GP2 Discorsi 2004 53


VEGLIA DI PREGHIERA MARIANA

A CONCLUSIONE DELLA II GIORNATA EUROPEA DEGLI UNIVERSITARI

PAROLE DI GIOVANNI PAOLO II

Sabato, 13 marzo 2004


Carissimi giovani universitari!

1. E’ per me motivo di singolare gioia incontrarvi in occasione della Seconda Giornata Europea degli Universitari. A ciascuno di voi, che provenite da diversi Atenei di Roma e di altre città italiane, rivolgo un saluto cordiale, mentre vi ringrazio per la vostra presenza ricca di entusiasmo. Saluto il Cardinale Vicario e le Autorità civili e accademiche presenti.

54 Un "grazie" sentito rivolgo a quanti hanno collaborato alla preparazione di questo evento, al Coro e all’Orchestra interuniversitari che lo hanno animato, al Centro Televisivo Vaticano e alla Radio Vaticana, che ne hanno resa possibile la diffusione in varie Nazioni europee.

Con grande affetto estendo il mio saluto ai giovani collegati a noi via satellite da Praga (Repubblica Ceca), Nicosia (Cipro), Gniezno (Polonia), Vilnius (Lituania), Riga (Lettonia), Tallinn (Estonia), Lubiana (Slovenia), Budapest (Ungheria), La Valletta (Malta), Bratislava (Slovacchia). Si tratta dei dieci Paesi che entreranno nell’Unione Europea.

2. Questa veglia mariana riveste un forte valore simbolico. E’ infatti anche a voi, cari universitari, che è affidato un ruolo importante nella costruzione dell’Europa unita, saldamente radicata nelle tradizioni e nei valori spirituali che l’hanno modellata. L’università costituisce, a questo riguardo, uno degli ambiti tipici dove si è formata, nel corso dei secoli, quella cultura che ha conosciuto un caratterizzante influsso cristiano. Occorre che questo ricco patrimonio di ideali non vada perduto.

Maria, che abbiamo invocato più volte come Sedes Sapientiae, protegga ciascuno di voi, i vostri studi e il vostro impegno di formazione culturale e spirituale.

3. Voi, cari giovani di Roma, portando la Croce vi recherete tra poco alla chiesa di sant’Agnese in Agone, dove rinnoverete insieme la professione di fede. A questo pellegrinaggio si uniscono idealmente gli universitari degli altri Paesi, ai quali invio il mio cordiale saluto.

[Saluti nelle varie lingue]

Nyní zdravím vás, milí vysokoškoláci z Prahy, v Ceské republice

[Saluto ora voi, cari giovani universitari di Praga, nella Repubblica Ceca];

+<" 2gDµ` P"4DgJ4Fµ` FJ@LH "("B0J@bH <X@LH, N@4J0JXH J0H 7gL6TF\"H, FJ0< 5bBD@

[Un saluto a voi, cari giovani universitari di Nicosia, a Cipro];

Serdecznie Was pozdrawiam, drodzy studenci w Gnieznie, w Polsce

55 [A voi, cari giovani universitari di Gniezo, in Polonia, il mio affettuoso pensiero];

Taip pat sveikinu jus, mylimi jaunuoliai studentai iš Vilniaus, Lietuvos

[saluto poi voi, amati giovani universitari di Vilnius, in Lituania];

Ar maigumu domaju par jums, dargie universitašu jaunieši no Rigas, Latvija

[Penso con affetto a voi, cari giovani universitari di Riga, in Lettonia];

Oma mõttedes olen ma teiega armsad noored Tallinna tudengid Eestimaal

[Estendo il mio pensiero a voi, cari giovani universitari di Tallinn, in Estonia];

Moj pozdrav tudi vam, dragi mladi univerzitetni študentje v Ljubljani, v Sloveniji

[Giunga pure a voi, cari giovani universitari di Lubiana, in Slovenia, il mio saluto];

Kedves budapesti, magyarországi egyetemisták, rólatok sem feledkezem meg

[Non dimentico voi, cari giovani universitari di Budapest, in Ungheria];

56 Insellmilkom minn qalbi gheziez zghazagh ta Malta

[Affettuosamente saluto voi, cari giovani di La Valletta, in Malta];

A nakoniec pozdravujem vás, milí vysokoškoláci v Bratislave na Slovensku

[E termino salutando voi, cari giovani universitari di Bratislava, in Slovacchia].

[Benedizione]

A voi qui presenti e a quanti sono uniti a noi attraverso la radio e la televisione imparto una speciale Benedizione, che volentieri estendo alle vostre famiglie, alle vostre Nazioni e all’Europa intera.


AI CAPITANI REGGENTI


DELLA REPUBBLICA DI SAN MARINO


Lunedì, 15 marzo 2004




Signori Capitani Reggenti!

