GP2 Discorsi 2003 238

238 3. Il prestigioso premio, che proprio in suo nome viene attribuito ogni cinque anni a una personalità o Istituzione distintasi in modo significativo nell’ambito della cultura di ispirazione religiosa, rappresenta un indubbio riconoscimento al perenne interesse che suscita la personalità di Papa Montini. Finora esso è andato a studiosi del campo della teologia, della musica, dell’ecumenismo e della promozione dei diritti umani. Quest’anno viene assegnato al ben noto ricercatore francese, il professor Paul Ricoeur, al quale indirizzo un cordiale e rispettoso saluto, ringraziandolo per le cortesi e profonde parole poc’anzi rivoltemi. Egli è conosciuto anche per l’apporto generoso al dialogo ecumenico tra Cattolici e Riformati. La sua ricerca evidenzia quanto sia fecondo il rapporto tra filosofia e teologia, tra fede e cultura; rapporto che, come ho voluto ricordare nell’Enciclica Fides et ratio, deve svolgersi "all’insegna della circolarità. Per la teologia punto di partenza e fonte originaria dovrà essere sempre la parola di Dio... Poiché la parola di Dio è verità, alla sua migliore comprensione non può non giovare la ricerca umana della verità, ossia il filosofare" (n. 73).

4. Appare pertanto quanto mai opportuna la scelta da parte dell’Istituto Paolo VI di onorare un filosofo e al tempo stesso un uomo di fede, impegnato nella difesa dei valori umani e cristiani.

Mentre esprimo vive felicitazioni al professor Paul Ricoeur, assicuro per ciascuno di voi qui presenti la mia preghiera, affinché possiate corrispondere al progetto che Dio ha per voi e per l’Istituto Paolo VI.

5. Un saluto deferente indirizzo anche ai membri della Fondazione "Centesimus annus – Pro Pontifice", riuniti per il loro incontro annuale, sotto la presidenza del Conte Lorenzo Rossi di Montelera, che saluto cordialmente. Estendo il mio saluto ai Presuli, ai Membri del Consiglio di Amministrazione ed ai partecipanti al Convegno.

Mentre ringrazio per il sostegno concreto offerto alla Santa Sede, prego il Signore per ciascuno di Loro, per le Loro attività e per tutte le persone care.

6. Con questi sentimenti, mentre rivolgo a ciascuno dei presenti a questa Udienza l’augurio di un proficuo impegno nel proprio campo di lavoro, a tutti imparto con affetto la mia Benedizione.



MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


ALLA FONDAZIONE "CENTESIMUS ANNUS - PRO PONTIFICE"






Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. L'odierno incontro si svolge nel decennale dell'istituzione della Fondazione vaticana "Centesimus Annus - Pro Pontifice", che rappresenta una risposta singolare all'invito da me rivolto, nell'Enciclica a cui essa si ispira, di promuovere e diffondere la conoscenza e la pratica della dottrina sociale della Chiesa.

La generosa disponibilità di qualificati fedeli laici e di enti variamente espressivi della grande tradizione del movimento cattolico in Italia si è incontrata con la fervida iniziativa del Cardinale Rosalio Castillo Lara, allora Presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Ne è derivata questa vostra istituzione che intende intrecciare l'impegno per la diffusione dell'insegnamento della Chiesa in materia sociale, specialmente nel mondo delle professioni e dell'imprenditoria, con l'aiuto concreto offerto al Papa per gli interventi di carità a cui Egli è continuamente sollecitato da ogni parte del mondo e per il sostegno agli strumenti dei quali si avvale per il suo ministero universale.

I dieci anni trascorsi hanno visto il consolidarsi della Fondazione, lo sviluppo di iniziative di studio e di formazione - tra le quali è da apprezzare particolarmente il Master in Dottrina Sociale, promosso in collaborazione con la Pontificia Università Lateranense -, l'articolazione di gruppi di aderenti sul territorio italiano e l'avvio, ricco di prospettive, di presenze collegate anche in altri Paesi.

Non posso non rallegrarmi vivamente di tutto questo, mentre sento di dover esprimere uno speciale ringraziamento a quanti hanno concorso a mettere annualmente a mia disposizione risorse preziose per l'esercizio della mia sollecitudine evangelica verso il mondo intero.

