GP2 Discorsi 2001 375

IOANNES PAULUS II



GIOVANNI PAOLO II


PER L’INCONTRO CON LE FAMIGLIE


Piazza San Pietro

Sabato, 20 ottobre 2001

1. Care famiglie di questa amata nazione, che siete convenute a Roma per confermare la vostra fede e la vostra vocazione, vi saluto ad una ad una, stringendovi a me in un grande abbraccio. Il mio saluto si estende al Cardinale Camillo Ruini, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, agli altri Signori Cardinali e Vescovi presenti, come pure alle Autorità politiche e civili.


Accolgo tutti con grande affetto in questa Piazza, cuore della Chiesa universale. Essa si trasforma stasera, grazie alla festosa presenza di tante famiglie cristiane, in una grande Chiesa domestica. Vi ringrazio per il vostro caloroso saluto e per la gioia che mi date nel sentirmi, a mia volta, accolto nel vostro cuore.

Questo appuntamento costituisce una nuova tappa del cammino, che lo scorso anno ci ha visti riuniti qui a Piazza San Pietro, assieme a molti di voi e a tante altre famiglie di tutto il mondo, per celebrare il Grande Giubileo. Siamo qui per confermare questo cammino e per fissare ancora lo sguardo su Gesù Cristo, Luce che "vi chiama ad illuminare con la vostra testimonianza il cammino dell'umanità sulle strade del nuovo millennio!" (Discorso alla Veglia del 14 ottobre 2000, n. 9).

2. Per questo incontro avete scelto il tema: "Credere nella famiglia è costruire il futuro". E' un tema impegnativo che ci invita a riflettere sulla verità della famiglia e nello stesso tempo sul suo ruolo per il futuro dell'umanità. Possono guidarci in questa riflessione alcune domande: "perché credere nella famiglia"? E ancora: "in quale famiglia credere"? E infine: "chi deve credere nella famiglia"?

Per rispondere alla prima domanda dobbiamo partire da una verità originaria e fondamentale: Dio crede fermamente nella famiglia. Fin dall'inizio, dal «principio», creando l'essere umano a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina, ha voluto collocare al centro del suo progetto la realtà dell'amore tra l'uomo e la donna (cfr Gn 1,27). Tutta la storia della salvezza è un appassionato dialogo tra il Dio fedele, che i profeti spesso descrivono come il fidanzato e lo sposo, e la comunità eletta, la sposa, spesso tentata dall'infedeltà, ma sempre attesa, cercata e riamata dal suo Signore (cfr Is 62,4-5 Os 1-3). Tanto grande e forte è la fiducia che il Padre nutre verso la famiglia che, anche pensando ad essa, ha inviato suo Figlio, lo Sposo, venuto a redimere la sua sposa, la Chiesa, e in essa ogni uomo e ogni famiglia (cfr Lettera alle famiglie LF 18).

Sì, care famiglie, "lo Sposo è con voi!". Da questa presenza, accolta e corrisposta, scaturisce quella particolare e straordinaria forza sacramentale che trasforma la vostra intima unione di vita in segno efficace dell'amore tra Cristo e la Chiesa e vi pone come soggetti responsabili e protagonisti della vita ecclesiale e sociale.

3. Il fatto che Dio abbia posto la famiglia come fondamento della convivenza umana e come paradigma della vita ecclesiale, esige da parte di tutti una risposta decisa e convinta. Nella Familiaris consortio, di cui ricorre il ventennale, ebbi a dire: "Famiglia, diventa ciò che sei" (cfr n. 17). Oggi aggiungo: "Famiglia, credi in ciò che sei"; credi nella tua vocazione ad essere segno luminoso dell'amore di Dio.

376 Questo incontro ci permette di ringraziare Dio per i doni elargiti alla sua Chiesa e alle famiglie che in questi anni hanno fatto tesoro degli insegnamenti conciliari e di quelli contenuti nella Familiaris consortio. Dobbiamo essere grati, inoltre, alla Chiesa che è in Italia e ai suoi Pastori per aver contribuito in modo determinante alla riflessione sul matrimonio e sulla famiglia con importanti documenti come Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, che fin dal 1975 ha permesso di operare una vera svolta nella pastorale familiare, e soprattutto il Direttorio di pastorale familiare, pubblicato nel luglio 1993.

