GP2 Discorsi 2004 117

117 Mentre ringrazio per il pensiero rivolto alla mia persona nella ricorrenza dell’84° genetliaco, auguro che ciascuno di quanti, a vario modo, partecipano alla manifestazione sappia diventare convinto fautore di dialogo, per allargare sempre più gli spazi di libertà, di civiltà e di intesa nella società contemporanea.

Con tali voti, di cuore tutti benedico.

Dal Vaticano, 18 maggio 2004

IOANNES PAULUS II



AI PARTECIPANTI ALLA 53a ASSEMBLEA GENERALE

DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA


Giovedì, 20 maggio 2004




Carissimi Fratelli nell'Episcopato!

1. "Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre nostro e del Signore Gesù Cristo" (Ga 1,3). Con queste parole dell'apostolo Paolo rivolgo il mio saluto affettuoso a ciascuno di voi e vi assicuro la mia vicinanza nella preghiera, perché il Signore illumini e sostenga la vostra quotidiana fatica di Pastori, al servizio della Chiesa e della diletta Nazione italiana.

Saluto in particolare il vostro Presidente, Cardinale Camillo Ruini, che ringrazio per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Saluto pure gli altri Cardinali, i Vicepresidenti della vostra Conferenza e il Segretario Generale.

2. In questa vostra Assemblea Generale avete continuato la riflessione sulla parrocchia, alla quale già dedicaste l'Assemblea del novembre scorso ad Assisi, in vista di giungere a proposte condivise per il necessario rinnovamento, nella prospettiva della nuova evangelizzazione, di questa fondamentale realtà ecclesiale. Specialmente in Italia, la parrocchia assicura la costante e premurosa vicinanza della Chiesa a tutta la popolazione, dei cui bisogni spirituali si fa carico, non mancando di interessarsi spesso anche di tante altre necessità, per offrire a ciascuno la possibilità di un cammino di fede che lo introduca più profondamente nella vita della Chiesa e rendendolo partecipe della sua missione apostolica.

A questo proposito, carissimi Fratelli Vescovi, conosco e condivido profondamente la vostra sollecitudine per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata e desidero rivolgere, anche a vostro nome, un caldo invito ai giovani e alle ragazze d'Italia, affinché prendano in attenta e serena considerazione ed eventualmente accolgano, non con timore ma con gioia, la chiamata che il Signore rivolgesse loro: essa è un dono straordinario, che apre nuovi orizzonti di vita per coloro che sono chiamati e per tanti loro fratelli e sorelle.

Il medesimo invito alla disponibilità e alla fiducia rivolgo alle famiglie delle persone chiamate, oggi tante volte preoccupate per il futuro dei propri figli. Dico loro: non fermatevi a considerazioni di corto respiro. Sappiate che il Signore non si lascia vincere in generosità e che ogni sua chiamata è una grande benedizione anche per la famiglia di colui che è chiamato.

3. Un altro argomento della vostra Assemblea è quello tanto importante delle comunicazioni sociali, con la presentazione e l'esame del Direttorio intitolato "Comunicazione e Missione".

118 Conosciamo bene l'influsso penetrante che i media esercitano oggi sui modi di pensare e sui comportamenti, personali e collettivi, orientando ad una visione della vita che, purtroppo, tende spesso a corrodere fondamentali valori etici, in particolare quelli che riguardano la famiglia.

I mezzi di comunicazione si prestano però ad essere impiegati anche con ben diverse finalità e risultati, contribuendo in notevole misura all'affermazione di positivi modelli di vita e alla stessa diffusione del Vangelo.

Il Papa è pertanto al vostro fianco, carissimi Vescovi italiani, nell'impegno con cui, ormai da molti anni, sostenete e promuovete il quotidiano cattolico e i settimanali diocesani, e più di recente avete preso cura di una qualificata presenza cristiana in ambito radio-televisivo. Auspico vivamente che tutti i cattolici italiani comprendano e condividano l'importanza di questo impegno, contribuendo così a rendere più positivo e più sereno il clima culturale in cui tutti viviamo.

