GP2 Discorsi 2003 322

GIOVANNI PAOLO II





AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO DALLA CROAZIA


Sabato, 8 novembre 2003


Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di porgere il mio cordiale saluto a ciascuno di voi, convenuti a Roma per manifestare ancora una volta la vostra profonda devozione alla Sede di Pietro e, al tempo stesso, per ricambiare la Visita pastorale che ho avuto la gioia di compiere nel vostro Paese nel giugno scorso. A tutti va il mio affettuoso benvenuto.

323 Saluto innanzitutto il Cardinale Josip Bozanic, e lo ringrazio per le cortesi parole che, anche nel suo ufficio di Presidente della Conferenza Episcopale della Croazia, mi ha rivolto a nome di tutti i presenti. Insieme con lui, rivolgo un fraterno saluto ai Vescovi, che non hanno voluto mancare a questo appuntamento. Il mio deferente pensiero va, poi, ai rappresentanti delle Autorità civili e militari del Paese, che ringrazio per l’impegno profuso nella buona riuscita delle mie Visite pastorali.

Desidero rinnovare l’espressione della mia più viva gratitudine per l’accoglienza così calorosa che mi è stata sempre riservata ogni volta che ho posto piede sul suolo della vostra amata Patria. Conservo nella mia mente e nel mio cuore le immagini di un popolo animato da una fede viva e piena di entusiasmo, di un popolo ospitale e generoso.

2. Mi torna alla mente il primo grande incontro con i Croati avvenuto nella vicina Basilica, presso la tomba del Principe degli Apostoli, il 30 aprile 1979. Da allora ho avuto la possibilità di incontrarmi varie volte con vostri connazionali sia qui a Roma che nelle Visite pastorali alla vostra Patria.

La Provvidenza ha voluto che il mio 100° Viaggio apostolico fuori dall’Italia avesse come meta proprio la Croazia, con tappe nell’antica e splendida Dubrovnik per beatificare Suor Maria di Gesù Crocifisso Petkovic, e poi ad Osijek e Djakovo, a Rijeka ed a Zadar. In tal modo, come pellegrino del Vangelo sulle vie del mondo, chiamato a servire la Chiesa sulla Cattedra di Pietro, ho potuto confermarvi nella fede, per la quale avete dato una bella testimonianza in mezzo a numerose avversità e sofferenze. Ho voluto così sostenere la vostra speranza, spesso messa a dura prova, e animare la vostra carità incitandovi a perseverare nel vostro attaccamento alla Chiesa nel nuovo clima di libertà e di democrazia ristabilito tredici anni or sono.

3. La vostra amata Terra possiede la forza e le capacità necessarie per affrontare adeguatamente le sfide del momento attuale. Auspico che sappia sempre avvalersene per costruire una società solidale e pronta al fattivo sostegno dei ceti più deboli. Una società fondata sui valori religiosi e umani, che lungo i secoli hanno ispirato le generazioni che vi hanno preceduto. Una società che rispetti la sacralità della vita e il grande progetto di Dio sulla famiglia. Una società che tenga unite le forze sane, promuovendo lo spirito di comunione e di corresponsabilità.

L'impegno per l'uomo e per il suo vero bene trae forza anche dal Vangelo e, pertanto, fa parte della missione della Chiesa (cfr
Mt 25,34-46 Lc 4,18-19). Nulla di quanto è genuinamente umano può risultare estraneo ai discepoli di Cristo.

4. Prego Dio di voler concedere alla nobile Nazione croata la pace, la concordia e la perseveranza nell’impegno per il bene comune. Affido il vostro popolo all’intercessione della Beata Vergine, Madonna del Grande Voto Battesimale Croato, e di San Giuseppe, celeste Patrono del vostro Paese.

A tutti voi qui presenti, alle vostre Comunità diocesane e parrocchiali, alle vostre famiglie, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

Siano lodati Gesù e Maria!


AI MEMBRI DELLA DELEGAZIONE DI CRISTIANI PALESTINESI


DELL’ORGANIZZAZIONE PER LA LIBERAZIONE DELLA PALESTINA


Lunedì, 10 novembre 2003




Distinti Ospiti,

324 Sono lieto di accogliere la vostra Delegazione e vi chiedo di voler cortesemente trasmettere i miei saluti e buoni auspici al Presidente Yasser Arafat e a tutto il popolo palestinese. Sono fiducioso che questa visita di eminenti Cristiani Palestinesi alla Santa Sede porterà a una migliore comprensione della situazione dei cristiani nei territori palestinesi e del ruolo importante che essi possono svolgere nel promuovere le legittime aspirazioni del popolo palestinese.

