GP2 Discorsi 2003 72

72 4. Fra le virtù della Beata Caridad Brader, desidero sottolineare il suo ardore missionario, che non si fermò dinanzi alle difficoltà.

Care Suore Francescane di Maria Immacolata: imitate con gioia l'esempio della vostra Fondatrice, seguite con abnegazione il suo cammino, infondendo nell'umanità nuova speranza. Avete una storia importante, la Chiesa vi ringrazia per la vostra missione e vi incoraggia a continuarla con l'intercessione e la protezione di Madre Caridad.

5. Le religiose Ancelle di Maria Immacolata hanno visto ieri la loro Fondatrice proclamata Beata. La storia di Juana Condesa Lluch ha un significato particolare nel nostro tempo.

A voi, Ancelle di Maria Immacolata, la Beata Juana Condesa ha lasciato in eredità la grande sapienza di sapersi avvicinare a quanti hanno bisogno di aiuto materiale e spirituale, condividendo il loro cammino e facendo sì che questo, mediante la forza della fraternità, conduca a Dio e al mondo che Egli vuole. Insieme a coloro che, in un modo o nell'altro, condividono le vostre attività in Spagna, Italia, Panama, Cile e Perù, vi incoraggio a continuare a rendere questo tipo di testimonianza evangelica.

6. I problemi dell'emigrazione, le tensioni sociali o la globalizzazione dei nostri giorni, l'anticlericalismo manifesto o nascosto, permettono di comprendere meglio l'ispirazione che a suo tempo portò la Beata Dolores Sopeña a dedicare la sua vita all'evangelizzazione di quanti erano lontani da Dio e dalla sua Chiesa.

La sua ansia apostolica la portò a fondare tre istituzioni, oggi unite nella "Famiglia Sopeña", che sostengono numerose opere in Spagna, Italia, Argentina, Cile, Colombia, Cuba, Ecuador, Messico, Perù e Repubblica Dominicana, il cui obiettivo principale continua ad essere la promozione e l'annuncio della Buona Novella alle famiglie del mondo del lavoro, non tanto carenti di formazione come in altri tempi, ma sempre bisognose di Gesù Cristo.

7. Saluto con cordiale affetto i pellegrini giunti a Roma in occasione della beatificazione di Lázló Batthyány-Strattmann. I ricordi di questo nuovo Beato, che è legato sia al popolo ungherese sia a quello austriaco, come pure la sua testimonianza, sottolineano ancora una volta quanto siano importanti, per la pace e per l'auspicata costruzione della casa comune europea, la tutela e la cura dei valori cristiani, dei quali visse. Che il nuovo Beato non sia per voi solo un protettore al quale rivolgersi, ma anche un esempio che occorre imitare per seguire con coraggio la chiamata di Dio!
Cari pellegrini di lingua ungherese, come il beato László Batthyány-Strattmann siate anche voi fedeli alla missione ricevuta al servizio del Vangelo.

8. In questo ambiente festivo ha luogo la consegna all'Arcivescovo di Valencia della "icona della Sacra Famiglia", simbolo degli Incontri Mondiali delle Famiglie, portata qui dal Cardinale Alfonso López Trujillo da Manila. Ringrazio Monsignor Agustín García-Gasco, i suoi collaboratori, le autorità qui presenti, tutti i fedeli di Valencia, per l'entusiasmo dimostrato fin dalla designazione di Valencia come sede del prossimo Incontro, e incoraggio e benedico le opere e le iniziative che porteranno a termine per il buon esito dell'evento. Che la contemplazione di questa immagine nel corso di questi anni di preparazione vi serva da ispirazione per continuare a lavorare per la difesa e la promozione dell'istituzione familiare, tanto necessaria affinché possa portare avanti il mandato che Dio le ha affidato, e sia "gaudium et spes", gioia e speranza dell'umanità, scuola di trasmissione dei valori autentici di cui l'uomo ha bisogno, e luogo di accoglienza della vita!

9. Carissimi Fratelli e Sorelle, implorando l'intercessione dei nuovi Beati perché ci accompagnino nel quotidiano itinerario della vita cristiana, con affetto vi benedico, insieme con i vostri cari e le Comunità cristiane dalle quali provenite.

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


GIOVANNI PAOLO II


AI CAPPELLANI MILITARI



Carissimi Cappellani militari!

73 1. Sono lieto di inviarvi il mio saluto in occasione del Corso di formazione al diritto umanitario, organizzato congiuntamente dalla Congregazione per i Vescovi e dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

Desidero esprimere il mio compiacimento per la cura con cui i due Dicasteri hanno da lungo tempo preparato tale incontro, in conformità all'impegno assunto dalla Santa Sede durante la XXVII Conferenza internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (1999).

Desidero, inoltre, ringraziare in particolar modo gli esperti, così qualificati, i quali hanno voluto offrire generosamente l'ausilio della loro apprezzata competenza per il buon esito del Corso.

Quasi tutti gli Ordinariati Militari hanno inviato i loro rappresentanti al Corso: è una prova del valore dell'iniziativa, che vuole essere un chiaro segno dell'importanza che la Santa Sede attribuisce al diritto umanitario, quale presidio della dignità della persona umana, anche nel tragico contesto della guerra.

2. E' proprio quando le armi si scatenano che diventa imperativa l'esigenza di regole miranti a rendere meno disumane le operazioni belliche.

Attraverso i secoli, è andata gradualmente crescendo la consapevolezza di una simile esigenza, fino alla progressiva formazione di un vero e proprio corpus giuridico, definito come "diritto internazionale umanitario". Tale corpus ha potuto svilupparsi anche grazie alla maturazione dei principi connaturali al messaggio cristiano.

