GPII 1979 Insegnamenti - Lettera ai Vescovi dell'Ungheria - Città del Vaticano (Roma)

Continuate, venerabili e diletti fratelli, a servire con frutto tutti questi propositi con la vostra testimonianza apostolica e l'amore alla salvezza delle anime, con l'amore alle tradizioni della vostra nazione e l'unione con il successore di san Pietro e con tutto il collegio dei Vescovi nella Chiesa di Cristo. Insieme a questo saluto fraterno trasmettiamo la benedizione apostolica a voi e alla comunità ecclesiale di cui Cristo vi ha fatti Pastori e maestri (cfr. Ep 4,11).

Così vogliamo che attraverso di voi, interpreti della nostra paterna benevolenza, giunga il nostro saluto a tutto il popolo d'Ungheria al quale noi, memori del suo glorioso passato, preghiamo che Dio conceda abbondanza di pace e ancor più grande prosperità.

Data: 1979-01-13

Data estesa: Sabato 13 Gennaio 1979.





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il ruolo del seminario nella comunità diocesana

Testo: Oggi si celebra nella diocesi di Roma la Giornata per il Seminario, destinata a richiamare l'attenzione sul seminario diocesano, cioè sullo scopo che esso ha di accogliere anime generose di giovani orientati verso il sacerdozio ministeriale, e sulla necessità che esso risente di avere un sostegno, anche materiale, da parte della comunità diocesana.

Se ci chiedessimo che cos'è il seminario, dobbiamo rispondere che è un luogo ed un periodo di vita, nel quale si formano le vocazioni e maturano la preparazione al sacerdozio di Cristo coloro che hanno ricevuto il dono di una particolare chiamata.

Il Concilio Vaticano II su questo tema è chiaro e anche esigente. Un suo testo dice così: "Il dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità cristiana, che è tenuta ad assolvere questo compito anzitutto con una vita perfettamente cristiana; a tale riguardo il massimo contributo viene offerto tanto dalle famiglie le quali, se animate da spirito di fede, di carità e di pietà, costituiscono come il primo seminario, quanto dalle parrocchie, della cui vita fiorente entrano a far parte gli stessi adolescenti". In altre parole, potremmo dire che il seminario rappresenta una singolare verifica della maternità spirituale della Chiesa, cioè del Popolo di Dio presente nella chiesa locale diocesana, così come le singole vocazioni sono la verifica della vitalità cristiana di ciascuna parrocchia e perfino delle singole famiglie.

Si tratta di far maturare la vocazione. Questo è possibile in un'atmosfera di raccoglimento, che pero non esclude un'adeguata e piena preparazione alla "vita pubblica", cioè a quella componente sociale del ministero sacerdotale, propria di un "pastore" che vive per il suo gregge. E' un'esperienza che porta in sé una certa somiglianza con la vita nascosta di Nazaret, dove nostro Signore "cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2,52), preparandosi alla sua missione in mezzo al popolo d'Israele.

Il seminario, nella sua forma attuale, è una tipica istituzione della Chiesa. Esso risale al Concilio di Trento, quando trovo nel grande san Carlo Borromeo un promotore efficace e un organizzatore illuminato. Ma è un'istituzione che ha una specifica struttura ecclesiale, poiché i suoi programmi di vita spirituale, intellettuale e ricreativa sono ordinati soltanto all'edificazione del Corpo mistico di Cristo nel mondo.

Si ripete sempre che il seminario è "la pupilla del Vescovo", ed è vero; infatti è quanto di più caro ogni Vescovo possa avere per assicurare un servizio costante e corrispondente alla propria comunità diocesana. Ma esso è pure e dev'essere sempre un prolungamento della comune sollecitudine di tutti, clero e laici.

Il mio invito e il mio augurio è che almeno l'odierna Giornata per il seminario di Roma sia occasione propizia per manifestare questa sollecitudine da parte di tutti i Romani. Preghiamo dunque, oggi e sempre, perché il Signore mandi operai alla sua messe.

Data: 1979-01-14

Data estesa: Domenica 14 Gennaio 1979.