Nonostante le recenti battute d'arresto sul cammino della pace e i nuovi scoppi di violenza e ingiustizia, dobbiamo continuare ad affermare che la pace è possibile e che la risoluzione delle differenze può giungere solo attraverso un paziente dialogo e l'impegno costante delle persone di buona volontà di entrambe le parti. Il terrorismo deve essere condannato in tutte le sue forme, poiché non solo tradisce la nostra umanità comune, ma è anche assolutamente incapace di gettare le necessarie fondamenta politiche, morali e spirituali per la libertà e l'autodeterminazione autentica di un popolo. Ancora una volta, esorto tutte le parti a rispettare pienamente le risoluzioni delle Nazioni Unite e gli obblighi assunti accettando il processo di pace, con l'impegno per una ricerca comune della riconciliazione, della giustizia e della costruzione di una coesistenza sicura e armoniosa in Terra Santa. Parimenti, esprimo il mio auspicio che la Costituzione nazionale, che si sta attualmente scrivendo, dia espressione alle massime aspirazioni e ai valori più cari di tutto il popolo palestinese, con il debito riconoscimento di tutte le comunità religiose e una tutela legale adeguata della loro libertà di culto e di espressione.

Cari amici, attraverso voi invio cordiali saluti ai cristiani della Terra Santa, che hanno un posto del tutto speciale nel mio cuore. Su di voi, e su tutto il popolo palestinese, invoco le benedizioni di Dio della sapienza, della fortezza e della pace.


AI MEMBRI DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE


Lunedì, 10 novembre 2003

Cari Membri della Pontificia Accademia delle Scienze,


Sono particolarmente lieto di salutarvi oggi, mentre celebriamo il quattrocentesimo anniversario della Pontificia Accademia delle Scienze. Ringrazio il Presidente dell'Accademia, il Professor Nicola Cabibbo, per i gentili sentimenti espressi a nome vostro, e accolgo con gratitudine il premuroso gesto con il quale avete desiderato commemorare il venticinquesimo anniversario del mio Pontificato.

L'Accademia dei Lincei è stata fondata a Roma nel 1603 da Federico Cesi, incoraggiato da Papa Clemente VIII. Nel 1847 è stata ripristinata da Pio IX e nel 1936 è stata nuovamente istituita da Pio XI. La sua storia è legata a quella di numerose altre Accademie scientifiche in tutto il mondo. Sono lieto di dare il benvenuto ai Presidenti e ai rappresentanti di tali istituzioni che oggi si sono gentilmente uniti a noi, in modo speciale al Presidente dell'Accademia dei Lincei.

Ricordo con gratitudine i numerosi incontri che abbiamo tenuto negli ultimi venticinque anni. Sono stati per me delle opportunità per esprimere la mia grande stima per coloro che lavorano nei diversi campi scientifici. Vi ho ascoltato con attenzione, ho condiviso le vostre preoccupazioni e ho riflettuto sui vostri suggerimenti. Nell'incoraggiare il vostro lavoro, ho sottolineato la dimensione spirituale sempre presente nella ricerca della verità. Ho anche affermato che la ricerca scientifica deve essere volta al bene comune della società e allo sviluppo umano dei suoi singoli membri.

Le nostre riunioni mi hanno inoltre consentito di chiarire aspetti importanti della dottrina e della vita della Chiesa riguardanti la ricerca scientifica. Siamo uniti nel nostro comune desiderio di correggere i fraintendimenti e ancor più di lasciarci illuminare dall'unica Verità che governa il mondo e guida la vita di tutti gli uomini e le donne. Sono sempre più convinto che la verità scientifica, che è di per sé una partecipazione alla Verità divina, possa aiutare la filosofia e la teologia a comprendere sempre più pienamente la persona umana e la Rivelazione di Dio sull'uomo, una Rivelazione compiuta e perfezionata in Gesù Cristo. Per questo importante arricchimento reciproco nella ricerca della verità e del bene dell'umanità, io, insieme a tutta la Chiesa, sono profondamente grato.

I due temi che avete scelto per il vostro incontro riguardano le scienze della vita, e in particolare la natura stessa della vita umana. Il primo, Mente, cervello ed educazione, attira la nostra attenzione sulla complessità della vita umana e la sua preminenza sulle altre forme di vita. La neuroscienza e la neurofisiologia, attraverso lo studio dei processi chimici e biologici del cervello, contribuiscono molto alla comprensione del suo funzionamento. Tuttavia, lo studio della mente umana comprende molto più che i semplici dati osservabili, propri delle scienze neurologiche.

La conoscenza della persona umana non deriva solo dal livello dell'osservazione e dell'analisi scientifica, ma anche dall'interconnessione tra lo studio empirico e la comprensione riflessiva.