Sono lieto di porgervi il mio cordiale benvenuto, in questa circostanza in cui la più alta Magistratura della Repubblica del Titano desidera riaffermare i secolari legami esistenti tra le genti da essa rappresentate e il Successore di Pietro. Mentre ringrazio per le cortesi espressioni con le quali vi siete fatti voce dei concittadini, vi chiedo di rendervi interpreti dei miei cordiali sentimenti di vicinanza a un popolo antico, che ha fatto della libertà, dell’onestà e della laboriosità non solo un programma di vita, ma il fondamento stesso della propria esistenza civile.

Il monaco Marino, vostro Fondatore e, in certo modo, precursore dell’idea dell’Europa delle genti, vi ha consegnato valori e istituzioni che, a distanza di oltre mille e settecento anni, manifestano tuttora la loro attualità e vitalità. Essi si riassumono nel motto che contraddistingue il vostro Paese: libertas.L’antica Repubblica, che voi oggi qui degnamente rappresentate, trova le proprie ragioni fondanti in quelle radici cristiane che hanno fatto grande la storia dell’Europa. Confido che anche per il futuro la vostra Repubblica, nel programmare le proprie iniziative, continui ad ispirarsi a quei giusti criteri etici che l’hanno resa un esempio di corretta amministrazione del bene comune.

Mentre rinnovo l’espressione del mio affetto, già noto alle vostre genti sin dai primordi del mio Pontificato quando nell’agosto del 1982 ebbi modo di recarmi sul Titano, auspico che la Serenissima Repubblica di san Marino continui a testimoniare il proprio millenario patrimonio di valori nel consesso delle Nazioni. Con questi pensieri imparto a voi, ai vostri cari e a tutti i vostri concittadini la mia affettuosa Benedizione.


AI SUPERIORI ED ALUNNI DEL SEMINARIO DIOCESANO


"REDEMPTORIS MATER"


57
Giovedì, 18 marzo 2004




Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (
Mc 16,15).

1. Carissimi Superiori e alunni del Seminario diocesano “Redemptoris Mater”, sono lieto di accogliervi con queste parole di Gesù risorto, che voi ascoltate e meditate nella Festa dei Santi Cirillo e Metodio, anniversario dell’erezione canonica del vostro Seminario.

Saluto anzitutto il Cardinale Vicario e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. Saluto con affetto il vostro Rettore, Mons. Claudiano Strazzari, gli altri Superiori e formatori, e ciascuno di voi, carissimi alunni.

2. Sono trascorsi ormai più di sedici anni dall’avvio del vostro Seminario, che ha rappresentato una esperienza nuova e assai significativa, in vista della formazione di presbiteri per la nuova evangelizzazione. Da allora sono sorti nel mondo vari altri Seminari “Redemptoris Mater”, che si ispirano al vostro modello e condividono le vostre finalità.

Particolarmente abbondanti sono i frutti di bene prodotti nel corso di questi anni dal vostro Seminario. Per essi rendo grazie con voi al Signore. Per i medesimi frutti desidero inoltre ringraziare il Cammino Neocatecumenale, nel quale sono nate e cresciute le vostre vocazioni. Ringrazio pure il Rettore e gli altri vostri Superiori che, sotto la guida premurosa del Cardinale Vicario, presiedono con amore e saggezza alla vostra preparazione al sacerdozio.

Il mio grato pensiero va, inoltre, ai Fondatori del Cammino, ai quali si deve la felice intuizione di proporre l’erezione del vostro Seminario e che tanto si prodigano per favorire nel Cammino stesso la nascita di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Voglio poi ricordare con voi due Vescovi, Mons. Giulio Salimei e Mons. Maximino Romero, che - l’uno come Rettore, l’altro come Padre Spirituale - hanno grandemente contribuito, con la loro illuminata dedizione ed esemplarità di vita, allo sviluppo iniziale e alla felice configurazione del “Redemptoris Mater”.

Mi è caro anche sottolineare - come ha già ricordato il Cardinale Vicario - che in questi sedici anni sono usciti dal vostro Seminario un grande numero di zelanti sacerdoti, opportunamente dedicati in parte al servizio pastorale nella Diocesi di Roma e in parte alla missione in ogni parte del mondo, come sacerdoti “fidei donum”.

3. Per ottenere questi positivi risultati è fondamentale aver sempre chiare, nel vostro itinerario formativo, la natura e le caratteristiche del sacerdozio ministeriale, come sono illustrate dal Concilio Vaticano II e poi dall’Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis.

Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale sono infatti ordinati l’uno all’altro e intimamente collegati, partecipando entrambi, ciascuno a proprio modo, all’unico sacerdozio di Cristo. Differiscono però essenzialmente e non solo di grado (cfr Lumen gentium LG 10). In virtù del sacramento dell’Ordine i presbiteri sono configurati infatti in modo speciale a Gesù Cristo come Capo e Pastore del suo popolo e al servizio di questo popolo devono – a somiglianza di Cristo – spendere e donare la loro vita. Proprio perché rappresentano sacramentalmente Gesù Cristo capo e Pastore, sono dunque chiamati a presiedere, in stretta comunione con il Vescovo, le comunità loro affidate, secondo ciascuna delle tre dimensioni - profetica, sacerdotale e regale - in cui si articola l’unica missione di Cristo e della Chiesa (cfr Pastores dabo vobis PDV 12-16).

Carissimi seminaristi, attenendovi a questa solida dottrina nella vostra formazione e poi nell’esercizio quotidiano del ministero presbiterale potrete vivere gioiosamente la grazia del sacerdozio e assicurare un servizio autentico e fecondo alla Diocesi di Roma e alle Chiese sorelle in cui verrete inviati.

58 La preghiera, lo studio, la vita comunitaria, ben armonizzati nel progetto formativo e messi in pratica con fedeltà e generosità nell’esistenza concreta del vostro Seminario, sono le vie attraverso le quali il Signore scolpisce in voi, giorno dopo giorno, l’immagine di Cristo Buon Pastore.

4. Su queste basi potete anche prepararvi a vivere, quando sarete sacerdoti, in modo sereno e proficuo la vostra appartenenza costitutiva e senza riserve al presbiterio diocesano, che ha nel Vescovo il suo punto di riferimento essenziale, e al contempo il profondo legame che vi unisce all’esperienza del Cammino Neocatecumenale. Come è scritto infatti nell’art. 18 dello Statuto del Cammino, nei Seminari diocesani e missionari “Redemptoris Mater”, “i candidati al sacerdozio trovano nella partecipazione al Cammino Neocatecumenale un elemento specifico e basilare del cammino formativo e, al contempo, sono preparati alla genuina scelta presbiterale di servizio all’intero popolo di Dio, nella comunione fraterna del presbiterio”.

Ugualmente, occorre evitare una falsa alternativa tra il servizio pastorale nella Diocesi a cui appartenete e la missione universale, sino agli ultimi confini della terra, che è radicata nella stessa partecipazione sacramentale al sacerdozio di Cristo (cfr Pastores dabo vobis
PDV 17-18) e a cui voi siete particolarmente preparati attraverso l’esperienza del Cammino Neocatecumenale.

La vostra concreta destinazione compete infatti al Vescovo, che ha a cuore sia le necessità della propria Diocesi sia le esigenze della missione universale. Affidandovi in atteggiamento di fiduciosa e cordiale ubbidienza alle sue decisioni voi troverete la vostra pace e serenità interiore e potrete in ogni caso esprimere il vostro carisma missionario, dato che anche qui a Roma la pastorale è, e dovrà essere sempre più, caratterizzata dalla priorità dell’evangelizzazione.

5. Carissimi Superiori e alunni del Seminario “Redemptoris Mater” di Roma, guardate sempre con gli occhi della fede la vostra vita, la vostra vocazione e la vostra missione. Al termine di questo incontro desidero di nuovo manifestarvi l’affetto e la fiducia che ho per voi e assicurare la mia costante preghiera per ciascuno di voi, per l’intero Seminario, per le comunità del Cammino Neocatecumenale e specialmente per le vocazioni al sacerdozio che in esse maturano.

Con questi sentimenti imparto a voi tutti e a quanti vi sono cari l’Apostolica Benedizione.




AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE SU


"I TRATTAMENTI DI SOSTEGNO VITALE E LO STATO VEGETATIVO.


PROGRESSI SCIENTIFICI E DILEMMI ETICI"


(17-20 MARZO 2004, AUGUSTINIANUM)


Sabato, 20 marzo 2004




Illustri Signore e Signori!

1. Saluto molto cordialmente tutti voi partecipanti al Congresso Internazionale "Life-Sustaining Treatments and Vegetative State: Scientific Advances and Ethical Dilemmas". Un saluto particolare desidero rivolgere a Mons. Elio Sgreccia, Vice-Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ed al Professor Gian Luigi Gigli, Presidente della Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici e generoso paladino del fondamentale valore della vita, il quale s’è fatto amabilmente interprete dei comuni sentimenti.

Questo importante Congresso, organizzato insieme dalla Pontificia Accademia per la Vita e dalla Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, sta affrontando un tema di grande rilevanza: la condizione clinica denominata "stato vegetativo". I complessi risvolti scientifici, etici, sociali e pastorali di tale condizione necessitano di una profonda riflessione e di un proficuo dialogo interdisciplinare, così come dimostra il denso ed articolato programma dei vostri lavori.

