GP2 Discorsi 2004 18


AL QUARTO GRUPPO DI VESCOVI


DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI FRANCIA


Sabato, 24 gennaio 2004

Cari Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,


1. Sono lieto di riprendere le udienze con i Vescovi di Francia in occasione delle loro visite ad Limina. Vi accolgo con gioia, Vescovi delle province di Toulouse e di Montpellier. Ringrazio Monsignor Émil Marcus, Arcivescovo di Toulouse, per le sue gentili parole, compiacendomi dello spirito di collaborazione esistente tra le vostre due province, collaborazione largamente facilitata dai vincoli storici e dalla presenza dell'Istituto cattolico e del Seminario diocesano di Toulouse, che accolgono soprattutto i seminaristi dell'intera regione. Come responsabile della Commissione episcopale per i ministeri ordinati, Monsignor Marcus mi ha fatto parte dei vostri interrogativi e delle vostre preoccupazioni circa il futuro del clero, ricordando la situazione particolarmente allarmante che attraversa il vostro Paese, e di cui purtroppo danno testimonianza le relazioni quinquennali delle vostre Diocesi. Elevo al Signore una preghiera incessante perché i giovani accettino di ascoltare la chiamata al sacerdozio - in modo speciale al sacerdozio diocesano - e s'impegnino nella sequela di Cristo, abbandonando tutto alla maniera degli apostoli, come ci ha opportunamente ricordato il testo evangelico della Messa che quest'anno ha aperto il tempo ordinario (cfr Lunedì della prima settimana, Mc 1,14-20).

2. È dunque sulla questione del sacerdozio diocesano, fondamentale per le Chiese locali, che oggi desidero intrattenermi con voi. Comprendo facilmente che, come i sacerdoti, talvolta vi possiate sentire demoralizzati dinanzi alla situazione e alle prospettive future, tuttavia vorrei invitarvi alla speranza e a un impegno sempre più deciso in favore del sacerdozio. Sebbene occorra essere realisti di fronte alle difficoltà, non bisogna tuttavia cedere allo scoramento, né limitarsi di osservare le cifre e la diminuzione del numero dei presbiteri, di cui, d'altronde, non possiamo sentirci totalmente responsabili. In effetti, come ha giustamente sottolineato la Lettera ai cattolici di Francia pubblicata dalla vostra Conferenza Episcopale nel 1996, che rimane sempre attuale, la crisi che sta attraversando l'Europa è in larga parte dovuta alle ripercussioni, in seno alla stessa istituzione ecclesiale come pure sulla vita dei suoi membri, dei cambiamenti sociali, delle nuove forme di comportamento, della perdita dei valori morali e religiosi, e di un atteggiamento consumistico largamente diffuso. Con l'aiuto di Cristo, e consapevoli dell'eredità che ci appartiene, dobbiamo, dunque, nell'avversità, proporre incessantemente la vita sacerdotale ai giovani come un impegno generoso e una fonte di gioia, avendo cura di rinnovare e di rafforzare la pastorale vocazionale.

Ciò che può allontanare i giovani, segnati spesso da una vita facile e superficiale, è prima di tutto l'immagine del sacerdote, la cui identità, nella società moderna, è poco certa e sempre meno chiara, e il cui fardello è sempre più pesante. È fondamentale ribadire questa identità, delineando in modo più netto i contorni della figura del sacerdote diocesano. In effetti, come potrebbero i giovani essere attratti da uno stile di vita se non ne comprendono la grandezza e la bellezza, e se i sacerdoti stessi non hanno cura di esprimere il proprio entusiasmo per la missione della Chiesa? Uomo in mezzo ai suoi fratelli, scelto per servirli meglio, il sacerdote trova la gioia e l'equilibrio di vita nel suo rapporto con Cristo e nel suo ministero. Egli è il Pastore del gregge che guida il popolo di Dio, che celebra i sacramenti, che insegna e annuncia il Vangelo, assicurando così una paternità spirituale attraverso l'accompagnamento dei fedeli. In tutto ciò, egli è al contempo il testimone e l'apostolo che, attraverso i diversi atti del suo ministero, manifesta il proprio amore per Cristo, per la Chiesa e per gli uomini.