325 Gli scienziati stessi percepiscono, nello studio della mente umana, il mistero di una dimensione spirituale che trascende la fisiologia cerebrale e sembra guidare tutte le nostre attività come esseri liberi e autonomi, capaci di responsabilità e di amore, e caratterizzati dalla dignità. Lo dimostra il fatto che avete deciso di allargare la vostra ricerca fino ad includervi gli aspetti dell'apprendimento e dell'educazione, che sono attività specificamente umane. Pertanto, le vostre riflessioni non si incentrano solo sulla vita biologica comune a tutte le creature viventi, ma includono anche il lavoro interpretativo e valutativo della mente umana.

Gli scienziati, oggi, spesso riconoscono la necessità di mantenere una distinzione tra la mente e il cervello, o tra la persona che agisce con libero arbitrio e i fattori biologici che sostengono il suo intelletto e la sua capacità di apprendere. In questa distinzione, che non deve necessariamente significare una separazione, possiamo vedere le fondamenta di quella dimensione spirituale propria della persona umana che la Rivelazione biblica indica come rapporto speciale con Dio Creatore (cfr
Gn 2,7), a immagine e somiglianza del quale è fatto ogni uomo e ogni donna (Gn 1,26-27).

Il secondo tema del vostro incontro riguarda La cellula staminale - Tecnologia e altre terapie innovative. La ricerca in questo campo, comprensibilmente, ha assunto maggiore importanza negli ultimi anni, vista la speranza che offre nella cura di malattie di cui soffrono molte persone. In altre occasioni ho affermato che le cellule staminali usate ai fini della sperimentazione o del trattamento non possono provenire dal tessuto embrionale umano. Ho invece incoraggiato la ricerca sul tessuto umano adulto o sul tessuto superfluo per il normale sviluppo del feto. Qualsiasi trattamento che pretende di salvare vite umane e, tuttavia, è basato sulla distruzione della vita umana nel suo stato embrionale, è contraddittorio dal punto di vista logico e morale, così come lo è ogni produzione di embrioni umani al fine, diretto o indiretto, della sperimentazione o dell'eventuale distruzione.

Distinti amici, ribadendo i miei ringraziamenti per la vostra preziosa assistenza, invoco su di voi e sulle vostre famiglie l'abbondante benedizione di Dio. Possa il vostro lavoro scientifico recare abbondanti frutti e possano le attività della Pontificia Accademia delle Scienze continuare a promuovere la conoscenza della verità e contribuire allo sviluppo di tutti i popoli!


AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO


DEL SINDACATO "SOLIDARNOSC" DALLA POLONIA


Martedì, 11 novembre 2003

Do il mio cordiale benvenuto a tutti i presenti. In modo particolare saluto il Signor Presidente Lech Walesa e l’attuale Presidente del Sindacato. Saluto il Mons. Tadeusz Goclowski, responsabile da parte dell’Episcopato per la pastorale del mondo del lavoro. Sono lieto di poter nuovamente ospitare in Vaticano i rappresentanti di "Solidarnosc".


Non è la prima volta che ci incontriamo l’11 novembre, giorno particolare per la Polonia. Ricordo che tale udienza ebbe luogo anche nel 1997. Dissi allora: "Porto nel profondo del mio cuore e ogni giorno affido a Dio nella preghiera i vostri problemi, le vostre aspirazioni, le vostre ansie e le vostre gioie, la vostra fatica unita con il lavoro". Oggi lo ripeto ancora una volta per assicurarvi, che costantemente mi è cara la sorte degli uomini di lavoro in Polonia.

Ricordando la data dell’11 novembre non posso fare a meno di richiamarmi alla libertà nazionale riconquistata quel giorno, dopo anni di lotte che costarono alla nostra nazione tante rinunce e tanti sacrifici. Questa libertà esteriore non durò a lungo, ma sempre abbiamo potuto appellarci ad essa nella lotta per conservare la libertà interiore, la libertà dello spirito. So quanto caro era questo giorno a tutti coloro che nel periodo del comunismo cercavano di opporsi alla programmata soppressione della libertà dell’uomo, all’umiliazione della sua dignità e alla negazione dei suoi fondamentali diritti. Più tardi da quell’opposizione nacque il movimento di cui siete artefici e continuatori. Anche questo movimento si ricollegava all’11 novembre, a quella libertà che nel 1918 trovò la sua espressione esteriore, politica, e che nacque dalla libertà interiore dei singoli cittadini della Repubblica Polacca spartita e dalla libertà spirituale di tutta la nazione.