239 2. Vi incoraggio a continuare nel vostro impegno, avendo sempre presenti tre grandi convinzioni:

a) La permanente attualità della dottrina sociale della Chiesa. Le drammatiche vicende che travagliano il mondo contemporaneo e le deplorevoli condizioni di sottosviluppo in cui versano ancora troppi Paesi, con terribili conseguenze per i loro abitanti, per le loro fragili istituzioni, per lo stesso ambiente naturale, stanno a dire che occorre davvero ripartire da una giusta prospettiva: la verità dell'uomo quale è scoperta dalla ragione e confermata dal Vangelo di Gesù Cristo, che proclama e promuove la vera dignità e la nativa vocazione sociale della persona.

L'insegnamento sociale della Chiesa approfondisce progressivamente i diversi profili di quella verità, anche in confronto con le sfide dei tempi e con il mutare degli scenari culturali e sociali; e offre indirizzi stimolanti per la promozione dei diritti umani, per la tutela della famiglia, per lo sviluppo di istituzioni politiche veramente democratiche e partecipative, per un'economia a servizio dell'uomo, per un nuovo ordine internazionale che garantisca insieme la giustizia e la pace tra i popoli, per un atteggiamento sempre più responsabile verso il creato anche a servizio delle generazioni future.

b) La responsabilità propria dei cristiani laici. Riproposta con grande chiarezza dal Concilio Vaticano II e da me tante volte convintamente sottolineata negli atti del mio Magistero, tale responsabilità trova proprio nella dottrina sociale della Chiesa un punto di riferimento necessario, fecondo ed esaltante. Il Concilio parla di "compito, luce, forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina" (Gaudium et spes
GS 42). Questo compito è proprio e peculiare dei fedeli laici, chiamati a investire della luce che viene dal Vangelo le molteplici realtà sociali e, con la forza infusa da Cristo, ad impegnarsi per "umanizzare" il mondo. E' una responsabilità davvero grande, che dovrebbe essere vissuta dai cristiani laici non come un dovere limitante, ma come una passione generosa e creativa.

c) La consapevolezza che soltanto uomini nuovi possono far nuove tutte le cose. Non si può chiedere all'economia, alla politica, alle istituzioni sociali ciò che esse non possono dare. Ogni vera novità nasce dal cuore, da una coscienza riscattata, illuminata e abilitata a vera libertà dall'incontro vivo con Colui che ha detto: "lo sono la via, la verità e la vita" (Jn 14,6) e "Senza di me non potete far nulla" (Jn 15,5).

L'impegno sociale dei cristiani laici può essere dunque nutrito e reso coerente, tenace e coraggioso, soltanto da una profonda spiritualità, cioè da una vita di intima unione con Gesù, che li renda capaci di esprimere le grandi virtù teologali - fede, speranza e carità - attraverso l'esercizio della difficile responsabilità di edificare una società meno lontana dal grande disegno provvidente di Dio.

3. Nell'offrirvi con stima, con speranza e con affetto questi indirizzi per il vostro crescente impegno, desidero rinnovare il mio vivo ringraziamento al Presidente, Conte Lorenzo Rossi di Montelera, ai membri del Consiglio di Amministrazione, ai fondatori, a tutti gli aderenti e agli ecclesiastici che accompagnano il vostro cammino.

Con questi sentimenti di cuore invoco su ciascuno di voi e su quanti vi sono cari copiosi doni celesti, in pegno dei quali a tutti imparto la mia Benedizione.

Dal Vaticano, 5 luglio 2003

IOANNES PAULUS II



MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AL PRESIDENTE DELLA CARITAS INTERNAZIONALE




A Monsignor Fouad El-Hage
Presidente
240 di Caritas internationalis

1. Nel momento in cui si riunisce a Roma la diciassettesima Assemblea generale di Caritas internationalis, saluto cordialmente i partecipanti, che rappresentano tutte le organizzazioni membre di Caritas nel mondo. Desidero ancora una volta esprimere, in questa occasione, la mia riconoscenza alla vostra organizzazione per il suo mettere in pratica, in maniera attiva e competente, il precetto della carità e per il suo lavoro generoso in tutto il mondo, specialmente al servizio dei più svantaggiati.

