far fronte. Desidero incoraggiarvi di cuore nel vostro impegno, che spesso è seminato di difficoltà in apparenza insolubili, ricordando che Gesù stesso inviò i suoi a predicare senza portare nulla con sé (cfr Mt 10,9-10) e che Pietro, fidandosi pienamente della parola del Maestro, fece una pesca tanto abbondante quanto insospettata (cfr Lc 5,6).

3. Sebbene non manchino i segni che alimentano la speranza di una crescita delle vocazioni sacerdotali e religiose, so bene che questo è uno degli aspetti che maggiormente vi premono nell'ansia di rendere più incisivo l'annuncio del Vangelo, più completa e organizzata l'attenzione pastorale verso il Popolo di Dio, più ricca e fiorente la ricerca della santità in tutte le comunità ecclesiali. Per questo occorre insistere instancabilmente nella preghiera al "padrone della messe" (cfr Mt 9,38), affinché continui a benedire la Bolivia con il dono prezioso delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata nelle sue diverse forme. L'annuncio di Cristo deve divenire eco anche del Suo invito a seguirlo nel cammino specifico della vita sacerdotale o della consacrazione speciale, e suscitare l'esperienza di quei discepoli che "sentendolo parlare così, seguirono Gesù" (Jn 1,37). A questo si orienta la pastorale delle vocazioni, una delle grandi urgenze del nostro tempo, che deve essere "vasta e capillare (...) che raggiunga le parrocchie, i centri educativi, le famiglie" (Novo Millennio ineunte NM 46). Nessuno può sentirsi esentato da questa responsabilità che "compete a tutto il Popolo di Dio" (Ecclesia in America, n. 40).

Come Pastori conoscete bene quanto sia delicato questo lavoro che, se da un lato richiede audacia nel farsi mediatori della chiamata del Maestro attraverso una proposta diretta e personale, dall'altro esige anche un paziente accompagnamento spirituale e la indomabile speranza del seminatore, che prosegue nel suo compito pur consapevole dell'incertezza del raccolto.

4. Occorre altresì porre particolare attenzione alla formazione dei candidati al sacerdozio e alla vita consacrata, poiché l'esiguità di quanti sono chiamati a proclamare e a testimoniare il Vangelo non significa che non si debba esigere la necessaria idoneità a questa fondamentale missione della Chiesa. Per questo occorre offrire loro una solida preparazione teologica e una profonda spiritualità, di modo che comprendano e accettino con gioia le esigenze del ministero e della consacrazione, dando prova di essere capaci a "consumare" tutta la vita per Cristo (cfr 2Cor 12, 15) e di mettere le proprie capacità al servizio della Chiesa, il che dà un significato pieno all'esistenza personale e la riempie in ogni suo aspetto.

Vi invito, quindi, a continuare a infondere coraggio nei vostri seminaristi e sacerdoti, senza avere paura di presentare ed esigere per intero i requisiti che la Chiesa, ispirata al modello del Buon Pastore, chiede ai suoi ministri ordinati. Penso alla necessaria fraternità sacerdotale, senza forma alcuna di malanimo, pregiudizio o discriminazione; alla indispensabile obbedienza e comunione, senza reticenze, con il proprio Vescovo, al quale devono dare tutta la loro disponibilità con gioia e generosità; all'apprezzamento sincero ed effettivo del celibato e all'indifferenza verso i beni materiali (cfr Presbyterorum ordinis PO 14-17). La vostra carità pastorale saprà trovare il modo perché tali esigenze, più che come semplici e penose rinunce, siano accettate e vissute con il cuore colmo di gioia di chi "trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra" (Mt 13,46). Sapete anche quanto possa risultare decisivo in molti casi il rapporto individuale, affabile e paterno del Vescovo con i suoi sacerdoti, mostrando interesse anche per le piccole cose della vita quotidiana che incidono sulla sua anima personale e pastorale. È proprio questo uno degli ambiti privilegiati per sviluppare la "spiritualità di comunione" che deve caratterizzare la Chiesa del terzo millennio (cfr Novo Millennio ineunte NM 43).

5. Non bisogna dimenticare un aspetto molto importante per la maggior parte delle vostre Diocesi, quale la presenza di molte persone consacrate, che ringrazio di cuore per il loro contributo al servizio del Regno di Dio in Bolivia. Lo danno in molti ambiti, secondo il carisma del proprio Istituto, dall'apostolato diretto nelle parrocchie e nelle missioni alle opere educative, sanitarie o di assistenza sociale e caritativa. Non meritano solo il riconoscimento dei Pastori, ma anche un incoraggiamento continuo per sostenere e accrescere la loro generosità e il loro impegno, in piena sintonia con le direttive di ciascuna Chiesa particolare. Questo le aiuterà, inoltre, a prendere sempre maggiore coscienza che il loro contributo alla vita della comunità ecclesiale non è limitato all'efficacia materiale del loro servizio, ma che la arricchiscono soprattutto attraverso la loro testimonianza, personale e comunitaria, del Vangelo delle beatitudini, la presenza del loro carisma, che ricorda a tutti la incommensurabile azione dello Spirito, e da questo importantissimo impegno a contribuire in modo peculiare a far sì che le comunità continuino ad essere "autentiche "scuole" di preghiera" (Ibidem, n. 33).