2. La Chiesa con viva stima e sincera speranza incoraggia gli sforzi degli uomini di scienza che dedicano quotidianamente, talvolta con grandi sacrifici, il loro impegno di studio e di ricerca per il miglioramento delle possibilità diagnostiche, terapeutiche, prognostiche e riabilitative nei confronti di questi pazienti totalmente affidati a chi li cura e li assiste. La persona in stato vegetativo, infatti, non dà alcun segno evidente di coscienza di sé o di consapevolezza dell'ambiente e sembra incapace di interagire con gli altri o di reagire a stimoli adeguati.

59 Gli studiosi avvertono che è necessario anzitutto pervenire ad una corretta diagnosi, che normalmente richiede una lunga ed attenta osservazione in centri specializzati, tenuto conto anche dell'alto numero di errori diagnostici riportati in letteratura. Non poche di queste persone, poi, con cure appropriate e con programmi di riabilitazione mirati, sono in grado di uscire dallo stato vegetativo. Molti altri, al contrario, restano purtroppo prigionieri del loro stato anche per tempi molto lunghi e senza necessitare di supporti tecnologici.

In particolare, per indicare la condizione di coloro il cui "stato vegetativo" si prolunga per oltre un anno, è stato coniato il termine di stato vegetativo permanente. In realtà, a tale definizione non corrisponde una diversa diagnosi, ma solo un giudizio di previsione convenzionale, relativo al fatto che la ripresa del paziente è, statisticamente parlando, sempre più difficile quanto più la condizione di stato vegetativo si prolunga nel tempo.

Tuttavia, non va dimenticato o sottovalutato come siano ben documentati casi di recupero almeno parziale, anche a distanza di molti anni, tanto da far affermare che la scienza medica, fino ad oggi, non è ancora in grado di predire con sicurezza chi tra i pazienti in queste condizioni potrà riprendersi e chi no.

3. Di fronte ad un paziente in simili condizioni cliniche, non manca chi giunge a mettere in dubbio il permanere della sua stessa "qualità umana", quasi come se l'aggettivo "vegetale" (il cui uso è ormai consolidato), simbolicamente descrittivo di uno stato clinico, potesse o dovesse essere invece riferito al malato in quanto tale, degradandone di fatto il valore e la dignità personale. In questo senso, va rilevato come il termine in parola, pur confinato nell'ambito clinico, non sia certamente il più felice in riferimento a soggetti umani.

In opposizione a simili tendenze di pensiero, sento il dovere di riaffermare con vigore che il valore intrinseco e la personale dignità di ogni essere umano non mutano, qualunque siano le circostanze concrete della sua vita. Un uomo, anche se gravemente malato od impedito nell'esercizio delle sue funzioni più alte, è e sarà sempre un uomo, mai diventerà un "vegetale" o un "animale".

Anche i nostri fratelli e sorelle che si trovano nella condizione clinica dello "stato vegetativo" conservano tutta intera la loro dignità umana. Lo sguardo amorevole di Dio Padre continua a posarsi su di loro, riconoscendoli come figli suoi particolarmente bisognosi di assistenza.

4. Verso queste persone, medici e operatori sanitari, società e Chiesa hanno doveri morali dai quali non possono esimersi, senza venir meno alle esigenze sia della deontologia professionale che della solidarietà umana e cristiana.

L'ammalato in stato vegetativo, in attesa del recupero o della fine naturale, ha dunque diritto ad una assistenza sanitaria di base (nutrizione, idratazione, igiene, riscaldamento, ecc.), ed alla prevenzione delle complicazioni legate all'allettamento. Egli ha diritto anche ad un intervento riabilitativo mirato ed al monitoraggio dei segni clinici di eventuale ripresa.

In particolare, vorrei sottolineare come la somministrazione di acqua e cibo, anche quando avvenisse per vie artificiali, rappresenti sempre un mezzo naturale di conservazione della vita, non un atto medico. Il suo uso pertanto sarà da considerarsi, in linea di principio, ordinario e proporzionato, e come tale moralmente obbligatorio, nella misura in cui e fino a quando esso dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che nella fattispecie consiste nel procurare nutrimento al paziente e lenimento delle sofferenze.