4. Il secondo interrogativo ci porta a riflettere su un aspetto di grande attualità, perché oggi attorno all'idea di famiglia si registrano opinioni così diverse da indurre a pensare che non esista più alcun criterio che la qualifichi e la definisca. Accanto alla dimensione religiosa della famiglia, c'è anche una sua dimensione sociale. Il valore e il ruolo della famiglia sono altrettanto evidenti da quest'altro punto di vista. Oggi, purtroppo, assistiamo al diffondersi di visioni distorte e quanto mai pericolose, alimentate da ideologie relativistiche, pervasivamente diffuse dai media. In realtà, per il bene dello Stato e della società è di fondamentale importanza tutelare la famiglia fondata sul matrimonio, inteso come atto che sancisce il reciproco impegno pubblicamente espresso e regolato, l'assunzione piena di responsabilità verso l'altro e i figli, la titolarità di diritti e doveri come nucleo sociale primario su cui si fonda la vita della Nazione.

Se viene meno la convinzione che in nessun modo si può equiparare la famiglia fondata sul matrimonio ad altre forme di aggregazione affettiva, è minacciata la stessa struttura sociale e il suo fondamento giuridico. Lo sviluppo armonico e il progresso di un popolo dipendono in larga misura dalla sua capacità di investire sulla famiglia, garantendo a livello legislativo, sociale e culturale la piena ed effettiva realizzazione delle sue funzioni e dei suoi compiti.

Care famiglie, in un sistema democratico diventa fondamentale dare voce alle ragioni che motivano la difesa della famiglia fondata sul matrimonio. Essa è la principale fonte di speranza per il futuro dell'umanità, come è ben espresso nella seconda parte del tema scelto per questo incontro. La nostra speranza è quindi che singoli, comunità e soggetti sociali credano sempre più nella famiglia fondata sul matrimonio, luogo di amore e di autentica solidarietà.

5. In realtà, per guardare con fiducia al futuro è necessario che tutti credano nella famiglia, assumendosi le responsabilità corrispondenti al proprio ruolo. Rispondiamo così alla terza domanda da cui siamo partiti: "chi deve credere nella famiglia"? Vorrei in primo luogo sottolineare che i primi garanti del bene della famiglia sono i coniugi stessi, sia vivendo con responsabilità, ogni giorno, impegni, gioie e fatiche, sia dando voce, con forme associate e iniziative culturali, ad istanze sociali e legislative atte a sostenere la vita familiare. E' conosciuto e apprezzato il lavoro svolto in questi anni dal Forum delle associazioni familiari, a cui esprimo il mio apprezzamento per quanto fatto e anche per l'iniziativa denominata Family for family, con cui si intende rafforzare i rapporti di solidarietà tra le famiglie italiane e quelle dei Paesi dell'Est europeo.

Una particolare responsabilità grava sui politici e sui governanti, a cui compete di attuare il dettato costituzionale e recepire le istanze più autentiche della popolazione composta in larghissima maggioranza da famiglie che hanno fondato la loro unione sul vincolo matrimoniale. Giustamente quindi si attendono interventi legislativi, incentrati sulla dignità della persona umana e sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà tra lo Stato e la famiglia; interventi capaci di avviare a soluzione questioni importanti, e per molti versi decisive, per il futuro del Paese.

6. Importante e urgente è, in particolare, dare piena attuazione ad un sistema scolastico ed educativo che abbia il suo centro nella famiglia e nella sua libertà di scelta. Non si tratta, come alcuni erroneamente affermano, di togliere alla scuola pubblica per dare alla scuola privata, quanto piuttosto di superare una sostanziale ingiustizia che penalizza tutte le famiglie impedendo un'effettiva libertà di iniziativa e di scelta. Si impongono in tal modo oneri aggiuntivi a chi desidera esercitare il fondamentale diritto di orientare l'indirizzo educativo dei figli scegliendo scuole che svolgono un servizio pubblico pur non essendo statali.

E' auspicabile anche un deciso salto di qualità nella programmazione delle politiche sociali, che dovrebbero sempre più considerare la centralità della famiglia per commisurare alle sue necessità le scelte nell'ambito della pianificazione residenziale, dell'organizzazione del lavoro, della definizione del salario e dei criteri di tassazione. Una particolare attenzione deve poi essere riservata alla legittima preoccupazione di tante famiglie che denunciano un crescente degrado nei mezzi di comunicazione, i quali, veicolando violenza, banalità e pornografia, si rivelano sempre meno attenti alla presenza dei minori e ai loro diritti. Le famiglie non possono essere abbandonate a se stesse dalle istituzioni e dalle forze sociali nello sforzo di garantire ai figli ambienti sani, positivi e ricchi di valori umani e religiosi.