L'importanza, la diversità e il peso della missione che i sacerdoti della generazione presente si devono assumere danno l'impressione di un ministero frammentato e certamente non invitano sempre i giovani a seguire chi li precede. A questo proposito, desidero esprimere il mio apprezzamento per il coraggio, lo zelo e la tenacia dei sacerdoti che svolgono il loro ministero in condizioni spesso molto difficili, in seno ad una società in cui non sono abbastanza riconosciuti.

Possano essi non scoraggiarsi mai, ma trovare in Cristo l'audacia per compiere la missione a loro affidata! Insieme a loro rendo grazie per la loro fedeltà, segno del loro amore profondo per Cristo e per la Chiesa. Che non dimentichino mai che, attraverso gli atti del loro ministero, rendono presente la tenerezza di Dio e che comunicano agli uomini la grazia di cui essi hanno bisogno! Portate loro l'affetto del Successore di Pietro, che li accompagna ogni giorno con la sua preghiera! Invitateli, negli incontri con i giovani e nelle loro omelie, a rendere conto della gioia che si prova seguendo Cristo nel sacerdozio diocesano! La mia preghiera affettuosa va in modo particolare ai sacerdoti anziani o malati, i quali, attraverso la loro vita d'intercessione e un ministero adeguato alle loro forze, continuano a servire il Vangelo in modo diverso.

3. Le urgenze della missione e le molteplici sollecitazioni degli uomini fanno correre ai sacerdoti, troppo poco numerosi, il rischio di trascurare o di lasciare affievolire la loro vita spirituale; parimenti, essi devono conciliare le esigenze dell'esistenza quotidiana, del ministero, della formazione permanente e del tempo di riposo per ritemprare le loro forze, al fine di non mettere in pericolo il loro equilibrio di vita umano e affettivo. Ciò che conta, prima di tutto, per il sacerdote, è l'edificazione e la crescita della sua vita spirituale, fondata sul rapporto quotidiano con Cristo, caratterizzato dalla Celebrazione Eucaristica, dalla Liturgia delle Ore, dalla lectio divina e dalla preghiera. È questo rapporto a costituire l'unità dell'essere sacerdotale e del ministero. Più è pesante il fardello, più è importante essere vicino al Signore per trovare in Lui le grazie necessarie per il servizio pastorale e l'accoglienza dei fedeli. È, in effetti, questa esperienza spirituale personale che consente di vivere nella fedeltà e di ravvivare incessantemente il dono ricevuto attraverso l'imposizione delle mani (cfr 2Tm 1,6). Parimenti, come ho ricordato nell'Esortazione Apostolica Post-sinodale Pastores dabo vobis, le risposte alla crisi del ministero, sperimentata da molti Paesi, consistono nell'atto di fede totale allo Spirito Santo (cfr n. 1), nella strutturazione sempre più forte della vita spirituale dei sacerdoti stessi, capace di mantenerli su un cammino esigente sulla via della santità (cfr n. 19-20), e nella formazione permanente, che è come l'anima della carità pastorale (cfr n. 70-81). Spetta a voi vigilare affinché i membri del presbiterio radichino la loro missione in una vita di preghiera regolare e fedele e nella pratica del Sacramento della Penitenza.

4. Alcuni sacerdoti, soprattutto quelli più giovani, provano il bisogno di un'esperienza sacerdotale fraterna, ossia di un cammino comunitario, per ricevere sostegno e per attenuare le difficoltà che certuni possono provare dinanzi all'inevitabile solitudine legata al ministero, sebbene, forse in modo paradossale, vivano il loro ministero in modo troppo individuale. Li incoraggio a sviluppare il loro desiderio di vita fraterna e di collaborazione reciproca, che non può che affermare la comunione in seno al presbiterio diocesano, attorno al Vescovo. Spetta a voi, insieme ai membri del vostro consiglio episcopale, tener conto di questo desiderio, proponendo ai sacerdoti delle integrazioni ministeriali dove possano, se possibile, stabilire dei legami forti con i confratelli. Invito anche voi a essere sempre più vicini ai vostri sacerdoti, che sono i vostri primi collaboratori. È soprattutto con loro che dovete sviluppare incessantemente un rapporto pastorale e fraterno forte, caratterizzato dalla fiducia reciproca e dalla vicinanza affettuosa. È bene che, a intervalli regolari, come alcuni già fanno, vi possiate recare dai sacerdoti, verificando così, ancor di più, le loro condizioni di vita e di ministero, e manifestando la vostra attenzione per la realtà quotidiana della loro esistenza.