4. Il terrorismo, gli atti di guerra, le violazioni dei diritti umani che rendono tanto difficile e pericolosa la situazione internazionale pesano grandemente, cari Fratelli Vescovi, sui nostri cuori. Continuo ad unirmi alla vostra preghiera, in particolare per coloro che sono trattenuti in ostaggio in Iraq, per quanti rischiano la vita e per quanti la perdono nell'adempimento del loro dovere.

Apprezzo molto l'iniziativa che da più di un anno avete assunto di farvi promotori di pellegrinaggi di pace in Terra Santa e la incoraggio di tutto cuore. Molti di voi si sono personalmente recati in quei luoghi, portando con sé numerosi pellegrini. E’ questo anche un forte segno di vicinanza e di solidarietà per le comunità cristiane che vivono colà e che hanno grande bisogno del nostro aiuto.

5. Carissimi Vescovi italiani, condivido cordialmente l'attenzione che dedicate alla vita di questa diletta Nazione.

Occorre, in particolare, che sui motivi di contrasto e contrapposizione prevalga la ricerca sincera del bene comune, affinché il cammino dell'Italia possa farsi più spedito e abbia inizio una nuova fase di sviluppo, con la creazione di più numerosi posti di lavoro, tanto necessari specialmente in alcune regioni meridionali.

Un tema decisivo, sul quale vanno moltiplicati gli sforzi, rimane quello della famiglia fondata sul matrimonio, della tutela e dell'accoglienza della vita e della responsabilità primaria dei genitori nell'educazione. Ripeto oggi con voi le parole che costituivano quest'anno il tema della Giornata per la vita: "Senza figli non c'è futuro!". E’ davvero necessario e urgente, per il futuro dell'Italia, uno sforzo convergente delle politiche sociali, della pastorale della Chiesa e di tutti coloro che sono in grado di influire sul sentire comune, affinché le giovani coppie riscoprano la gioia di generare e di educare figli, partecipando in modo singolare all'opera del Creatore.

6. Carissimi Vescovi italiani, vi assicuro la mia quotidiana preghiera per voi, per le vostre Chiese, per l'intera comunità nazionale, affinché il popolo italiano possa mantenere sempre viva, e mettere al servizio dell'Europa unita, che si va costruendo, la sua grande eredità di fede e di cultura.

Con sentimenti di profondo affetto imparto a voi, ai vostri sacerdoti, a ciascuna Diocesi e ad ogni parrocchia italiana una speciale Benedizione Apostolica.

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AL CARDINALE RENATO RAFFAELE MARTINO


PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO


DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE




Al Cardinale Renato Raffaele Martino
119 Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

In occasione dell'incontro organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sul tema dello "sviluppo economico e sociale dell'Africa nell'era della globalizzazione", rivolgo a tutti i partecipanti un saluto affettuoso. I numerosi focolai di violenza che insanguinano l'Africa, l'Aids e le altre pandemie, nonché i drammi della miseria e delle ingiustizie continuano a pesare sul futuro del Continente, producendo effetti negativi che ipotecano lo sviluppo solidale dell'Africa e l'instaurazione duratura della pace e di una società giusta ed equa. Il Continente ha urgente bisogno di pace, di giustizia e di riconciliazione, come pure dell'aiuto dei Paesi industrializzati, chiamati a sostenere il suo sviluppo, affinché i popoli dell'Africa siano davvero protagonisti del loro futuro, artefici e soggetti del loro destino. Per questo, è importante preparare alle loro responsabilità future le giovani generazioni, che domani saranno i responsabili dei diversi ambiti della società. Possa la Comunità internazionale contribuire, con determinazione e generosità, a promuovere una società di giustizia e di pace nel Continente africano! Le comunità cattoliche del mondo intero sono invitate a sostenere i loro fratelli dell'Africa per consentire loro di condurre un vita più umana e più fraterna. Affidando tutti i partecipanti all'incontro alla Vergine Maria, Nostra Signora dell'Africa, imparto loro la mia particolare Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 21 maggio 2004

GIOVANNI PAOLO II



A S.E. L'ONOREVOLE HELEN CLARK


PRIMO MINISTRO DELLA NUOVA ZELANDA


Venerdì, 21 maggio 2004




Primo Ministro,

sono lieto di porgerle il benvenuto in Vaticano e attraverso di Lei di salutare il popolo della sua nazione. I neozelandesi hanno sempre amato i valori fondamentali della libertà, della giustizia e della pace. Infatti, di fronte all'aggressione o alla minaccia, hanno cercato con generosità di difendere e promuovere questi diritti nel Pacifico e altrove.