Come ho avuto occasione di dire in passato ai membri dell'Istituto Internazionale di Diritto Umanitario, il Cristianesimo "offre a questo sviluppo una base nella sua affermazione del valore autonomo dell'uomo e della sua preminente dignità di persona con una sua propria individualità, completa nella sua costituzione essenziale, e dotata di coscienza razionale e libera volontà. Anche nei secoli passati, la visione cristiana dell'uomo ha ispirato la tendenza a mitigare la tradizionale ferocia della guerra, in modo da assicurare un trattamento più umano per coloro che erano coinvolti nelle ostilità. Ha reso un contributo decisivo all'affermazione, sia da un punto di vista morale che in pratica, delle norme di umanità e giustizia che sono ora, in forma debitamente modernizzata e precisata, il nucleo delle nostre odierne convenzioni internazionali" (18 maggio 1982).

3. I cappellani militari, mossi dall'amore di Cristo, sono chiamati, per speciale vocazione, a testimoniare che perfino in mezzo ai combattimenti più aspri è sempre possibile, e quindi doveroso, rispettare la dignità dell'avversario militare, la dignità delle vittime civili, la dignità indelebile di ogni essere umano coinvolto negli scontri armati. In tal modo, inoltre, si favorisce quella riconciliazione necessaria al ripristino della pace dopo il conflitto.

Inter arma caritas è stata la significativa parola d'ordine del Comitato Internazionale della Croce Rossa fin dai suoi albori, eloquente simbolo delle motivazioni cristiane che ispirarono il fondatore di tale benemerito organismo, il ginevrino Henry Dunant, motivazioni che non andrebbero mai dimenticate.

Voi, Cappellani militari cattolici, oltre allo svolgimento del vostro specifico ministero religioso, non dovete trascurare di offrire il vostro contributo per un'appropriata educazione del personale militare ai valori che animano il diritto umanitario e ne fanno non solo un codice giuridico, ma anzitutto un codice etico.

4. Il vostro Corso viene a cadere in un'ora difficile della storia, quando il mondo si trova ancora una volta ad ascoltare il fragore delle armi. Il pensiero delle vittime, delle distruzioni e delle sofferenze provocate dai conflitti armati arreca sempre profonda preoccupazione e grande dolore.

74 Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che la guerra come strumento di risoluzione delle contese fra gli Stati è stata ripudiata, prima ancora che dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla coscienza di gran parte dell'umanità, fatta salva la liceità della difesa contro un aggressore. Il vasto movimento contemporaneo a favore della pace - la quale, secondo l'insegnamento del Concilio Vaticano II, non si riduce a una "semplice assenza della guerra" (Gaudium et spes GS 78) - traduce questa convinzione di uomini di ogni continente e di ogni cultura.

In tale quadro, lo sforzo delle diverse religioni per sostenere la ricerca della pace è motivo di conforto e di speranza. Nella nostra prospettiva di fede, la pace, pur frutto di accordi politici e intese fra individui e popoli, è dono di Dio, che va invocato insistentemente con la preghiera e la penitenza. Senza la conversione del cuore non c'è pace! Alla pace non si arriva se non attraverso l'amore!

A tutti viene ora chiesto l'impegno di lavorare e pregare affinché le guerre scompaiano dall'orizzonte dell'umanità.

Con questi auspici, formulo voti che il Corso di formazione sia proficuo per voi, cari Cappellani, ai quali invio di cuore la Benedizione Apostolica, estendendola volentieri agli organizzatori, ai docenti ed ai collaboratori.

Dal Vaticano, 24 Marzo 2003



AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA


DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI


Martedì, 25 marzo 2003


Eminenze,
Eccellenze,
Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,

Sono lieto di salutarvi, Membri, Consultori, Personale ed Esperti del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, mentre vi riunite per la vostra assemblea plenaria. In effetti, è opportuno che il vostro incontro si svolga durante la settimana in cui la Chiesa celebra la Solennità dell'Annunciazione, quando la Buona Novella della nostra salvezza in Gesù Cristo fu annunciata a Maria dall'Arcangelo Gabriele. Questa Buona Novella deve essere condivisa da tutti i popoli di ogni tempo e luogo, ed è vostro preciso dovere renderla presente in modo sempre più efficace nel mondo dei mezzi di comunicazione sociale. Vi ringrazio per il vostro impegno a tale riguardo e vi incoraggio a perseverare in esso.

Non vi è alcun dubbio che oggi i media esercitino un'influenza molto potente ed estesa, formando e informando l'opinione pubblica a livello locale, nazionale e globale. Riflettendo su questo fatto, viene in mente un verso della Lettera di san Paolo agli Efesini: "dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri" (4, 25). Queste parole dell'Apostolo sono una sintesi appropriata di quelli che dovrebbero essere gli obiettivi fondamentali delle comunicazioni sociali moderne: far conoscere la verità sempre più diffusamente e far crescere la solidarietà in seno alla famiglia umana.

75 Quarant'anni fa, il mio predecessore, il Beato Papa Giovanni XXIII, aveva in mente qualcosa di simile quando nella sua Enciclica Pacem in terris esortò alla "lealtà e all'imparzialità" nell'utilizzo degli "strumenti per la promozione e la diffusione della comprensione reciproca tra le nazioni" (n. 90). Io stesso ho ripreso questo tema nel mio recente messaggio per la XXXVII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che verrà celebrata il 1º giugno 2003. In tale messaggio ho osservato che "l'esigenza morale fondamentale di ogni comunicazione è il rispetto per la verità ed il servizio ad essa". Quindi ho spiegato che: "La libertà di cercare e di riferire quello che è vero, è essenziale per la comunicazione umana, non solo in relazione ai fatti ed alla informazione, ma anche, e soprattutto, per quanto concerne la natura e il destino della persona umana, per quanto concerne la società ed il bene comune, per quanto concerne il nostro rapporto con Dio" (n. 3).