Alla Parrocchia di Santa Maria Liberatrice - Roma - La risposta dell'uomo alla chiamata di Dio


Cari fratelli e sorelle!

1. Abbiamo ascoltato la Parola di Dio della liturgia di oggi, che ci parla con il linguaggio del libro di Samuele, della lettera di san Paolo ai Corinti e del Vangelo di san Giovanni. Nonostante che questi linguaggi, che abbiamo sentito, siano molto diversi, la Parola di Dio di questa odierna domenica ci parla soprattutto di una questione: la "vocazione", la "chiamata". Ciò viene accentuato nella descrizione contenuta nel libro di Samuele: Dio chiama per nome un giovane; lo chiama con voce percettibile, pronunciando il suo nome. Samuele sente la voce e si desta per tre volte dal sonno, e per tre volte non riesce a capire di chi sia quella voce, chi lo chiami per nome. Solo la quarta volta, istruito da Eli, dà una risposta conveniente: "Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta" (1S 3,9).

Questo brano del libro di Samuele ci permette di comprendere più a fondo la vocazione dei primi Apostoli: di Andrea e di Pietro chiamati da Gesù Cristo.

Pure loro accettano la chiamata, seguono Gesù; prima Andrea, che annunzia al fratello: "Abbiamo trovato il Messia"; quindi, a sua volta, Simone, al quale Gesù, durante il primo incontro, preannunzia il nome nuovo, "Cefa" ("che vuole dire Pietro") (Jn 1,42).

Quando poi seguiamo il pensiero che san Paolo esprime nella lettera ai Corinti, il nostro tema sembra aprirsi a un'ulteriore dimensione. L'Apostolo scrive ai destinatari della sua lettera: "O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo" (1Co 6,19-20).

Dio, che chiama l'uomo al suo servizio e che gli assegna un compito, ne ha un fondamentale diritto. Lui soltanto ha tale diritto, perché è Creatore e Redentore di ognuno di noi. Se ci chiama, se ci invita a seguire una determinata strada, lo fa perché noi non dissipiamo la sua opera; perché noi rispondiamo con la nostra propria vita al dono da lui ricevuto; perché noi viviamo in modo degno dell'uomo, che è "tempio di Dio"; perché noi siamo capaci di compiere quel particolare dovere, che lui vuole affidarci.

2. La parrocchia, che secondo l'affermazione del Concilio Vaticano secondo è "come la cellula" della diocesi (cfr. AA 10), è proprio l'ambiente, nel quale il cristiano deve sentire la chiamata che Dio gli indirizza, accoglierla e realizzarla; e in ciò è certamente aiutato dalla fede e dalla vita di fede di tutta la comunità parrocchiale. Vita di fede, che ha il suo inizio nella famiglia, dinamicamente inserita nella parrocchia, e che si sviluppa, dal Battesimo fino all'incontro con Cristo nella morte, seguendo il principio della stretta collaborazione tra famiglia e parrocchia, le quali cooperano insieme alla formazione del cristiano cosciente e maturo.

Ecco, pertanto, la necessità insopprimibile della catechesi parrocchiale, che integra e completa l'insegnamento della religione, impartito nella scuola, e collega la conoscenza religiosa con la vita sacramentale.

Esattamente in questo contesto ognuno dei parrocchiani - specialmente se giovane - deve porsi con consapevolezza la domanda fondamentale della propria esistenza cristiana: "A che cosa mi chiama Dio?". Potrà essere la chiamata ad una determinata professione, che ponga al servizio degli altri e della società, come l'esser medico, insegnante, avvocato, professionista, operaio...; o la vocazione alla vita familiare, mediante il sacramento del matrimonio; o la chiamata, per alcuni, al servizio esclusivo di Dio, come - ci ricorda oggi la liturgia - è avvenuto per Samuele, per Andrea, per Simone. Ma tutta la vita dell'uomo e del cristiano, frutto dell'amore infinito di Dio Padre, è una "vocazione", che abbraccia le diverse tappe dell'esistenza e dà un senso alle diverse situazioni, anche alla sofferenza, alla malattia, alla vecchiaia. Sempre, e in tutte le circostanze, il cristiano deve saper ripetere, con fede e con convinzione, le parole del giovane Samuele: "Parla, o Signore, perché il tuo servo ti ascolta" (1S 3,9).