L'obbligo di non far mancare "le cure normali dovute all'ammalato in simili casi" (Congr. Dottr. Fede, Iura et bona, p. IV) comprende, infatti, anche l'impiego dell'alimentazione e idratazione (cfr Pont. Cons. «Cor Unum », Dans le cadre, 2.4.4; Pont. Cons. Past . Operat. Sanit., Carta degli Operatori Sanitari, n. 120). La valutazione delle probabilità, fondata sulle scarse speranze di recupero quando lo stato vegetativo si prolunga oltre un anno, non può giustificare eticamente l'abbandono o l'interruzione delle cure minimali al paziente, comprese alimentazione ed idratazione. La morte per fame e per sete, infatti, è l'unico risultato possibile in seguito alla loro sospensione. In tal senso essa finisce per configurarsi, se consapevolmente e deliberatamente effettuata, come una vera e propria eutanasia per omissione.

A tal proposito, ricordo quanto ho scritto nell'Enciclica Evangelium vitae, chiarendo che "per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un'azione o un'omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore"; una tale azione rappresenta sempre "una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana" (n. 65).

60 Del resto, è noto il principio morale secondo cui anche il semplice dubbio di essere in presenza di una persona viva già pone l'obbligo del suo pieno rispetto e dell'astensione da qualunque azione mirante ad anticipare la sua morte.

5. Su tale riferimento generale non possono prevalere considerazioni circa la "qualità della vita", spesso dettate in realtà da pressioni di carattere psicologico, sociale ed economico.

Innanzitutto, nessuna valutazione di costi può prevalere sul valore del fondamentale bene che si cerca di proteggere, la vita umana. Inoltre, ammettere che si possa decidere della vita dell'uomo sulla base di un riconoscimento dall'esterno della sua qualità, equivale a riconoscere che a qualsiasi soggetto possano essere attribuiti dall'esterno livelli crescenti o decrescenti di qualità della vita e quindi di dignità umana, introducendo un principio discriminatorio ed eugenetico nelle relazioni sociali.

Inoltre, non è possibile escludere a priori che la sottrazione dell'alimentazione e idratazione, secondo quanto riportato da seri studi, sia causa di grandi sofferenze per il soggetto malato, anche se noi possiamo vederne solo le reazioni a livello di sistema nervoso autonomo o di mimica. Le moderne tecniche di neurofisiologia clinica e di diagnosi cerebrale per immagini, infatti, sembrano indicare il perdurare in questi pazienti di forme elementari di comunicazione e di analisi degli stimoli.

6. Non basta, tuttavia, riaffermare il principio generale secondo cui il valore della vita di un uomo non può essere sottoposto ad un giudizio di qualità espresso da altri uomini; è necessario promuovere azioni positive per contrastare le pressioni per la sospensione della idratazione e della nutrizione, come mezzo per porre fine alla vita di questi pazienti.

Occorre innanzitutto sostenere le famiglie, che hanno avuto un loro caro colpito da questa terribile condizione clinica. Esse non possono essere lasciate sole col loro pesante carico umano, psicologico ed economico. Benché l'assistenza a questi pazienti non sia in genere particolarmente costosa, la società deve impegnare risorse sufficienti per la cura di questo tipo di fragilità, attraverso la realizzazione di opportune iniziative concrete quali, ad esempio, la creazione di una rete capillare di unità di risveglio, con programmi specifici di assistenza e riabilitazione; il sostegno economico e l'assistenza domiciliare alle famiglie, quando il paziente verrà trasferito a domicilio al termine dei programmi di riabilitazione intensiva; la creazione di strutture di accoglienza per i casi in cui non vi sia una famiglia in grado di fare fronte al problema o per offrire periodi di "pausa" assistenziale alle famiglie a rischio di logoramento psicologico e morale.

L'assistenza appropriata a questi pazienti e alle loro famiglie dovrebbe, inoltre, prevedere la presenza e la testimonianza del medico e dell'équipe assistenziale, ai quali è chiesto di far comprendere ai familiari che si è loro alleati e che si lotta con loro; anche la partecipazione del volontariato rappresenta un sostegno fondamentale per far uscire la famiglia dall'isolamento ed aiutarla a sentirsi parte preziosa e non abbandonata della trama sociale.

In queste situazioni, poi, riveste particolare importanza la consulenza spirituale e l'aiuto pastorale, come ausilio per recuperare il significato più profondo di una condizione apparentemente disperata.

7. Illustri Signore e Signori, in conclusione vi esorto, come persone di scienza, responsabili della dignità della professione medica, a custodire gelosamente il principio secondo cui vero compito della medicina è di "guarire se possibile, aver cura sempre" (to cure if possibile, always to care).

A suggello e sostegno di questa vostra autentica missione umanitaria di conforto e di assistenza verso i fratelli sofferenti, vi ricordo le parole di Gesù: "In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (
Mt 25,40).

In questa luce, invoco su di voi l’assistenza di Colui che una suggestiva formula patristica qualifica come Christus medicus e, nell’affidare il vostro lavoro alla protezione di Maria, Consolatrice degli afflitti e conforto dei morenti, a tutti imparto con affetto una speciale Benedizione Apostolica.