Oggi, nel nostro mondo tanto tormentato dal flagello delle divisioni razziali e dai conflitti, incoraggio Lei e i suoi concittadini a promuovere il dialogo. Nel riconoscere la dignità di ogni persona donata da Dio, il dialogo conduce al riconoscimento della diversità e schiude la mente all'accettazione e alla collaborazione autentica richieste dalla vocazione fondamentale della famiglia umana all'unità.

Su di voi e su tutto il popolo della Nuova Zelanda, invoco di cuore le abbondanti benedizioni di Dio Onnipotente.




AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE


DEGLI STATI UNITI D’AMERICA (REGIONE X)


IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"


Sabato, 22 maggio 2004

Cari Fratelli Vescovi,


1. È con grande gioia che vi do il benvenuto, Vescovi delle Province Ecclesiastiche di san Antonio e di Oklahoma City, in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum. Sono lieto del fatto che negli ultimi mesi ho potuto incontrare così tanti Vescovi del vostro Paese che ospita una comunità cattolica tanto ampia e vibrante. "Ringraziamo sempre Dio per tutti voi... continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo" (1Th 1,2-3). Queste visite non solo rafforzano il vincolo che ci lega, ma ci offrono anche l'opportunità unica di esaminare più da vicino la grande opera già compiuta e le sfide che la Chiesa deve ancora affrontare negli Stati Uniti.

120 Nei miei ultimi colloqui ho affrontato i temi legati al munus sanctificandi. In particolare, ho preso in considerazione la chiamata universale alla santità e l'importanza di una comunione amorevole con Dio e con il prossimo quali elementi chiave della santificazione personale e comunitaria. "Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza: chiamandolo all'esistenza per amore, l'ha chiamato nello stesso tempo all'amore" (Familiaris consortio FC 11 cfr 1, 26-27). Queste relazioni essenziali sono basate sull'amore di Dio e fungono da punto di riferimento per tutta l'attività umana.

La vocazione e il dovere di ogni persona di amare non solo ci donano la capacità di cooperare con il Signore nella sua missione santificatrice, ma anche suscitano in noi il desiderio di farlo. Di conseguenza, in questa mia riflessione conclusiva sulla santificazione, desidero concentrarmi in modo particolare su una delle pietre d'angolo della Chiesa stessa, ossia quell'insieme di rapporti interpersonali chiamato famiglia (cfr Familiaris consortio FC 11).

2. La vita familiare è santificata dall'unione di un uomo e di una donna nell'istituzione sacramentale del matrimonio santo. Di conseguenza, è fondamentale che il matrimonio cristiano venga compreso nel senso più pieno e sia presentato sia come istituzione naturale sia come realtà sacramentale. Oggi, molte persone comprendono chiaramente la natura secolare del matrimonio, che include i diritti e i doveri che la società moderna considera fattori determinanti di un contratto matrimoniale. Tuttavia, pare che alcune persone non comprendano, invece, la dimensione intrinsecamente religiosa di questa alleanza.

È raro che la società moderna dia importanza alla natura permanente del matrimonio. Infatti, l'atteggiamento della società verso il matrimonio richiede che la Chiesa cerchi di offrire una migliore istruzione prematrimoniale volta all'instaurazione di coppie con questa vocazione e insista affinché le sue scuole cattoliche e i suoi programmi di educazione religiosa garantiscano che i giovani, molti dei quali provengono da famiglie disgregate, vengano istruiti fin da piccoli sul Sacramento del matrimonio secondo il Magistero ecclesiale. A questo proposito, ringrazio i Vescovi degli Stati Uniti per la loro sollecitudine nell'offrire una catechesi corretta sul matrimonio ai fedeli laici delle proprie Diocesi. Vi incoraggio a continuare a porre grande enfasi sul matrimonio in quanto vocazione cristiana alla quale le coppie sono chiamate e a offrire loro gli strumenti per viverlo pienamente attraverso programmi di preparazione coniugale che siano "seri nello scopo, eccellenti nel contenuto, di sufficiente lunghezza e di natura obbligatoria" (cfr Direttorio per il Ministero Pastorale dei Vescovi, 202).

