GP2 Discorsi 2002 319

319 Molti battezzati, anche per l'impatto di forti correnti di scristianizzazione, sembrano aver perduto il contatto con questo patrimonio religioso. La fede viene spesso confinata in episodi e frammenti di vita. Un certo relativismo tende ad alimentare atteggiamenti discriminatori nei confronti dei contenuti della dottrina e della morale cattolica, accettati o rigettati sulla base di preferenze soggettive e arbitrarie. La fede ricevuta cessa così di essere vissuta come dono divino, come straordinaria opportunità di crescita umana e cristiana, come avvenimento di senso e di conversione di vita. Soltanto una fede che affonda le radici nella struttura sacramentale della Chiesa, che si abbevera alle fonti della Parola di Dio e della Tradizione, che diventa nuova vita e rinnovata intelligenza della realtà, può rendere i battezzati effettivamente capaci di reggere l'impatto della cultura secolarizzata dominante.

4. Completa e corona l'iniziazione cristiana l'Eucaristia, "fonte e culmine di tutta la vita cristiana" (Lumen gentium
LG 11). Essa accresce la nostra unione a Cristo, ci separa e ci preserva dal peccato, rafforza i vincoli di carità, sostiene le forze lungo il pellegrinaggio della vita, fa pregustare la gloria alla quale siamo destinati. I fedeli laici, partecipi dell'ufficio sacerdotale di Cristo, nella celebrazione eucaristica consegnano la loro esistenza - gli affetti e le sofferenze, la vita coniugale e familiare, il lavoro e gli impegni che assumono nella società - come offerta spirituale gradita al Padre, consacrando così il mondo a Dio (Lumen gentium LG 34).

Chiesa ed Eucaristia si compenetrano nel mistero della communio, miracolo di unità tra gli uomini in un mondo dove i rapporti umani sono non di rado offuscati dall'estraneità, se non addirittura lacerati dall'inimicizia.

Vi incoraggio, carissimi, ad avere sempre presente questa centralità dell'Eucaristia nella formazione e nella partecipazione alla vita delle comunità parrocchiali e diocesane. È importante ripartire sempre da Cristo, cioè dall'Eucaristia, in tutta la densità del suo mistero.

5. Una preghiera che aiuta a penetrare il mistero di Cristo con lo sguardo della Vergine è il Rosario, diventato per me e per innumerevoli fedeli una familiare esperienza contemplativa. Affidatevi, carissimi Fratelli e Sorelle, con questa preghiera a Maria. Nel suo grembo immacolato si è formato il corpo umano di quel Gesù di Nazaret, morto e risorto, che ci viene incontro nell'Eucaristia.

È l'Eucaristia, cari Membri e Consultori del Pontificio Consiglio per i Laici, Dicastero al quale mi sento particolarmente legato per essere stato da Arcivescovo di Cracovia tra i suoi Consultori, che vi renderà capaci di svolgere la vostra importante missione al servizio di una "matura e feconda epifania del laicato cattolico" (Udienza generale, L'Osservatore Romano, 25 novembre 1998, 6).

Con tali sentimenti, imparto una speciale Benedizione Apostolica a voi e ai vostri cari.




AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE


DEL BRASILE (SUL III-IV) IN VISITA


"AD LIMINA APOSTOLORUM"


Martedì, 26 novembre 2002




Venerati Fratelli nell'Episcopato,

1. Formati da una fede adulta, i discepoli del Signore sono chiamati ad annunciare e a promuovere nel mondo, dominato oggi da crescenti incertezze e timori, le trascendenti realtà della vita nuova in Cristo. Allo stesso tempo, devono sentirsi impegnati a contribuire attivamente alla promozione integrale dell'uomo, all'affermazione del dialogo e della comprensione fra gli individui e i popoli, allo sviluppo della giustizia e della pace. Come ricorda la Lettera a Diogneto, i cristiani sono l'anima del mondo (6, 1). Che ogni fedele comprenda, con rinnovata coscienza, il suo compito di essere anima del mondo!

Questa è la vostra preoccupazione prioritaria, carissimi Fratelli, Pastori delle dilette Chiese delle Regioni "Sul - 3 e 4". Ad essa vi riferite insistentemente nei vostri piani pastorali, vedendovi un'impegnativa sfida missionaria dalla quale tutta la comunità si deve sentire seriamente interpellata.