7. Care famiglie, nell'affrontare queste grandi sfide non vi scoraggiate e non sentitevi sole: il Signore crede in voi; la Chiesa cammina con voi; gli uomini di buona volontà guardano con fiducia a voi!

Voi siete chiamate ad essere protagoniste del futuro dell'umanità, plasmando il volto di questo nuovo millennio. In questo compito vi assiste e vi guida la Vergine Maria, nostra Madre, qui presente in mezzo a noi in una sua immagine particolarmente venerata. Alla Madonna di Loreto, Regina della Famiglia, che nella casa di Nazaret, con il suo sposo Giuseppe, ha sperimentato le gioie e le fatiche della vita familiare, affido ogni vostra speranza, invocandone la celeste protezione. Carissimi sposi, il Signore vi confermi nell'impegno assunto con le promesse coniugali nel giorno delle nozze. Il Papa prega per voi e di gran cuore vi benedice, insieme con i vostri figli!


A SUA BEATITUDINE IGNACE IV HAZIM,


PATRIARCA GRECO-ORTODOSSO DI ANTIOCHIA


Lunedì 22 ottobre 2001




377 Grazia, gioia e consolazione mi ha recato il tuo amore, fratello (Cfr Phm 7).

Beatitudine,

Come sono vere, ancora oggi, queste parole di Paolo, mentre serbo un ricordo molto vivo del mio pellegrinaggio in Siria, soprattutto della Celebrazione ecumenica della Parola che abbiamo presieduto insieme agli altri nostri fratelli nella cattedrale della Dormizione della Vergine, a Damasco, lo scorso 5 maggio! Ed ecco che Lei mi rende visita a Roma, Beatitudine, nel fare ritorno alla sua venerabile sede di Antiochia.

Attraverso i nostri incontri, il Signore ci dona chiari segni della fraternità di cui parla la lettera a Filemone. I nostri scambi ci mostrano che stiamo percorrendo la via giusta, quella che il Signore non smette di indicarci, la via che conduce alla piena comunione. Nel maggio 1983, seguendo i passi degli Apostoli Pietro e Paolo che fecero risuonare per la prima volta la Parola ad Antiochia e che recarono la loro bella testimonianza a Roma, Lei mi ha reso visita a Roma, per la prima volta, affinché avanzassimo risolutamente insieme lungo la via dell'unità nella fede e della conoscenza del Figlio di Dio (Cfr Ep 4,13). A mia volta, quest'anno, mi sono potuto recare nel suo Paese, percorrendo il cammino seguito dagli Apostoli, impegnandomi, come Lei, caro Fratello, a obbedire alla verità, "per praticare un amore fraterno senza ipocrisia", per mostrare che ci amiamo "di vero cuore, con costanza", sostenuti "dalla Parola di Dio, viva e permanente", attraverso la quale cresciamo per la salvezza (Cfr 1P 1,22-24).

Soffriamo perché il nostro cammino è a volte rallentato. Può accadere che l'amore, dolce e mansueto, compassionevole e misericordioso, che ci anima venga offuscato, nel corso del cammino, dall'abitudine allo scontro, dall'impotenza a trovare un'espressione comune, dall'oblio della preghiera di Cristo: "Prego... anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola" (Jn 17,20-21).

Come me, Lei sa, Beatitudine, cosa presuppone il lungo cammino dell'unità e della riconciliazione fra i fratelli, Lei che è stato uno dei primi artefici degli sforzi di riavvicinamento fra l'Oriente e l'Occidente. Lei ha sostenuto, fin dall'inizio, il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse nel loro insieme. Oggi noi imploriamo dal Signore la grazia e la forza per superare i momenti di stasi nel dialogo, dovuti a esitazioni infruttuose, poiché il Salvatore ci ha già indicato il cammino, ricordandoci che in questo mondo l'esperienza dell'avversità è inscindibile dalla nostra piena sicurezza, poiché Egli ha vinto il mondo (Cfr Gv Jn 16,33)! So, Beatitudine, che come me anche Lei non cessa di pregare, di riflettere, di operare, di convincere, affinché la via venga spianata. Il dialogo teologico non deve essere lasciato in balia del vento dello sconforto o mandato alla deriva dall'indifferenza e dalla mancanza di speranza.

In questa prospettiva, la sua visita, Beatitudine, è una nuova occasione che ci viene data di rinnovare e di rafforzare, dinanzi a Dio e in Cristo, i vincoli di fraternità che ci uniscono. La ringrazio profondamente e ringrazio quanti l'accompagnano. So che partecipano al suo ministero di Pastore e che assecondano i suoi sforzi di riconciliazione.