3. Vorrei che tale commovente e generosa disponibilità alla chiamata di Dio fosse sempre presente in tutti i numerosissimi fedeli di questa parrocchia, per formare una comunità cristiana viva, lieta e fiera di saper dir di "si" a Cristo e alla Chiesa.

Il mio pensiero affettuoso va anzitutto al parroco e ai suoi collaboratori, i quali con abnegazione dedicano le loro energie al bene della parrocchia; va ai bambini, che danno conforto e speranza; agli adolescenti, che iniziano i primi, forse anche difficili, passi verso gli impegni della vita; ai giovani, che cercano la gioia, la pienezza della gioia; agli adulti, desiderosi di contribuire, con tutte le loro forze, alla costruzione di una società più giusta e più serena; ai padri e alle madri, che vogliono conservare e ravvivare la forza della loro unione indissolubile; ai malati, che soffrono nel corpo e nello spirito; agli anziani. desiderosi di comprensione, di affetto e del meritato rispetto.

Un ricordo e un saluto particolare ai religiosi e alle religiose, che svolgono il loro meritorio apostolato nell'ambito della parrocchia: ai Salesiani di Don Bosco, che da 75 anni lavorano, con instancabile dedizione, nel quartiere Testaccio; alle Figlie della Divina Provvidenza; alle Figlie di Maria Ausiliatrice; alla Comunità della Congregazione delle Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori.


4. La vostra parrocchia, cari fratelli e Sorelle, è dedicata a Santa Maria Liberatrice: dall'alto dell'altare maggiore sorride la sua immagine, frammento di un antichissimo affresco, che apparteneva alla Chiesa di "Santa Maria Liberatrice al Foro Romano", di cui si hanno notizie fin dal XII secolo.

Tale titolo, col quale voi invocate qui la Vergine Santissima, è molto significativo: l'uomo apprezza molto la libertà; ma allo stesso tempo spesso non sa usufruirne; ne usufruisce male. Spesso l'uso distorto della libertà fa si che l'uomo la perda; cessa di essere libero.

Il Cristo ci insegna il buono e perfetto uso della libertà. Di ciò era consapevole in modo particolare san Paolo, quando scriveva ai Galati: "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi" (Ga 5,1).

La Madre di Cristo collabora col suo Figlio in questa grande opera che egli vuol compiere in ognuno di noi. E lo fa in modo materno, e con un amore tale, che solo la madre può esprimere.

Cari fratelli e sorelle! Affidiamo la nostra libertà a Maria. Lei ci aiuterà a scoprire quel vero bene, che la libertà contiene.

Lei ci aiuterà a fare il migliore uso della libertà; lei che "libera", così come fa ogni madre. Sappiamo bene che spesso la stessa consapevolezza che c'è lei che sente tutto quello che ha la forza di imbarazzarci, di avvilirci, di umiliarci, solleva i grandi pesi dal nostro cuore.

Talvolta basta una sua parola, un suo sguardo, un suo sorriso. Ella "libera" con bontà, in modo materno.

All'uomo, caduto nel più profondo e "avviluppato" dai molti lacci, occorre questa sicurezza che c'è Qualcuno che pensa a lui come al proprio figlio; Qualcuno di fronte a cui egli non ha perso il suo valore. E' Madre che "libera" mediante l'amore.

Ti supplico, Madre di Dio, patrona di questa parrocchia: A tutti i tuoi figli e alle tue figlie mostrati Liberatrice.

Santa Maria Liberatrice, prega per noi! Data: 1979-01-14

Data estesa: Domenica 14 Gennaio 1979.




Ai giovani nella Basilica Vaticana - Siate coraggiosi testimoni del Vangelo nella società moderna


Cari giovani.