3. La Chiesa insegna che l'amore di un uomo e di una donna, reso santo nel Sacramento del matrimonio, riflette l'amore eterno di Dio per la sua creazione (cfr Prefazione al matrimonio III). Parimenti, la comunione di amore presente nella vita familiare funge da modello per i rapporti che devono esistere nella famiglia di Cristo, la Chiesa. "Tra i compiti fondamentali della famiglia cristiana si pone il compito ecclesiale: essa, cioè, è posta al servizio dell'edificazione del regno di Dio nella storia mediante la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa" (Familiaris consortio FC 49). Per garantire che la famiglia sia in grado di compiere questa missione, la Chiesa ha il dovere sacro di fare tutto il possibile per assistere i coniugi nel rendere la famiglia una "chiesa domestica" e nello svolgere correttamente il "ruolo sacerdotale" al quale è chiamata ogni famiglia cristiana (cfr ibidem, n. 55). Uno dei modi più efficaci per svolgere questo compito consiste nell'aiutare i genitori a divenire i primi predicatori del Vangelo e i principali catechisti nella famiglia. Questo apostolato particolare richiede qualcosa di più di una mera istruzione accademica sulla vita familiare. Richiede che la Chiesa condivida i problemi e le lotte dei genitori e delle famiglie così come le loro gioie. Le comunità cristiane dovrebbero quindi compiere ogni sforzo per aiutare i coniugi a trasformare le loro famiglie in scuole di santità, offrendo un sostegno concreto al ministero di vita familiare a livello locale. Di questa responsabilità fa parte il compito gratificante di ricondurre alla Chiesa molti cattolici che si sono allontanati da essa, ma desiderano farvi ritorno, ora che hanno una famiglia.

4. La famiglia in quanto comunità di amore si riflette nella vita della Chiesa. Infatti, la Chiesa può essere considerata una famiglia, la famiglia di Dio composta dai figli e dalle figlie del nostro Padre celeste. Come una famiglia, la Chiesa è un luogo in cui i suoi membri si sentono liberi di portare le loro sofferenze, sapendo che la presenza di Cristo nella preghiera del suo Popolo è la più grande fonte di guarigione. Per questo motivo, la Chiesa sostiene un impegno attivo a tutti i livelli del ministero familiare e in particolare in quelle aree che riguardano i giovani e i giovani adulti. I giovani, di fronte alla cultura secolare che promuove l'egoismo e la gratificazione immediata invece che le virtù della generosità e dell'autocontrollo, hanno bisogno del sostegno e della guida della Chiesa. Incoraggio voi, i vostri sacerdoti e i vostri collaboratori laici, a considerare la pastorale giovanile come parte essenziale del vostro programma diocesano (cfr Direttorio per il Ministero Pastorale dei Vescovi, 203 e Pastores gregis, n. 53). Così tanti giovani anelano ad esempi forti, impegnati e responsabili che non temano di professare un amore incondizionato per Cristo e per la sua Chiesa. A questo proposito, i sacerdoti hanno sempre offerto e dovrebbero continuare offrire, un contributo particolare e inestimabile alla vita dei giovani cattolici.

Come in ogni famiglia, l'armonia interna della Chiesa può a volte essere incrinata dalla mancanza di carità e dalla presenza di conflitti fra i suoi membri. Ciò può condurre alla formazione di fazioni in seno alla Chiesa che spesso curano a tal punto i propri interessi da perdere di vista l'unità e la solidarietà che sono i fondamenti della vita ecclesiale e le fonti della comunione della famiglia di Dio.