Parimenti, incoraggio i sacerdoti di tutte le generazioni, a essere sempre vicini gli uni agli altri, a sviluppare la loro fraternità sacerdotale e la collaborazione pastorale, senza aver paura delle differenze, né delle sensibilità specifiche, che possono essere benefiche per il dinamismo della Chiesa locale. In questo spirito, la partecipazione a un'associazione sacerdotale costituisce un aiuto prezioso. Più saranno forti i vincoli di comunione e di unità tra il Vescovo e i suoi presbiteri e tra i sacerdoti stessi, più sarà grande la coesione diocesana e più sarà forte il senso della missione comune, più i giovani potranno avere voglia di unirsi al presbiterio. La vita fraterna dei ministri della Chiesa è senza alcun dubbio un modo concreto di proporre la fede e di chiamare i fedeli a sviluppare rapporti rinnovati, a vivere sempre più nell'amore che ci giunge dal Signore. È da questo, infatti, come dice l'Apostolo, che saremo riconosciuti come discepoli e che potremo annunciare la buona Novella del Vangelo. Più ancora, in questa settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, come non sentirci responsabili dell'unità in seno allo stesso presbiterio, alla quale esortava sant'Ignazio d'Antiochia: "Il vostro presbiterio, degno della sua reputazione, degno di Dio, è accordato al Vescovo come lo sono le corde alla cetra; così, nella sintonia dei vostri sentimenti e nell'armonia della vostra carità, cantate Gesù Cristo [...]. È dunque utile che voi siate in un'unità irreprensibile, per essere sempre partecipi di Dio" (cfr Lettera agli Efesini, IV, 1-2).

19 La disparità del numero dei sacerdoti nelle diverse Diocesi non cessa di crescere. La nuova organizzazione della Chiesa in Francia, ormai suddivisa in province, può consentire, su questo piano, collaborazioni interessanti per una migliore ripartizione dei sacerdoti in funzione delle esigenze, per una collaborazione al livello dei servizi diocesani e nelle diverse istanze amministrative.

A questo proposito, desidero salutare le Diocesi che già vivono questa condivisione fraterna, ringraziando i sacerdoti che accettano, almeno per qualche tempo, di lasciare la propria Diocesi, alla quale rimangono legittimamente legati, per servire la Chiesa nelle aree con una più debole presenza di ministri, preoccupandosi di costituire delle comunità sacerdotali autentiche, con una disponibilità particolarmente eloquente.

5. Nel mondo attuale, la questione del celibato ecclesiastico e della castità ad esso connessa, spesso rimane, per i giovani come pure per gli altri fedeli, una pietra d'inciampo, soggetta a molte incomprensioni nell'opinione pubblica. Desidero innanzitutto esprimere apprezzamento per la fedeltà dei sacerdoti, che s'impegnano a vivere nella pienezza questa dimensione fondamentale della loro vita sacerdotale, mostrando così al mondo che Cristo e la missione possono riempire l'esistenza, e che l'affetto per il Signore, nel dono totale della sua potenza di vita, costituisce una testimonianza resa all'assoluto di Dio e una partecipazione particolarmente feconda alla costruzione della Chiesa.