LX ANNIVERSARIO DELLA DISTRUZIONE-RICOSTRUZIONE

DELL'ABBAZIA BENEDETTINA E NEL XL DELLA PROCLAMAZIONE

DI SAN BENEDETTO PATRONO D'EUROPA

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II

A PADRE BERNARDO D'ONORIO, ABATE DI MONTECASSINO




61 Al Venerato Fratello

P. BERNARDO D'ONORIO, O.S.B.

Abate di Montecassino

Sono trascorsi sessant'anni dagli eventi bellici, che segnarono drammaticamente la storia di Montecassino e del suo territorio, ma la loro eco è ancora presente e viva negli animi e nelle vicende di tante persone e famiglie di codesta antica ed illustre Terra. Il 15 febbraio 1944, un terribile bombardamento rase al suolo l'Abbazia; un mese dopo, il 15 marzo, fu colpita la città di Cassino. Finalmente, però, il 18 maggio cessarono i combattimenti ed iniziò una vita nuova nella regione.

Le sono grato, caro Padre Abate, per avermi informato circa le celebrazioni che la comunità diocesana e cittadina, stretta attorno alla venerata tomba di san Benedetto, si appresta a svolgere, ritornando col pensiero a quei mesi di sofferenza e di dolore, ma anche di speranza e di solidarietà. Colgo volentieri quest'opportunità per rivolgere a tutta il mio cordiale saluto, con l'assicurazione della mia spirituale vicinanza, rafforzata dal costante ricordo delle visite che ho avuto la possibilità di compiere all'Abbazia e al vicino cimitero polacco.

Mentre si commemorano i lutti e le distruzioni, mi unisco nella preghiera a quanti rinnovano il cristiano suffragio per tutte le vittime. Il pensiero va anche, in questo momento, a tutti coloro che offrirono il loro apporto alla causa della giustizia e della pace. Desidero, in particolare, fissare lo sguardo sull'Abbazia di Montecassino, vero scrigno di un tesoro prezioso di spiritualità, di cultura, di arte. Il fatto che l'antico Monastero sia stato raso al suolo dalla guerra, ma poi sia stato perfettamente ricostruito, diventa per noi credenti un invito alla speranza, spingendoci a vedere nella vicenda quasi un simbolo della vittoria di Cristo sul male e della possibilità che l'uomo ha, con la forza della fede in Dio e dell'amore fraterno, di superare i più aspri conflitti per far trionfare il bene, la giustizia e la concordia.

La Seconda Guerra Mondiale è stata una voragine di violenza, di distruzione e di morte quale mai prima s'era conosciuta (cfr Messaggio per la XXXVII Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2004, n. 5). La vicenda di Montecassino merita di essere commemorata e proposta quale monito alla riflessione e richiamo per tutti al senso di responsabilità. Le nuove generazioni italiane ed europee, per loro fortuna, non hanno vissuto direttamente la guerra. Anch'esse tuttavia hanno conoscenza dei drammi provocati dalle guerre a causa delle vittime che non pochi conflitti stanno procurando in varie parti del mondo. I giovani sono la speranza dell'umanità: devono pertanto poter crescere in un clima di costante e fattiva educazione alla pace. È necessario che apprendano dalla storia una fondamentale lezione di vita e di solidale convivenza: il diritto della forza distrugge, mentre la forza del diritto costruisce.

È questo il pensiero che affido alla considerazione di quanti prendono parte a queste celebrazioni commemorative. Ad esse mi rendo spiritualmente presente con una speciale preghiera a san Benedetto, che proprio quarant'anni or sono fu proclamato Patrono d'Europa. Invoco anche i santi Cirillo e Metodio, Compatroni del Continente, dei quali ieri abbiamo celebrato fa festa, e soprattutto la Vergine Maria, Regina della pace. Possa la famiglia delle Nazioni conoscere un rinnovato e corale impegno per la pace nella giustizia.

A Lei, venerato Fratello, ai Reverendi Monaci, alle Autorità civili e militari ed all'intera popolazione invio di cuore l'implorata Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 15 febbraio, 2004

GIOVANNI PAOLO II


MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


ALLE PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE


DELLE SUORE MISSIONARIE


DELL’APOSTOLATO CATTOLICO (PALLOTTINE)




A Suor Stella Holisz,
Superiora Generale
62 delle Suore Missionarie dell'Apostolato Cattolico

Con grande affetto nel Signore, invio i miei saluti a lei e a tutte le Suore Missionarie dell'Apostolato Cattolico in occasione del vostro Quindicesimo Capitolo Generale, durante il quale rifletterete sul tema: "Ravviva il tuo primo amore - rispondi alle sfide attuali". Assicurandovi delle mie preghiere per il felice esito del vostro incontro, rendo grazie al Signore per la vostra dedizione al suo Regno. Guidate dallo Spirito Santo e ispirate dall'esempio di san Vincenzo Pallotti, sono fiducioso che il vostro Capitolo sarà per tutte le suore una fonte di incoraggiamento a rinnovare il loro impegno di testimoniare l'unità indissolubile dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo (cfr Vita consecrata
VC 63).