2. Il tema che avete scelto di approfondire durante questa assemblea, Mondializzare la solidarietà, è una risposta diretta all'appello che avevo lanciato nella Lettera Apostolica Novo Millennio ineunte, invitando all'"impegno di un amore operoso e concreto verso ogni essere umano" (n. 49) ed evocando "l'ora di una nuova "fantasia della carità", che si dispieghi non tanto e non solo nell'efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito non come obolo umiliante, ma come fraterna condivisione" (n. 50). Auspico che possiate trovare, grazie ai vostri scambi e al vostro lavoro, dei cammini concreti per realizzare questo obiettivo, che ho molto a cuore.

3. Il progetto è ambizioso, poiché vuole tener conto delle sfide urgenti poste dal mondo attuale, il quale è caratterizzato da un elevato numero di scambi che creano vincoli sempre maggiori di interdipendenza tra i sistemi, le nazioni e le persone, ma è anche minacciato da divisioni, chiusura e opposizioni violente, come hanno dimostrato le recrudescenze del terrorismo. Di fronte a questa situazione, certamente non vi è tempo da perdere, ma appare evidente che non è più possibile concepire politiche o programmi che rimangano limitati a un aspetto parziale dei problemi, volendo ignorare ciò che vivono gli altri. La mondializzazione è divenuta come un orizzonte obbligato di ogni politica, e questo vale in particolar modo per quanto riguarda il mondo dell'economia, come pure gli ambiti dell'assistenza e del soccorso reciproco internazionale.

4. Affinché la solidarietà diventi mondiale, occorre che essa tenga veramente conto di tutti i popoli delle diverse regioni del mondo. Questo esige ancora molti sforzi, e soprattutto solide garanzie internazionali nei riguardi delle organizzazioni umanitarie, spesso tenute lontano, loro malgrado, dalle aree di conflitto, poiché non viene più garantita la loro sicurezza e non viene assicurato loro il diritto di dare assistenza alle persone.

Mondializzare la solidarietà richiede anche di operare in stretto e costante rapporto con le organizzazioni internazionali, garanti del diritto, per equilibrare in modo nuovo le relazioni tra i Paesi ricchi e i Paesi poveri, affinché cessino i rapporti di assistenza a senso unico, che troppo spesso contribuiscono a rendere ancora più profondo lo squilibrio attraverso un meccanismo di indebitamento permanente. Piuttosto, sarebbe bene attuare una vera e propria collaborazione, basata su rapporti paritari e reciproci, riconoscendo il diritto di ciascuno a gestire effettivamente le scelte che riguardano il suo futuro.

5. È importante ricordare che il volere la mondializzazione della solidarietà non richiede solo un adattamento alle nuove esigenze della situazione internazionale o alle modifiche dell'applicazione delle leggi di mercato, ma costituisce soprattutto una risposta ai pressanti appelli del Vangelo di Cristo. Per noi cristiani, ma anche per tutti gli uomini, ciò richiede un autentico cammino spirituale, una conversione della mentalità delle persone. Affinché l'aiuto dato al prossimo non sia più un'elemosina fatta dal ricco al povero, umiliante per quest'ultimo e forse fonte d'orgoglio per il primo, affinché diventi una condivisione fraterna, vale a dire un riconoscimento della vera uguaglianza di tutti, dobbiamo "ripartire da Cristo" (cfr Novo Millennio ineunte
NM 29), radicare la nostra vita nell'amore di Cristo, il quale ci ha resi suoi fratelli. Come l'Apostolo Pietro, comprendiamo ormai che "Dio non fa preferenze di persone" (Ac 10,34) e che perciò il ministero della carità deve essere universale.

L'accoglienza di tutti coloro che sono in difficoltà è da molto tempo la regola della vostra azione in tutti i luoghi e in tutti i Paesi dove viene esercitata, in maniera diretta o indiretta, l'attività di Caritas. È importante ora adoperarsi per sensibilizzare tutti gli uomini a questo compito, affinché ogni persona, avendo la stessa dignità e gli stessi diritti dei suoi simili, possa sperare negli stessi aiuti.