Per affrontare questo inquietante fenomeno i Vescovi devono agire con sollecitudine paterna, quali uomini di comunione, per garantire che le loro Chiese particolari agiscano come famiglie perché non vi sia disunione nel corpo, ma anzi le varie membra abbiano cura l'una delle altre (cfr 1Co 12,25). Ciò implica che il Vescovo si sforzi di porre rimedio a qualsiasi tipo di divisione possa sorgere in senso al suo gregge, tentando di ricreare un livello di fiducia, riconciliazione e comprensione reciproca nella famiglia ecclesiale.

5. Miei cari Fratelli Vescovi, concludendo queste considerazioni sulla vita familiare, prego affinché proseguiate nei vostri sforzi volti a promuovere la santificazione personale e comunitaria attraverso atti di devozione legati alla pietà popolare. Per secoli, il Santo Rosario, le Stazioni della Croce, le preghiere prima e dopo i pasti e altre pratiche devozionali hanno contribuito alla formazione di una scuola di preghiera nelle famiglie e nelle parrocchie, arricchendo la vita sacramentale dei cattolici. Un rinnovamento di queste devozioni non solo aiuterà i fedeli in questo Paese ad accrescere la propria santità personale, ma sarà anche fonte di forza e di santificazione per la Chiesa cattolica negli Stati Uniti.

Mentre la vostra nazione celebra in modo particolare il 150° anniversario della proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione, vi lascio con le parole del mio illustre Predecessore, il beato Pontefice Pio IX: "Noi confidiamo che Ella voglia, con la sua validissima protezione, fare sì che la nostra santa Madre, la Chiesa cattolica, superate tutte le difficoltà e sconfitti tutti gli errori, prosperi e fiorisca ogni giorno più presso tutti i popoli e in tutti i luoghi dal mare al mare, e dal fiume sino ai confini della terra" (Ineffabilis Deus). Invoco l'intercessione di Maria Immacolata, Patrona degli Stati Uniti, che, immune da ogni macchia di peccato originale, prega incessantemente per la santificazione dei cristiani e imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di forza e di gioia in Gesù Cristo.

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


ALL'ILLUSTRISSIMO DR. RICCARDO DI SEGNI


RABBINO CAPO DI ROMA


PER IL CENTENARIO DELLA SINAGOGA DI ROMA





All’Illustrissimo Dr. Riccardo Di Segni
121 Rabbino Capo di Roma

Shalom!

«Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme
Hinneh ma tov u-ma na‘im, shevet akhim gam yakhad!» (
Ps 133 [132], 1).

1. Con intima gioia mi unisco alla Comunità ebraica di Roma in festa per celebrare i cento anni del Tempio Maggiore, simbolo e ricordo della millenaria presenza in questa città del popolo dell’Alleanza del Sinai. Da oltre duemila anni la vostra comunità è parte integrante della vita dell’Urbe; essa può vantarsi di essere la Comunità ebraica più antica dell’Europa occidentale e di aver avuto una funzione rilevante per la diffusione dell’ebraismo in questo Continente. Pertanto, l’odierna commemorazione assume un particolare significato per la vita religiosa, culturale e sociale della Capitale e non può non avere una risonanza del tutto speciale anche nel cuore del Vescovo di Roma! Non potendo partecipare di persona, ho chiesto di rappresentarmi in questa celebrazione al mio Vicario Generale per la diocesi di Roma, il Cardinale Camillo Ruini, che è accompagnato dal Presidente della Commissione della Santa Sede per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, il Cardinale Walter Kasper. Sono essi ad esprimere concretamente il mio desiderio di essere con voi in questo giorno.

Nel rivolgerLe il mio deferente saluto, illustre Dr. Riccardo Di Segni, estendo il mio cordiale pensiero a tutti i Membri della Comunità, al suo Presidente, Ing. Leone Elio Paserman, e a quanti sono costì convenuti per testimoniare ancora una volta l’importanza e il vigore dell’eredità religiosa che si celebra ogni sabato nel Tempio Maggiore. Voglio riservare un saluto particolare al Gran Rabbino emerito, Prof. Elio Toaff, che con spirito aperto e generoso mi ricevette nella Sinagoga in occasione della mia visita del 13 aprile 1986. Tale evento rimane scolpito nella mia memoria e nel mio cuore come simbolo della novità che ha caratterizzato, negli ultimi decenni, le relazioni tra il popolo ebraico e la Chiesa Cattolica, dopo periodi a volte difficili e travagliati.