In effetti, la verità e la solidarietà sono due dei mezzi più efficaci a disposizione per superare l'odio, risolvere i conflitti ed eliminare la violenza. Sono anche indispensabili per ristabilire e rafforzare i vincoli reciproci di comprensione, fiducia e compassione che uniscono tutti gli individui, i popoli e le nazioni, a prescindere dalla loro origine etnica o culturale. In breve, la verità e la solidarietà sono necessarie se l'umanità deve riuscire a costruire una cultura della vita, una civiltà dell'amore, un mondo di pace.

È questa la sfida che si pone agli uomini e alle donne dei media, ed è compito del vostro Pontificio Consiglio assisterli e guidarli affinché rispondano in modo positivo ed efficace a questo dovere.

Prego affinché i vostri sforzi a questo riguardo continuino a dare molti frutti. In questo Anno del Rosario, affido tutti voi all'amorevole intercessione della Beata Vergine Maria: possa la sua risposta piena di fede all'Angelo, che ha dato al mondo il suo Salvatore, servire da esempio alla nostra proclamazione del messaggio salvifico di suo Figlio. Come pegno di grazia e forza nel Verbo Incarnato vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.


ALLE LORO ALTEZZE REALI


I GRANDUCHI DI LUSSEMBURGO


Giovedì, 27 marzo 2003




Altezze,

Ringrazio le Vostre Altezze Reali per la visita e per i sentimenti che mi avete trasmesso da parte di tutto il popolo lussemburghese. Vi prego di voler trasmettere alle Loro Altezze Reali il Granduca Jean e la Granduchessa Joséphine-Charlotte il mio cordiale ricordo, assicurando la Granduchessa della mia preghiera per la prova di salute che sta attraversando.

Conosco l'attenzione che prestate all'educazione dei giovani, perché sia trasmesso alle generazioni future il patrimonio dei valori che hanno forgiato le nostre società e che devono continuare a dare loro un'anima. Come ho avuto spesso l'occasione di dire, la costruzione dell'Unione Europea non si può limitare ai soli campi dell'economia e dell'organizzazione del mercato. Essa mira maggiormente alla promozione di un modello di società che onori la dignità fondamentale di ogni uomo e i suoi diritti, e che privilegi fra le persone e i popoli rapporti fondati sulla giustizia, sul rispetto reciproco e sulla pace. È in questo spirito che opera la Santa Sede, per ricordare instancabilmente che "l'uomo vale più per quello che "è" che per quello che "ha"" come ha detto il Concilio Vaticano II. La dimensione religiosa dell'uomo e dei popoli, della quale non si può ignorare l'importanza, permette giustamente a ognuno di esprimere il suo essere profondo, di riconoscere la sua origine in Dio e di comprendere il senso della sua azione in termini di missione e di responsabilità.

A tutti coloro che vivono nel nostro continente, che godono della ricchezza economica e dei benefici della pace, noi abbiamo il dovere di far conoscere il valore inalienabile della nostra umanità comune e la responsabilità che questa conferisce loro nei riguardi di ogni uomo, in particolare di quanti soffrono per la povertà, per il non rispetto della loro dignità, o che conoscono la prova della guerra. Sono lieto del fatto che numerosi giovani europei abbiano oggi sete dello spirito delle Beatitudini e siano pronti ad accoglierlo maggiormente nella loro vita.

Ringraziandovi per la vostra visita, saluto attraverso di voi il caro popolo lussemburghese e imparto a voi, Altezze, come pure ai vostri figli, un'affettuosa Benedizione Apostolica.


AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA


DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE


PER L’AMERICA LATINA


Giovedì, 27 marzo 2003


76 Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell'Episcopato,

1. Mi è grato ricevervi, Consiglieri e Membri della Pontificia Commissione per l'America Latina che avete celebrato la vostra Assemblea Plenaria al fine di esaminare ancora una volta la situazione ecclesiale nelle terre dell'America Latina, individuare i suoi problemi pastorali e offrire alcune linee guida che aiutino a tracciare una strategia evangelizzatrice capace di fronteggiare le grandi sfide che si presentano in questo momento cruciale dell'inizio del nuovo millennio.

Ringrazio cordialmente il Cardinale Giovanni Battista Re, Presidente di questa Pontificia Commissione, per le espressive parole di saluto che mi ha rivolto, a nome di tutti, presentandomi le linee maestre che hanno guidato i vostri lavori in queste giornate di incontro, riflessione e dialogo.

Parimenti, ringrazio tutti voi per l'impegno e l'opera portata a termine in queste giornate che si concretizzano nelle indicazioni e nell'aiuto che offrite, partecipando in tal modo alla mia sollecitudine di Pastore universale di tutta la Chiesa. Le vostre considerazioni e le vostre proposte recheranno beneficio alla rinnovata Evangelizzazione dell'America Latina, la cui situazione religiosa e sociale ho seguito sempre con interesse e affetto, in modo molto concreto nei miei 18 viaggi apostolici nell'amato Continente della speranza.