6. Nell'invitarvi a volgervi verso Cristo, il Buon Samaritano della nostra umanità ferita (cfr Lc 10,30-36), colui senza il quale noi non possiamo fare nulla (cfr Jn 15,5), vi affido all'intercessione della Vergine Maria, attenta, già a Cana, a discernere le attese degli uomini, affinché accompagni il vostro lavoro con la sua preghiera. Di tutto cuore vi imparto la mia particolare Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 4 luglio 2003

GIOVANNI PAOLO PP. II



AI MEMBRI DELL'ISTITUTO SECOLARE


"SACERDOTI MISSIONARI DELLA REGALITÀ DI CRISTO"


Martedì 8 luglio 2003

241
Carissimi Missionari della Regalità di Cristo!


1. Sono lieto di accogliervi, in questa speciale udienza, in occasione del cinquantesimo di fondazione del vostro Istituto Secolare. Rivolgo il mio cordiale saluto al vostro Presidente e lo ringrazio per le cortesi parole con le quali si è fatto interprete dei comuni sentimenti. Il mio saluto si estende ai presenti e a tutti i vostri sodali sparsi in varie nazioni dell’Europa, dell’Africa e dell’America Latina, con un affettuoso pensiero per i malati, gli anziani e, in particolare, per i giovani che, in numero crescente, si sentono attirati dal carisma missionario della vostra Famiglia spirituale.

La vostra fondazione avvenne il 4 ottobre 1953 nella chiesa di san Damiano in Assisi. E’ questa una felice occasione per ringraziare il Signore dei tanti frutti di bene maturati sino ad oggi, e per ripartire con rinnovato slancio missionario, annunciando il Vangelo agli uomini e alle donne del terzo millennio.

2. Secondo l’originale intuizione del Fondatore, Padre Agostino Gemelli, il vostro Istituto Secolare si caratterizza come una fraternità sacerdotale, nella quale ciascuno, fedele al disegno di Dio, attua la propria consacrazione al servizio della Chiesa, germe e inizio sulla terra del Regno di Cristo (cfr
LG 5). Ispirandovi a san Francesco d’Assisi, voi vivete "il ministero presbiterale secondo il modello di vita che Cristo additò ai suoi primi discepoli, invitandoli a lasciare tutto per lui e per il Vangelo" (Costituzioni, n. 3; cfr PC 3).

Proseguite in questo impegnativo, ma liberante itinerario ascetico e apostolico, rendendo grazie al Signore ogni giorno per il ministero presbiterale, dono e mistero di amore divino.

3. Conservate vivo il carisma del Fondatore, adattandolo alle mutate situazioni sociali e culturali della nostra epoca. Il vostro servizio ecclesiale sarà fruttuoso se vi manterrete in contatto constante con Cristo nella preghiera, e se coltiverete sempre più la comunione con il Vescovo e con il collegio dei presbiteri delle Diocesi alle quali appartenete.

Siate missionari pieni di zelo e di generosa dedizione ai fratelli. L'anelito per l'evangelizzazione vi spinga a un apostolato che non conosca frontiere. Come scrivevo nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, il dono spirituale ricevuto dai presbiteri nell’ordinazione "non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, «fino agli estremi confini della terra» (Ac 1,18). Ecco perché la vita spirituale dei sacerdoti "deve essere profondamente segnata dall’anelito e dal dinamismo missionario" (cfr n. 32).

4. Carissimi! Nel ringraziarvi per questa visita, che si svolge nella cornice festosa delle celebrazioni giubilari del vostro Istituto, vi esorto anzitutto a tendere alla santità come priorità della vostra esistenza, sì da essere a vostra volta testimoni e maestri di perfezione evangelica. La spiritualità propria dei missionari della Regalità di Cristo, che è secolare e presbiterale, rappresenta un significativo patrimonio da investire per il bene della Chiesa.

Affido la vostra Fraternità sacerdotale alla Vergine Immacolata. Lei, Regina e speciale protettrice del vostro Istituto, vi aiuti a realizzare la missione che vi è stata affidata per la vostra santificazione e per la salvezza delle anime.