Invito i sacerdoti a rimanere vigili dinanzi alle seduzioni del mondo e a fare regolarmente un esame di coscienza per vivere in modo sempre più profondo nella fedeltà al loro impegno, che li conforma a Cristo, casto e totalmente dedicato al Padre, e che è un importante contributo all'annuncio del Vangelo. Qualsiasi atteggiamento che vada contro questo impegno costituisce per la comunità cristiana e per tutti gli uomini una testimonianza contraria. Spetta a voi essere attenti alle condizioni affettive della vita dei sacerdoti e alle loro eventuali difficoltà. Sapete per esperienza che i giovani presbiteri, come tutti i loro coetanei, sono caratterizzati al contempo da un entusiasmo straordinario e dalle fragilità del loro tempo, che ben conoscete. Occorre accompagnarli con grande cura, nominando, per esempio, un sacerdote di grande sapienza per sostenerli nei primi anni del loro ministero. Un adeguato aiuto psicologico e spirituale può ugualmente rivelarsi necessario, per non consentire il perdurare di situazioni che a lungo termine potrebbero rivelarsi pericolose. Parimenti, nel caso in cui i sacerdoti avessero uno stile di vita non conforme al loro stato, è importante invitarli espressamente alla conversione. La castità nel celibato ha un valore inestimabile. Costituisce una chiave importante per la vita spirituale dei sacerdoti, per il loro impegno nella missione e per il giusto rapporto con i fedeli, che non deve fondarsi in primo luogo su degli aspetti affettivi, ma sulla responsabilità che compete loro nel ministero. Identificati in tal modo con Cristo, si renderanno sempre più disponibili al Padre e alle proposte dello Spirito Santo.

6. Dinanzi ai compiti sempre più pesanti che i sacerdoti devono affrontare, è importante aiutarli a discernere le priorità e a favorire la collaborazione fiduciosa con i laici nel rispetto delle responsabilità di ciascuno. Conosco la gioia e felicità che sperimentano nel loro ministero, nell'annuncio della Parola di Dio, nei contatti diretti con gli uomini, le donne e i bambini, nella condivisione delle responsabilità con i laici. Che cosa vi è di più bello, per un Pastore, che veder crescere i fedeli nell'umanità e nella fede e prendere il posto che compete loro nella Chiesa e nella società?

La crescente scristianizzazione è la sfida più grande del momento, che vi esorto ad affrontare, mobilitando a tal fine tutti i sacerdoti delle vostre Diocesi. Occorre dare urgenza alla missione, alla quale tutti i discepoli del Signore devono partecipare, all'evangelizzazione di un mondo che, non solo non conosce più gli aspetti fondamentali del dogma cristiano, necessari per un'esistenza cristiana e una partecipazione feconda alla vita sacramentale, ma che, in gran parte, ha anche perso la memoria degli elementi culturali del cristianesimo.

7. I diaconi permanenti, molto spesso sposati, il cui numero non cessa di crescere nelle vostre Diocesi, hanno un ruolo importante nelle Chiese diocesane. Saluto con affetto loro, come pure le loro spose e i loro figli, che, attraverso la loro vicinanza e il loro sostegno, li aiutano nel loro ministero; le vostre relazioni testimoniano la stima che avete per loro e la fiducia che riponete in loro.

Apprezzo la missione che essi svolgono, poiché talvolta sono in contatto con ambienti molto lontani dalla Chiesa; vengono riconosciuti dai loro fratelli in ragione delle loro competenze professionali e della loro vicinanza fraterna alle persone e alla cultura in cui vivono. Presentano un volto caratteristico della Chiesa, che vuole essere vicina alle persone e alla loro realtà quotidiana, per radicare nella loro vita l'annuncio del messaggio di Cristo, alla maniera di san Paolo ad Atene, narrata nell'episodio dell'areopago (cfr
Ac 17,16-32). Ringrazio tutti per la missione di Chiesa che svolgono come servitori del Vangelo, accompagnando, spesso nell'ambito professionale, che è il principale contesto del loro ministero, il popolo cristiano, offrendo una testimonianza primordiale dell'attenzione della Chiesa per tutti i settori della società, e impegnandosi, con la parola e con la propria vita personale, coniugale e familiare esigente, a far conoscere il messaggio cristiano e a far riflettere gli uomini e le donne sulle grandi questioni della società, affinché risplendano i valori evangelici!

Al termine del nostro incontro, vi chiedo di portare i miei saluti affettuosi a tutti i fedeli delle vostre Diocesi e di trasmettere, in modo del tutto particolare, la mia vicinanza spirituale alle famiglie danneggiate dalle diverse inondazioni che hanno colpito gli abitanti della regione e dal tragico incidente nella fabbrica AZF, ricordando ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà la necessità di un'attenzione e di una solidarietà sempre più grandi verso i fratelli provati.