Questa libertà di spirito, benché repressa sin dalla fine della seconda guerra mondiale e dagli accordi di Jalta, è sopravvissuta, ed è divenuta il fondamento delle pacifiche trasformazioni nel nostro Paese, e in seguito in tutta l’Europa, compiutesi anche grazie al sindacato "Solidarnosc". Rendo grazie a Dio per l’anno 1979, nel quale il senso di unità nel bene e il comune desiderio della prosperità dell’oppressa nazione sconfisse l’odio e la voglia di vendetta, e divenne il germoglio di costruzione di uno stato democratico. Sì, ci sono stati dei tentativi per distruggere quest’opera. Tutti abbiamo nella memoria il 13 dicembre 1981. Si riuscì a sopravvivere a tali prove. Ringrazio Dio perché il 19 aprile 1989 ho potuto pronunciare le seguenti parole: Maria, "raccomando alla Tua sollecitudine materna "Solidarnosc" che oggi, dopo la nuova legalizzazione del 17 aprile, può tornare ad agire. Ti raccomando il processo legato a questo avvenimento, teso a plasmare la vita della Nazione secondo le leggi della società sovrana. Prego Te, Signora di Jasna Góra, affinché sul cammino di questo processo tutti continuino a dimostrare il coraggio, la saggezza e la ponderatezza indispensabili per servire il bene comune".

Ricordo questi eventi, perché hanno un significato particolare nella storia della nostra nazione. E sembra che essi stiano sfuggendo dalla memoria. Le generazioni più giovani ormai non li conoscono di propria esperienza. Si potrebbe dunque domandare se apprezzeranno giustamente la libertà che possiedono, se non si renderanno conto del prezzo pagato per essa. "Solidarnosc" non può trascurare la premura per questa storia, così vicina e allo stesso tempo ormai lontana. Non si può fare a meno di ricordare la storia postbellica del riacquisto della libertà. E’ il patrimonio a cui occorre tornare costantemente, affinché la libertà non degeneri nell’anarchia, ma assuma la forma di comune responsabilità per le sorti della Polonia e di ogni suo cittadino.

Il 15 gennaio 1981 dissi ai rappresentanti di "Solidarnosc": "Penso, cari Signori e Signore, che Voi avete la piena coscienza dei doveri, che stanno davanti a voi (...). Sono, questi, doveri di enorme importanza. Essi si collegano con il bisogno di una piena assicurazione della dignità e dell’efficacia del lavoro umano, mediante il rispetto di tutti i diritti personali, familiari e sociali di ogni uomo: che è soggetto del lavoro. In tal senso questi doveri hanno un significato fondamentale per la vita di tutta la società, dell’intera nazione: per il suo bene comune. Infatti il bene comune della società si riduce, in definitiva, alla domanda: chi è la società, chi è ogni uomo; come egli vive e come lavora. E perciò la vostra autonoma attività ha, e deve avere sempre, un chiaro riferimento all’intera morale sociale. Prima di tutto alla morale legata al campo del lavoro, alle relazioni tra il lavoratore e il datore".

326 Sembra che oggi questa esortazione a garantire la dignità e l’efficacia del lavoro umano non abbia perso la sua importanza. So quanto queste due caratteristiche del lavoro siano oggi in pericolo. Insieme con lo sviluppo dell’economia di mercato appaiono nuovi problemi i quali toccano dolorosamente i lavoratori. Più volte ho parlato ultimamente del problema della disoccupazione, che, in molte regioni della Polonia acquista dimensioni pericolose. Apparentemente sembra che i sindacati non abbiano influenza su questo. Occorre però domandarsi se non abbiano influenza sul modo di assumere i dipendenti, dal momento che con una sempre maggiore frequenza esso ha carattere temporaneo, oppure sul modo di procedere ai licenziamenti che vengono fatti senza alcuna cura per le sorti dei singoli dipendenti e delle loro famiglie. Sì, "Solidarnosc" dimostra una maggiore attività nelle grandi aziende, specialmente in quelle di proprietà dello Stato. Ci si può tuttavia domandare se il sindacato sia abbastanza sollecito per le sorti dei dipendenti nelle aziende piccole, private, nei supermercati, nelle scuole, negli ospedali o in altri soggetti dell’economia di mercato, che non dispongono della forza che hanno le miniere o le acciaierie. Bisogna che il vostro sindacato prenda apertamente le difese degli uomini del lavoro ai quali i datori del lavoro negano il diritto di voce, il diritto di opporsi ai fenomeni che violano i diritti fondamentali del lavoratore.

So che nel nostro Paese capita che ai lavoratori non vengano pagati i salari. Poco tempo fa, riferendomi alla lettera che a tal proposito hanno pubblicato i vescovi polacchi, dissi che il blocco del pagamento dovuto per il lavoro è peccato che grida vendetta al cielo. "Uccide il prossimo chi gli toglie il nutrimento, versa sangue chi rifiuta il salario all’operaio" (
Si 34,22). Questo abuso è la causa della drammatica situazione di molti uomini del lavoro e delle loro famiglie. Il sindacato "Solidarnosc" non può rimanere indifferente di fronte a questo angosciante fenomeno.