2. Dall'anno 2001 fino allo scorso mese di febbraio 2003, i Vescovi latinoamericani hanno realizzato le loro visite ad Limina, ad eccezione della Colombia e del Messico che lo faranno prossimamente. A ognuno dei 28 gruppi che mi hanno visitato ho rivolto un discorso con indicazioni pastorali su diversi temi. In realtà, si tratta di orientamenti non solo per il gruppo concreto al quale mi rivolgevo in quell'occasione, ma anche per tutto l'Episcopato. La Pontifica Commissione per l'America Latina ha voluto riunirli in un volume, che il Presidente mi ha consegnato e che può essere un utile strumento per ricordare quanto ho detto mosso dalla mia sollecitudine pastorale e dal mio amore per l'America Latina. In questa occasione avete iniziato le vostre sessione proprio studiando tali orientamenti.

3. Per portare avanti il suo mandato di annunciare meglio Cristo agli uomini e alle donne di oggi, illuminando a tal fine con la sapienza del Vangelo le sfide e i problemi che la Chiesa e la società incontrano in America Latina all'inizio del nuovo millennio, la Chiesa ha bisogno di molti e qualificati evangelizzatori che, con nuovo ardore, con rinnovato entusiasmo, con delicato spirito ecclesiale, colmi di fede e di speranza, parlino "sempre più di Cristo" (Ecclesia in America, n. 67).

Questi evangelizzatori - Vescovi, sacerdoti e diaconi, religiosi e religiose, fedeli laici - sono, sotto la guida dello Spirito Santo, i protagonisti indispensabili nel compito evangelizzatore, dove contano più le persone delle strutture, anche se queste sono, in un certo senso, necessarie.

Tali strutture devono essere semplici, agili, solo quelle indispensabili, di modo che non opprimano, bensì aiutino e agevolino il lavoro pastorale; d'altro canto, devono essere efficaci, secondo le esigenze dei tempi attuali. È importante beneficiare di tutte le tecniche moderne per l'evangelizzazione, ma evitando una burocratizzazione eccessiva, la moltiplicazione dei viaggi e delle riunioni, come pure l'utilizzo non necessario di persone, tempo e risorse economiche che si potrebbero piuttosto destinare all'azione diretta dell'annuncio evangelico e all'attenzione verso i bisognosi. Le strutture e le organizzazioni, come pure lo stile di vita ecclesiale, devono riflettere sempre il volto semplice dell'America Latina per facilitare un maggiore avvicinamento alle masse diseredate, agli indigeni, agli emigranti e agli sfollati, agli operai, agli emarginati, ai malati e, in generale, a quanti soffrono, ossia a tutti coloro che sono o devono costituire l'obiettivo della vostra opzione preferenziale (cfr Ecclesia in America, n. 58).

4. L'originalità e la fecondità del Vangelo, fonte continua di creatività, ispira sempre nuove espressioni e iniziative nella vita ecclesiale e contribuisce a individuare nuovi metodi di evangelizzazione che, in piena fedeltà al Magistero e alla Tradizione della Chiesa, risultino necessari per portare l'Annuncio del Vangelo nei luoghi più remoti, a tutti gli uomini e le donne, a tutte le etnie e a tutte le classi sociali, anche ai settori più difficili o refrattari.

L'accelerazione degli eventi e delle trasformazioni sociali obbliga la Chiesa, e di conseguenze i Pastori, a compiere, sotto l'impulso della grazia, nuovi e significativi passi volti a una dedizione sempre più radicale al loro Signore, con il quale si devono identificare pienamente in quanto a sentimenti, dottrina e modo di agire. Gesù Cristo è l'unico Signore della Chiesa e del mondo, e a Lui deve orientarsi tutto, poiché "la Chiesa deve porre il centro della sua attenzione pastorale e della sua azione evangelizzatrice in Cristo crocifisso e risorto. "Tutto quello che si progetta in campo ecclesiale deve partire da Cristo e dal suo Vangelo"" (Ecclesia in America, n. 67).

77 5. Fra le realtà e i problemi pastorali sottoposti alla vostra considerazione, ne esiste uno che merita particolare attenzione e che è stato oggetto dei vostri studi e di alcune risoluzioni in questa Riunione Plenaria e in quella più ridotta che la Commissione ha organizzato nel mese di gennaio con la collaborazione del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso e del CELAM.

Mi riferisco al fenomeno delle sette che - come ho detto nel recente discorso ai Vescovi del Brasile (23 gennaio 2003) - "anche nelle vostre terre si sta diffondendo con incidenza intermittente da zona a zona e con accentuate punte di proselitismo fra le persone più deboli socialmente e culturalmente, ... non costituisce per voi Pastori un'autentica sfida a rinnovare lo stile di accoglienza all'interno delle comunità ecclesiali e un urgente sprone a una nuova e coraggiosa evangelizzazione, che svolga forme adeguate di catechesi, soprattutto per gli adulti?".

Evangelizzazione, in profondità, presenza continua e attiva dei Pastori, dei Vescovi e dei sacerdoti, fra i loro fedeli, relazione personale dei fedeli con Cristo: sono queste alcune chiavi per affrontare in modo risoluto il serio e insidioso problema delle sette.

6. È evidente che, in riferimento a situazioni o a realtà ecclesiali, a cui avete alluso nella vostra Riunione, esistono altri settori, come i giovani, le famiglie e soprattutto le vocazioni sacerdotali, che hanno bisogno di un'attenzione urgente da parte dei Pastori, con un'ampia sinergia, ossia con l'impegno di tutti, puntando decisamente sull'unità e sulla comunione: è sempre più necessario "fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo" (Novo Millennio ineunte
NM 43 cfr Ecclesia in America, capitolo IV).