320 Nell'esprimere la mia stima per il vostro generoso lavoro apostolico, porgo a ognuno di voi il mio fraterno e grato saluto. Ringrazio in particolare Monsignor Dadeus Grings, Arcivescovo di Porto Alegre e Presidente del Regional Sul 3, per i sentimenti cordiali che mi ha espresso a vostro nome; rivolgo un pensiero affettuoso anche ai Vescovi che hanno già lasciato il ministero pastorale diretto. Il Signore della messe, che vi ha chiamato per lavorare nella sua vigna, vi unisca tutti nella sua benevolenza!

2. In un contesto in cui non raramente la libertà di parola viene usata come arma per diffondere messaggi contrari agli insegnamenti della morale cristiana, non manchi la franca presenza pubblica del pensiero cattolico. Fedele al mandato di Cristo, la Chiesa insiste nel dire che la vera e perenne "novità delle cose" proviene dal potere infinito di Dio: è Dio a fare nuove tutte le cose (cfr
Ap 21,5). Gli uomini e le donne redenti da Cristo sono partecipi di questa novità e suoi dinamici collaboratori. Una fede socialmente insignificante non sarebbe più la fede esaltata dagli Atti degli Apostoli e dagli scritti di Paolo e di Giovanni.

La Chiesa non intende usurpare compiti e prerogative del potere politico, ma sa che deve offrire anche alla politica il suo contributo specifico di ispirazione e di orientamento sui grandi valori morali. L'imperiosa distinzione fra Chiesa e poteri pubblici non deve far dimenticare che entrambi si rivolgono all'uomo; e la Chiesa, "esperta in umanità", non può rinunciare a ispirare le attività politiche al fine di orientarle al bene comune della società. Una missione tanto impegnativa richiede audacia, pazienza e fiducia; non è un'impresa facile, non lo è soprattutto ai giorni nostri, perché, come voi stessi osservate, la società moderna è caratterizzata da un evidente disorientamento ideale e spirituale.

3. Nel n. 12 della Lettera Apostolica Tertio Millennio adveniente, destinata a preparare il Grande Giubileo dell'Anno 2000, ho voluto ricordare la tradizione degli anni giubilari di Israele, tempi dedicati soprattutto a Dio, durante i quali si contemplavano, allo stesso tempo, l'emancipazione dei prigionieri, la ridistribuzione delle terre e il riscatto dei debiti. Si trattava di applicare un'equità e una giustizia che fossero il riflesso della gioia del sapersi scelti e amati da Dio. "Nella tradizione dell'anno giubilare ha così una delle sue radici la dottrina sociale della Chiesa" (Ibidem n. 13), ovvero quell'insieme di principi e di criteri che, quale frutto della Rivelazione e dell'esperienza storica, sono stati celebrati per promuovere la formazione della coscienza cristiana e l'applicazione della giustizia nella convivenza umana.

Questi principi e criteri hanno le forme più svariate. Ad esempio, l'amore preferenziale per i poveri, affinché raggiungano un livello di vita più degno, l'osservanza degli obblighi assunti in contratti e accordi, la tutela dei diritti fondamentali richiesti dalla dignità umana, l'uso corretto dei propri beni che sfoci nel beneficio individuale e collettivo in conformità con l'obiettivo sociale relativo alla proprietà, il pagamento delle imposte, lo svolgimento adeguato e onesto, con spirito di servizio, degli incarichi e delle funzioni che si esercitano, l'autenticità sia nella parola data sia nei processi e nei giudizi, lo svolgimento del lavoro con competenza e dedizione, il rispetto per la libertà delle coscienze, l'universalizzazione dell'istruzione e della cultura, l'attenzione agli invalidi e ai disoccupati.

Da una prospettiva negativa, si possono quindi segnalare, fra le violazioni della giustizia, corresponsione salariale insufficiente al sostentamento del lavoratore e della sua famiglia, l'ingiusta appropriazione dei beni altrui, la discriminazione nel lavoro e gli attentati contro la dignità della donna, la corruzione amministrativa o imprenditoriale, l'eccessivo affanno di ricchezza e di lucro, i piani urbanistici che si concretizzano in alloggi che, in pratica, portano al controllo della natalità dovuto alle pressioni economiche, le campagne che violano l'intimità, l'onore o il diritto all'informazione, le tecnologie che degradano l'ambiente e così via.

Nell'esercizio del triplice munus di santificare, insegnare e governare, i Vescovi aiutano i fedeli a essere autentici testimoni di Gesù risorto. Non sempre risulta facile orientarli nella ricerca di risposte adeguate, secondo gli insegnamenti di Gesù Cristo, alle sfide del contesto economico e sociale.

4. Non è una novità la constatazione che il vostro Paese convive con un deficit storico di sviluppo sociale, i cui aspetti estremi sono l'immenso numero di brasiliani che vive in una situazione di indigenza e una disuguaglianza nella distribuzione del reddito che raggiunge livelli molto elevati.

