GP2 Discorsi 2003 223


VIAGGIO APOSTOLICO

DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

IN BOSNIA ED ERZEGOVINA

CERIMONIA DI BENVENUTO

DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


Aeroporto Internazionale di Banja Luka

Domenica, 22 giugno 2003

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Illustri Membri della Presidenza della Bosnia ed Erzegovina,

Venerati Fratelli nell'Episcopato,
Distinte Autorità,
Cari Fratelli e Sorelle!

1. Con animo riconoscente per l’invito ricevuto, faccio ritorno dopo sei anni in Bosnia ed Erzegovina e rendo grazie a Dio per avermi concesso di incontrare nuovamente popolazioni da sempre tanto care al mio cuore.

Ringrazio i Signori Membri della Presidenza della Bosnia ed Erzegovina per il cordiale saluto che mi hanno rivolto e per quanto, insieme con le altre Autorità, hanno fatto per rendere possibile la mia visita.

Saluto il caro fratello Mons. Franjo Komarica, Vescovo di Banja Luka, insieme con gli altri Membri di questo Episcopato ed i fedeli tutti della Chiesa Cattolica. Saluto pure i Fratelli e le Sorelle della Chiesa Ortodossa Serba e delle altre Comunità ecclesiali, come anche i fedeli del Giudaismo e dell’Islam.

2. Sapendo che, mediante la radio e la televisione, mi è dato di entrare nelle vostre case, saluto ed abbraccio tutti voi, cari abitanti delle diverse parti della Bosnia ed Erzegovina. Conosco la lunga prova che avete vissuto, il peso di sofferenza che accompagna quotidianamente la vostra vita, la tentazione dello scoraggiamento e della rassegnazione che vi insidia. Mi pongo al vostro fianco per chiedere alla Comunità internazionale, che tanto ha già fatto, di continuare ad esservi accanto per consentirvi di giungere presto ad una situazione di piena sicurezza nella giustizia e nella concordia.

Siate voi stessi i primi costruttori del vostro futuro! La tenacia del vostro carattere, le ricche tradizioni umane, culturali e religiose che vi distinguono sono la vostra vera ricchezza. Non vi rassegnate! Certo, la ripresa non è facile. Richiede sacrificio e costanza, richiede l'arte del seminare e la pazienza dell'aspettare. Ma voi sapete che la ripresa è comunque possibile. Abbiate fiducia nell'aiuto di Dio e abbiate anche fiducia nell'intraprendenza dell'uomo.

3. Perché la società assuma un volto autenticamente umano e tutti possano affrontare il futuro con fiducia, è necessario rifare l'uomo dal di dentro, curando le ferite e operando un'autentica purificazione della memoria mediante il reciproco perdono. E' nel profondo del cuore la radice di ogni bene e, purtroppo, di ogni male (cfr
Mc 7,21-23). E' là che deve avvenire il cambiamento, grazie al quale sarà possibile rinnovare il tessuto sociale e instaurare rapporti umani aperti alla collaborazione tra le forze vive del Paese.

Grave responsabilità, a questo proposito, spetta a quanti, per volontà degli elettori, esercitano democraticamente il governo: non desistano per le difficoltà del momento da un'opera così indispensabile, né si lascino sopraffare da interessi di parte.

225 All'impresa comune la Chiesa Cattolica intende apportare il proprio contributo mediante l'impegno fattivo dei suoi figli, in particolare mediante le diverse iniziative di educazione, assistenza e promozione umana che le sono proprie, nel libero esercizio della sua specifica missione.

4. Fra poco, durante la celebrazione della Santa Messa, avrò la gioia di ascrivere all'albo dei Beati il giovane Ivan Merz, nato proprio qui a Banja Luka, esempio luminoso di vita cristiana e di impegno apostolico.

Con la sua preghiera voglia egli avvalorare l'augurio del Papa per la Bosnia ed Erzegovina; possano i problemi esistenti trovare felice soluzione, e il Paese veda accolta positivamente la sua aspirazione di far parte dell’Europa unita in un contesto di prosperità, di libertà e di pace.