Desidero ricordare qui la grande importanza che a tal fine riveste l'azione evangelizzatrice dei religiosi e delle religiose, come pure quella dei movimenti ecclesiali; per questo gli uni e gli altri devono operare sempre "nella piena sintonia ecclesiale e in obbedienza alle direttive autorevoli dei Pastori" (Novo Millennio ineunte NM 46).

7. Lo scorso anno ho avuto la gioia di prostrarmi dinanzi alla venerata immagine di Nostra Signora di Guadalupe in occasione della mia visita in Messico per canonizzare il 31 luglio il beato Juan Diego, suo messaggero, e beatificare poi, sempre lì, i due catechisti martiri di Oaxaca Guadalupe, dopo aver canonizzato in Guatemala il fratello Pedro de San José de Betancurt.

Da quando mi sono recato in pellegrinaggio per la prima volta nello splendido Santuario Guadalupano il 29 gennaio 1979, Ella ha guidato i miei passi in questi quasi 25 anni di servizio come Vescovo di Roma e Pastore Universale della Chiesa. Lei, cammino sicuro per incontrare Cristo (cfr Ecclesia in America, n. 11), che fu la Prima Evangelizzatrice dell'America, desidero invocare come "Stella dell'Evangelizzazione" - Stella evangelizationis -, affidandole l'opera ecclesiale di tutti i suoi figli e le sue figlie d'America: i Pastori e i fedeli, le comunità ecclesiali e le famiglie, i poveri, gli anziani, gli indigeni.

Come espressione di questi auspici, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.


AI PARTECIPANTI AL CORSO


PROMOSSO DALLA PENITENZIERIA APOSTOLICA


Venerdì, 28 marzo 2003




1. Carissimi, il Corso sul foro interno, annualmente promosso dalla Penitenzieria Apostolica, mi offre l'opportunità di accogliervi in speciale Udienza. Rivolgo un cordiale saluto al Pro-Penitenziere Maggiore Mons. Luigi De Magistris, che ringrazio per le deferenti espressioni indirizzatemi. Saluto poi Prelati ed Officiali del medesimo Tribunale e i Padri Penitenzieri delle Basiliche Patriarcali dell'Urbe, come pure i giovani sacerdoti e aspiranti al sacerdozio, che prendono parte a tale tradizionale opportunità di approfondimento dottrinale.

In svariate occasioni ho espresso il mio apprezzamento per quanti si dedicano al ministero penitenziale nella Chiesa: il sacerdote cattolico, invero, è innanzitutto ministro del Sacrificio redentore di Cristo nell'Eucaristia, e ministro del perdono divino nel sacramento della Penitenza.

78 2. Mi è caro, in questa circostanza, soffermarmi in particolare sul privilegiato rapporto che esiste tra il sacerdozio e il sacramento della Riconciliazione, che dal presbitero deve essere innanzitutto ricevuto con fede ed umiltà, oltre che con convinta frequenza. A riguardo degli ecclesiastici, infatti, il Concilio Vaticano II insegna: "I ministri della grazia sacramentale si uniscono intimamente a Cristo Salvatore e Pastore attraverso la fruttuosa recezione dei Sacramenti, soprattutto con la confessione sacramentale frequente, giacché essa - che va preparata con un quotidiano esame di coscienza - favorisce in sommo grado la necessaria conversione del cuore all'amore del Padre delle misericordie" (Decreto Presbyterorum Ordinis PO 18 CIC can. CIC 276, § CIC 2, 5° , analogamente, CCEO CIC 369, § CIC 1).

Al valore intrinseco del sacramento della Penitenza, in quanto ricevuto dal sacerdote come penitente, si aggiunge la sua efficacia ascetica come occasione di esame di se stessi, e quindi di verifica, lieta o dolente, del proprio livello di fedeltà alle promesse. Esso inoltre è momento ineffabile di "esperienza" della carità eterna che il Signore nutre per ciascuno di noi nella sua irrepetibile individualità; è sfogo di delusioni e amarezze forse ingiustamente inflitteci: è balsamo consolatore per le molteplici forme di sofferenza da cui è segnata la vita.

3. In quanto ministro poi del sacramento della Penitenza il sacerdote, consapevole del prezioso dono di grazia posto nelle sue mani, deve offrire ai fedeli la carità dell'accoglienza premurosa, senza avarizia del suo tempo e senza asperità o freddezza del tratto. Al tempo stesso, egli deve usare la carità, anzi la giustizia di riferire, senza varianti ideologiche e senza sconti arbitrari, l'insegnamento genuino della Chiesa, rifuggendo dalle profanas vocum novitates, riguardo ai loro problemi.

In particolare, desidero qui richiamare la vostra attenzione sulla doverosa adesione al Magistero della Chiesa circa i complessi problemi che si pongono in campo bioetico e circa la normativa morale e canonica nell’ambito matrimoniale. Nella mia Lettera, indirizzata ai sacerdoti per il Giovedì Santo 2002, osservavo: "Succede a volte, su nodi etici di attualità, che i fedeli escano dalla confessione con idee piuttosto confuse, anche perché «non trovano nei confessori la stessa linea di giudizio». In realtà, quanti svolgono in nome di Dio e della Chiesa questo delicatissimo ministero hanno il preciso dovere di non coltivare, ed ancor più di non manifestare in sede sacramentale, valutazioni personali non rispondenti a ciò che la Chiesa insegna e proclama. «Non si può scambiare con amore il venir meno alla verità per un malinteso senso di comprensione» (Lettera ai Sacerdoti, 17 marzo 2002, n. 10).