Ciononostante, per il suo volume totale, l'economia brasiliana si situa fra le prime dieci del mondo e il reddito medio pro capite è ben superiore a quello dei Paesi più poveri. Il Brasile presenta quindi il paradosso di possedere un livello di sviluppo industriale scientifico-tecnologico equiparabile, a certi stadi, a quello del mondo industrializzato, sebbene debba convivere con una cronica emarginazione economica di ampi settori sociali, come la massa di contadini senza terra, i microproprietari delle campagne impoveriti e indebitati e il gran numero di lavoratori delle città emarginati, frutto delle migrazioni interne e dei rapidi mutamenti nella struttura dell'impiego.

5. La povertà e le ingiustizie sociali del Brasile hanno avuto inizio nel periodo coloniale e nei primi anni di vita indipendente. I piani di sviluppo applicati durante il XX secolo hanno assicurato l'insieme della crescita materiale del Paese e lo sviluppo di un'economia urbano-industriale diversificata e della corrispondente classe media, ricca di creatività e iniziativa. Non sono però stati capaci di eliminare la povertà e la miseria e neppure di ridurre le disuguaglianze di ricchezza e di reddito, che recentemente si sono accentuate.

Forse la stessa storia economica brasiliana è una valida dimostrazione dell'inefficacia dei sistemi economici destinati a risolvere da soli i problemi dello sviluppo umano, senza essere accompagnati e corretti da un forte impegno etico e dall'impegno costante di servizio alla dignità umana.

321 Alcuni anni fa, a proposito della caduta del muro di Berlino e del fallimento del marxismo, ho voluto ricordare che "non è possibile comprendere l'uomo partendo unilateralmente dal settore dell'economia, né è possibile definirlo semplicemente in base all'appartenenza di classe" (Centesimus annus CA 24). Allo stesso modo, l'uomo non può essere giudicato come un mero elemento dell'economia di mercato, poiché "prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, che le sono proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità. Questo qualcosa dovuto comporta inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo al bene comune dell'umanità" (Ibidem, n. 34).

Le esperienze economiche registrate in Brasile a partire dagli anni '40 del secolo scorso - sostituzioni delle importazioni, industrializzazione protetta, azione imprenditoriale dello Stato, espansione sussidiata del settore agricolo, ecc., - hanno cercato di combinare gli elementi tecnici dei grandi sistemi economici allora vigenti, favorendo indubbiamente la crescita globale. Non hanno però raggiunto l'obiettivo fondamentale di ridurre la povertà in modo sostanziale. I recenti piani di stabilizzazione monetaria, di modernizzazione tecnologica e di apertura commerciale, nonostante la loro efficacia, hanno permesso di raggiungere questo obiettivo solo in parte.

In realtà, oltre alle insufficienti misure di tutela sociale e di ridistribuzione del reddito, ciò che può essere veramente mancato, è stata una concezione etica della vita sociale. La semplice attuazione di piani e misure a lungo termine, per correggere gli squilibri esistenti, non può mai prescindere dall'impegno di solidarietà istituzionale e personale di tutti i brasiliani. A tal fine, i cattolici, che costituiscono la maggior parte della popolazione brasiliana, possono dare un contributo fondamentale.

6. La nuova scena internazionale, frutto della globalizzazione, impone agli Stati importanti decisioni quanto alla loro capacità di intervenire nella vita economica, anche nel tentativo di correggere squilibri e ingiustizie sociali.

Già nel 1967 il mio venerato predecessore, Paolo VI, richiamava l'attenzione sulla crescente interdipendenza dei popoli e sull'impossibilità dei Paesi di vivere isolati; si sottolineava allora che quel processo di interdipendenza avrebbe potuto essere controbilanciato da una globalizzazione solidale, nella quale le nazioni più forti garantissero certi vantaggi finanziari e commerciali alle più deboli, al fine di aiutare a livellare, nella misura del possibile, il contesto internazionale di riferimento, o al contrario, avrebbe potuto servire ad accentuare le distorsioni (cfr Popolorum progressio, nn. 54-55). Purtroppo, ancora oggi la globalizzazione agisce molto spesso a favore del più forte, facendo sì che i vantaggi attuali dello sviluppo tecnologico siano vincolati al quadro normativo internazionale.