VIAGGIO APOSTOLICO

DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

IN BOSNIA ED ERZEGOVINA

CERIMONIA DI CONGEDO

DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


Spazio antistante il Convento della SS.ma Trinità a Banja Luka

Domenica, 22 giugno 2003




Prima di congedarmi, carissimi Fratelli e Sorelle, desidero ancora una volta dire a tutti la mia gioia per aver potuto condividere con voi questo intenso momento di preghiera. Ringrazio i miei Fratelli Vescovi della Bosnia ed Erzegovina ed il Presidente della loro Conferenza, Mons. Franjo Komarica, Vescovo di questa Chiesa. Con lui ringrazio i collaboratori, ecclesiastici e laici, che con l’intenso lavoro di vari mesi hanno organizzato questa giornata.

Desidero rinnovare il mio vivo ringraziamento anche alla Presidenza della Bosnia ed Erzegovina e alle altre Autorità civili e militari. Apprezzo molto quanto è stato fatto, a diversi livelli, perché la mia visita si potesse realizzare.

Un ultimo, cordiale saluto a tutte le popolazioni di questo amato Paese, senza distinzione di etnia, cultura o religione. Ricevendo questo pomeriggio la visita di cortesia dei Presidenti della Repubblica Serba e della Federazione di Bosnia ed Erzegovina e poi dei Membri del Consiglio Interreligioso, avrò presenti tutti gli abitanti di questo Paese.

Su tutti invoco le abbondanti benedizioni dell’Altissimo, al quale chiedo di suscitare nel cuore di ciascuno sentimenti di perdono, di riconciliazione, di fraternità. Sono queste le solide basi di una società degna dell’uomo e accetta a Dio.

Terra di Bosnia ed Erzegovina, il Papa ti porta nel cuore e ti augura giorni di prosperità e di pace!

BENEDIZIONE E INAUGURAZIONE

DEL BUSTO MARMOREO DEL PAPA PAOLO VI

Martedì, 24 giugno 2003


226 Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Ci riunisce oggi il ricordo del Servo di Dio Paolo VI, nel giorno della festa del suo celeste protettore, san Giovanni Battista. Sono trascorsi quarant'anni dalla sua elezione alla Cattedra di Pietro, avvenuta il 21 giugno del 1963, e venticinque dalla sua morte, sopraggiunta a Castel Gandolfo nella solennità della Trasfigurazione del Signore, il 6 agosto del 1978.

Viene oggi inaugurato e benedetto un suo busto marmoreo, collocato nell’atrio di quest'Aula che porta il suo nome e che egli volle come cattedra della catechesi del Papa. Saluto i Cardinali, i Vescovi, i Prelati, i Sacerdoti, i Religiosi, le Religiose e i laici qui convenuti per rendere omaggio alla memoria di questo mio venerato Predecessore.

Saluto e ringrazio, in particolare, lo scultore Floriano Bodini, che già altre opere ha dedicato a questo degnissimo servitore della Chiesa. Con lui saluto e ringrazio quanti hanno ideato e curato la concretizzazione del progetto, a cominciare dal caro Arcivescovo Mons. Pasquale Macchi, suo devoto e solerte Segretario. Il mio saluto s’estende poi ai familiari di Papa Montini, tra i quali i nipoti con le rispettive famiglie, come pure ai responsabili del benemerito “Istituto Paolo VI” di Brescia, che coltiva con amore la memoria dell’insigne Figlio della terra bresciana.

2. Il 29 giugno 1978, nell'ultima celebrazione pubblica in occasione del XV anniversario dell'elezione al Sommo Pontificato, Egli pronunciò un discorso che aveva il tono solenne ed accorato di un testamento. Mi piace rileggerne un passaggio significativo: "Noi gettiamo uno sguardo complessivo - egli diceva - su quello che è stato il periodo durante il quale il Signore ci ha affidato la sua Chiesa... E benché ci consideriamo l'ultimo e indegno successore di Pietro, ci sentiamo a questa soglia estrema confortati e sorretti dalla coscienza di aver instancabilmente ripetuto, davanti alla Chiesa e al mondo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!»: anche noi, come Paolo, sentiamo di poter dire: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede...»" (Insegnamenti di Paolo VI, XVI, 1978, pag. 519).