Mentre assicuro un costante ricordo nella preghiera, con affetto benedico voi, i vostri confratelli sparsi nel mondo e quanti incontrate nel quotidiano lavoro pastorale.

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II

AI CARDINALI:

JÓZEF GLEMP, MARIAN JAWORSKI E LUBOMYR HUSAR




Ai Signori Cardinali
242 JÓZEF Card. GLEMP
Arcivescovo di Warszawa e Primate di Polonia

MARIAN Card. JAWORSKI
Arcivescovo di Lviv dei Latini

LUBOMYR Card. HUSAR
Arcivescovo Maggiore di Lviv degli Ucraini

Carissimi cittadini appartenenti
ai popoli fratelli dell’Ucraina e della Polonia!

1. Ho appreso che il prossimo 11 luglio, 60° anniversario dei tragici fatti della Volinia, il cui ricordo è ancora oggi vivo fra voi, figli di due Nazioni a me molto care, si terrà una commemorazione ufficiale di riconciliazione ucraino-polacca.

Nel turbine del secondo conflitto mondiale, quando più urgente sarebbe stata l’esigenza di solidarietà e di aiuto reciproco, l’oscura azione del male avvelenò i cuori, e le armi fecero scorrere sangue innocente. Ora, a sessant’anni da quei tristi avvenimenti, è venuto affermandosi nell’animo della maggioranza dei polacchi e degli ucraini il bisogno di un profondo esame di coscienza. Si avverte la necessità di una riconciliazione che consenta di guardare al presente e al futuro con occhi nuovi. Questa provvida disposizione interiore mi sospinge ad elevare al Signore sentimenti di gratitudine, mentre mi unisco spiritualmente a quanti ricordano nella preghiera tutte le vittime di quegli atti di violenza.

Il nuovo millennio, da poco iniziato, esige che ucraini e polacchi non restino prigionieri delle loro tristi memorie, ma, considerando gli eventi passati con uno spirito nuovo, si guardino l’un l’altro con occhi riconciliati, impegnandosi ad edificare un futuro migliore per tutti.

243 Come Dio ha perdonato a noi in Cristo, così occorre che i credenti sappiano vicendevolmente perdonare le offese ricevute e chiedere perdono per le proprie mancanze, al fine di contribuire a preparare un mondo rispettoso della vita, della giustizia, nella concordia e nella pace. I cristiani, inoltre, sapendo che "colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore" (2Co 5,21), sono chiamati a riconoscere le deviazioni del passato per risvegliare le proprie coscienze di fronte ai compromessi del presente, aprendo l’animo ad una autentica e durevole conversione.

2. Durante il Grande Giubileo del 2000, la Chiesa, in un contesto solenne, con chiara coscienza di quanto avvenuto nei tempi passati, davanti al mondo ha chiesto perdono per le colpe dei suoi figli, perdonando allo stesso momento quanti le avevano recato offesa in vario modo. Così ha inteso purificare la memoria delle vicende tristi da ogni sentimento di rancore e di rivalsa, per ripartire rinfrancata e fiduciosa nell’opera di edificazione della civiltà dell’amore.

Questo stesso atteggiamento essa propone alla società civile, esortando tutti ad una riconciliazione sincera, nella consapevolezza che non esiste giustizia senza perdono e fragile sarebbe la collaborazione senza una reciproca apertura. Ciò è tanto più urgente, se si considera quanto sia necessario educare le giovani generazioni ad affrontare il domani non sotto i condizionamenti di una storia di diffidenze, di preconcetti e di violenze, ma nello spirito di una memoria riconciliata.

La Polonia e l’Ucraina, terre che da lunghi secoli hanno conosciuto l’annuncio del Vangelo e hanno offerto innumerevoli testimonianze di santità in tanti loro figli, in questo inizio di nuovo millennio desiderano rinsaldare il loro rapporto di amicizia, liberandosi dalle amarezze del passato e aprendosi a fraterne relazioni, illuminate dall’amore di Cristo.