Raccomandando voi, come pure i sacerdoti, i diaconi e tutto il popolo cristiano affidato alle vostre cure, all'affetto materno della Vergine Maria, Madre della Chiesa e Madre nostra, imparto di cuore a voi, come anche a tutti i vostri diocesani, la Benedizione Apostolica.


AL GRUPPO DEL CENTRO DI FORMAZIONE


CULTURALE E ARTISTICA POLACCO


Domenica, 25 gennaio 2004




20 Rivolgo un cordiale benvenuto a tutti gli artisti ed alle persone che li accompagnano. Tante grazie per avermi affidato il "Libro dei Cherubini" - il registro delle generosità della gente che sa valorizzare ogni creatività nella vita delle società e dei popoli.

Ho scritto una volta che nell'uomo artefice si rispecchia l’immagine del Creatore (cfr Lettera agli artisti, 1). Oggi ripeto queste parole davanti ai rappresentanti della Fondazione che ha come scopo la promozione dello stile creativo nella vita, soprattutto tra la gioventù. Le ripeto come fondamentale motivazione della giustezza della vostra opera. Lo dico anche per far presente a tutti gli artisti qui presenti che questo rispecchiare Dio implica una grande responsabilità.

Innanzi tutto responsabilità per se stesso e per il proprio talento. Il talento artistico è un dono di Dio e chi lo scopre in se stesso avverte al tempo stesso un certo obbligo: sa che non può sprecare questo talento, ma deve svilupparlo. Si rende anche conto che non lo sviluppa per autosoddisfazione, ma per servire con il suo talento il prossimo e la società, nella quale gli è dato vivere. Questa è la seconda dimensione della responsabilità di un artista - l'impegno nel plasmare lo spirito delle società e dei popoli.

In questa prospettiva si svela la terza dimensione della responsabilità, che il filosofo greco Platone ha racchiuso nella frase: "La potenza del Bene si è rifugiata nella natura del Bello" (Filebo, 65). Quando si parla della creatività, spontaneamente si pensa al bello. Tuttavia il bello può cominciare ad esistere solo quando nella sua natura si rifugia la potenza del bene. L'artista è dunque responsabile non solo per la dimensione estetica del mondo e della vita, ma anche per la sua dimensione morale. Se nella creatività non si lascia guidare dal bene, o peggio si dirige verso il male, non è degno del titolo di artista.

Pongo sui vostri cuori questa triplice responsabilità, cari giovani che desiderate di vivere creativamente, e voi tutti che volete aiutarli in diversi modi. Siate fedeli al bello e siate fedeli al bene. Questo vi avvicini a Dio, il primo Creatore del bello e del bene, affinché possiate aiutare altri ad attingere da questa fonte ispirazione per la loro spirituale crescita. Dio vi assista!

Per questa creativa fatica vi benedico di cuore.




ALL'ARCIVESCOVO DI SZCZECIN-KAMIEN (POLONIA)


CON UNA DELEGAZIONE DEL SENATO ACCADEMICO


DELL'UNIVERSITÀ DI SZCZECIN


Martedì, 27 gennaio 2004




Rivolgo un cordiale benvenuto a tutti i presenti. Saluto l’arcivescovo Zygmunt [Kaminski], il Sindaco di Szczecin, nonché il signor Rettore e i rappresentanti dell’Università di Szczecin e della Facoltà Teologica.

Siete venuti a motivo di un evento particolare. Ecco, il Senato dell’Università ha deciso che l’ateneo accoglierà tra le sue mura la Facoltà di Teologia, che finora indipendentemente ha svolto l’attività scientifica ed educativa. Avendo chiesto il parere della Congregazione per l’Educazione Cattolica, l’ho accettato volentieri. Infatti trovo giusto che questa regione della Polonia abbia una forte Facoltà Teologica, sorretta dalle strutture organizzative e dal potenziale scientifico dell’Università. Spero che grazie a questo i giovani di Szczecin e di tutta la regione nord-ovest della Polonia abbiano maggiori possibilità di acquistare la scienza filosofica e teologica.