Preghiamo il Signore perché conceda al suo servo fedele la meritata ricompensa. Preghiamo, inoltre, perché anche noi, come lui, possiamo operare instancabilmente per il Regno di Dio. Ci aiuti Maria, che, al termine del Concilio Vaticano II, Paolo VI proclamò "Madre della Chiesa".

Con tali sentimenti tutti vi benedico.


AI VESCOVI DELL'INDIA


IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"


Giovedì, 26 giugno 2003




Cari Fratelli Vescovi,

227 1. È con piacere che accolgo voi, Vescovi delle Province ecclesiastiche di Cuttack-Bhubaneswar, Patna e Ranchi. Siete venuti a Roma in occasione della vostra visita ad limina: un momento privilegiato nella vostra vita di Pastori mentre vi avvicinate alle tombe degli Apostoli per manifestare e rafforzare i vostri vincoli di comunione con il Successore di Pietro. Sono grato a lei, Arcivescovo Toppo, per le gentili parole che mi ha rivolto a nome dei suoi Fratelli Vescovi. La vostra presenza qui, oggi, mi avvicina ancor più al vostro amato Paese e al clero, ai religiosi, alle religiose e ai fedeli laici delle vostre Diocesi. Durante i miei incontri con i primi due gruppi di Vescovi di rito latino della vostra nazione, ho ricordato i successi e le sfide che devono affrontare quanti proclamano il Vangelo in India. Osservando l'abbondante messe di grazia che avete continuato a raccogliere in seguito al Grande Giubileo del 2000, ho anche notato le difficoltà che rimangono. Il Giubileo ha offerto alla Chiesa in India, in comunione con la Chiesa universale, un'opportunità per riflettere sul bisogno di rinnovamento della vita cristiana. Voi ricordate il passato con gratitudine; vivete il presente con entusiasmo e guardate al futuro con fiducia (cfr Novo Millennio ineunte NM 1).

2. "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). Le parole di commiato che Cristo ha rivolto ai suoi discepoli sono sia un invito sia una sfida ad andare a predicare la Buona Novella. Così intesa, l'evangelizzazione è un compito che tutti i membri della Chiesa condividono in virtù del loro Battesimo. Pertanto, tutti i battezzati "rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della speranza che è in loro della vita eterna" (Lumen gentium LG 10). È quindi deplorevole che ancora oggi, in molti luoghi dell'India, esistano ostacoli non necessari che tuttora impediscono di annunciare il Vangelo. I cittadini di una democrazia moderna non dovrebbero soffrire a causa delle loro convinzioni religiose.

Né dovrebbero sentirsi obbligati a nascondere la propria fede per poter godere dei diritti umani fondamentali, come l'istruzione e il lavoro.

Nonostante queste difficoltà, la Chiesa in India predica con coraggio il messaggio di Gesù della salvezza alla gente di questo subcontinente. Prego affinché voi, cari Vescovi, continuiate a essere fari di speranza e di coraggio, ispirando il clero, i religiosi e i fedeli laici a farsi coraggio e a continuare a predicare Cristo che ci ama fino alla morte, la morte sulla croce (cfr Ph 2,8). Come ci ricorda san Paolo, la potenza straordinaria di Dio è anche la nostra forza: possiamo essere "sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo" (2Co 4,7-10).

3. Le prove e le tribolazioni che accompagnano la vita in Cristo chiedono alla Chiesa un particolare impegno nel ministero della "prima evangelizzazione". Il contatto iniziale con il messaggio salvifico di Cristo di coloro che ancora non hanno udito la Buona Novella esige da tutti noi un'espressione della fede intelligente e credibile. La missione di educare i fedeli al rispetto e alla proclamazione del Vangelo spetta ai genitori, agli insegnanti e ai catechisti di oggi. Per questo, un compito fondamentale di ogni Vescovo è quello di assicurare la presenza di laici ben adeguatamente formati, preparati e pronti per essere insegnanti della fede. I cattolici devono essere incoraggiati a partecipare all'apostolato fondamentale della parola che "acquista una certa nota specifica e una particolare efficacia, dal fatto che viene compiuta nelle comuni condizioni del secolo" (Lumen gentium LG 35).