Grazia, gioia e consolazione mi ha recato il vostro amore, fratelli. Vi chiedo di assicurare i Vescovi, i sacerdoti e tutti i fedeli del Patriarcato di Antiochia che il pellegrinaggio del Vescovo di Roma nei luoghi dove Pietro e Paolo predicarono la Parola di Dio non è stato vano. È stato un rinnovamento della promessa fatta fin dall'inizio del mio Pontificato di fare del cammino verso l'unità una delle mie priorità pastorali. Che noi tutti possiamo essere docili all'appello dello Spirito che ci orienta verso l'unità piena e visibile, e non ostacolare mai l'amore che Dio nutre per l'umanità intera in Gesù Cristo (Cfr Discorso ai Cardinali e alla Curia romana, 28 giugno 1985, n. 4; Cfr Enciclica Ut unum sint UUS 99)! Con questi sentimenti vi rinnovo il mio amore fraterno in Cristo.


AI MEMBRI DELLA FONDAZIONE


GIOVANNI PAOLO II (POLONIA)


Martedì 23 ottobre 2001




Illustri Signori,

Saluto cordialmente tutti voi, giunti a Roma, per celebrare solennemente il ventesimo della Fondazione Giovanni Paolo II. Saluto il Signor Cardinale Franciszek, metropolita di Cracovia e tutti gli arcivescovi e vescovi qui presenti. Saluto il Consiglio della Fondazione con a capo il suo presidente l’arcivescovo Szczepan Wesoly, i direttori delle singole istituzioni della Fondazione, come anche i presidenti e i membri dei Circoli degli Amici della Fondazione che vengono dal Belgio, dalla Danimarca, dalla Francia, dall’Indonesia, dalla Spagna, dal Canada, dal Messico, dalla Germania, dalla Polonia, da Singapore, dagli Stati Uniti d’America, dalla Svezia, dal Venezuela e dalla Gran Bretagna. Sono lieto di potervi ospitare oggi.

378 Quando vent’anni fa istituii la Fondazione, desideravo che essa intraprendesse una vasta attività: culturale, scientifica, sociale e pastorale. Volevo, che si formasse un ambiente che avrebbe sostenuto e approfondito i legami tra la Sede Apostolica e la nazione polacca, e che avrebbe curato la diffusione nel mondo del patrimonio della cultura cristiana e del magistero della Chiesa. Da quel desiderio nacque il programma. Prevedeva che la Fondazione si sarebbe assunta lo sforzo mirante a raccogliere la documentazione riguardante il pontificato e quello di diffondere l’insegnamento pontificio e il magistero della Chiesa. Il secondo compito doveva essere la promozione della cultura cristiana mediante l’allacciamento dei contatti e della collaborazione con i centri scientifici e artistici polacchi ed internazionali, come anche mediante l’aiuto offerto ai giovani, in modo particolare dell’Europa Centro-Orientale nel conseguimento dell’istruzione. La sede della Fondazione doveva essere la Casa Polacca in Via Cassia, a Roma. Essa doveva diventare il "punto d’incontro con le culture e con le tradizioni, con vari corsi della storia nell’ambito di una grande cultura che è la cultura cristiana, la tradizione cristiana, la storia della Chiesa, ed anche la storia dell’umanità" (Udienza, 7.XI.1981).

Se oggi, dopo vent’anni, torno a quelle premesse, lo faccio perché mi sembra che è ormai possibile, in riferimento ad essi, tentare una valutazione dell’attività della Fondazione. Non è un compito difficile. Ogni anno, infatti, il Consiglio della Fondazione, mi presentava un dettagliato rapporto di quanto si riusciva a realizzare. Sono dunque a conoscenza del fatto che, grazie alle iniziative di trentasei Circoli degli Amici della Fondazione in quattordici paesi e grazie alla generosità di migliaia di uomini di buona volontà in tutto il mondo, è stato istituito un fondo, che garantisce il funzionamento di quattro importanti istituzioni: della Casa Polacca a Roma, del Centro di Documentazione del Pontificato, dell’Istituto di Cultura Cristiana e della Casa della Fondazione Giovanni Paolo II a Lublino. So anche che la Casa di Roma offre un grande aiuto organizzativo e pastorale ai pellegrini che giungono alle soglie apostoliche. Il Centro di Documentazione del Pontificato sta diventando un autentico centro d’informazione riguardante non soltanto l’attività e l’insegnamento del Papa, ma anche la vita della Chiesa nella complessa realtà del mondo di oggi, nell’arco degli ultimi ventitre anni. La Casa Polacca e il Centro di Documentazione formano la base materiale e spirituale per l’attività dell’Istituto di Cultura Cristiana a Roma. Esso, stringe i contatti con ambienti scientifici e artistici in Polonia e nel mondo. Da un lato cerca di sostenere il ricordo delle radici cristiane della nostra cultura, dall’altro intraprende lo sforzo di formare delle élite, che trasmetteranno questo spirito cristiano alle successive generazioni in Europa e in altri continenti. Nell’ambito della cosiddetta «Università Estiva» i giovani di tutto il mondo hanno la possibilità di conoscere la storia, da cui nasce la tradizione cristiana e l’oggi della Chiesa e del mondo, nel quale tale tradizione trova la propria continuazione.