Il vostro Paese è anche condizionato dal contesto internazionale come gli altri Stati, ma possiede un'economia sufficientemente forte che, finora, ha permesso di affrontate le ricorrenti crisi finanziarie globali. La popolazione, inoltre, ha fiducia nella propria moneta e nel funzionamento delle istituzioni. Bisogna dunque ringraziare Dio, perché nell'insieme della società esistono gli elementi fondamentali per risolvere i problemi sociali, al di là dei condizionamenti esterni. È possibile lavorare in Brasile per una società più giusta e l'impegno in questo lavoro è parte delle esigenze derivate dalla diffusione del messaggio evangelico.

7. Spetta a voi, venerati Fratelli, come gerarchia del popolo di Dio, promuovere la ricerca di soluzioni nuove, colme di spirito cristiano. Una visione dell'economia e dei problemi sociali, dalla prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, porta a considerare le cose sempre dal punto di vista della dignità dell'uomo, il che trascende il semplice gioco dei fattori economici. D'altro canto, aiuta a comprendere che, per ottenere la giustizia sociale, si richiede molto più della mera applicazione di schemi ideologici originati dalla lotta di classe come, ad esempio, l'occupazione di terre, già condannata nel mio Viaggio Pastorale del 1991 e di edifici pubblici o privati, o, per citarne una, l'adozione di misure tecniche estreme, che possono avere conseguenze ben più gravi dell'ingiustizia che intendono risolvere, come nel caso di un'inadempienza unilaterale agli impegni internazionali.

La cosa più importante, secondo la missione che Gesù Cristo ha affidato ai Vescovi e anche più efficace è di stimolare tutta la potenzialità e ricchezza del popolo di Dio, soprattutto dei laici, affinché, per quanto possibile, regni in Brasile un'autentica giustizia e solidarietà, che sia il frutto di una coerente vita cristiana.

In una democrazia vera vi deve essere sempre spazio legale affinché i gruppi, lungi dal ricorrere alla violenza, possano far valere processi di giusta pressione per accelerare il conseguimento delle tanto desiderate equità e giustizia per tutti.

8. Si deve quindi lavorare instancabilmente per la formazione dei politici, di tutti i brasiliani che hanno un potere decisionale, grande o piccolo che sia e, in generale, di tutti i membri della società, di modo che si assumano pienamente le proprie responsabilità e sappiano dare un volto umano e solidale all'economia.

Occorre formare nelle classi politiche e imprenditoriali un vero spirito di autenticità e di onestà. Chi assume un ruolo guida nella società deve cercare di prevedere le conseguenze sociali, dirette e indirette, a breve e a lungo termine, delle proprie decisioni, agendo secondo criteri di massimizzazione del bene comune, invece di ricercare guadagni personali. I cristiani devono essere disposti a rinunciare a qualsiasi vantaggio economico o sociale, se non quello ottenuto con mezzi assolutamente onesti, non solo in accordo con le leggi civili, ma secondo l'eccelso modello morale indicato dallo stesso nome di cristiani, che seguono le orme di Cristo sulla terra.

322 9. Vivere coerentemente come cristiani significa trasformare la propria vita in un costante e generoso servizio al prossimo.

Nella mia Lettera ai Sacerdoti in occasione del Giovedì Santo del 2002, parlando del Sacramento della Penitenza, ho cercato di promuovere nei miei fratelli sacerdoti l'amicizia di Gesù con Zaccheo: da uomo che viveva sfruttando i propri fratelli a uomo che decide di dare generosamente parte dei suoi beni ai poveri e di porre rimedio alle ingiustizie commesse. L'episodio di Zaccheo, narrato dall'evangelista Luca, indica il cammino dell'esercizio dell'opzione preferenziale per i poveri.

Questa non è un'opzione classista, ma serve a tutti i cristiani e a tutti gli uomini, ricchi e poveri, di qualsiasi partito od opinione politica, come base di avvicinamento allo spirito di Cristo, per suscitare in essi il miracolo della misericordia. Così facendo, venerati Fratelli, riuscirete a far sì che tutti i brasiliani compiano come Zaccheo un'opzione di vita a favore dei loro fratelli, e schiuderete nei cristiani e in tutti gli uomini di buona volontà in Brasile, le infinite potenzialità dell'amore di Dio.

Nel pensiero e nell'azione politica ed economica, al fine di vegliare sul bene comune, fioriranno numerose iniziative - economia di comunione e partecipazione, iniziative assistenziali ed educative, forme innovative di aiuto alla popolazione bisognosa ecc. -, che esprimeranno la varietà del popolo di Dio e l'incommensurabile ricchezza umana e spirituale del popolo di questa grande Nazione.