Il sacramento della Penitenza, se ben amministrato e ricevuto, si rivela strumento principe di discernimento vocazionale. Chi agisce in foro interno deve raggiungere personalmente la certezza morale circa l'idoneità e integrità dei suoi diretti spiritualmente per potere lecitamente approvare ed incoraggiare la loro intenzione di accedere agli Ordini. Tale certezza morale, peraltro, si può avere solo quando la fedeltà del candidato alle esigenze della vocazione è stata comprovata con diuturna esperienza.

Ai candidati al sacerdozio il direttore spirituale offra comunque non solo il discernimento, ma anche l'esempio della sua vita, cercando di riprodurre in sé il Cuore di Cristo.

5. Il retto e fruttuoso ministero penitenziale e l'amore alla personale fruizione del sacramento della Penitenza dipendono soprattutto dalla grazia del Signore. Per ottenere al sacerdote tale dono è di singolare rilievo la mediazione di Maria, Madre della Chiesa e Madre dei sacerdoti, perché Madre di Gesù, Sacerdote Sommo ed Eterno. Voglia Ella ottenere dal Figlio suo ad ogni sacerdote il dono della santità, mediante il sacramento della Penitenza umilmente ricevuto e generosamente offerto.

Sui vostri convincimenti, sui vostri propositi, sulle vostre speranze scenda, propiziatrice delle benedizioni di Dio, quella Apostolica che con affetto a tutti imparto.


AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE


DELL’INDONESIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"


Sabato, 29 marzo 2003




Cari Fratelli Vescovi,

1. "Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (1Co 1,3). Con queste parole di san Paolo e con affetto nel Signore porgo il benvenuto a voi, Vescovi dell'Indonesia, in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum. Attraverso di voi abbraccio anche nello spirito i sacerdoti, i religiosi e i laici delle vostre Chiese particolari. L'aver compiuto un viaggio tanto lungo per inginocchiarvi davanti alle tombe degli Apostoli, per unirvi nella preghiera con il Successore di Pietro ed incontrarvi con lui, testimonia il carattere universale della Chiesa. Come Successori degli Apostoli, la cui testimonianza di Cristo Crocifisso e Risorto è il saldo fondamento della proclamazione, da parte della Chiesa, del Vangelo in ogni tempo e luogo, siete venuti per confermare la vostra comunione nella fede e nella carità. Rendo grazie perché in questi tempi difficili siete riusciti a compiere questo pellegrinaggio per condividere la fede, l'esperienza e i discernimenti delle vostre comunità locali, come pure le sfide che dovete affrontare. Possano i frutti dei nostri incontri arricchire la Chiesa in Indonesia e alimentare il vostro ministero pastorale!

79 2. La vostra guida aiuta a far sì che la Chiesa si trovi in prima linea nella promozione della pace e dell'armonia in un Paese composto da tanti gruppi differenti. Infatti, la vostra Conferenza cerca di rispecchiare il motto Bihneka Tungal Ika, "unità nella diversità", riportato sulle vostre insegne nazionali. Le vostre diverse origini etniche e culturali, riunite in un'atmosfera di fede, dialogo e fiducia reciproca, possono rappresentare un modello di speranza per tutta l'Indonesia. All'inizio di una nuova era, l'Indonesia deve affrontare la sfida di costruire una società fondata sui principi democratici della libertà e dell'uguaglianza di tutti i cittadini, a prescindere dalla lingua, dalla razza, dalle origini etniche, dal retaggio culturale o dalla religione. Non ho alcun dubbio che la Chiesa continuerà a essere attivamente impegnata in questo sforzo, incoraggiando tutti i popoli a continuare ad unirsi per adempiere alle loro responsabilità civiche attraverso il dialogo e l'apertura, evitando ogni tipo di pregiudizio o bigottismo. Lo sviluppo di una società che incarni questi ideali democratici aiuterà a frenare la preoccupante violenza che purtroppo ha afflitto il vostro Paese negli ultimi anni.

La libertà religiosa, che è sempre stata una caratteristica tradizionale della società indonesiana, è garantita dalla Costituzione della Nazione. La Chiesa deve rimanere sempre vigile, al fine di assicurare che tale principio sia rispettato a livello sia federale sia locale. Auspico che questi sforzi aiutino a creare un'atmosfera in cui il rispetto per la sovranità del diritto diventi la nuova mentalità per una società democratica che sia tollerante e non violenta. Questo importante primo passo inizia con un'adeguata formazione umana. Come ho detto nella mia Lettera Enciclica Centesimus annus, assistere "l'individuo attraverso l'educazione e la formazione negli ideali autentici" è un elemento necessario per la creazione di un ordine civico caratterizzato dalla genuina preoccupazione per il bene comune (cfr n. 46). A questo proposito occorre prestare particolare attenzione ai poveri. La Chiesa è profondamente coinvolta perché "l'elevazione dei poveri è una grande occasione per la crescita morale, culturale ed anche economica dell'intera umanità" (ibid. n. 28). Poiché quello di Cristo è un messaggio di speranza, i suoi seguaci devono sempre fare in modo che i meno fortunati tra noi, a prescindere dalla religione o dalle origini etniche, siano trattati con la dignità e il rispetto che il Vangelo esige. Promuovere i diritti fondamentali dei deboli è una via collaudata verso una società stabile e produttiva. La Chiesa è chiamata a "restare accanto ai poveri, a discernere la giustizia delle loro richieste e a contribuire a soddisfarle" (cfr Sollicitudo rei socialis
SRS 39).