L’iniziativa per la quale forse bisogna rallegrarsi più di ogni altra è il fondo per le borse di studio per i giovani dell’Europa centrale e orientale e di altri paesi dell’ex Unione Sovietica. Per quanto sappia, ormai oltre centosettanta laureati hanno lasciato le soglie ospitali della Casa della Fondazione a Lublino. Dopo aver conseguito gli studi in vari campi all’Università cattolica di Lublino e nelle altre università polacche, ritornarono nelle proprie patrie e sono diventanti zelanti promotori della scienza e della cultura basate sul solido fondamento dei valori perenni. Gli altri centoquarantacinque studenti continuano i loro studi. Recentemente ho potuto ospitarli qui e conoscerli personalmente. Quanto è preziosa quest’opera! Chi investe nell’uomo, nel suo sviluppo totale, non perde mai. I frutti di tale investimento sono imperituri.

Se la Fondazione, dopo vent’anni di attività, può dire exegi monumentum, è proprio pensando ad un monumento spirituale, che continuamente, anche se senza clamore, viene scolpito nei cuori e nelle menti delle persone, degli ambienti e delle società intere. Non vi è un monumento per i nostri tempi, più magnifico e più durevole, di questo che viene forgiato nel bronzo della scienza e della cultura.

Il mio grazie va a tutti coloro che nell’arco di questi vent’anni hanno sostenuto in qualunque modo l’attività della Fondazione e a coloro che guidarono tale attività con saggezza e dedizione. Vi prego, non cessate in questa buona opera. Che essa continui a svilupparsi. Che il comune sforzo sostenuto dall’aiuto di Dio continui a produrre magnifici frutti.

Vi ringrazio per essere venuti e per questo incontro. Dio vi benedica!



Saluto in lingua inglese:

My greeting goes also to those of you who are from English-speaking parts of the world. To you who are committed to supporting the ideals and work of the John Paul II Foundation I express my heartfelt appreciation and gratitude. What you are involved in is nothing less than the passing on of our Christian heritage to future generations, by making better known important elements of the culture that has fed and nourished the Polish spirit in its constant search for excellence. Much has been done in the twenty years of the Foundation’s existence. I am especially happy at what has been achieved in the vital realm of helping the education and training of men and women who will bear the imprint of a wisdom and human experience that the world urgently needs.

You, the Friends of the Foundation, come from many countries. You are as it were a sign of the universality of the truths and values of our heritage. They are universal because they are deeply imbued with the Gospel message of salvation in Jesus Christ. May the Lord Jesus sustain you and your families in the gift of faith received through that heritage! Thank you.



Traduzione italiana del saluto in lingua inglese:

Saluto quanti provengono da aree anglofone. A voi che siete impegnati a sostenere gli ideali e l'opera della Fondazione Giovanni Paolo II esprimo il mio profondo apprezzamento e la mia gratitudine. Siete impegnati nel trasmettere la nostra eredità cristiana alle generazioni future, facendo conoscere meglio elementi importanti della cultura che ha nutrito e alimentato lo spirito polacco nella sua ricerca costante dell'eccellenza. Nei suoi vent'anni di vita la Fondazione ha fatto molto. Sono particolarmente lieto di quanto è stato raggiunto nel settore vitale dell'assistenza all'educazione e alla formazione di uomini e di donne che recheranno l'impronta di una sapienza e di un'esperienza umana di cui il mondo ha urgentemente bisogno.

379 Voi, amici della Fondazione, provenite da molti Paesi. Siete, come sempre, un segno dell'universalità delle verità e dei valori della nostra eredità. Sono universali perché profondamente permeati dal messaggio evangelico di salvezza in Gesù Cristo. Che il Signore Gesù sostenga voi e le vostre famiglie nel dono della fede ricevuta attraverso quest'eredità! Grazie.