Svolgere il ruolo di catechista esige un rapporto di fiducia e cooperazione tra il clero e i fedeli laici. I Vescovi, pertanto, devono cercare costantemente di assicurare che nulla eroda tale rapporto. Devono sempre riconoscere che "tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto di impegnarsi perché l'annuncio divino della salvezza si diffonda sempre più fra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo (Codex Iuris Canonici CIC 211). Allo stesso tempo non si deve mai permettere ai punti di vista personali originati da affinità di casta o tribali di offuscare l'insegnamento autentico della Chiesa.

4. Intimamente legato agli sforzi della Chiesa a favore dell'evangelizzazione è l'autentico e profondo rispetto per la cultura. La cultura è lo spazio "entro il quale la persona umana si confronta faccia a faccia con il Vangelo" (Ecclesia in Asia, n. 21). Sempre rispettosa delle culture differenti, la Chiesa cerca di coinvolgere i suoi fratelli e le sue sorelle delle altre religioni al fine di promuovere "un rapporto di apertura e dialogo" (Novo Millennio ineunte NM 55). Visto in questo modo, il dialogo interreligioso non solo aumenterà la comprensione reciproca e il mutuo rispetto, ma aiuterà anche a sviluppare una società in sintonia con i diritti e la dignità di tutti.

La Chiesa in India ha dimostrato costantemente il suo impegno verso il principio della dignità inalienabile della persona umana attraverso le suo numerose istituzioni sociali, offrendo un amore incondizionato sia ai cristiani sia ai non cristiani. Le sue scuole, i dispensari, gli ospedali e gli istituti mirati allo sviluppo integrale della persona umana offrono un'assistenza inestimabile ai membri più poveri della società, a prescindere dalla fede. Purtroppo alcuni dei tentativi onesti compiuti dalla Chiesa per sviluppare un dialogo interreligioso a livello più elementare, a volte sono stati ostacolati dalla mancanza di cooperazione da parte del Governo e dai fastidi recati da alcuni gruppi fondamentalisti. L'India ha una forte tradizione di rispetto delle diversità religiose. Auspico, per il bene della nazione, che non si permetta lo sviluppo di tendenze contrarie (cfr Discorso al nuovo Ambasciatore dell'India, 13 dicembre 2002). Come Vescovi è vostro dovere assicurare che il dialogo interreligioso prosegua. Tuttavia, mentre vi impegnate in questo scambio reciproco, non dovete mai permettere che esso venga condizionato dall'indifferentismo religioso. È molto importante che la chiamata di Cristo alla sequela sia predicata e vissuta con convinzione da ogni cristiano.

5. Cari Fratelli Vescovi, sono fiducioso che persevererete nei vostri sforzi volti a garantire una salda formazione teologica nei vostri seminari e una solida formazione permanente per i vostri sacerdoti, respingendo così la tentazione "di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi una scienza del buon vivere" (Redemptoris missio RMi 11). Una preparazione teologica adeguata esige un'istruzione che, pur rispettando la parte di verità riscontrata nelle altre tradizioni religiose, tuttavia continui infallibilmente a proclamare che Gesù è "la via, la verità e la vita" (Jn 14,6 cfr Ecclesia in Asia Jn 31). A tal fine gli istituti educativi cattolici devono offrire una solida formazione filosofica, necessaria allo studio della teologia. La verità trascende le limitazioni del pensiero sia orientale sia occidentale e unisce tutte le culture e le società (cfr Fides et ratio, nn. 76-77).

Come partecipanti alla missione profetica di Cristo, abbiamo la solenne responsabilità di avvicinare tale verità sempre più a noi stessi e agli altri. Questo sacro dovere spetta specialmente a coloro ai quali è affidata la formazione di sacerdoti e religiosi. I formatori e i professori sono obbligati a insegnare il messaggio di Cristo nella sua interezza come l'unica via, e non come una via tra le tante.

Così facendo, "i teologi, come servitori della verità divina, dedicano i loro studi e lavori ad una sempre più penetrante comprensione di essa, e non perdono mai di vista il significato del loro servizio nella Chiesa" (cfr Redemptor hominis RH 19).