Un problema a parte è il frequente trattare i lavoratori esclusivamente come mano d’opera. Accade che i datori di lavoro in Polonia rifiutino ai loro dipendenti il diritto al riposo, all’assistenza medica, e perfino alla maternità. Non significa questo limitare la libertà, per la quale lottò "Solidarnosc"? Rimane tanto da fare sotto questo aspetto. Questo dovere grava sulle autorità dello Stato, sulle istituzioni giuridiche, ma anche su "Solidarnosc", con cui il mondo del lavoro ha unito tanta speranza. Non si può deluderla.

Nell’anno 1981, mentre ancora perdurava lo stato di emergenza, dissi ai rappresentanti di "Solidarnosc": "L’attività dei sindacati non ha carattere politico, non deve essere strumento dell’azione di nessuno, di nessun partito politico, per potersi concentrare in modo esclusivo e pienamente autonomo, sul grande bene sociale del lavoro umano e degli uomini del lavoro" (15 gennaio 1981). Sembra che proprio la politicizzazione del sindacato - probabilmente dovuta alla necessità storica – abbia portato al suo indebolimento. Come scrissi nell’Enciclica Laborem excercens, chi detiene il potere nello Stato è un indiretto datore di lavoro, i cui interessi di solito non vanno di pari passo con le necessità del dipendente. Pare che "Solidarnosc", entrando in una certa tappa della storia direttamente nel mondo della politica e assumendo la responsabilità per il governo del paese, abbia dovuto per forza rinunciare alla difesa degli interessi dei lavoratori in molti settori della vita economica e pubblica. Mi sia permesso di dire che oggi "Solidarnosc", se veramente vuole servire la nazione, dovrebbe tornare alle proprie radici, agli ideali che l’illuminavano come sindacato. Il potere passa di mano in mano, e gli operai, gli agricoltori, gli insegnanti, gli operatori sanitari e tutti gli altri lavoratori, indipendentemente da chi detiene il potere nel paese, attendono aiuto nella difesa dei loro giusti diritti. Qui "Solidarnosc" non può mancare.

E’ un compito difficile ed esigente. Perciò ogni giorno accompagno con la mia preghiera tutti i vostri sforzi. Difendendo i diritti di chi lavora state operando per una causa giusta, perciò potete contare sull’aiuto da parte della Chiesa. Credo, che tale operato sarà efficace e porterà il miglioramento della sorte degli uomini del lavoro nel nostro Paese. Con l’aiuto di Dio continuate a svolgere l’opera che abbiamo iniziato insieme anni fa. Dio vi benedica.




ALLA DELEGAZIONE DELLA NAZIONALE POLACCA DI CALCIO


ED AGLI ATLETI DELLA NAZIONALE ITALIANA DI CALCIO


Martedì, 11 novembre 2003




Saluto con grande cordialità la delegazione della Nazionale Polacca di Calcio e gli atleti della Nazionale Italiana di Calcio, con i loro dirigenti e accompagnatori, in particolare saluto il Presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio, il Sig. Franco Carraro. Alla vigilia della partita amichevole in programma domani a Varsavia, voi, carissimi, avete voluto rendermi visita per formularmi i vostri voti augurali. Vi ringrazio per questa gentile iniziativa, e, mentre assicuro per ciascuno un ricordo nella preghiera, tutti di cuore vi benedico.




AI PARTECIPANTI ALLA XVIII CONFERENZA INTERNAZIONALE


PROMOSSA DAL PONTIFICIO CONSIGLIO


PER LA PASTORALE DELLA SALUTE


Venerdì, 14 novembre 2003




Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio!
Cari amici!

1. Sono lieto di incontrarvi in occasione della Conferenza Internazionale organizzata dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute sul tema “La Depressione”. Ringrazio il Card. Javier Lozano Barragán per le gentili parole che mi ha rivolto a nome dei presenti.

327 Saluto gli illustri Specialisti, venuti ad offrire il frutto delle loro ricerche su questa patologia, allo scopo di favorirne una conoscenza approfondita, così da consentire migliori cure e un’assistenza più idonea sia agli interessati che alle loro famiglie.

Penso, altresì, con apprezzamento a quanti si dedicano al servizio dei malati di depressione, aiutandoli a conservare fiducia nella vita. Il pensiero naturalmente s’estende anche alle famiglie che accompagnano con affetto e delicatezza il loro caro congiunto.