2. La festa odierna, alla cui letizia tutti ci uniamo di cuore, ricorda il primo secolo di questo maestoso Tempio Maggiore, che, nell’armonia delle sue linee architettoniche, s’innalza sulle rive del Tevere a testimonianza di fede e di lode all’Onnipotente. La Comunità cristiana di Roma, per il tramite del Successore di Pietro, partecipa con voi al ringraziamento al Signore per questa fausta ricorrenza. Come ebbi a dire nella menzionata visita, noi vi salutiamo quali nostri «fratelli prediletti» nella fede di Abramo, nostro patriarca, di Isacco e di Giacobbe, di Sara e Rebecca, di Rachele e Lia. Già san Paolo, scrivendo ai Romani (cfr Rm 11,16-18), parlava della radice santa di Israele, sulla quale i pagani sono innestati in Cristo; «perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Rm 11,29) e voi continuate a essere il popolo primogenito dell’Alleanza (Liturgia del Venerdì Santo, Preghiera Universale, Per gli ).

Voi siete cittadini di questa Città di Roma da oltre duemila anni, prima ancora che Pietro il pescatore e Paolo in catene vi giungessero, interiormente sostenuti dal soffio dello Spirito. Non solo le Scritture sacre, che in larga parte condividiamo, non solo la liturgia, ma anche antichissime espressioni artistiche testimoniano il profondo legame della Chiesa con la Sinagoga, per quell’eredità spirituale che, senza essere divisa, né ripudiata, è stata partecipata ai credenti in Cristo, e costituisce un vincolo inscindibile tra noi e voi, popolo della Torà di Mosé, buon olivo sul quale è stato innestato un nuovo ramo (cfr Rm 11,17).

Durante il Medio Evo, anche alcuni dei vostri grandi pensatori, come Yehudà ha-Levi e Mosé Maimonide, hanno cercato di scrutare in qual modo fosse possibile adorare insieme il Signore e servire l’umanità sofferente, preparando così le vie della pace. Il grande filosofo e teologo, ben noto a s. Tomaso d’Aquino, Maimonide di Cordoba (1138-1204), del quale ricordiamo quest’anno l’ottavo centenario della scomparsa, espresse l’auspicio che un miglior rapporto tra ebrei e cristiani possa condurre «il mondo intero all’adorazione unanime di Dio, come è detto: “Allora darò ai popoli un labbro puro, così che servano il Signore spalla a spalla”(So 3,9)» (Mishneh Torà, Hilkhòt Melakhim XI, 4, ed. Gerusalemme, Mossad Harav Kook).

3. Molta strada abbiamo percorso insieme da quel 13 aprile 1986, quando, per la prima volta - dopo l’Apostolo Pietro - il Vescovo di Roma vi rese visita: fu l’abbraccio dei fratelli che si erano ritrovati dopo un lungo periodo in cui non sono mancate incomprensioni, rifiuto e sofferenze. La Chiesa cattolica, con il Concilio Ecumenico Vaticano II, aperto dal beato papa Giovanni XXIII, in particolare dopo la Dichiarazione Nostra aetate (28 ottobre 1965), ha allargato le sue braccia verso di voi, memore che «Gesù è ebreo, e lo è per sempre» (Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, Note e suggerimenti [1985]: III, § 12). Nel Concilio Vaticano II, la Chiesa ha ribadito in modo chiaro e definitivo il rifiuto dell’antisemitismo in tutte le sue espressioni. Tuttavia, non basta la pur doverosa deplorazione e condanna delle ostilità contro il popolo ebraico che spesso hanno caratterizzato la storia; occorre sviluppare anche l’ amicizia, la stima e i rapporti fraterni con esso. Queste relazioni amichevoli, rafforzate e cresciute dopo l’assise conciliare del secolo scorso, ci vedono uniti nel ricordo di tutte le vittime della Shoà, specialmente di quanti, nell’ottobre del 1943, furono qui strappati alle loro famiglie e alla vostra cara Comunità ebraica romanaper essere internati ad Auschwitz. Il loro ricordo sia in benedizione e ci spinga ad operare da fratelli.