3. Mentre mi compiaccio che le comunità cristiane di Ucraina e di Polonia si siano fatte promotrici di questa commemorazione, al fine di contribuire a rimarginare e guarire le ferite del passato, incoraggio i due popoli fratelli a perseverare con costanza nella ricerca della collaborazione e della pace.

Nel porgere il mio saluto cordiale all’intero Episcopato, al Clero e ai fedeli di codeste Nazioni, rivolgo un deferente pensiero ai Presidenti e alle rispettive Autorità civili e, per loro tramite, ai popoli polacco e ucraino, sempre presenti nel mio cuore e nelle mie preghiere, con l’auspicio di un costante progresso nella concordia e nella pace.

Accompagno tali voti con una speciale Benedizione Apostolica, che volentieri imparto a quanti si assoceranno alle celebrazioni previste.

Dal Vaticano, 7 Luglio 2003

IOANNES PAULUS II



AI PARTECIPANTI AL SIMPOSIO EUROPEO SUL TEMA:


"UNIVERSITÀ E CHIESA IN EUROPA"


Sabato 19 luglio 2003

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

illustri Signori Rettori e Professori,
244 carissimi giovani universitari!

1. Sono molto lieto di accogliervi, in occasione del Simposio “Università e Chiesa in Europa”, promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa e dalla Commissione Episcopale italiana per l’Università, in collaborazione con il Ministero dell’Università. Ringrazio cordialmente Mons. Amédée Grab per le parole con cui ha introdotto questo incontro e le Autorità civili e accademiche per la loro gradita presenza. A tutti, docenti, cappellani e studenti, rivolgo il mio cordiale benvenuto.

Vi siete dati appuntamento a Roma in occasione del settimo centenario della più antica Università dell’Urbe, “La Sapienza”. Da Roma il vostro orizzonte si allarga in questi giorni all’Europa intera, per riflettere sul rapporto tra Università e Chiesa, all’inizio del terzo millennio.

2. Questo rapporto ci conduce direttamente al cuore dell’Europa, là dove la sua civiltà è giunta ad esprimersi in una delle sue istituzioni più emblematiche. Siamo nei secoli tredicesimo e quattordicesimo: l’epoca in cui prende forma l’“Umanesimo”, come felicissima sintesi tra il sapere teologico, quello filosofico e le altre scienze. Sintesi impensabile senza il cristianesimo e quindi senza la secolare opera di evangelizzazione compiuta dalla Chiesa nell’incontro con le molteplici realtà etniche e culturali del continente (cfr Discorso al V Simposio dei Vescovi d’Europa, 19 dicembre 1978, 3).

Questa memoria storica è indispensabile per fondare la prospettiva culturale dell’Europa di oggi e di domani, nella cui costruzione l’università è chiamata a svolgere un ruolo insostituibile.

Come la nuova Europa non può progettarsi senza attingere dalle proprie radici, altrettanto può dirsi per l’università. Essa, infatti, è per eccellenza luogo di ricerca della verità, di analisi accurata dei fenomeni nella costante tensione a sintesi sempre più compiute e feconde. E come l’Europa non può ridursi a mercato, così l’università, pur dovendo ben inserirsi nel tessuto sociale ed economico, non può essere asservita alle sue esigenze, pena lo smarrimento della propria natura, che rimane principalmente culturale.

3. Così la Chiesa in Europa guarda all’università: con la stima e la fiducia di sempre, impegnandosi ad offrire il proprio multiforme contributo. Anzitutto con la presenza di docenti e di studenti che sappiano unire la competenza ed il rigore scientifico con un’intensa vita spirituale, così da animare di spirito evangelico l’ambiente universitario. In secondo luogo mediante le Università cattoliche, nelle quali si attualizza l’eredità delle antiche università, nate ex corde Ecclesiae. Desidero inoltre ribadire l’importanza dei cosiddetti “laboratori culturali”, che opportunamente costituiscono una scelta prioritaria della pastorale universitaria a livello europeo. In essi si opera un dialogo costruttivo tra fede e cultura, tra scienza, filosofia e teologia, e l’etica è considerata esigenza intrinseca della ricerca per un autentico servizio all’uomo (cfr Discorso all’Incontro mondiale dei docenti universitari, 9 settembre 2000, 5).