10. Venerati Fratelli nell'Episcopato, le sfide del lavoro non fiacchino mai il vostro entusiasmo; siate apostoli dell'ottimismo e della speranza, infondendo fiducia nei vostri più diretti collaboratori e in tutta la società delle vostre Regioni episcopali.

Nell'esaltante sforzo di edificazione del Regno di Dio vi assistano i Santi e Beati della Terra della Santa Croce. Vi protegga Nossa Senhora Aparecida, venerata con particolare e intensa devozione dal vostro popolo. Alla sua vigile e materna protezione affido i vostri piani apostolici e i bisogni materiali e spirituali delle Diocesi delle quali siete Pastori. Ricevete la mia Benedizione Apostolica che di buon grado estendo a quanti vi sono stati affidati.

PAROLE DI GIOVANNI PAOLO II


AL TERMINE DEL CONCERTO


"UN INNO DALLE VETTE"


Martedì, 26 novembre 2002




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Ci è stato offerto un singolare concerto, che unisce in una sintesi armoniosa musica, spiritualità e amore per la montagna. Saluto e ringrazio gli ideatori, gli organizzatori e coloro che hanno attivamente contribuito alla realizzazione di quest'evento solenne, che assume singolare rilievo nell'Anno Internazionale delle Montagne.

Saluto il Ministro per gli Affari Regionali, Onorevole Enrico La Loggia, e le altre Autorità qui convenute, come pure i rappresentanti dell'Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, che hanno voluto festeggiare i cinquant'anni di vita del loro Sodalizio offrendo al Papa, anch'egli amante della montagna, questo graditissimo dono. Saluto i presenti e coloro che sono uniti a noi attraverso la televisione, in particolare i tanti abitanti delle montagne.

Rivolgo un grato pensiero all'orchestra sinfonica ungherese di Pecs con il Maestro concertatore Stefano Pellegrino Amato; al coro della Regione Friuli-Venezia Giulia con il suo Direttore; ai realizzatori del progetto televisivo; ai dirigenti ed operatori della RAI, che hanno curato il collegamento satellitare dalla cima del monte Lussari e dal Gran Sasso.

323 2. Con viva emozione ho seguito l'esecuzione delle splendide composizioni musicali di Raff e di Brahms, commentate dalle immagini di imponenti massicci e di amene località della penisola italiana.

Abbiamo così potuto compiere insieme un interessante percorso artistico che, attraverso l'ascolto della musica e la contemplazione di avvincenti panorami, ci ha invitati ad elevare un cantico di lode al Creatore per le meraviglie della natura, opera delle sue mani.

L'ardua maestosità delle vette stimola a porre in luce quei valori di tenacia e di umiltà che sono indispensabili per affrontare la vita di ogni giorno e per salire con ardore verso l'alta montagna della santità.

3. Questa sera si sono come strette in un simbolico abbraccio la montagna e la città, le bellezze naturali, l'estro dell'uomo e il mistero di Dio. Il silenzio delle cime innevate si è incontrato con la vivacità delle metropoli frenetiche. "Le montagne – canta il Salmista - portino pace al popolo e le colline giustizia" (
Ps 71,3). E' dal monte dove abita il Signore che vengono la giustizia e la pace, condizioni indispensabili per rendere il mondo patria accogliente di ogni essere umano.

Che l'interessante manifestazione possa contribuire a realizzare questo progetto di solidarietà e di amore!

Con questo auspicio, di cuore tutti vi benedico.


AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO


PROMOSSO DALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ URBANIANA,


NEL 375° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE


DEL COLLEGIO URBANO


Venerdì, 29 novembre 2002




Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato,
Autorità accademiche,
carissimi alunni!

324 1. E' con grande gioia che oggi vi accolgo, in occasione della solenne celebrazione dei 375 anni di storia del Collegio Urbano e dei 40 anni di istituzione della Pontificia Università Urbaniana. Saluto il Cardinale Crescenzio Sepe e lo ringrazio per il cordiale indirizzo con cui ha interpretato ed espresso i comuni sentimenti.

Estendo il mio saluto al Rettore Magnifico dell'Università, ai Presuli presenti, alle Autorità accademiche, ai Docenti, ai partecipanti al Congresso Internazionale e agli alunni del Collegio e dell’Università, che recano a questo nostro incontro il calore del loro entusiasmo.

2. Fu l’indimenticabile mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII, ad attribuire all’Urbaniana, proprio alle soglie del Concilio Vaticano II, il titolo di Università. Nel corso di questi anni schiere di giovani - seminaristi e sacerdoti, religiosi, religiose e laici - hanno ricevuto in essa una formazione spirituale e culturale, che ha loro permesso di prepararsi a vivere in maniera solida la fede, testimoniandola anche in situazioni di difficoltà. Alcuni di loro sono certamente entrati a far parte di quei “testimoni della fede”, caduti nel secolo scorso, che abbiamo ricordato nella toccante preghiera al Colosseo durante l'Anno giubilare.