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO INTERNAZIONALE


"MATTEO RICCI: PER UN DIALOGO


TRA CINA E OCCIDENTE"


1. Con intima gioia mi rivolgo a voi, illustri Signori, in occasione del Convegno Internazionale, indetto per commemorare il 400° anniversario dell’arrivo a Pechino del grande missionario, letterato e scienziato italiano, padre Matteo Ricci, celebre figlio della Compagnia di Gesù. Rivolgo il mio saluto speciale al Rettore Magnifico della Pontificia Università Gregoriana e ai Responsabili dell'Istituto Italo-Cinese, le due istituzioni promotrici ed organizzatrici di questo Convegno. Accogliendovi con viva cordialità, mi è particolarmente gradito rivolgere un deferente saluto agli studiosi venuti dalla Cina, amata patria di adozione del padre Ricci.


So che il vostro Convegno romano si pone, in certo qual modo, in continuità con l’importante Simposio Internazionale, che è stato celebrato nei giorni scorsi a Pechino (14-17 ottobre) ed ha trattato il tema Encounters and Dialogues ("Incontri e Dialoghi") soprattutto nell’orizzonte degli scambi culturali tra la Cina e l’Occidente all’epoca della fine della dinastia Ming e all'inizio della dinastia Qing. In detta assise, infatti, l’attenzione degli studiosi si è rivolta anche all’opera incomparabile che padre Matteo Ricci svolse in quel Paese.

2. L’incontro odierno ci porta tutti idealmente ed affettivamente a Pechino, la grande capitale della Cina moderna, capitale del "Regno di Mezzo" al tempo del padre Ricci. Dopo 21 anni di lungo, attento ed appassionato studio della lingua, della storia e della cultura della Cina, egli entrava a Pechino, sede dell'Imperatore, il 24 gennaio 1601. Accolto con tutti gli onori, stimato e spesso visitato da letterati, mandarini e persone desiderose di apprendere le nuove scienze di cui egli era insigne cultore, visse il resto dei suoi giorni nella Capitale imperiale, dove morì santamente l’11 maggio 1610, all’età di 57 anni, di cui quasi 28 trascorsi in Cina. Mi piace qui ricordare che, quando egli giunse a Pechino, scrisse all'Imperatore Wan-li un Memoriale nel quale, presentandosi come religioso e celibe, non chiedeva nessun privilegio alla corte, ma domandava soltanto di potere mettere al servizio di Sua Maestà la propria persona e quanto aveva potuto imparare sulle scienze già nel "grande Occidente" da cui era venuto (cfr Opere Storiche del P. Matteo Ricci S.I., a cura del P. Tacchi Venturi S.I., vol. II, Macerata 1913, 496s). La reazione dell’Imperatore fu positiva, dando così maggior significato ed importanza alla presenza cattolica nella Cina moderna.

La stessa Cina, da quattro secoli, tiene in alta considerazione Li Madou, "il Saggio d’Occidente", come fu designato e viene tuttora chiamato padre Matteo Ricci. Storicamente e culturalmente egli è stato, da pioniere, un prezioso anello di congiunzione tra l’Occidente e l’Oriente, tra la cultura europea del Rinascimento e la cultura della Cina, come anche, reciprocamente, tra l’antica ed elevata civiltà cinese e il mondo europeo.

Come già ebbi modo di rilevare, con intimo convincimento, rivolgendomi ai partecipanti al Convegno Internazionale di Studi Ricciani indetto nel IV centenario dell’arrivo di Matteo Ricci in Cina (1582-1982), egli ebbe uno speciale merito nell’opera di inculturazione: elaborò la terminologia cinese della teologia e della liturgia cattolica, creando così le condizioni per far conoscere Cristo e incarnare il suo messaggio evangelico e la Chiesa nel contesto della cultura cinese (cfr Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. V/3, 1982, Libreria Editrice Vaticana, 1982, 923-925). Padre Matteo Ricci si fece talmente "cinese coi cinesi" da diventare un vero sinologo, nel più profondo significato culturale e spirituale del termine, poiché nella sua persona seppe realizzare una straordinaria armonia interiore tra il sacerdote e lo studioso, tra il cattolico e l’orientalista, tra l’italiano e il cinese.

3. A distanza di quattrocento anni dall’arrivo di Matteo Ricci a Pechino, non possiamo non domandarci qual è il messaggio che egli può offrire sia alla grande Nazione cinese sia alla Chiesa cattolica, alle quali si sentì sempre profondamente legato e dalle quali fu ed è sinceramente apprezzato ed amato.