C’è anche un’altra dimensione di quest’unione, che bisogna prendere in considerazione. Nei tempi del medioevo si era soliti ritenere che un’università senza la facoltà teologica fosse in certo modo “incompleta”. E’ vero che i tempi moderni hanno creato tante dinamiche università che non hanno una facoltà teologica, ma sembra che il parere d’allora abbia la sua ragione. Essa risulta dalla necessità del dialogo tra la ragione e la fede. Ho parlato di questo recentemente davanti ai rappresentanti degli atenei di Wroclaw e di Opole. Sì, un dialogo così è necessario, se i frutti delle ricerche scientifiche in diverse discipline devono servire per il pieno sviluppo dell’uomo. Poiché non si può dividere la ragione dall’anima, così non si può pienamente trasmettere la scienza, non tenendo conto delle necessità dell’animo umano che è aperto all’infinito. Inoltre lo sviluppo delle scienze comporta tante questioni etiche che dovrebbero essere risolte con il rispetto dell’autonomia delle scienze, ma anche nello spirito della verità. La collegiale tendenza alla conoscenza della verità sull’uomo, sulla dignità della persona umana, sul valore della vita, e contemporaneamente sulla grandiosità dei risultati scientifici in tutte le discipline servirà di sicuro all’approfondimento dello scibile trasmesso. Un confronto dei concetti e lo stabilire la dignità dei fini ai quali tende la scienza, e dei mezzi con i quali opera, non può non dare buoni frutti.

Questo auguro all’Università di Szczecin, alla sua Facoltà Teologica e alla vostra città. La vostra collaborazione, il dialogo creativo, e anche le discussioni scientifiche portino i frutti della verità e servano al versatile sviluppo di coloro che vorranno attingere dalla fonte della scienza e della saggezza. Dio vi benedica.


AI COMPONENTI DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO

Giovedì, 29 gennaio 2004

21
Carissimi Componenti del Tribunale della Rota Romana!

1. Sono lieto di questo annuale incontro con voi per l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario. Esso mi offre l’occasione propizia per riaffermare l’importanza del vostro ministero ecclesiale e la necessità della vostra attività giudiziaria.

Saluto cordialmente il Collegio dei Prelati Uditori, ad iniziare dal Decano, Mons. Raffaello Funghini, che ringrazio per le profonde riflessioni con le quali ha espresso il senso e il valore del vostro lavoro. Saluto poi gli Officiali, gli Avvocati e gli altri Collaboratori di codesto Tribunale Apostolico, come pure i membri dello Studio Rotale e tutti i presenti.

2. Negli incontri degli ultimi anni ho trattato di alcuni aspetti fondamentali del matrimonio: la sua indole naturale, la sua indissolubilità, la sua dignità sacramentale. In realtà, a codesto Tribunale della Sede Apostolica giungono pure altre cause di vario genere, in base alle norme stabilite dal Codice di Diritto Canonico (cfr cann.
CIC 1443-1444) e dalla Costituzione apostolica Pastor Bonus (cfr artt. ). E’ però soprattutto al matrimonio che il Tribunale è sollecitato a volgere la sua attenzione. Per questo oggi, rispondendo anche alle preoccupazioni manifestate da Mons. Decano, desidero nuovamente soffermarmi sulle cause matrimoniali a voi affidate e, in particolare, su un aspetto giuridico-pastorale che da esse emerge: alludo al favor iuris di cui gode il matrimonio, e alla connessa presunzione di validità in caso di dubbio, dichiarata dal canone CIC 1060 del Codice latino e dal canone CIO 779 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

Talvolta infatti si sentono voci critiche al riguardo. Tali principi ad alcuni sembrano legati a situazioni sociali e culturali del passato, nelle quali la richiesta di sposarsi in forma canonica presupponeva normalmente nei nubendi la comprensione ed accettazione della vera natura del matrimonio. Nella crisi che in tanti ambienti segna oggi purtroppo questa istituzione, a costoro sembra che la stessa validità del consenso debba considerarsi spesso compromessa, a causa dei vari tipi di incapacità oppure per l'esclusione di beni essenziali. Dinanzi a questa situazione, i critici menzionati si domandano se non sarebbe più giusto presumere l'invalidità del matrimonio contratto piuttosto che la sua validità.