Si rinnova per me questa mattina una grande gioia mentre vi do il mio cordiale benvenuto in questa Basilica Vaticana. Vi ringrazio sentitamente per lo spettacolo stupendo che la vostra presenza festosa offre in questo momento ai miei occhi. I vostri volti, limpidi come sorgenti e intensi come fiamme, rappresentano nella comunità ecclesiale quelle forme ideali di vita cristiana, per cui la Chiesa, nella sua permanente giovinezza spirituale, non può non riconoscersi in voi, che state vivendo la stagione, per certi aspetti più bella della vita.

Tra voi c'è anche un gruppo particolarmente numeroso di studenti della Pontificia Scuola Pio IX, i quali, insieme con i loro superiori, i solerti fratelli di Nostra Signora della Misericordia, e con i loro familiari, sono venuti in pellegrinaggio per manifestare al Papa il loro serio impegno di formazione spirituale e culturale nel solco della luminosa tradizione, che dal 1859, da quando cioè il servo di Dio Pio IX, mio venerato predecessore, diede inizio a codesto Istituto, conta generazioni di giovani che si sono forgiati agli alti ideali della fede e della scienza. Carissimi figli, siate emuli e fieri degli esempi a voi lasciati da coloro che vi hanno preceduti e siate, soprattutto, coraggiosi testimoni del Vangelo nella società moderna.

Ed ora facciamo insieme qualche breve riflessione sulla "Settimana di preghiere per l'unità dei cristiani", che domani si aprirà in tutto il mondo per chiedere al Signore la grazia della ricomposizione dell'unità di tutte le Chiese cristiane e di giungere finalmente ad un solo ovile sotto un solo Pastore (cfr. Jn 10,16).

In questa settimana la nostra preghiera per l'unità, che è stata definita "l'anima di tutto il movimento ecumenico" (cfr. UR 8) deve essere continua e fervente, sia per ringraziare il Signore, che ha suscitato tra tutti i cristiani il desiderio dell'unità, sia per impetrare ulteriori lumi nella continua ricerca per riscoprire ciò che abbiamo in comune con i fratelli separati e ciò che rimane ancora da superare per raggiungere la perfetta unità, tanto desiderata dal Signore nella sua preghiera al Padre: "che siano tutti una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, ed io in te; che siano anch'essi una cosa sola, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21).

In obbedienza a tale volontà del Cristo, la Chiesa cattolica ha instaurato fraterni rapporti con le altre Chiese e confessioni cristiane. A questo riguardo, desidero informarvi che sta per aprirsi un dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse di tradizione bizantina al fine di eliminare quelle difficoltà che ancora impediscono la concelebrazione eucaristica.

Da tempo sono in corso dialoghi anche con i fratelli separati anglicani, luterani, metodisti e riformati, e sono lieto di dirvi che su temi, i quali nel passato costituivano profonde divergenze, si sono riscontrati consolanti punti d'incontro. Sono stati inoltre istituiti amichevoli e fruttuosi rapporti con il Consiglio Ecumenico delle Chiese e con altre organizzazioni interconfessionali. Il cammino pero è ancora lungo: dobbiamo perciò accelerare il passo per raggiungere la meta tanto sospirata.

Rinnoviamo pertanto la nostra preghiera al Signore, affinché dia a tutti i cristiani luce e forza per fare tutto quanto è possibile per conseguire al più presto la piena unità nella carità e nella verità, cosicché "professando la verità - come dice l'Apostolo delle genti - noi cresceremo per mezzo della carità sotto ogni aspetto in colui che è il capo, Cristo. E' in virtù sua che il corpo tutto intero, grazie ai vari legami che gli danno coesione e unità, cresce mediante l'attività propria di ciascuno dei suoi organi e si ricostruisce nella carità" (Col 4,15-16).

Cerchiamo di vivere questa settimana per l'unità in questo spirito di piena comunione ecclesiale, adeguandoci al tema biblico, che ispira quest'anno le celebrazioni ecumeniche: "Siate al servizio gli uni degli altri per la gloria di Dio" (cfr. 1P 4,7-11). Questo tema ci invita a vivere insieme il più possibile l'eredità comune a tutti i cristiani. La cooperazione, l'amore vicendevole, il servizio reciproco ci fanno meglio conoscere gli uni gli altri e ci spingono anche a trovare le vie per superare le divergenze.