Fondata come Collegium dal Papa Urbano VIII con la Bolla Immortalis Dei Filius, la vostra Università che da lui prende nome ha avuto fin dall’inizio una finalità missionaria. Preoccupazione di Papa Urbano era giustamente quella di emancipare la Chiesa dalle potenze coloniali. Occorreva infatti assicurare la libertà dell’evangelizzazione nelle terre recentemente scoperte e in quei Paesi dove il cristianesimo era stato annunciato in tempi lontani, come la Cina.

3. Se quelli erano tempi difficili, non possiamo dire che siano facili i nostri. Lo sanno soprattutto quelli di voi che provengono da regioni dove la guerra, le malattie, la povertà mietono ogni giorno numerose vittime. Necessaria quanto mai è quindi un'Istituzione accademica come la vostra, che sappia trasmettere la scienza filosofica, teologica, storica e giuridica all'interno delle culture di popoli tra loro tanto diversi.

La vostra Università, come ebbi modo di dire nella mia prima visita del 1980, esprime il carattere universale che è tipico della Chiesa cattolica. Chi studia in essa deve portare con sé una sensibilità aperta ai valori delle varie culture, ponendole a confronto con il messaggio evangelico. Novanta Istituti sparsi in ogni parte del mondo sono oggi affiliati alla vostra Università, testimoniando anche in questo modo l’apertura veramente “cattolica” che la distingue. Ad essi voglio far giungere un particolare saluto: coltivate sempre nel cuore e nella ricerca accademica questo carattere universale, così prezioso nel nostro mondo diviso, che tanto esalta il particolare, sia esso dell'individuo, del gruppo, dell'etnia o della nazione, fino a pregiudicare a volte l’impegno della solidarietà.

La violenza, il terrorismo, la guerra non fanno che costruire nuovi muri tra i popoli. La vostra Università è una palestra di universalità, in cui si deve poter respirare quel senso di comunione profonda che caratterizzava la comunità primitiva (cfr
Ac 4,32).

4. Proprio lo scorso anno abbiamo celebrato insieme solennemente i dieci anni dell'Enciclica Redemptoris missio. Questo documento deve essere per voi un programma di studio e di vita. In esso parlavo di una missione che è ancora agli inizi dopo duemila anni di vita cristiana. La missione è impegno che continua anche oggi: è questo lo spirito che deve animare la vostra vita spirituale e accademica.

Fa parte di questo spirito, oggi in modo particolare, lo sviluppo di una particolare attenzione alle culture dei popoli e alle grandi religioni mondiali. Senza rinunciare ad affermare la forza del messaggio evangelico, è un compito importante, nel mondo lacerato di oggi, che i cristiani siano uomini di dialogo e contrastino quello scontro di civiltà che a volte sembra inevitabile.

Per questo, guardando al futuro, sarebbe auspicabile che l'Urbaniana si distinguesse tra gli Atenei Romani proprio per un'attenzione particolare alle culture dei popoli e alle grandi religioni mondiali, a cominciare dall'Islam, dal Buddismo e dall'Induismo, e di conseguenza considerasse con cura il problema del dialogo interreligioso nelle sue implicanze teologiche, cristologiche ed ecclesiologiche. So che state già sviluppando con intensità questo settore della ricerca, anche in collaborazione con la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli e con il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, nello spirito dell’Enciclica Redemptoris missio.

5. Infine, vi esorto a non dimenticare che lo scopo del Collegio Urbano, da cui voi siete nati come Università, è la formazione integrale dei suoi alunni. La Chiesa del Terzo Millennio ha bisogno di sacerdoti, religiosi e laici, che siano santi e colti. Non si tratta di inventare un nuovo programma, ho scritto nella Novo millennio ineunte: “Il programma c'è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste" (n. 29).

325 Questo programma vale per tutti, anche per voi, cari docenti e studenti della Pontificia Università Urbaniana, del Collegio Urbano e dei Collegi dipendenti dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Che il Signore sia il cuore del vostro studio e della vostra vita, perché possiate essere animati da quell'amore per il Vangelo che portò i testimoni degli inizi fino agli estremi confini della terra.

Nell’augurarvi un anno giubilare ricco di frutti per voi e per tutti coloro che vi sono vicini con la loro amicizia e il loro sostegno, vi affido alla protezione della Vergine Maria, Sede della Sapienza, e tutti di cuore vi benedico.