E’ doveroso, peraltro, ricordare tutti quei cristiani che, sotto l’impulso di una naturale bontà e rettitudine di coscienza, sostenuti dalla fede e dall’insegnamento evangelico, hanno reagito con coraggio, anche in questa città di Roma, per dare concreto soccorso agli Ebrei perseguitati, offrendo solidarietà e aiuto, a volte anche a rischio della loro stessa vita. La loro memoria benedetta resta viva, insieme alla certezza che per essi, come per tutti i ‘giusti delle nazioni’, gli tzaddiqim, è preparato un posto nel mondo futuro, alla risurrezione dei morti. Né si può dimenticare, accanto ai pronunciamenti ufficiali, l’azione, spesso nascosta, della Sede Apostolica, che in molto modi è venuta in aiuto di Ebrei in pericolo, come è stato riconosciuto anche da loro autorevoli rappresentanti (cfr “Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoa”, 16 marzo 1998).

122 4. Nel percorrere, con l’aiuto del Cielo, questa strada di fraternità, la Chiesa non ha esitato a «deplorare le mancanze dei suoi figli e delle sue figlie in ogni epoca», ed in un atto di pentimento (teshuvà), essa ha chiesto perdono per le loro responsabilità in qualsiasi modo collegate con le piaghe dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo (ibidem). Durante il Grande Giubileo, abbiamo invocato la misericordia di Dio, nella Basilica sacra alla memoria di Pietro in Roma, e a Gerusalemme, la città amata da tutti gli Ebrei, cuore di quella Terra che è santa per tutti noi. Il Successore di Pietro è salito pellegrino sui monti della Giudea, ha reso omaggio alle vittime della Shoà a Yad Vashem, ha pregato accanto a voi al monte Sion, ai piedi di quel Luogo santo.

Purtroppo, il pensiero rivolto alla Terra Santa suscita nei nostri cuori preoccupazione e dolore per la violenza che continua a segnare quell’area, per il troppo sangue innocente versato da israeliani e palestinesi, che oscura il sorgere di un’aurora di pace nella giustizia. Per questo vogliamo oggi rivolgere una fervida preghiera all’Eterno, nella fede e nella speranza, al Dio di Shalom, affinché l’inimicizia non travolga più nell’odio coloro che si richiamano al padre Abramo - ebrei, cristiani e musulmani - e ceda il posto alla chiara consapevolezza dei vincoli che li legano e della responsabilità che grava sulle spalle degli uni e degli altri.

Molta strada dobbiamo ancora percorrere: il Dio della giustizia e della pace, della misericordia e della riconciliazione, ci chiama a collaborare senza esitazioni nel nostro mondo contemporaneo, lacerato da scontri e inimicizie. Se sapremo unire i nostri cuori e le nostre mani per rispondere alla divina chiamata, la luce dell’Eterno si avvicinerà per illuminare tutti i popoli mostrandoci le vie della pace, dello Shalom. Vorremmo percorrerle con un solo cuore.

5. Non solo a Gerusalemme e nella Terra d’Israele, ma anche qui, a Roma, possiamo fare molto insieme: per coloro che soffrono vicino a noi a motivo dell’emarginazione, per gli immigrati e per gli stranieri, per i deboli e per gli indigenti. Condividendo i valori per la difesa della vita e della dignità di ogni persona umana, potremo accrescere la nostra fraterna cooperazione in modi concreti.

L’incontro di oggi è quasi una preparazione alla vostra imminente solennità di Shavu‘òt e alla nostra di Pentecoste, che celebrano la pienezza delle rispettive feste di Pasqua. Che tali feste possano vederci uniti nella preghiera dell’Hallel pasquale di Davide:

«Hallelu et Adonay kol goim
shabbehuHu kol ha-ummim
ki gavar ‘alenu khasdo
we-emet Adonay le-‘olam»

“Laudate Dominum, omnes gentes,
collaudate Eum, omnes populi.
123 Quoniam confirmata est super nos misericordia eius,
et veritas Domini manet in aeternum”
Hallelu-Yah (
Ps 117 [116])

Dal Vaticano, 22 maggio 2004

IOANNES PAULUS II





A S.E. IL SIGNOR BRANKO CRVENKOVSKI


PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI MACEDONIA


Lunedì, 24 maggio 2004

Signor Presidente,

Distinti signore e signori,

1. Sono lieto di porgervi il benvenuto in Vaticano durante la vostra visita a Roma per l'omaggio tradizionale e affezionato che rendete ai santi Cirillo e Metodio, Apostoli dei popoli slavi, il cui ricordo è custodito nella venerabile Basilica di San Clemente.