6. Un segno di vitalità in molte delle Chiese particolari che presiedete è anche la presenza di numerosi laici impegnati, che "per la loro parte compiono, nella chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano" (Lumen gentium LG 31). Il loro ruolo assume una particolare importanza in quei luoghi dove è impossibile contare sulla presenza permanente di sacerdoti che presiedano la comunità. La loro disponibilità a promuovere la catechesi o ad animare gli incontri di preghiera comunitaria e di lettura della Parola di Dio merita il sincero riconoscimento dei Pastori che, a loro volta, devono impegnarsi a offrire loro una formazione teologica, liturgica e spirituale adeguata ai compiti loro affidati.

93 A tale riguardo, occorre senz'altro fare in modo che l'impegno e la dedizione ai servizi ecclesiali non porti, in certi casi, "a un pratico disimpegno nelle loro specifiche responsabilità nel mondo professionale, sociale, economico, culturale e politico" (Christifideles laici CL 2).

In effetti, questa vocazione specifica dei laici ha un'importanza decisiva nella società attuale, nella quale, come accade anche in Bolivia, avvengono rapide e profonde trasformazioni che esigono il rispetto dei principi etici e l'illuminazione dei valori evangelici, affinché le realtà temporali siano ordinate secondo il disegno di Dio (cfr Lumen gentium LG 31). Per questo non si devono lesinare mezzi nella formazione specifica dei laici, poiché essi sono chiamati in primo luogo a realizzare e rendere effettiva la dottrina sociale della Chiesa.

È quindi importante che ogni Vescovo ponga speciale impegno nello svolgere, anche in questo campo, la sua responsabilità di raccogliere intorno a sé "l'intera famiglia del loro gregge e diano a essa una tale formazione che tutti, consapevoli dei loro doveri, vivano e operino nella comunione della carità" (Christus Dominus CD 16). Le diverse forme di associazione sono un alveo adeguato per realizzare questo impegno tra i laici e perciò devono essere considerate, promosse e accolte come un'autentica "primavera dello Spirito" per la Chiesa (cfr Novo Millennio ineunte NM 33).

Come Pastori conoscete il bene inestimabile che le diverse associazioni laicali, quando seguono il "criterio di ecclesialità" (cfr Christifideles laici CL 30) possono apportare sia alla santificazione dei loro membri sia all'azione evangelizzatrice della Chiesa.

7. Come in altre parti dell'America Latina, anche in Bolivia sentite la preoccupazione per l'avanzare proselitista delle sette, che spesso approfittano delle stesse radici religiose seminate dalla Chiesa nella gente per allontanarla da chi le ha seminate. Si tratta di un fenomeno doloroso che talvolta fa rivivere l'esperienza di Gesù quando diceva: "Se dico la verità, perché non mi credete?" (Jn 8,46). Certamente la fermezza della fede e la piena fiducia nella forza della verità stessa per conquistare i cuori è un mezzo prezioso per ispirare azioni pastorali appropriate. Una di queste è proprio il proclamare incessantemente il messaggio di Cristo in modo comprensibile a tutti, con "stile semplice, come conviene alla bontà di Dio" (cfr S. Cipriano, A Donato, 2) e, al tempo stesso, mostrando a tutti tutto il suo vigore e il suo fascino. Dobbiamo sempre imparare da Gesù che, con il suo modo di insegnare provocava lo stupore della gente (cfr Lc 4,32).

Non mancano nella ricca tradizione boliviana i mezzi espressivi adeguati, capaci di incanalare la consapevolezza di una profonda vita di fede, né mancano le forme di pietà popolare ben consolidate che arrivano al cuore del popolo. La semplicità di queste manifestazioni non deve essere confusa con la superficialità della fede. Questa sì, deve essere motivo di grande preoccupazione, soprattutto quando è dovuta a una scarsa attenzione personale verso i fedeli, secondo la loro condizione, o a una insufficiente azione evangelizzatrice di fronte alle aspettative molto profonde di chi anela a udire nell'intimo del proprio essere le parole di Gesù: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa" (Lc 19,9). In effetti, l'esperienza dimostra che le sette non prosperano dove la Chiesa vive in modo intenso la vita spirituale e si impegna nel servizio della carità.

8. Cari Fratelli, voi avete dovuto esercitare il vostro ministero pastorale in uno dei momenti più difficili per il Paese, a causa di una situazione sociale delicata, con diversi conflitti e germi di violenza. Avete accettato di far parte delle iniziative di pacificazione, all'unico fine di favorire l'avvicinamento e il dialogo tra le parti in conflitto.

In effetti, questo è solo un modo temporaneo di svolgere un lavoro più ampio, che integra l'azione evangelizzatrice e che porta alla promozione della giustizia e della solidarietà fraterna tra tutti i cittadini. Attraverso voi, lancio un appello a tutti i credenti boliviani, affinché, fondandosi sulla fede che professano e sulla speranza in Cristo che li anima, si facciano paladini di una società aliena da ogni partitismo egoista, da qualsiasi forma di violenza o dalla mancanza di rispetto dei diritti della persona umana, specialmente il diritto alla vita.

9. In conclusione di questo incontro invoco su di voi e sui vostri diocesani la protezione materna di Nostra Signora di Copacabana, chiedendole di vegliare su tutti i boliviani. Portate il saluto e l'affetto del Papa ai focolari, alle comunità e alle parrocchie, animandoli a diffondere i grandi ideali del Vangelo. Ripeto oggi quanto ho già detto all'aeroporto di Santa Cruz al termine del mio viaggio pastorale del 1988 nel vostro Paese: "Vi porto tutti nel mio cuore e di tutti conserverò un incancellabile ricordo" (Discorso, 14.05.1988, n. 2).

Con tali sentimenti vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica, che con piacere estendo a tutti i figli e le figlie della Bolivia.


GP2 Discorsi 2002 87