3. Uno dei modi più efficaci in cui la comunità cristiana può aiutare i poveri è attraverso l'educazione. In questo ambito, così come nel suo impressionante sistema di agenzie caritative, la Chiesa in Indonesia va elogiata. Sebbene i cattolici rappresentino solo una piccola parte della popolazione, essi hanno sviluppato un sistema scolastico ampio e rispettato. L'impegno della Chiesa nel campo dell'educazione è riconosciuto come uno dei maggiori contributi che avete dato alla società indonesiana, e certamente rimane un mezzo efficace per la trasmissione dei valori evangelici. L'educazione cattolica, in quanto parte importante della missione catechetica ed evangelizzatrice della Chiesa, deve fondarsi su una filosofia in cui la fede e la cultura siano riunite in un'unità armoniosa (cfr Congregazione per l'Educazione Cattolica, La dimensione religiosa dell'educazione nella scuola cattolica, n. 34). I vostri sforzi per preservare le scuole cattoliche, soprattutto nelle aree povere non cattoliche e sulla scia di difficoltà economiche, dimostrano il vostro fermo impegno verso la solidarietà pluriculturale e l'esigenza dell'amore evangelico per tutti.

Sebbene sia incoraggiante osservare l'alto tasso di alfabetizzazione della popolazione, non si può non allarmarsi di fronte all'alto numero di giovani che non proseguono gli studi nelle scuole secondarie. I vostri giovani devono essere incoraggiati a non rinunciare all'istruzione per seguire il richiamo di un basso e fugace materialismo. A questo proposito desidero anche sottolineare il lavoro essenziale svolto dai catechisti in Paesi come l'Indonesia, dove i fedeli sono una così piccola minoranza. L'impossibilità di accedere all'educazione cattolica in alcune aree povere, unitamente a un ambiente talvolta in conflitto con il cristianesimo, se non addirittura ostile, fa emergere l'esigenza di offrire programmi seri di formazione catechetica per giovani e anziani. La comunità ecclesiale ha la responsabilità di assicurare che i suoi membri siano accolti in un "ambiente, in cui potranno vivere in modo più pieno ciò che hanno appreso" (Catechesis tradendae, n. 24). La catechesi è un compito di tutta la comunità di fede e un'estensione del ministero della Parola affidato al Vescovo e al suo clero. È una responsabilità ecclesiastica che esige un'adeguata formazione dottrinale e pedagogica. Vi incoraggio a offrire tutto il sostegno possibile a coloro che si sono assunti volentieri il compito difficile ed esigente di offrire questo servizio fondamentale, per il quale l'intera Chiesa è grata.

4. Da tempo la vostra Conferenza Episcopale ha riconosciuto che l'evangelizzazione va di pari passo con l'opera profonda, graduale e impegnativa dell'inculturazione. La verità del Vangelo deve essere proclamata sempre in modo persuasivo e rilevante. Ciò è particolarmente importante in una società complessa come la vostra dove, in alcune aree e da certi gruppi, il cattolicesimo talvolta è visto con sospetto. Voi avete il delicato compito di far sì che il Vangelo serbi il suo significato fondamentale, valido per ogni popolo e cultura, pur comunicandolo in un modo che sia attento ai valori tradizionali e alla famiglia. Come ho detto in occasione della mia visita pastorale in Indonesia nel 1989, "l'esempio di Cristo e la potenza del Mistero Pasquale permeano, purificano ed innalzano tutte le culture, ogni cultura" (Omelia a Yogyakarta, 10 ottobre 1989).

Il successo dell'inculturazione dipende dalle coppie e dalle famiglie che incarnano la visione cristiana della loro vocazione e responsabilità. Vi incoraggio, pertanto, a continuare a promuovere i valori tradizionali della famiglia così strettamente legati alla cultura asiatica (cfr Ecclesia in Asia, n. 6), infondendo in essi la nuova vita che proviene dal Vangelo. Le gravi preoccupazioni per le crescenti minacce alla vita familiare che avete espresso in molte occasioni non devono essere trascurate. Una vera "congiura contro la vita" (cfr Evangelium vitae EV 17) e la famiglia sta emergendo in molteplici forme: aborto, permissivismo sessuale, pornografia, abuso di stupefacenti e pressioni per adottare metodi moralmente inaccettabili di controllo demografico. Nonostante le difficoltà che comporta il contrastare queste tendenze in una società non cristiana, voi, come Vescovi, siete chiamati per primi a farvi "annunciatori instancabili del Vangelo della vita" (Evangelium vitae EV 82). In ogni tempo, la voce profetica della Chiesa deve proclamare a voce alta l'esigenza di rispettare e promuovere la legge divina scritta in ogni cuore (cfr Rm 2,15). Attraverso l'ascolto, il dialogo e il discernimento, i Vescovi devono aiutare i loro greggi a vivere il Vangelo in un modo che sia pienamente compatibile con il deposito della fede e i vincoli di comunione ecclesiale (cfr Redemptoris missio RMi 54).

5. Come alcuni di voi hanno osservato, la Chiesa in Indonesia è una Chiesa che vive e soffre con il popolo, affrontando le sfide che nascono dal contatto quotidiano con una società non cristiana. È una comunità che cerca una via di sviluppo umano integrale nel contesto dell'armonia e della tolleranza religiosa, offrendo e ricevendo molto in un ambiente culturale complesso. Esiste già, nel vostro Paese, un livello lodevole di dialogo interreligioso sul piano istituzionale. Questo scambio reciproco di esperienze religiose ha trovato espressione concreta nei progetti caritativi interreligiosi e nella collaborazione avviati, in modo particolare in seguito alle catastrofi naturali. Anche nelle aree in prevalenza musulmane la Chiesa è attivamente presente negli orfanotrofi, nelle cliniche e nelle istituzioni dedite ad aiutare gli oppressi. Si tratta di una meravigliosa espressione della natura sconfinata dell'amore di Dio; un amore non per pochi ma per tutti.