AL NUOVO AMBASCIATORE DELLA BOSNIA ED ERZEGOVINA


PRESSO LA SANTA SEDE IN OCCASIONE


DELLA PRESENTAZIONE DELLE LETTERE CREDENZIALI


Sabato 30 novembre 2002




Signor Ambasciatore,

1. Accolgo volentieri le Lettere Credenziali con le quali Ella viene accreditato quale Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Bosnia ed Erzegovina presso la Santa Sede.

Nel darLe un cordiale benvenuto, rivolgo per Suo tramite il mio deferente saluto alle Autorità del Paese che Ella è chiamata a rappresentare presso questa Sede Apostolica.

Colgo volentieri l'occasione per confermare la mia costante vicinanza agli amati Popoli della Bosnia ed Erzegovina, che non solo hanno subito un sistema politico basato su un'ideologia in contrasto con i valori iscritti nello spirito umano, ma anche una lunga e dolorosa guerra. Per tale motivo, ho voluto recarmi personalmente a Sarajevo. La Provvidenza mi ha concesso l'opportunità di compiere una Visita pastorale il 12 e il 13 aprile 1997 in quella città, tanto provata, e di ribadire la necessità "di assicurare il rispetto di ogni uomo e dei suoi diritti, senza distinzione di popolo o di religione" (Discorso all'arrivo a Sarajevo, 12 aprile 1997, n. 1).

2. Grazie a Dio, l'impegno degli uomini di buona volontà ha portato al raggiungimento dell'Accordo di Washington prima e successivamente degli Accordi di Dayton, che sono stati posti alla base dello Stato della Bosnia ed Erzegovina. Tutto questo ha fatto sì che le armi ora tacciono. Occorre però lavorare intensamente per costruire e rendere efficace la pace nella giustizia, risolvendo problemi legati al futuro del Paese. Tra questi, la questione dei profughi e degli esuli, che attendono di poter tornare a casa, e la ripresa economica, che porterebbe serenità e fiducia alle popolazioni.

Sono necessari, pertanto, programmi concreti, che partano dalla persona e dal rispetto della sua dignità, che offrano la possibilità di lavorare e di guadagnare i mezzi sufficienti per la vita, che promuovano il dialogo e la collaborazione tra le varie componenti della società civile nel pieno rispetto dell'identità di ciascuno. Solo in tal modo è possibile dar vita ad un'autentica democrazia, "frutto della valorizzazione delle particolarità culturali, sociali e religiose delle varie componenti della Bosnia ed Erzegovina, nel rispetto dell'equità, della giustizia e della verità» (Discorso al Pellegrinaggio giubilare della Provincia ecclesiastica di Vrhbosna, 30 aprile 2000, n. 3).

La democrazia è un compito esigente, che richiede moralità, onestà, sensibilità umana, saggezza, pazienza, rispetto per gli altri, disponibilità a rinunciare ogni qualvolta lo richieda il bene comune, ferma volontà di esporre e non imporre i propri punti di vista e idee. Tale compito è ancora più esigente in un Paese multietnico, multiculturale e multireligioso, quale è appunto la Bosnia ed Erzegovina, chiamata a costruire il suo presente e il suo futuro su solide basi di giustizia, di rispetto degli altri, di collaborazione e di solidarietà fra tutte le sue componenti, salvaguardando le sane tradizioni di ogni suo singolo popolo.

3. Per guardare con maggiore fiducia verso il futuro, è indispensabile pure promuovere una vera riconciliazione e un sincero perdono. «La spirale delle ‘colpe’ e delle ‘pene’ non si chiuderà mai, se ad un certo punto non si arriverà al perdono» (Omelia a Castel Gandolfo, 8 settembre 1994, n. 6). Sì! Non è facile perdonare, ma è urgentemente necessario per il bene di tutti.

326 E' vero che non si può cancellare dalla memoria quanto è accaduto nel passato, ma si può e si deve liberare i cuori dal rancore e dalla vendetta. La memoria degli errori e delle ingiustizie resti come monito esigente a non ripetere né gli uni né le altre, così da evitare nuove tragedie, forse anche più grandi.

La Chiesa della Bosnia ed Erzegovina è già al lavoro ed offre il suo contributo alla riconciliazione e al perdono, annunciando fedelmente il Vangelo. Essa chiede solo di poter svolgere tale sua missione, stando vicino ai poveri e agli emarginati e dando voce a quanti nella società ne sono privi.