2. I vostri lavori, cari Congressisti, hanno mostrato i differenti aspetti della depressione nella loro complessità: essi vanno dalla malattia profonda, più o meno duratura, a uno stato passeggero legato ad avvenimenti difficili - conflitti coniugali e familiari, gravi problemi lavorativi, stati di solitudine… -, che comportano un’incrinatura, o persino la rottura delle relazioni sociali, professionali, familiari. La malattia si accompagna spesso ad una crisi esistenziale e spirituale, che conduce a non percepire più il senso del vivere.

Il diffondersi degli stati depressivi è diventato preoccupante. Vi si rivelano fragilità umane, psicologiche e spirituali, che almeno in parte sono indotte dalla società. E’ importante prendere coscienza delle ripercussioni che hanno sulle persone i messaggi veicolati dai media, i quali esaltano il consumismo, la soddisfazione immediata dei desideri, la corsa ad un benessere materiale sempre maggiore. Occorre proporre nuove vie, perché ciascuno possa costruire la propria personalità coltivando la vita spirituale, fondamento di un’esistenza matura. La partecipazione entusiasta alle Giornate Mondiali della Gioventù mostra nelle nuove generazioni la ricerca di Qualcuno che possa illuminare il loro cammino quotidiano, dando loro ragioni di vita e aiutandoli ad affrontare le difficoltà.

3. Voi l’avete sottolineato: la depressione è sempre una prova spirituale.Il ruolo di quanti si prendono cura della persona depressa, e non hanno uno specifico compito terapeutico, consiste soprattutto nell’aiutarla a ritrovare la stima di sé, la fiducia nelle proprie capacità, l’interesse per il futuro, la voglia di vivere. Per questo, è importante tendere la mano ai malati, far loro percepire la tenerezza di Dio, integrarli in una comunità di fede e di vita in cui possano sentirsi accolti, capiti, sostenuti, degni, in una parola, di amare e di essere amati. Per loro, come per ciascun altro, contemplare Cristo e lasciarsi ‘guardare’ da Lui è esperienza che li apre alla speranza e li spinge a scegliere la vita (cfr
Dt 30,19).

Nel percorso spirituale, la lettura e la meditazione dei Salmi, in cui l’autore sacro esprime in preghiera le sue gioie e le sue angosce, può essere di grande aiuto. La recita del Rosario permette di trovare in Maria una Madre amorosa che insegna a vivere in Cristo. La partecipazione all’Eucaristia è sorgente di pace interiore, sia per l’efficacia della Parola e del Pane di vita che per l’inserimento nella comunità ecclesiale. Ben sapendo quanta fatica costi per la persona depressa ciò che agli altri appare semplice e spontaneo, bisogna aiutarla con pazienza e delicatezza, ricordandosi del monito di santa Teresa di Gesù Bambino: “I piccoli fanno piccoli passi”.

Nel suo amore infinito, Dio è sempre vicino a coloro che soffrono. La malattia depressiva può essere una strada per scoprire altri aspetti di se stessi e nuove forme di incontro con Dio. Cristo ascolta il grido di coloro la cui barca è in balia della tempesta (cfr Mc 4,35-41). Egli è presente accanto a loro per aiutarli nella traversata e guidarli verso il porto della ricuperata serenità.

4. Il fenomeno della depressione richiama alla Chiesa e all’intera società quanto sia importante proporre alle persone, e specialmente ai giovani, figure ed esperienze che li aiutino a crescere sul piano umano, psicologico, morale e spirituale. In effetti, l’assenza di punti di riferimento non può che contribuire a rendere le personalità più fragili, inducendole a ritenere che tutti i comportamenti si equivalgano. Da questo punto di vista, il ruolo della famiglia, della scuola, dei movimenti giovanili, delle associazioni parrocchiali è molto rilevante a motivo dell’incidenza che tali realtà hanno sulla formazione della persona.

Significativo è pure il ruolo delle istituzioni pubbliche per assicurare condizioni di vita dignitose, in particolare alle persone abbandonate, malate e anziane. Ugualmente necessarie sono le politiche per la gioventù, tese ad offrire alle nuove generazioni motivi di speranza, preservandole dal vuoto o da suoi pericolosi riempitivi.

5. Cari amici, nell’incoraggiarvi a rinnovato impegno in un lavoro tanto importante accanto ai fratelli e alle sorelle affetti da depressione, vi affido all’intercessione di Maria Santissima, Salus infirmorum. Possa ogni persona ed ogni famiglia sentire la sua materna sollecitudine nei momenti di difficoltà.

A tutti voi, ai vostri collaboratori e ai vostri cari imparto di cuore la Benedizione Apostolica.


AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO


PROMOSSO DALL’UNITALSI


328
Sabato, 15 novembre 2003




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Con gioia accolgo quest’oggi tutti voi, che venite da varie regioni d'Italia per commemorare i cento anni di vita e di attività dell'UNITALSI.

Saluto anzitutto il Presidente nazionale, dott. Antonio Diella, e gli sono grato per le parole cordiali che mi ha indirizzato a nome dell'intera associazione. Saluto Mons. Luigi Moretti, Vice Gerente della diocesi di Roma e vostro Assistente Ecclesiastico. Rivolgo un pensiero grato a ciascuno di voi e, attraverso di voi, a tutti i soci impegnati sia nel volontariato che nelle varie attività promosse dal vostro Sodalizio.

Desidero, inoltre, ricordare in questo momento quanti vi hanno preceduto in questi cento anni, tanto negli incarichi direttivi, quanto nel servizio umile e silenzioso che caratterizza la famiglia unitalsiana.

2. Vari momenti celebrativi, in questi mesi, vi hanno dato modo di esprimere la vostra riconoscenza al Signore: dal Convegno di Rimini al pellegrinaggio internazionale dei bambini e quello nazionale a Lourdes; la salita al monte della Santa Casa in Loreto alle numerose altre iniziative formative, culturali e religiose.

Volete ora concludere il vostro giubileo con la visita alla Città eterna per rinnovare così l'espressione della vostra fedeltà al Successore dell'apostolo Pietro. Siete ben consapevoli che ogni battezzato è chiamato ad essere "santuario vivente" di Dio, mediante un'esistenza coerente con il messaggio evangelico. In diverse circostanze avete meditato sull'universale vocazione alla "santità". A questo proposito, anche recentemente nell'Esortazione apostolica Ecclesia in Europa ho affermato che "la piena fioritura della Chiesa dipenderà dall'irrinunciabile apporto dei fedeli laici, chiamati a rendere presente la Chiesa di Cristo nel mondo, annunciando e servendo il Vangelo della speranza" (n. 41).

3. Carissimi Fratelli e Sorelle, mantenete vivo il carisma della vostra associazione ecclesiale.

L'icona biblica del buon samaritano che si china su chi è ferito e bisognoso (cfr
Lc 10,30-37), come pure la tenacia, ricca di fede e carica di speranza, degli uomini che portano il paralitico davanti a Gesù calando il lettuccio dal tetto (cfr Lc 5,18-20) vi stimolino ad una dedizione sempre più totale a Dio e al prossimo.

Alimentate la vostra esistenza personale e il lavoro nell'UNITALSI con l'ascolto della Parola e la preghiera, con un'intensa vita sacramentale e una ricerca incessante della volontà divina. E’ questo il modo con cui si rende "il culto spirituale" gradito al Signore.

4. Le origini della vostra Associazione sono legate al Santuario mariano di Lourdes. Ad imitazione di Colei che, dopo aver accolto nel suo seno la "Parola fatta carne", si mise in viaggio per raggiungere la casa di Elisabetta, rendetevi anche voi disponibili per ogni servizio umile e semplice. Come Lei, siate testimoni dell'amore di Dio.

329 L'Immacolata, che "dona letizia e pace", farà "splendere la santità di Dio" nei vostri cuori (cfr Messale B. V Maria, n. 36, Prefazio e Colletta). A Lei ricorrete con la recita del Rosario, e seguite il suo invito a valorizzare la sofferenza e il dolore come contributi preziosi per la salvezza del mondo. La Madonna non vi farà mancare il suo aiuto e in ogni situazione sarà il vostro sostegno.

Io vi accompagno con la preghiera, e ben volentieri imparto una speciale Benedizione a voi, a quanti sono per voi oggetto di attenzione e di amore, e all’intera famiglia dell’UNITALSI.


AI VESCOVI DELL'INDIA


IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"


Lunedì, 17 novembre 2003


Cari Fratelli Vescovi,

1. "Celebrate il Signore, perché è buono; perché eterna è la sua misericordia" (Ps 118,1). È appropriato che io usi queste parole dei Salmi per dare il benvenuto a voi, Pastori delle Provincie Ecclesiastiche di Madras-Mylapore, Madurai e Pondicherry-Cuddalore, a conclusione di questa serie di visite ad Limina dei Vescovi dell'India. In particolare desidero salutare l'Arcivescovo Arul Das, e ringraziarlo per i sentimenti che ha espresso a nome di tutti voi.