Uno degli aspetti, che rendono originale e sempre attuale l’opera del padre Ricci in Cina, è la profonda simpatia, che egli nutrì fin dall’inizio verso il Popolo cinese nella sua totalità di storia, cultura e tradizione. Il piccolo Trattato sull’Amicizia (De Amicitia - Jiaoyoulun), che ebbe grande successo in Cina sin dalla prima edizione fatta a Nanchino nel 1595, e la lunga e fitta rete di amicizie, che egli sempre curò e ricambiò durante i suoi 28 anni di vita in quel Paese, restano una testimonianza inconfutabile della sua lealtà, sincerità e fraternità verso il Popolo che l’aveva accolto. Questi sentimenti e atteggiamenti di altissimo rispetto scaturivano dalla stima che egli aveva per la cultura della Cina, al punto da portarlo a studiare, interpretare e spiegare l’antica tradizione confuciana, proponendo così una rivalutazione dei classici cinesi.

Sin dai primi contatti con i Cinesi, il padre Ricci impostò tutta la sua metodologia scientifica e apostolica su due pilastri, ai quali rimase fedele fino alla morte, nonostante molteplici difficoltà e incomprensioni, interne ed esterne: primo, i neofiti cinesi, abbracciando il cristianesimo, in nessun modo avrebbero dovuto venir meno alla lealtà verso il loro Paese; secondo, la rivelazione cristiana sul mistero di Dio non distruggeva affatto, anzi valorizzava e completava quanto di bello e di buono, di giusto e di santo, l’antica tradizione cinese aveva intuito e trasmesso. Ed è su questa intuizione che il padre Ricci, analogamente a quanto secoli prima avevano fatto i Padri della Chiesa nell’incontro tra il messaggio del Vangelo di Gesù Cristo e la cultura greco-romana, impostò tutto il suo paziente e lungimirante lavoro di inculturazione della fede in Cina, cercando costantemente un comune terreno d’intesa con i dotti di quel grande Paese.

4. Il Popolo cinese è proiettato, in maniera particolare negli ultimi tempi, verso il raggiungimento di significative mete di progresso sociale. La Chiesa cattolica, da parte sua, guarda con rispetto a questo sorprendente slancio e a questa lungimirante progettazione di iniziative ed offre con discrezione il proprio contributo nella promozione e nella difesa della persona umana, dei suoi valori, della sua spiritualità e della sua vocazione trascendente. Alla Chiesa stanno particolarmente a cuore valori ed obiettivi che sono di primaria importanza anche per la Cina moderna: la solidarietà, la pace, la giustizia sociale, il governo intelligente del fenomeno della globalizzazione, il progresso civile di tutti i popoli.

Come scriveva proprio a Pechino il padre Ricci, redigendo negli ultimi due anni di vita quell’opera pionieristica e fondamentale per la conoscenza della Cina da parte del resto del mondo, intitolata Della Entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina (cfr Fonti Ricciane, a cura di Pasquale M. D'Elia S.I., vol. 2, Roma 1949, N. 617, p. 152), anche la Chiesa cattolica di oggi non chiede alla Cina e alle sue Autorità politiche nessun privilegio, ma unicamente di poter riprendere il dialogo, per giungere a una relazione intessuta di reciproco rispetto e di approfondita conoscenza.

380 5. Sull’esempio di questo insigne figlio della Chiesa cattolica, desidero riaffermare che la Santa Sede guarda al Popolo cinese con profonda simpatia e con partecipe attenzione. Sono noti i passi rilevanti, che nei tempi recenti esso ha compiuto nei campi sociale, economico ed educativo, sia pure nel perdurare di non poche difficoltà. Lo sappia la Cina: la Chiesa cattolica ha il vivo proposito di offrire, ancora una volta, un umile e disinteressato servizio per il bene dei cattolici cinesi e per quello di tutti gli abitanti del Paese. Al riguardo, mi sia permesso di ricordare qui il grande impegno evangelizzatore di una lunga serie di generosi missionari e missionarie, unitamente alle opere di promozione umana da loro compiute nel corso dei secoli: essi avviarono importanti e numerose iniziative sociali, specialmente in campo ospedaliero ed educativo, che trovarono ampia e grata accoglienza presso il Popolo cinese.