228 6. Nel considerare le numerose responsabilità insite nella vostra sollecitudine per il popolo di Dio, sono vivamente consapevole delle prove che affrontate mentre cercate di sviluppare una vita ecclesiale attuabile nelle vostre Diocesi. È scoraggiante constatare che il lavoro della Chiesa è spesso compromesso da un tribalismo persistente in certe parti dell'India. Talvolta il tribalismo è stato talmente forte che alcuni gruppi si sono perfino rifiutati di ricevere Vescovi e sacerdoti che non appartenevano al loro clan, compromettendo così il corretto funzionamento delle strutture ecclesiastiche e oscurando la natura fondamentale della comunione della Chiesa. Le differenze tribali o etniche non devono mai essere usate come ragione per respingere chi porta la parola di Dio. È una responsabilità di tutti i cristiani fare un esame di coscienza per essere certi di amare sempre e ovunque tutti i figli di Dio, inclusi quelli diversi: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,35).

Ringrazio Dio per i molti sacerdoti e religiosi nel vostro Paese che vivono una vita esemplare di povertà, carità e santità. Di fronte a tante difficoltà potrebbero essere tentati di perdere lo zelo e la creatività indispensabili per un ministero efficace. Prego vivamente affinché il Signore continui a rafforzarli nel loro lavoro. A tal fine, invito l'intera Chiesa in India a rinnovare il suo impegno missionario (cfr Redemptoris missio RMi 2).

Gli uomini e le donne consacrati danno un contributo particolarmente prezioso alle vostre Chiese locali. Auspico che continuiate tutti a collaborare strettamente. Nelle circostanze attuali, vi è un bisogno sempre più grande di buoni rapporti reciproci. Alcuni conflitti difficili e dolorosi riguardanti la gestione di istituti e il possesso di proprietà sono sorti nella vostra regione. Tali questioni, tuttavia, non sono insormontabili per quanti vivono il Vangelo in uno spirito di amore fraterno e di servizio.

La pianificazione pastorale e gli accordi chiari tra i Vescovi e i Superiori religiosi spesso possono offrire una soluzione a questa sorta di problemi. Sono fiducioso che "le persone di vita consacrata non mancheranno di offrire generosamente la loro collaborazione alla Chiesa particolare secondo le proprie forze e nel rispetto del proprio carisma, operando in piena comunione col Vescovo nell'ambito della evangelizzazione, della catechesi, della vita delle parrocchie" (Vita consecrata VC 49).

7. Cari Fratelli, è mia fervente speranza che il vostro pellegrinaggio a Roma sia stato un'opportunità per riflettere nuovamente sulla grazia dello Spirito Santo che avete ricevuto mediante l'imposizione delle mani. Uno dei segni caratteristici del servizio apostolico alla Chiesa è la proclamazione audace del Vangelo (cfr At Ac 2, 28, 30-31). Esprimo il mio sostegno orante a voi e a quanti in India, attraverso la loro testimonianza, continuano a proclamare Cristo ieri, oggi e sempre (cfr He 13,8).

Pregando affinché questo tempo abbia confermato la vostra fede in Cristo, fonte del nostro zelo missionario e apostolico, affido voi e tutti coloro che servite all'amorevole intercessione di Maria, Regina del Rosario, e con affetto vi imparto la mia Benedizione Apostolica.


AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA DELLA "RIUNIONE


DELLE OPERE PER L’AIUTO ALLE CHIESE ORIENTALI"


Giovedì, 26 giugno 2003




1. Con gioia vi accolgo, cari Membri della R.O.A.C.O., convenuti a Roma per la vostra annuale riunione, e a ciascuno porgo il mio cordiale benvenuto. Un saluto particolare indirizzo al Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il Signor Cardinale Ignace Moussa I Daoud, e lo ringrazio per essersi fatto interprete dei comuni sentimenti. Estendo il mio saluto al Segretario, l’Arcivescovo Vegliò, al Sotto-segretario, agli Officiali e al Personale del Dicastero, come pure al Nunzio Apostolico in Israele e Delegato Apostolico in Gerusalemme e Palestina, al Custode di Terra Santa, ai Responsabili delle Agenzie, alle Autorità della Bethlehem University e a tutti i presenti.

2. Voi siete di grande aiuto alle Chiese dell'Oriente cristiano con la vostra generosità. Essa è ancor più apprezzata tenendo conto dei drammatici avvenimenti di questi ultimi tempi. Penso alla recente guerra in Iraq, al conflitto in Terra Santa che, purtroppo, non cessa, come pure al persistere della carestia in Eritrea ed Etiopia. La vostra collaborazione rende presente e operante la carità della Chiesa e, per il tramite della Congregazione per le Chiese Orientali, la stessa sollecitudine del Papa.