Desidero qui assicurarvi della mia profonda sollecitudine verso l'amato popolo indonesiano in questo momento di accresciuta tensione nell'intera comunità mondiale. Non bisogna mai permettere alla guerra di dividere le religioni del mondo. Vi incoraggio ad accogliere questo momento sconvolgente come un'occasione per lavorare insieme, come fratelli impegnati per la pace, con il vostro popolo, con gli appartenenti ad altre fedi religiose e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, al fine di assicurare la comprensione, la collaborazione e la solidarietà. Non permettiamo a una tragedia umana di diventare anche una catastrofe religiosa (cfr Discorso alla Delegazione interreligiosa dell'Indonesia, 20 febbraio 2003)!

Allo stesso tempo sono ben consapevole che alcuni settori della comunità cristiana nella vostra nazione hanno subito discriminazioni e pregiudizi, mentre altri sono stati vittima di atti di distruzione e vandalismo. In alcune aree è stato negato il permesso alle comunità cristiane di costruire luoghi di devozione e di preghiera. L'Indonesia, insieme alla comunità internazionale, di recente è rimasta sbigottita di fronte alla terribile perdita di vite dovuta alle bombe terroristiche a Bali. In tutto questo, però, occorre fare attenzione a non cedere alla tentazione di definire interi gruppi di persone in base alle azioni di una minoranza estremista. L'autentica religione non sostiene il terrorismo o la violenza, ma cerca di promuovere in ogni modo l'unità e la pace dell'intera famiglia umana.

6. Poiché i cristiani rappresentano una piccolissima minoranza nel vostro Paese, sono chiamati in modo particolare a essere "lievito nella pasta" (cfr Mt 13,33). Nonostante le difficoltà e i sacrifici, i vostri sacerdoti e religiosi continuano a testimoniare ogni giorno la Buona Novella di Gesù Cristo, avvicinando molti al Vangelo. Poiché "la Chiesa in Asia si trova inserita fra popoli che dimostrano un intenso desiderio di Dio" (Ecclesia in Asia, n. 9), siete chiamati a trovare modi concreti per rispondere a tale desiderio. In effetti, i vostri sforzi per promuovere le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa rispecchiano la vostra consapevolezza di questo dovere. Desidero elogiarvi per la vostra costanza nel mantenere alti i livelli dell'educazione e della formazione nei seminari e nelle case religiose. La sollecitudine e l'attenzione dimostrate nella scelta e nella formazione dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa vanno sempre a beneficio della Chiesa locale.

Poiché la formazione e lo sviluppo spirituale sono processi che durano per tutta la vita, i Vescovi hanno la responsabilità fondamentale di aiutare i loro sacerdoti mettendo loro a disposizione programmi di formazione permanente, ritiri e tempi di preghiera e di fratellanza. Un elemento importante di questa formazione, sia iniziale sia permanente, è una preparazione adeguata nel campo della teologia e della spiritualità della liturgia. "La liturgia è la fonte e il culmine di tutta la vita e la missione cristiana, ed è un mezzo fondamentale di evangelizzazione, specialmente in Asia, dove i seguaci di diverse religioni sono così attirati dal culto, dalle festività religiose e dalle devozioni popolari" (Ecclesia in Asia, n. 22). Occorre dare ai vostri sacerdoti l'opportunità sia di essere alimentati da questa liturgia sia di diventare esperti nel portarne la ricchezza agli altri, affinché la sua profondità, la sua bellezza e il suo mistero continuino a risplendere.

80 Il sostegno spirituale e morale che date ai religiosi e alle religiose delle vostre Diocesi è parimenti una parte significativa del vostro ministero episcopale. I membri degli Istituti religiosi hanno svolto un ruolo indispensabile nel portare la Buona Novella agli uomini e alle donne dell'Indonesia e, in modo speciale, ai poveri e ai reietti. In questo importante lavoro, devono essere sempre aiutati a rafforzare la loro consacrazione al Signore attraverso il loro vivere quotidianamente i consigli evangelici. "Quanti hanno abbracciato la vita consacrata sono chiamati a divenire leader nella ricerca di Dio, una ricerca che ha sempre appassionato il cuore umano ed è particolarmente visibile nelle diverse forme di spiritualità e di ascetismo dell'Asia" (Ecclesia in Asia, n. 44). Per questa ragione, i religiosi svolgono un ruolo essenziale nell'impegno generale della Chiesa per l'evangelizzazione.

7. Cari Vescovi, è in spirito di fede e di comunione che vi ho fatto partecipi di queste riflessioni su alcuni aspetti della sollecitudine per l'amato popolo di Dio in Indonesia. Attraverso la vostra presenza mi sento molto vicino ai fedeli indonesiani e in questo momento di incertezza è mia fervente preghiera che essi siano rafforzati in Cristo. Affido tutti voi all'intercessione di Maria, Regina del Rosario, che abbraccia tutti coloro che si rivolgono a Lei nelle afflizioni e che non manca mai di chiedere che siano liberati dal male. Nell'amore di Gesù Cristo, imparto a voi e ai fedeli delle vostre Diocesi la mia Benedizione Apostolica.


GP2 Discorsi 2003 72