La storia, però, ci ricorda purtroppo che l’azione dei membri della Chiesa in Cina non è stata sempre esente da errori, frutto amaro dei limiti propri dell’animo e dell'agire umano, ed è stata per di più condizionata da situazioni difficili, legate ad avvenimenti storici complessi e ad interessi politici contrastanti. Non mancarono neppure dispute teologiche, che esacerbarono gli animi e crearono gravi inconvenienti al processo di evangelizzazione. In alcuni periodi della storia moderna, una certa "protezione" da parte di potenze politiche europee non poche volte si rivelò limitativa per la stessa libertà d'azione della Chiesa ed ebbe ripercussioni negative per la Cina: situazioni ed avvenimenti, che influirono sul cammino della Chiesa, impedendole di svolgere in pienezza - a favore del Popolo cinese - la missione affidatale dal suo Fondatore, Gesù Cristo.

Sento profondo rammarico per questi errori e limiti del passato, e mi dispiace che essi abbiano ingenerato in non pochi l’impressione di una mancanza di rispetto e di stima della Chiesa cattolica per il Popolo cinese, inducendoli a pensare che essa fosse mossa da sentimenti di ostilità nei confronti della Cina. Per tutto questo chiedo perdono e comprensione a quanti si siano sentiti, in qualche modo, feriti da tali forme d'azione dei cristiani.

La Chiesa non deve aver paura della verità storica ed è disposta - pur con intima sofferenza - ad ammettere le responsabilità dei suoi figli. Ciò vale anche per quanto riguarda i suoi rapporti, passati e recenti, con il Popolo cinese. La verità storica deve essere ricercata con serenità ed imparzialità e in modo esaustivo. E' un compito importante, di cui si devono fare carico gli studiosi e al cui svolgimento potete contribuire anche voi, che siete particolarmente addentro alla realtà cinese. Posso assicurare che la Santa Sede è sempre pronta ad offrire la propria disponibilità e collaborazione in questo lavoro di ricerca.

6. In quest’ora tornano attuali e significative quelle parole che il padre Ricci scriveva all’inizio del suo Trattato sull’Amicizia (NN. 1 e 3). Egli, portando nel cuore della cultura e della civiltà della Cina di fine 1500 l’eredità della riflessione classica greco-romana e cristiana sulla stessa amicizia, definiva l’amico come "la metà di me stesso, anzi un altro io"; per cui "la ragione d’essere dell’amicizia è il mutuo bisogno e il mutuo aiuto".

Ed è con questo rinnovato e forte pensiero di amicizia verso tutto il Popolo cinese che formulo l'auspicio di vedere presto instaurate vie concrete di comunicazione e di collaborazione fra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese. L'amicizia si nutre di contatti, di condivisione di sentimenti nelle situazioni liete e tristi, di solidarietà, di scambio di aiuto. La Sede Apostolica cerca con sincerità di essere amica di tutti i popoli e di collaborare con ogni persona di buona volontà a livello mondiale.

La Cina e la Chiesa cattolica, sotto aspetti certamente diversi ma in nessun modo contrapposti, sono storicamente due tra le più antiche "istituzioni" viventi e operanti nel mondo: entrambe, pur in ambiti differenti - politico-sociale l’una, religioso-spirituale l’altra -, annoverano oltre un miliardo di figli e di figlie. Non è un mistero per nessuno che la Santa Sede, a nome dell’intera Chiesa cattolica e - credo - a vantaggio di tutta l’umanità, auspica l’apertura di uno spazio di dialogo con le Autorità della Repubblica Popolare Cinese, in cui, superate le incomprensioni del passato, si possa lavorare insieme per il bene del Popolo cinese e per la pace nel mondo. Il momento attuale di profonda inquietudine della comunità internazionale esige da tutti un appassionato impegno per favorire la creazione e lo sviluppo di legami di simpatia, di amicizia e di solidarietà tra i popoli. In tale contesto, la normalizzazione dei rapporti tra la Repubblica Popolare Cinese e la Santa Sede avrebbe indubbiamente ripercussioni positive per il cammino dell’umanità.

7. Nel rinnovare a tutti voi, illustri Signori, l’espressione del mio apprezzamento per l’opportuna celebrazione di un evento storico tanto significativo, auspico e prego che la strada aperta da padre Matteo Ricci tra l’Oriente e l’Occidente, tra la cristianità e la cultura cinese, possa ritrovare vie sempre nuove di dialogo e di reciproco arricchimento umano e spirituale. Con questi voti mi è gradito impartire a tutti voi la Benedizione apostolica, propiziatrice, presso Dio, di ogni bene, di felicità e di progresso.

Dal Vaticano, 24 Ottobre 2001


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