A voi, Professori, va il mio incoraggiamento; a voi, studenti, l'esortazione a far fruttare con impegno i vostri talenti; a tutti l'augurio di collaborare a promuovere sempre la vita e la dignità dell'uomo.

Tra poco accenderò la fiaccola che una staffetta recherà nella chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, passando per le diverse Sedi universitarie di Roma: un modo questo di sottolineare il significato e il valore del settimo centenario dell’Università “La Sapienza”.

Maria Santissima, Sede della Sapienza, vegli sempre su di voi. Io vi accompagno con la preghiera e con la mia benedizione.
* * *


245 Je salue les professeurs et les étudiants de langue française, leur adressant mes meilleurs voeux pour leurs recherches et pour la part qu’ils prennent à l’animation chrétienne dans le monde universitaire.

I offer warm greetings to the English-language participants, and I encourage them to promote in their Universities the study of Europe’s Christian roots.

Freundlich grüße ich alle Teilnehmer deutscher Sprache. Gemeinschaft und Zusammenarbeit unter den Christen mögen die Neuevangelisation im Bereich der Universitäten voranbringen!

A los profesores y estudiantes de lengua española les dirijo un cordial saludo, animándolos a trabajar siempre por la promoción integral de la persona humana.

Pozdrawiam serdecznie pielgrzymów jezyka polskiego. Badzcie na waszych uczelniach swiadkami oredzia chrzescijanskiego, które prowadzi czlowieka na droge prawdziwej wolnosci.

[Saluto quanti mi intendono in lingua polacca. Siate, nelle vostre università, portatori del messaggio cristiano, che orienta l’uomo sulla via dell’autentica libertà]

Dopo aver salutato in francese, inglese, tedesca, spagnola, ha dato il benvenuto ai polacchi. Ecco la traduzione del saluto ai connazionali:

Saluto cordialmente i professori e gli studenti provenienti dalla Polonia, dall'Ucraina, dalla Russia e dalla Bielorussia. Siate, nelle vostre università, portatori del messaggio cristiano, che orienta l'uomo sulla via dell'autentica libertà.

Al termine dell'udienza, dopo aver ricevuto dal Papa la Benedizione Apostolica, i presenti lo hanno salutato con applausi e canti, tra i quali l'inno della GMG svoltasi a Czestochowa nell'agosto 1991, "Abba Oicze!".

"Grazie per questo incontro": ha risposto il Santo Padre. "Alla prossima volta", ha aggiunto suscitando l'entusiasmo dei più giovani, che hanno subito ricambiato cantando in coro il "Tu es Petrus".



                                                                           Agosto 2003



MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


ALL’AGESCI




246 Carissimi Scout e Guide dell’AGESCI!

1. E’ ancora vivo in me il ricordo della visita che ho avuto la gioia di effettuare ai Piani di Pezza in Abruzzo, nell’estate del 1986, ai partecipanti alla vostra "Route" nazionale. Quest’anno avete voluto proporre una nuova grande esperienza comunitaria, il Campo nazionale, che avrà luogo contemporaneamente in quattro località, nelle province di Avellino, Cagliari, Perugia e Torino. Questa volta, purtroppo, non posso accogliere il vostro graditissimo invito a venire tra voi. Desidero tuttavia assicurarvi che vi ricordo con affetto e vi sono vicino con la preghiera, affinché ciascuno di voi, giovane o adulto, possa vivere in pienezza le giornate del "campo".

Circa tre mesi fa ho accolto in udienza un folto gruppo di dirigenti e responsabili della vostra Associazione, ai quali ho ribadito la fiducia e la stima della Chiesa per i contenuti e il metodo della proposta educativa che l’Associazione sviluppa. Ora, mentre vi penso a migliaia negli splendidi scenari in cui pianterete le tende, vorrei riprendere uno dei temi formativi a voi cari e cioè l’importanza che deve rivestire il continuo approfondimento della fede, valorizzando l’amore e il rispetto per la natura: si tratta di un compito che oggi s’impone a tutti con urgenza, ma che gli scout vivono da sempre, spinti non da un vago "ecologismo", ma dal senso di responsabilità che deriva dalla fede. La salvaguardia del creato, infatti, è un aspetto qualificante dell’impegno dei cristiani nel mondo.