In questa prospettiva il favor matrimonii, si afferma da costoro, dovrebbe cedere il posto al favor personae, o al favor veritatis subiecti o al favor libertatis.

3. Per valutare correttamente le nuove posizioni è opportuno anzitutto individuare il fondamento e i limiti del favor in questione. In realtà, si tratta di un principio che trascende di gran lunga la presunzione di validità, dal momento che informa tutte le norme canoniche, sia sostanziali che processuali, concernenti il matrimonio. Il sostegno al matrimonio, infatti, deve ispirare l'intera attività della Chiesa, dei Pastori e dei fedeli, della società civile, in una parola di tutte le persone di buona volontà. Fondamento di tale atteggiamento non è una scelta più o meno opinabile, bensì l'apprezzamento del bene oggettivo rappresentato da ogni unione coniugale e da ogni famiglia. Proprio quando è minacciato il riconoscimento personale e sociale di un bene così fondamentale, si scopre più profondamente la sua importanza per le persone e per le comunità.

Alla luce di queste considerazioni appare chiaramente che il dovere di difendere e favorire il matrimonio spetta certamente in maniera particolare ai sacri Pastori, ma costituisce anche una precisa responsabilità di tutti i fedeli, anzi di tutti gli uomini e delle autorità civili, ognuno secondo le proprie competenze.

4. Il favor iuris di cui gode il matrimonio implica la presunzione della sua validità, fino a che non sia provato il contrario (cfr CIC, can. CIC 1060 CCEO, can. CIO 779). Per cogliere il significato di questa presunzione, conviene in primo luogo ricordare che essa non rappresenta un'eccezione rispetto ad una regola generale in senso opposto. Al contrario, si tratta dell'applicazione al matrimonio di una presunzione che costituisce un principio fondamentale di ogni ordinamento giuridico: gli atti umani di per sé leciti e che incidono sui rapporti giuridici si presumono validi, pur essendo ovviamente ammessa la prova della loro invalidità (cfr CIC, can. CIC 124 § 2; CCEO, can. CIO 931 § 2).

Questa presunzione non può essere interpretata come mera protezione delle apparenze o dello status quo in quanto tale, poiché è prevista anche, entro limiti ragionevoli, la possibilità di impugnare l’atto. Tuttavia ciò che all’esterno appare correttamente posto in essere, nella misura in cui rientri nella sfera della liceità, merita un'iniziale considerazione di validità e la conseguente protezione giuridica, poiché tale punto di riferimento esterno è l'unico di cui realisticamente l’ordinamento dispone per discernere le situazioni cui deve offrire tutela. Ipotizzare l’opposto, il dovere cioè di offrire la prova positiva della validità dei rispettivi atti, significherebbe esporre i soggetti ad un’esigenza di pressoché impossibile attuazione. La prova dovrebbe infatti comprendere i molteplici presupposti e requisiti dell'atto, i quali spesso hanno notevole estensione nel tempo e nello spazio e coinvolgono una serie amplissima di persone e di atti precedenti e connessi.

22 5. Che dire allora della tesi secondo cui il fallimento stesso della vita coniugale dovrebbe far presumere l'invalidità del matrimonio? Purtroppo la forza di questa erronea impostazione è a volte così grande da trasformarsi in un generalizzato pregiudizio, che porta a cercare i capi di nullità come mere giustificazioni formali di un pronunciamento che in realtà poggia sul fatto empirico dell'insuccesso matrimoniale. Questo ingiusto formalismo di coloro che avversano il tradizionale favor matrimonii può arrivare a dimenticare che, secondo l'esperienza umana segnata dal peccato, un matrimonio valido può fallire a causa dell'uso sbagliato della libertà degli stessi coniugi.