Estendo a Lei, signor Presidente, i miei cordiali saluti e le miei sincere congratulazioni per l'importante ufficio che le è stato affidato di recente al servizio della sua nazione. I miei pensieri vanno a chi la accompagna, ai rappresentanti delle Chiese e ai membri di tutta la comunità nazionale che sono vicini al mio cuore.

2. Il suo Paese ha saggiamente riaffermato l'impegno a seguire il cammino della pace e della riconciliazione. È un onore per tutti i cittadini e un incoraggiamento a proseguire lungo la stessa rotta. Il dialogo e la ricerca dell'armonia le permetteranno di dedicare tutte le risorse umane e spirituali al progresso materiale e morale del suo popolo, con spirito di cooperazione feconda con i Paesi vicini.

Legittimamente guardate all'Europa. Le vostre tradizioni e la vostra cultura appartengono allo spirito che permea questo continente. Spero veramente che i vostri desideri ricevano la giusta considerazione e che i cittadini della sua repubblica possano essere un giorno membri di diritto di una Europa unita, nella quale ogni popolo si senta a casa e pienamente apprezzato.

124 3. Assicurando voi e il popolo della Macedonia delle miei preghiere, invoco su di voi le benedizioni dell'Altissimo quale pegno di prosperità e pace.




A S.E. IL PROF. OGHNJAN GERDJIKOV


PRESIDENTE DEL PARLAMENTO DI BULGARIA


Lunedì, 24 maggio 2004




Signor Presidente,
Cari Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Signore e Signori,

1. Nell'ambito della vostra tradizionale visita in memoria dei santi Cirillo e Metodio, onorati nella venerabile Basilica di San Clemente, avete voluto incontrarmi per salutarmi e per presentarmi i vostri auguri in occasione del mio ottantaquattresimo compleanno. Vi ringrazio per questo gesto cordiale, che apprezzo, e vi porgo il benvenuto.

Mi preme ringraziarla, Signor Presidente dell'Assemblea nazionale, per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti. A mia volta, le sarei grato se volesse esprimere i miei voti rispettosi al Signor Presidente della Repubblica, come pure i miei sentimenti d'affetto al caro popolo Bulgaro, nel ricordo della mia lieta visita nel vostro Paese due anni fa.

2. Rivolgo un saluto particolare al vostro venerato Patriarca, Sua Santità Massimo, come pure ai membri del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa bulgara. Che l'esempio dei santi fratelli di Tessalonica sostenga gli sforzi di tutti per riaffermare i valori spirituali che danno all'anima del popolo bulgaro la sua identità e la sua forza!

Da alcuni anni il vostro Paese ha ritrovato il suo posto sulla scena internazionale e prosegue il suo cammino di libertà e di democrazia, cercando anche di consolidare la concordia in seno alla nazione. Attualmente è impegnato in uno sforzo paziente per aderire in modo stabile alle istituzioni dell'Unione Europea. A questo riguardo, auspico che la Bulgaria possa realizzare le sue legittime aspirazioni, dando, grazie alle ricchezze culturali e spirituali che le giungono dalle sue tradizioni secolari, il proprio contributo alla costruzione europea.

A tal fine, chiedo a Dio di benedire la Bulgaria, Paese delle rose, e di concedere ai suoi abitanti di vivere e di crescere nella serenità e nella pace.

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


ALL’EM.MO CARD. FIORENZO ANGELINI


IN OCCASIONE DELL'INAUGURAZIONE


DEL CENTRO SOCIO-SANITARIO


"CASA S. VOLTO DI GESÙ" A BACAU IN ROMANIA




Al Venerato Fratello
125
GP2 Discorsi 2004 117