2. Là dove tutto parla del Creatore e della sua sapienza, dalle maestose montagne alle incantevoli valli fiorite, voi imparate a contemplare la bellezza di Dio, e la vostra anima, per così dire, "respira", aprendosi alla lode, al silenzio ed alla contemplazione del mistero divino.

Il "campo" a cui state partecipando, oltre a una vacanza avventurosa, diventa in tal modo un incontro con Dio, con se stessi e con gli altri; incontro favorito da una profonda revisione di vita alla luce della Parola di Dio e dei principi del vostro progetto formativo.

Quando Gesù portò con sé Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte Tabor, certamente ebbe modo di ammirare con loro il panorama della Galilea che di lassù si gode. Ma non era questo, ovviamente, il suo obiettivo primario. Egli voleva rendere i suoi discepoli partecipi della sua preghiera e mostrare loro il suo volto glorioso, per prepararli a sostenere la dura prova della passione. Con le debite proporzioni, non è questo anche il senso dei "campi" che l’AGESCI propone ai suoi aderenti? Si tratta di momenti forti in cui, favoriti dall’ambiente naturale, voi farete una significativa esperienza di Dio, di Gesù e della comunione fraterna. Tutto ciò vi prepara alla vita, a fondare i vostri progetti più impegnativi sulla fede e a superare le crisi con la luce e la forza che vengono dall’Alto.

3. Carissimi, il cammino scoutistico dell’AGESCI mira a formare la personalità dei ragazzi, dei giovani e degli adulti secondo il modello evangelico. E’ una scuola di vita, nella quale si impara uno "stile" che, se ben assimilato, si mantiene per tutta la vita. Questo stile si riassume nella parola "servizio". E se ciò vale per ogni giovane che partecipa all’esperienza scoutistica, indipendentemente dalla sua fede, è vero a maggior ragione per voi, che vi chiamate e volete essere realmente "cattolici". Il vostro servizio dovrà essere ancor più generoso e disinteressato, sul modello di quello di Gesù che disse: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!" (
Ac 20,35).

Carissimi Scout e Guide, vi assicuro la mia presenza spirituale, avvalorata dalla preghiera perché la Madonna, Vergine fedele, vi protegga e vi accompagni.

Con questi pensieri e sentimenti di cuore benedico voi, i vostri responsabili e l’intera famiglia dell’AGESCI.

Da Castel Gandolfo, 28 luglio 2003

IOANNES PAULUS II



SANTA MESSA IN SUFFRAGIO DEL SERVO DI DIO PAPA PAOLO VI

PAROLE DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Mercoledì, 6 agosto 2003

247
Fratelli e Sorelle!


Celebriamo oggi la Festa liturgica della Trasfigurazione del Signore. In questo stesso giorno ricordiamo la pia morte del servo di Dio Papa Paolo VI. Lo facciamo in questa Santa Messa, in cui Cristo ripresenta sull’altare il suo Sacrificio redentore.

Mysterium fidei”: sono le parole con cui inizia la memorabile Enciclica che egli dedicò all’Eucaristia, nel terzo anno del suo Pontificato. Devotissimo maestro della dottrina e del culto dell’Eucaristia, egli definiva la presenza sacramentale di Cristo nel Sacrificio eucaristico come presenza “veramente sublime”, che “costituisce nel suo genere il più grande dei miracoli” (Enc. Mysterium fidei, EV, nn. 423.427). Con quanta fede e sollecitudine Paolo VI istruì il Popolo di Dio su questo mistero centrale della fede cattolica!

Nella festa della Trasfigurazione chiediamo con la liturgia che “il Pane del cielo… ci trasformi a immagine del Cristo” (Oraz. dopo la Com.). Questo a suo tempo chiese anche Paolo VI. Questo noi oggi domandiamo per lui, affinché, contemplando senza veli il volto del suo Signore, goda per sempre la visione della sua gloria.


GP2 Discorsi 2003 238