I miei precedenti discorsi ai vostri fratelli Vescovi hanno spesso preso in esame l'importanza di promuovere uno spirito autentico di solidarietà nella Chiesa e nella società. Non è sufficiente che la comunità cristiana abbia il principio della solidarietà come alto ideale; piuttosto, esso deve essere visto come la norma per i rapporti tra le persone che, con le parole del mio venerabile predecessore Papa Pio XII, è stata "suggellata dal sacrificio di redenzione offerto da Gesù Cristo sull'altare della Croce al suo Padre Celeste, a nome dell'umanità peccatrice" (cfr Summi Pontificatus). Essendo successori degli Apostoli di Cristo, abbiamo il dovere fondamentale di incoraggiare tutti gli uomini e le donne a trasformare questa solidarietà in una "spiritualità di comunione" per il bene della Chiesa e dell'umanità (cfr Pastores gregis, n. 22). Mentre vi rendo partecipi dei miei pensieri, oggi, desidero collocare le mie riflessioni nel contesto di questo principio fondamentale dei rapporti umani e cristiani.

2. Non possiamo sperare di diffondere questo spirito di unità tra i nostri fratelli e le nostre sorelle senza un'autentica solidarietà tra i popoli. Come molti altri luoghi del mondo, anche l'India è afflitta da numerosi problemi sociali. In qualche modo, queste sfide vengono esacerbate dall'ingiusto sistema di divisione delle caste, che nega la dignità umana di interi gruppi di persone. A questo riguardo, ripeto ciò che ho già detto durante la mia prima visita pastorale nel vostro Paese: "Ignoranza e pregiudizio devono essere sostituiti da tolleranza e comprensione. Indifferenza e lotta di classi devono tramutarsi in fratellanza e servizio impegnato. Le discriminazioni basate sulla razza, sul colore, sul credo, sul sesso o sull'origine etnica devono essere rifiutate come del tutto incompatibili con la dignità umana" (Omelia durante la Messa celebrata nello stadio Indira Gandhi, New Delhi, 2 febbraio 1986).

Lodo le numerose iniziative messe in pratica dalla Conferenza Episcopale e dalle singole Chiese per combattere questa ingiustizia. I coraggiosi passi che avete compiuto per porre rimedio a questo problema, come quelli del "Tamil Nadu Bishops' Council" del 1992, spiccano come esempio da seguire per gli altri. In ogni momento dovete continuare ad assicurare che venga rivolta una particolare attenzione a coloro che appartengono alle caste più basse, soprattutto ai Dalit. Non devono essere mai segregati dagli altri membri della società. Qualsiasi parvenza di pregiudizio basato sulle caste nei rapporti tra i cristiani è un segno contrario all'autentica solidarietà umana, una minaccia alla vera spiritualità e un grave ostacolo alla missione evangelizzatrice della Chiesa.

Pertanto, le usanze o le tradizioni che perpetuano o rafforzano la divisione delle caste, devono essere riformate in modo sensibile, affinché possano diventare un'espressione della solidarietà dell'intera comunità cristiana. Come ci insegna l'Apostolo Paolo, "se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme" (1Co 12,26). La Chiesa ha l'obbligo di adoperarsi incessantemente per cambiare i cuori, aiutando tutte le persone a vedere ogni essere umano come figlio di Dio, fratello o sorella di Cristo, e, pertanto, membro della nostra stessa famiglia.

3. L'autentica comunione con Dio e gli altri porta tutti i cristiani a proclamare la Buona Novella a coloro che non hanno visto né udito (cfr Jn 1,1). La Chiesa ha ricevuto la missione unica di servire "il Regno diffondendo nel mondo i "valori evangelici", che del Regno sono espressione e aiutano gli uomini ad accogliere il disegno di Dio" (Redemptoris missio RMi 20). In effetti, è questo spirito evangelico a incoraggiare anche coloro che appartengono a tradizioni differenti a lavorare insieme per il fine comune di diffondere il Vangelo (cfr Discorso ai Vescovi Siro-Malabaresi dell'India, 13 maggio 2003).

Molti di voi hanno espresso l'auspicio che la Chiesa in India prosegua i suoi sforzi per rimanere attivamente impegnata nella "nuova evangelizzazione". Questo è particolarmente importante nelle società moderne, dove grandi settori della popolazione si trovano in situazioni disperate, che spesso li portano a cercare soluzioni rapide e facili a problemi complicati. Questo senso di mancanza di speranza, può, in parte, spiegare perché tante persone, giovani e anziane, sono attratte dalle sette fondamentaliste, che offrono un breve fervore emozionale e l'assicurazione di ricchezza e conseguimenti terreni. La nostra risposta a questo deve essere di "ri-evangelizzazione", e il suo successo dipende dalla nostra capacità di mostrare alle persone la vacuità di simili promesse, convincendole, allo stesso tempo, che Cristo e il suo Corpo condividono le loro sofferenze e ricordando loro di cercare "prima il regno di Dio e la sua giustizia" (Mt 6,33).


GP2 Discorsi 2003 322