Occorre intensificare quest’azione e allargarne gli spazi operativi; è necessario soprattutto far crescere lo spirito della divina carità che, riconoscendo come dono gratuito quanto si è ricevuto da Dio, ci rende disponibili a condividerlo con i fratelli, per essere al servizio di un’autentica promozione umana.

Nella recente Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia ho scritto che l'Eucaristia "dà impulso al nostro cammino storico, ponendo un seme di vivace speranza nella quotidiana dedizione di ciascuno ai propri compiti. Se infatti la visione cristiana porta a guardare ai «cieli nuovi» e alla «terra nuova» (cfr Ap 21,1), ciò non indebolisce, ma piuttosto stimola il nostro senso di responsabilità verso la terra presente (Gaudium et spes GS 39)". Ecco perché i cristiani debbono sentirsi più che mai impegnati a non trascurare i doveri della loro cittadinanza terrena, contribuendo con la luce del Vangelo a edificare un mondo a misura d'uomo e pienamente rispondente al disegno di Dio (cfr n. 20).

229 3. Voi giustamente ponete singolare attenzione ai territori della Terra Santa per il significato che quella regione, resa sacra da Gesù, riveste per tutti i cristiani. Ad essa è riservata una speciale Colletta, e i miei venerati Predecessori, a partire da Leone XIII, hanno insistito perché tutte le Comunità cattoliche vi contribuissero generosamente. La Terra Santa continua, ahimè, ad essere teatro di conflitti e violenze e le Comunità cattoliche in essa presenti soffrono e hanno bisogno di essere sostenute e aiutate in molte loro urgenze. Sale da quelle popolazioni un’accorata invocazione di pace stabile e duratura.

Grazie per quanto voi fate! Grazie per la premurosa solidarietà che avete mostrato verso i cristiani duramente provati in Iraq dal recente conflitto. Prego Iddio perché in quel Paese si consolidi tempestivamente la pace e le popolazioni, già tanto provate anche a causa di un lungo isolamento internazionale, possano finalmente vivere nella concordia. Sono certo che i vostri interventi, tesi a realizzare opere pastorali e sociali a sostegno dei credenti, coopereranno a dar vita a un futuro migliore per l’intera Nazione.

4. Cari Fratelli e Sorelle! Il servizio che voi rendete all'Oriente cristiano è sempre più attento a tutte le esigenze delle Chiese locali. Accanto a strutture ed edifici, pur indispensabili, è talora più necessario aiutare a formare le coscienze e salvaguardare la fede ereditata dai padri. Ciò chiede un’opportuna catechesi, la cura della liturgia propria della Chiesa di appartenenza, un’attenzione alla formazione del clero e dei laici, un’apertura illuminata all'ecumenismo e una profetica presenza a sostegno dei poveri.

Il Papa vi ringrazia per la risposta che con intelligenza, e senza risparmio di energie e risorse, date alle istanze che vi sono presentate. Al tempo stesso, si fa interprete della gratitudine di tutte le Comunità alle quali concretamente andate incontro.

La vostra esperienza evidenzia come l'Oriente cristiano abbia ancor oggi il vivo desiderio di incontrare, conoscere ed amare sempre più Dio, che in Cristo ci ha rivelato il suo volto misericordioso. Vuole farne viva esperienza specialmente là dove, per decenni, si è tentato di cancellarne anche le tracce, e l'instabilità e la guerra tentano di sgretolare le antiche fondamenta delle Chiese orientali.

5. Assicuro, a tal fine, la mia preghiera. Carissimi Fratelli e Sorelle! Vi accompagni nella vostra quotidiana attività la costante assistenza divina, in pegno della quale imparto di cuore a tutti la mia Benedizione, che estendo volentieri agli Organismi che rappresentate, alle vostre famiglie, alle Diocesi ed alle Comunità d'appartenenza.