Proprio in tale spirito, la Chiesa si sforza di promuovere la formazione delle nuove generazioni attraverso scuole aperte a chiunque voglia accedere all'istruzione dell'obbligo e a quella media superiore. Sono sicuro che i rappresentanti delle istituzioni dello Stato sapranno apprezzare tale contributo della Chiesa, e non mancheranno di agevolare ogni opportuno sviluppo dei suoi istituti scolastici per il bene di ragazzi e giovani di tutte le etnie e religioni presenti nella Bosnia ed Erzegovina.

4. E' richiesto l'apporto di tutti per consolidare una società che ripudia ogni tentazione di favorire qualcuno a scapito degli altri; una società pronta ad assicurare a tutti l'uguaglianza effettiva e attenta al rispetto dei diritti, delle libertà e dell'identità di ciascuno, tenendo conto delle locali esperienze storiche, sociali e culturali; in una parola, una società basata sulla giustizia e sulla pace.

Sebbene la guerra sia terminata ormai da quasi sette anni, non si vedono purtroppo ancora soluzioni concrete per il dramma dei numerosi profughi ed esuli desiderosi di tornare alle loro case. Penso, in particolare, alle popolazioni che sono in attesa di poter rientrare nelle zone di Banja Luka e di Bosanska Posavina. Queste popolazioni, come pure profughi ed esuli di altre zone, si vedono negato il diritto di vivere serenamente sul loro suolo natio. Molto spesso, allora, non pochi tra loro sono costretti a cercare fortuna altrove.

Tali persone giustamente chiedono garanzie per la loro incolumità, nonché la creazione di condizioni politiche, sociali ed economiche accettabili. Domandano, inoltre, la restituzione dei beni, dei quali sono stati privati con violenza durante la guerra.

5. E' indispensabile costruire un autentico clima di pace. «La pace - afferma il Concilio Vaticano II - non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze contrastanti» (Gaudium et spes
GS 78). Il Concilio, inoltre, ricorda che la pace «viene con tutta esattezza definita opera della giustizia» e che questa esige «la ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità» (ibid.).

Mettere in pratica questo insegnamento comporta l'impegno di non favorire situazioni che sembrino premiare i risultati ottenuti con la violenza a danno di persone inermi; comporta, inoltre, la volontà di riparare e correggere con opportuni interventi politici ed economici sia a livello locale che istituzionale le ingiustizie commesse. In tale sforzo, «l'eventuale insorgere di imprevisti, non deve scoraggiare nessuno, ma solo impegnare la saggezza di tutti nel correggere e migliorare i piani già predisposti» (Discorso all'Ambasciatore della Bosnia ed Erzegovina, 11 settembre 1998, n. 3).

6. Signor Ambasciatore! Auspico di cuore che il Paese che Lei rappresento incontri comprensione e sostegno concreto per quanto concerne il risanamento delle ferite inflitte dalla recente guerra e dai passati sistemi politici, che hanno causato enormi tragedie in Bosnia ed Erzegovina e negli altri Paesi della Regione nel corso del ventesimo secolo. I Paesi del vecchio Continente e la Comunità internazionale non mancheranno di offrire gli aiuti necessari per appoggiare programmi tesi a far partecipare presto sia la Bosnia ed Erzegovina che i Paesi dell'intera area del Sud-Est d'Europa ai processi d'integrazione europea e mondiale.

Sono certo, altresì, che la Bosnia ed Erzegovina saprà dare il proprio contributo per costruire la «casa comune» aperta a tutti i popoli del nostro continente. Nessuno, infatti, ha il diritto di escludere qualcuno, mentre tutti hanno l'obbligo di rispettare gli altri, sia che si tratti di Paesi piccoli o grandi.

7. Ho preso nota con soddisfazione, Signor Ambasciatore, di quanto Ella ha menzionato circa le mutue relazioni tra la Bosnia ed Erzegovina e la Santa Sede e il loro ulteriore sviluppo e approfondimento. Tali relazioni continueranno ad essere, come finora, a beneficio di tutti i cittadini bosniaco-erzegovinesi.

327 Nell'espletamento dell'alta missione affidataLe, anche Vostra Eccellenza, come il suo predecessore, troverà da parte della Santa Sede piena disponibilità per trattare le questioni di comune interesse.

Che il soggiorno a Roma sia gradevole e che Iddio Le conceda di svolgere un proficuo e interessante lavoro.

Accompagno questi voti con la mia preghiera, affinché Dio, Padre di tutti gli uomini e i popoli, assista con i suoi doni Lei, i suoi Collaboratori, le Autorità statali, come pure i cari Popoli della Bosnia ed Erzegovina, sempre presenti al mio cuore.


GP2 Discorsi 2002 319