La vostra vocazione di missionarie, modellata sulla vita degli Apostoli, mostra in modo eloquente che più si vive in Cristo, meglio lo si può servire negli altri, spingendosi fino agli avamposti della missione, e assumendo i più grandi rischi (cfr Ibidem, n. 76). Il fermo impegno a fare conoscere e amare Cristo ha le sue sublimi origini nell'"amore fontale" del Padre reso presente nella missione del Figlio e dello Spirito Santo (cfr Ad gentes AGD 2). Assorbite dall'amore spronante di Cristo, non potete tacere (cfr Ac 4,20) su questa fonte della speranza e della gioia che ha animato la vostra prima risposta alla chiamata del Signore, e che ha continuato a rafforzarvi nella vita di servizio apostolico agli altri.

In un mondo in cui le ombre della povertà, dell'ingiustizia e del secolarismo cadono su ogni continente, il bisogno di discepoli autentici di Gesù Cristo è più che mai urgente. È proprio la testimonianza del Vangelo di Cristo a disperdere il buio e a illuminare il cammino della pace, alimentando la speranza nel cuore delle persone, anche di quelle più emarginate e reiette. Gli uomini e le donne di molte religioni, culture e gruppi sociali che incontrate, che sono alla ricerca di un significato e di una dignità nella loro vita, non potranno mai vedere i loro desideri esauditi da una religiosità vaga. Solo attraverso una gioiosa fedeltà a Cristo e proclamandolo con audacia come Signore - una testimonianza fondata sul suo comandamento di andare e ammaestrare tutte le nazioni (cfr Mt 28,19) - potete aiutare gli altri a conoscerlo. Così facendo, sperimenterete la piena bellezza e la fecondità della vostra vocazione missionaria.

Care Sorelle, la Chiesa guarda a voi affinché "parliate" di Cristo a coloro che servite e lo "mostriate" a loro (cfr Novo Millennio ineunte NM 16). Questa testimonianza esige che voi stesse contempliate prima il volto di Cristo. I vostri programmi di formazione iniziale e permanente, pertanto, devono aiutare tutte le suore a conformarsi totalmente a Cristo e al suo amore del Padre. Affinché tale formazione sia autenticamente cristiana, ogni suo aspetto deve basarsi su fondamenta spirituali profonde che modellino la vita di ogni suora. In questo modo, non solo continuerete a "vedere" Dio con gli occhi della fede, ma sarete anche efficaci nel rendere la sua presenza "percepibile" agli altri attraverso l'esempio della vostra vita (cfr Vita consecrata VC 68), una vita caratterizzata dallo zelo e dalla compassione per i poveri, così facilmente associati al vostro amato Fondatore.

Invocando su di voi l'intercessione di san Vincenzo Pallotti, del quale oggi viene celebrato l'anniversario del dies natalis, e la protezione della vostra Patrona, Maria, Regina degli Apostoli, imparto volentieri a lei e a tutte le Suore Missionarie dell'Apostolato Cattolico la mia Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 22 gennaio 2004

GIOVANNI PAOLO II



AI MEMBRI DEL DIRETTIVO


DEL PREMIO CARLO MAGNO


Mercoledì, 24 marzo 2004




Egregio Signor Sindaco,
gentili membri del Direttivo del Premio Carlo Magno,
Eminenze Reverendissime,
63 Eccellenze, stimati ospiti,
egregi signori!

1. Porgo a tutti un cordiale benvenuto qui nel Vaticano. Un saluto particolare rivolgo ai rappresentanti della città di Aquisgrana con il Sindaco Signor Linden e agli ospiti della Repubblica Federale Tedesca. Consapevoli che alla Chiesa Cattolica sta a cuore l’unione dell’Europa, siete venuti qui per rendere onore al Successore di Pietro col Premio Internazionale Carlo Magno. Se oggi posso ricevere questo Premio conferito in modo straordinario e unico, lo faccio con gratitudine verso Dio onnipotente, che ha colmato i popoli europei con lo spirito della riconciliazione, della pace e dell’unità.