A questo fine disponiamo i nostri animi alla preghiera e recitiamo ora tutti insieme il Padre nostro...

Nella ferma fiducia che durante questa settimana vorrete continuare a pregare per la grande causa dell'unità, di gran cuore vi imparto la benedizione apostolica, che desidero estendere ai vostri compagni e familiari che non hanno potuto prendere parte a questa udienza.

Data: 1979-01-17

Data estesa: Mercoledì 17 Gennaio 1979.







Lettera al Cardinale James Knox - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Centenario dell'evangelizzazione dell'Uganda

Testo: Al nostro venerabile fratello Cardinale James Robert Knox.

Venerabile nostro fratello, il mio saluto e la benedizione apostolica.

Abbiamo nel cuore l'Africa che è in via di evangelizzazione, in particolare l'Uganda, che nel secolo scorso ha accolto con zelo la verità cristiana, e ha anzi prodotto insigni frutti di santità. Infatti in Uganda, come è noto, moltissimi testimoni della fede preferirono morire che macchiarsi di peccato e confermarono l'osservanza della legge divina con l'effusione del sangue. Tra questi il nostro predecessore Paolo VI ha canonizzato nel 1964 Carlo Lwanga, Mattia Kalemba Murumba o Mulumba e venti compagni; tra l'altro ha detto: "Questi martiri africani dunque aggiungono una pagina all'albo dei vincitori, cioè al martirologio, pagina nella quale sono scritte cose funestissime e cose magnifiche: una pagina cioè degna di essere aggiunta a quelle bellissime narrazioni della vecchia Africa che noi, che viviamo in questa età, come uomini di poca fede pensiamo che non avrebbero mai avuto una eguale continuazione. Chi avrebbe mai potuto prevedere che, per esempio, agli atti commoventi dei martiri Scillitani, Cartaginesi, della "Massa candida" di Utica, che sant'Agostino e Prudenzio ricordano, dei martiri dell'Egitto, le cui altissime lodi troviamo negli scritti di Giovanni Crisostomo, dei martiri della persecuzione vandalica, si sarebbero aggiunte nuove storie dei nostri tempi, in cui si narra di gesta non meno eroiche, di imprese non meno fulgide?" (Paolo VI, Allocuzione per la solenne canonizzazione dei beati Martiri Ugandesi: AAS 56 (1964) 905).

Dobbiamo tenere presente che questo martirio è avvenuto pochi anni dopo la diffusione della religione cattolica in Uganda. Si deve dunque a buon diritto pensare che quella terra era in un certo senso proclive ad accogliere la religione cristiana, cioè era come in attesa del seme evangelico, e dopo la sua immissione, è divenuto un terreno fertile di frutti.

Si deve dunque lodare il consiglio dei Presuli Ugandesi, che hanno deciso di celebrare solennemente il centenario della evangelizzazione dell'Uganda, convocando il Congresso Eucaristico Nazionale. Sappiamo che sovrintende a questi solenni preparativi, insieme ai suoi collaboratori, il Cardinale Emmanuele Nsubuga, Arcivescovo di Kampala, e che tutti i Vescovi dell'Uganda con una lettera comune al clero e ai religiosi e ai fedeli li hanno preparati a questa celebrazione con una benefica esortazione.

Ricordiamo anche che il nostro predecessore Paolo VI nel 1969 è stato il primo Papa che si è recato in Africa e appunto in Uganda. per partecipare al Convegno dei Vescovi del continente africano, per rendere onore ai predetti Martiri nella loro patria e per assolvere a compiti di carattere religioso. Noi desideriamo partecipare alle celebrazioni che si svolgeranno li almeno mediante la persona del Primate che ci rappresenta. Perciò con questa lettera, venerabile nostro fratello, ti costituiamo e nominiamo nostro inviato straordinario affidandoti il compito di presiedere a nome nostro alle predette celebrazioni.