DISCORSI DI GIOVANNI PAOLO II


AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO NAZIONALE


PROMOSSO DALLA FEDERAZIONE NAZIONALE ITALIANA


DELL'UNIONE APOSTOLICA DEL CLERO


Venerdì, 27 giugno 2003




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. “Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum - Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme”. Mi tornavano alla mente questi noti versetti del Salmo 133, mentre ascoltavo le cortesi e cordiali parole di Mons. Csaba Ternyák, Segretario della Congregazione per il Clero, il quale si è fatto interprete dei sentimenti di tutti i presenti. Sì, è veramente un’intima gioia incontrarsi e avvertire la fraternità che nasce tra noi, cari sacerdoti, partecipi dell’unico ed eterno Sacerdozio di Cristo. Questa mattina avete potuto sperimentare tale mistero di comunione nella Celebrazione eucaristica all’altare della Cattedra, nella Basilica di San Pietro. Ora è il Successore di Pietro, che vi apre le porte della sua e vostra casa.

A ciascuno il più fraterno saluto nel Signore. Saluto, in special modo, quanti hanno organizzato e coloro che stanno animando il vostro Convegno nazionale, e tutti i partecipanti. Saluto i responsabili a livello nazionale e internazionale dell’Unione Apostolica del Clero, come pure i rappresentanti della nascente Unione Apostolica dei Laici.

2. Nel corso del Congresso state riflettendo sul tema: “Nella Chiesa particolare al modo della Comunione Trinitaria: La spiritualità diocesana è spiritualità di comunione”. In continuità con gli incontri precedenti, è vostro intendimento focalizzare il ruolo dei Pastori nella Chiesa particolare.

230 Il mistero della Comunione Trinitaria è l’alto modello di riferimento della comunione ecclesiale. Ho voluto ribadirlo nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, ricordando che “la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia” è proprio questa: “fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione” (cfr n. 43). Questo comporta, in primo luogo, “promuovere una spiritualità della comunione”, che diventi come un “principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano” (ibid.).

Si diviene esperti di “spiritualità di comunione” anzitutto grazie a una radicale conversione a Cristo, una docile apertura all’azione del suo Spirito Santo, e un’accoglienza sincera dei fratelli. Nessuno si faccia illusioni - ricordavo nella citata Lettera apostolica - “senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita” (ibid.).

3. Se, pertanto, l’efficacia dell’apostolato non dipende solo dall’attività e dagli sforzi organizzativi pur necessari, ma in primo luogo dall’azione divina, occorre coltivare un’intima comunione con il Signore. Oggi, come in passato, sono i santi i più efficaci evangelizzatori, e tutti i battezzati sono chiamati a tendere a “«questa misura» alta della vita cristiana” (ibid., 31). A più forte ragione questo concerne i sacerdoti, che all’interno del popolo cristiano ricoprono funzioni e ruoli di grande responsabilità. La Giornata Mondiale di preghiera per la santificazione del Clero, che per felice coincidenza si celebra proprio oggi, costituisce un’occasione propizia per implorare dal Signore il dono di zelanti e santi ministri per la sua Chiesa.

4. Per realizzare quest’ideale di santità, ogni presbitero deve seguire l’esempio del divino Maestro, il Buon Pastore che dà la vita per le sue pecorelle. Scrive un santo dei nostri tempi, José María Escrivá, che “il Signore si serve di noi come di torce”, perché la sua luce illumini... “Da noi dipende che molti non rimangano nelle tenebre, ma percorrano sentieri che conducono fino alla vita eterna” (cfr Forgia, n.1). Ma dove accendere queste fiaccole di luce e di santità se non nel cuore di Cristo, fornace inesauribile di carità? Non è un caso se la Giornata Mondiale di preghiera per la santificazione del Clero si celebra proprio oggi, solennità del Sacro Cuore di Gesù.

Nel cuore del suo Figlio unigenito, il Padre celeste ci ha colmati di infiniti tesori di misericordia, tenerezza e amore – “infinitos dilectionis thesauros” -, come preghiamo nell’odierna liturgia. Nel cuore del Redentore “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (
Col 2,9), da cui possiamo attingere l'energia spirituale indispensabile per irradiare nel mondo il suo amore e la sua gioia.

Ci aiuti Maria a seguire docilmente Gesù che costantemente ci ripete: “Venite a me.. e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime” (Mt 11,29).