2. Il premio, con il quale la città di Aquisgrana suole onorare i meriti verso l’Europa, ben a ragione prende il nome dall’imperatore Carlo Magno. Infatti, il re dei Franchi, che costituì Aquisgrana capitale del suo regno, diede un contributo essenziale ai fondamenti politici e culturali dell’Europa e, pertanto, già dai suoi contemporanei meritò di ricevere il nome di Pater Europae. L’unione felice della cultura classica e della fede cristiana con le tradizioni di diversi popoli ha preso forma nell’impero di Carlo e si è sviluppata in varie forme come eredità spirituale-culturale dell’Europa lungo i secoli. Anche se l’Europa moderna presenta sotto molti aspetti una realtà nuova, si può tuttavia riconoscere un alto valore simbolico alla figura storica di Carlo Magno.

3. Oggi l’unità europea che va crescendo ha anche altri padri. Da una parte, non si devono sottovalutare quei pensatori e operatori politici che hanno dato e danno la priorità alla riconciliazione e alla crescita congiunta dei loro popoli invece di insistere sui propri diritti e sull’esclusione. In questo contesto vorrei ricordare coloro che finora sono stati premiati; alcuni di loro possiamo salutare qui presenti. La Sede Apostolica riconosce ed incoraggia la loro attività e l’impegno di tante altre personalità a favore della pace e dell’unità dei popoli europei. Particolarmente ringrazio tutti coloro che hanno messo le loro forze a servizio della costruzione della comune Casa europea sulla base dei valori trasmessi dalla fede cristiana come anche sulla base della cultura occidentale.

4. Trovandosi la Santa Sede in territorio europeo, la Chiesa ha relazioni particolari con i popoli di questo continente. Perciò sin dall’inizio la Santa Sede ha preso parte al processo dell’integrazione europea. Dopo i terrori della seconda Guerra Mondiale il mio predecessore Pio XII d.v.m. ha mostrato il vivo interesse della Chiesa, appoggiando esplicitamente l’idea della formazione di un’“unione europea”, non lasciando dubbi circa il fatto che per una valida e durevole affermazione di una tale unione è necessario rifarsi al cristianesimo come fattore che crea identità e unità (cfr. Discorso dell’11 Novembre 1948 all’unione dei federalisti europei a Roma).

5. Egregi Signori e Signore! Qual è l’Europa che oggi si dovrebbe sognare? Mi si consenta di tracciare qui un rapido abbozzo della visione che ho di un’Europa unita.

Penso ad un’Europa senza nazionalismi egoistici, nella quale le nazioni vengono viste come centri vivi di una ricchezza culturale che merita di essere protetta e promossa a vantaggio di tutti.

Penso ad un’Europa nella quale le conquiste della scienza, dell’economia e del benessere sociale non si orientano ad un consumismo privo di senso, ma stanno al servizio di ogni uomo in necessità e dell’aiuto solidale per quei paesi che cercano di raggiungere la meta della sicurezza sociale. Possa l’Europa, che ha sofferto nella sua storia tante guerre sanguinose, divenire un fattore attivo della pace nel mondo!

Penso ad un’Europa la cui unità si fonda sulla vera libertà. La libertà di religione e le libertà sociali sono maturate come frutti preziosi sull’humus del Cristianesimo. Senza libertà non c’è responsabilità: né davanti a Dio, né di fronte agli uomini. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa vuole dare un ampio spazio alla libertà. Lo stato moderno è consapevole di non poter essere uno stato di diritto se non protegge e promuove la libertà dei cittadini nelle loro possibilità di espressione sia individuali che collettive.

Penso ad un’Europa unita grazie all’impegno dei giovani. Con tanta facilità i giovani si capiscono tra di loro, al di là dei confini geografici! Come può nascere, però, una generazione giovanile che sia aperta al vero, al bello, al nobile e a ciò che è degno di sacrificio, se in Europa la famiglia non si presenta più come un’istituzione aperta alla vita e all’amore disinteressato? Una famiglia della quale anche gli anziani sono parte integrante in vista di ciò che è più importante: la mediazione attiva dei valori e del senso della vita.

64 L’Europa che ho in mente è un’unità politica, anzi spirituale, nella quale i politici cristiani di tutti i paesi agiscono nella coscienza delle ricchezze umane che la fede porta con sé: uomini e donne impegnati a far diventare fecondi tali valori, ponendosi al servizio di tutti per un’Europa dell’uomo, sul quale splenda il volto di Dio.

Questo è il sogno che porto nel cuore e che vorrei affidare in questa occasione a Lei e alle generazioni future.

6. Egregio Signor Sindaco, di nuovo vorrei ringraziare Lei e il Direttivo del Premio Carlo Magno. Di cuore imploro abbondanti benedizioni di Dio sulla Città e sulla Diocesi di Aquisgrana e su tutti quelli che si impegnano per il bene vero degli uomini e dei popoli d’Europa.


GP2 Discorsi 2004 53