Conoscendo le doti dell'animo e della mente che ti contraddistinguono, non dubitiamo che metterai a frutto tali doni così che si accresca la gloria di Dio e vengano non pochi né scarni vantaggi alla Chiesa in quella regione.

"Come sono belli i piedi di coloro che annunziano la buona novella" (Rm

10,15). I primi uomini ad annunciare Cristo agli Ugandesi furono il sacerdote Simeon Lourdel e il fratello Amans Delmas, della Compagnia dei Missionari dell'Africa o "Padri Bianchi", che il 17 febbraio 1879 attraversarono il Lago Vittoria e approdarono ad Entebbe; dopo alcuni mesi li seguirono altri tre annunciatori del Vangelo della stessa Famiglia religiosa.

Stabilirono la sede a Nabulagala dove celebrarono il primo sacrificio eucaristico in Uganda e l'anno seguente battezzarono i primi quattro indigeni. In questa sede è stata posta la croce di Cristo, di qui si è irradiata la sua luce.

Nonostante le gravissime difficoltà sorte più volte, tuttavia la Chiesa cattolica cresceva rigogliosamente e solidamente, anche per l'arrivo di nuovi operai nella vigna. C'era anche la preoccupazione che incominciassero ad esserci dei sacerdoti tra gli stessi Ugandesi. E difatti nel 1953 con un provvedimento di Pio XII, nostro predecessore, si poté istituire la sacra Gerarchia in quella regione.

Perciò guardando questi cento anni, ricchi di tanti frutti, paternamente richiamiamo tutti i nostri figli, che ci sono carissimi, abitanti di quella terra, a mantenere vivo sempre il prezioso dono della fede, e a darsi da fare, cogliendo l'occasione di questo giubileo, per viverla ogni giorno più intensamente, ricordando che si alimenta della parola dei legittimi annunziatori e della vita liturgica, che da essa "le menti sono elevate a Dio, per rendergli il giusto ossequio, e per accogliere più abbondantemente la sua grazia" (SC 33). Ma si deve andare avanti nello sforzo di annunciare il Vangelo sempre più estesamente, poiché "ad ogni discepolo di Cristo spetta il compito di seminare la fede" (LG 17); è perciò necessario che la Chiesa ugandese, fondata dai missionari, sia ormai essa stessa missionaria.

Come abbiamo detto sopra, è da lodare la decisione di fare il Congresso Eucaristico, nell'occasione di questo solenne centenario. Giustamente si venera questo insigne Sacramento con un culto pubblico, poiché in esso non solo è presente la grazia divina, ma lo stesso autore della grazia, Cristo Signore.

L'Eucaristia è il vincolo della carità giacché "non vi è che un solo pane, noi, pur essendo molti, formiamo un sol corpo, tutti infatti partecipiamo del medesimo pane" (1Co 10,17), perciò bene aggiunge san Giovanni Crisostomo: "Se dunque partecipiamo del medesimo pane, e tutti consistiamo in quello, perché non abbiamo la medesima carità e non diventiamo in essa un corpo solo?" ("In Epist. I ad Cor.", Hom. 24,2: PG 61, 200). Si deve proprio desiderare innanzitutto che in questo Congresso Eucaristico arda la fiamma della vera fraternità, di cui devono accendersi tutti i cristiani, perché guariscano dalle ferite morali e fisiche, perché confortino gli afflitti e soccorrano i bisognosi.

Perché abbiano compimento questi alti e bei propositi, si deve chiedere l'aiuto anche della Beata Vergine Maria, che è Madre della Chiesa: alla sua protezione affidiamo fiduciosi la vita presente e la sorte futura di tutta la comunità cattolica ugandese.

L'amore e la sollecitudine pastorali ci hanno indotto a scrivere queste parole per una tale occasione. La benedizione apostolica confermi gli auguri fatti, di raccogliere i frutti più rigogliosi; benedizione apostolica che impartiamo nel Signore a te, venerabile nostro fratello, e al Primate sopra citato e all'Arcivescovo di Kampala, a tutti gli altri Presuli, ai Magistrati, ai sacerdoti, ai religiosi e a tutti i fedeli, che si riuniranno nell'occasione del giubileo.