Carissimi, vi ringrazio nuovamente per la vostra visita e vi benedico tutti con affetto.


ALLA DELEGAZIONE DEL PATRIARCATO ECUMENICO


DI COSTANTINOPOLI IN OCCASIONE DELLA FESTA


DEI SANTI PIETRO E PAOLO


Sabato, 28 giugno 2003




Cari Fratelli in Cristo,

1. Vi accolgo con gioia in Vaticano per questo incontro annuale in occasione della Solennità dei Santi Pietro e Paolo. La vostra presenza qui, come rappresentanti del Patriarca Ecumenico, Sua Santità Bartholomaios I, è un segno del nostro amore comune per Cristo e un atto di fratellanza ecclesiale, mediante il quale riaffermiamo l'eredità di amore e unità che il Signore ha lasciato alla sua Chiesa, costruita sugli Apostoli. Questi incontri annuali alimentano il nostro rapporto fraterno e sostengono la nostra speranza mentre procediamo, passo dopo passo, lungo il cammino verso la piena comunione e il superamento delle nostre divisioni storiche.

2. Rendo grazie al Signore perché, nell'anno appena trascorso, la Santa Sede ha avuto molte occasioni di incontro e di cooperazione con il Patriarcato Ecumenico. Tra queste desidero ricordare il messaggio che ho inviato a Sua Santità Bartholomaios I in occasione del Quinto Simposio sull'Ambiente, iniziato nella mia terra natale, la Polonia. Apprezzo molto le gentili parole e i buoni auspici oranti pronunciati recentemente da Sua Santità durante due conferenze che hanno segnato l'approssimarsi del venticinquesimo anniversario del mio Pontificato. Infine, sono profondamente grato per gli sforzi compiuti negli ultimi mesi dal Patriarcato Ecumenico per coordinare il proseguimento del lavoro della Commissione Internazionale Mista per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Vogliate assicurare Sua Santità delle mie ferventi preghiere affinché questa iniziativa, che è indispensabile per la nostra crescita nell'unità, sia coronata dal successo.

231 I rapidi cambiamenti che si verificano nel mondo attuale chiedono a tutti i cristiani di mostrare come il Vangelo di Gesù Cristo possa gettare luce sulle questioni etiche cruciali che la famiglia umana deve affrontare, tra cui il bisogno urgente di promuovere il dialogo interreligioso, di operare per porre fine all'ingiustizia che crea conflitti e inimicizia tra i popoli, di tutelare il creato di Dio e di far fronte alle sfide poste dai nuovi progressi nella scienza e nella tecnologia. Qui in Europa, i seguaci del Signore in particolare devono cooperare nel riconoscere e dare nuova vita alle radici spirituali che sono al centro della storia e della cultura del continente. Il consolidamento dell'unità e dell'identità europea esige che i cristiani, come testimoni della misericordia salvifica del Dio Uno e Trino, svolgano un ruolo specifico nell'attuale processo di integrazione e di riconciliazione. La Chiesa di Cristo non è forse chiamata per prima e innanzitutto a offrire al mondo un modello di armonia, di tolleranza reciproca e di carità feconda che riveli la capacità della grazia divina di superare ogni divisione e disaccordo umano?

3. Cari Fratelli, mentre cerchiamo di progredire nel dialogo della verità e nel dialogo della carità, non lasciamoci scoraggiare dalle difficoltà che incontriamo. Vi è sempre un modo per andare avanti se siamo impegnati a fare la volontà di Dio per l'unità dei suoi discepoli. Dobbiamo proseguire nei nostri sforzi, rafforzare il nostro desiderio di unità e non trascurare alcuna opportunità per crescere verso la piena comunione e cooperazione, presentando sempre a Dio, nella preghiera, i nostri bisogni, le nostre speranze e i nostri fallimenti, affinché ci possa guarire con la sua grande misericordia.

Affido a voi questi sentimenti, mentre vi chiedo di portare i miei saluti fraterni a Sua Santità Bartholomaios I e al Santo Sinodo. Possa il Signore concederci la forza per recargli una testimonianza fedele, e per pregare e operare incessantemente per l'unità e la pace della sua Santa Chiesa.


GP2 Discorsi 2003 223