La constatazione delle vere nullità dovrebbe portare piuttosto ad accertare con maggior serietà, al momento delle nozze, i requisiti necessari per sposarsi, specialmente quelli concernenti il consenso e le reali disposizioni dei nubendi. I parroci e coloro che collaborano con loro in quest'ambito hanno il grave dovere di non cedere ad una visione meramente burocratica delle investigazioni prematrimoniali di cui al can.
CIC 1067. Il loro intervento pastorale deve essere guidato dalla consapevolezza che le persone possono proprio in quel momento scoprire il bene naturale e soprannaturale del matrimonio, ed impegnarsi di conseguenza a perseguirlo.

6. In verità, la presunzione di validità del matrimonio si colloca in un contesto più ampio. Spesso il vero problema non è tanto la presunzione in parola, quanto la visione complessiva del matrimonio stesso e, quindi, il processo per accertare la validità della sua celebrazione. Tale processo è essenzialmente inconcepibile al di fuori dell'orizzonte dell'accertamento della verità. Questo riferimento teleologico alla verità è ciò che accomuna tutti i protagonisti del processo, nonostante la diversità dei loro ruoli. Al riguardo, è stato insinuato uno scetticismo più o meno aperto sulla capacità umana di conoscere la verità sulla validità di un matrimonio. Anche in questo campo occorre una rinnovata fiducia nella ragione umana, sia per quanto riguarda gli aspetti essenziali del matrimonio, che per quel che concerne le circostanze particolari di ogni unione.

La tendenza ad ampliare strumentalmente le nullità, dimenticando l'orizzonte della verità oggettiva, comporta una distorsione strutturale dell'intero processo. L'istruttoria, in questa prospettiva, perde la sua incisività in quanto l'esito è predeterminato. L'indagine stessa della verità, alla quale il giudice è gravemente obbligato ex officio (cfr CIC, can. CIC 1452 CCEO, can. CIO 1110) e per il conseguimento della quale si serve dell'aiuto del difensore del vincolo e dell'avvocato, si risolverebbe in un susseguirsi di formalismi privi di vita. La sentenza, poiché al posto della capacità di indagine e di critica verrebbe a prevalere la costruzione di risposte predeterminate, perderebbe o gravemente attenuerebbe la sua tensione costitutiva verso la verità. Concetti chiave come quelli di certezza morale e di libero apprezzamento delle prove rimarrebbero senza il loro necessario punto di riferimento nella verità oggettiva (cfr CIC, can. CIC 1608 CCEO, can. CIO 1291), che si rinunzia a cercare oppure si considera inafferrabile.

7. Più a monte, il problema riguarda la concezione del matrimonio, a sua volta inserita in una visione globale della realtà. L'essenziale dimensione di giustizia del matrimonio, che fonda il suo essere in una realtà intrinsecamente giuridica, viene sostituita da ottiche empiriche, di stampo sociologico, psicologico, ecc., così come da varie modalità di positivismo giuridico. Senza nulla togliere ai validi contributi che possono provenire dalla sociologia, dalla psicologia o dalla psichiatria, non si può dimenticare che una considerazione autenticamente giuridica del matrimonio richiede una visione metafisica della persona umana e della relazionalità coniugale. Senza questo fondamento ontologico, l'istituzione matrimoniale diventa mera sovrastruttura estrinseca, frutto della legge e del condizionamento sociale, limitante la persona nella sua libera realizzazione.

Occorre invece riscoprire la verità, la bontà e la bellezza dell'istituto matrimoniale, che essendo opera dello stesso Dio attraverso la natura umana e la libertà del consenso dei coniugi, rimane come realtà personale indissolubile, come vincolo di giustizia e di amore, legato da sempre al disegno della salvezza ed elevato nella pienezza dei tempi alla dignità di sacramento cristiano. Questa è la realtà che la Chiesa e il mondo debbono favorire! Questo è il vero favor matrimonii!

Nel presentarvi questi spunti di riflessione, desidero rinnovare l’espressione del mio apprezzamento per il delicato e impegnativo vostro lavoro nell'amministrazione della giustizia. Con questi sentimenti, mentre invoco su ciascuno di voi, cari Prelati Uditori, Officiali ed Avvocati della Rota Romana, la costante assistenza divina, a tutti imparto con affetto la mia Benedizione.


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