Data: 1979-01-17

Data estesa: Mercoledì 17 Gennaio 1979.





Alla giunta della regione Lazio - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'armoniosa convivenza strumento di progresso sociale

Testo: Illustri Signori! Vi ringrazio cordialmente per questa visita, che avete voluto farmi all'inizio del mio pontificato e altresi all'inizio di questo nuovo anno, voi, membri della Giunta Regionale del Lazio, a nome dei sessanta componenti del Consiglio Regionale, che avremmo oggi desiderato incontrare e salutare tutti con vero piacere.

Siate i benvenuti, perché rappresentate la regione italiana più particolarmente legata alle cure pastorali del Vescovo di Roma e venite a nome delle sue cinque province, cioè di Roma, Viterbo, Frosinone, Latina e Rieti.1. In questi ultimi anni i problemi umani e sociali della Regione si sono moltiplicati; si è creata sempre più la necessità impellente di strutture e di servizi più moderni, più rispondenti alle esigenze della dignità della persona umana. In questo sforzo tutti debbono essere impegnati, e la Chiesa non può rimanere estranea a tutto ciò che è collegato con il bene autentico dell'uomo. Il Concilio Vaticano II si è espresso così con grande lucidità: "Certo la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è di ordine politico, economico e sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è di ordine religioso. Eppure, proprio da questa missione religiosa scaturiscono dei compiti, della luce e delle forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina", che è la legge di giustizia e di amore (cfr. GS 42). Per questo la Chiesa ha sempre suscitato, secondo la necessità dei tempi e dei luoghi, opere destinate al servizio di tutti, specialmente dei bisognosi; opere che sono state promosse, con grande merito storico, civile e sociale, dalle istituzioni religiose.

Nel vostro gesto e nell'assicurazione espressa mediante le amabili parole, rivolteci dal Signor Presidente della Giunta, di dedicare particolari premure ai settori, che più direttamente riguardano il benessere della popolazione, mi è caro vedere un riconoscimento del contributo che queste opere danno al bene comune, riconoscimento al quale non può non corrispondere un impegno a rispettarne il fine istituzionale e gli spazi di libertà loro connaturali, in modo che possano agire sempre in conformità con i principi religiosi e morali da cui prendono la loro ragion d essere.

Possano la Giunta e il Consiglio Regionale, con vero spirito di servizio e di responsabilità, approntare le soluzioni adeguate perché grazie anche all'apporto di tutte le forze sociali tutti i cittadini, nel rispetto dei loro diritti, possano vivere una vita veramente degna dell'uomo. Il mio pensiero va in questo momento ai malati, ai bambini, agli anziani, ai disoccupati, ai drogati.2. Ma per ottenere questo, una delle condizioni fondamentali è che sia assicurata a tutti la pacifica, serena e armoniosa convivenza. Il pluralismo comporta anzitutto il rispetto degli altri e la rinuncia a volere imporsi agli altri con la forza. Perché tanta violenza oggi? Occorre forse risalire a monte, a quelle concezioni, a quei gruppi che hanno proclamato e inculcato, e continuano a proclamare e inculcare specie nelle coscienze dei giovani, come ideale di vita, la lotta contro l'altro; l'odio contro chi la pensi o agisca diversamente, la violenza come unico mezzo per il progresso sociale e politico. Ma la violenza genera violenza; l'odio genera odio; e l'uno e l'altra umiliano e avviliscono la persona umana. I cristiani non possono dimenticare quanto ci ricorda il Concilio Vaticano II: "Non possiamo invocare Dio Padre di tutti se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni fra gli uomini che sono creati a immagine di Dio. L'atteggiamento dell'uomo verso Dio Padre e quello dell'uomo verso gli uomini fratelli sono tanto connessi che la Scrittura dice: "Chi non ama, non conosce Dio" (1Jn 4,8)" (NAE 5).

Di cuore auspico che in tutta la Regione del Lazio, in tutta l'Italia, i cittadini possano, in quest'anno e nell'avvenire, vivere una vita pacifica, serena, prosperosa, e contribuiscano, con il loro onesto e operoso lavoro, alla continua crescita e al vero progresso della Nazione.

Con questi voti, ben volentieri invoco sulla vostra delicata azione la grazia del Signore e vi imparto la mia benedizione apostolica.

Data: 1979-01-20

Data estesa: Sabato 20 Gennaio 1979.



Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Vincere con il bene il male

Testo:

1. Siamo nell'Ottavario di preghiere per l'unità dei cristiani, che è stato iniziato, come ogni anno, il 18 gennaio all'insegna del tema: "Siate al servizio gli uni degli altri per la gloria di Dio" (1P 4,7-11).

Lo sforzo che è orientato all'unione di tutti i credenti in Cristo ha un significato soprattutto religioso. Tutti desideriamo soddisfare a questa domanda nel nostro Maestro e Redentore che alla vigilia della sua passione e della sua morte, si è rivolto al Padre con queste parole: "Padre Santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola come noi" (Jn 17,11).

Ricordiamo che cosa dice, a questo proposito, la costituzione "Gaudium et Spes": "il Signore Gesù quando prega il Padre, perché "tutti siano una cosa sola" (Jn 17,21-22) mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità" (GS 24).

Tutte le volte che preghiamo per l'unione dei cristiani, entriamo appunto in questa prospettiva. Crediamo che questa prospettiva dell'unione perfetta dei figli di Dio uniti nella verità e nella carità, deve essere costantemente ravvivata dalla preghiera costante e sempre fiduciosa.

Il programma di lavoro in questo campo è stato delineato dal Concilio Vaticano II; esso viene, con perseveranza e gradualità, realizzato da parte della Chiesa cattolica attraverso il Segretariato per l'Unione dei Cristiani. La cosa più significativa in questo programma è il rispetto per l'uomo, per la sua coscienza, per le sue convinzioni religiose, nonché per il patrimonio spirituale delle singole Chiese e delle comunità cristiane. Solo in base a tale rispetto per l'uomo si possono aprire le vie di avvicinamento, di cooperazione, di unione dei cristiani.


2. Ma lo sforzo ecumenico ha ancora più ampio significato. Indica indirettamente le vie che conducono all'avvicinamento, alla convivenza, alla cooperazione e all'unione degli uomini. E anche qui bisogna iniziare dal rispetto per l'uomo.

Il programma per l'unione diventa nei nostri tempi un eloquente "segno di contraddizione" nei confronti dei diversi programmi di lotta, che non risparmiano l'uomo, pur di arrivare ai loro fini o di imporli agli altri.

Tale modo di agire, tale "praxis" non ha niente a che vedere con la lotta onesta delle diverse convinzioni, delle diverse concezioni nel campo dei fondamentali problemi della vita sociale. Questo modo di agire è una pratica deformazione di qualsiasi ideologia, che aspira al bene dell'uomo.

Quando muoiono gli uomini innocenti, quando la società vive nello stato di minaccia, allora essa rivela il suo volto deteriore: non la lotta per il bene dell'uomo, ma la lotta contro l'uomo. Questa lotta sotto diversi aspetti non è forse "un doloroso segno dei nostri tempi"?

3. Perciò è indispensabile quel "segno di contraddizione" nato dalla preghiera del Cristo stesso e dettato dall'amore verso l'uomo. "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male" (Rm 12,21), dice l'Apostolo.

Nell'epoca in cui i diversi programmi della lotta per l'uomo, spesse volte, assumono forme minacciose di lotta contro l'uomo, è necessario uno sforzo volto all'avvicinamento degli uomini, alla loro unione in base al rispetto di ciò che è essenzialmente e profondamente umano.

Che il movimento ecumenico diventi un esempio sempre più chiaro di tale sforzo! Che questo esempio vinca le forze minacciose dell'odio, della estraneità, della lotta contro l'uomo! "Vincere con il bene il male", ecco l'idea centrale della nostra comune preghiera nel giorno d'oggi.

So che questa mattina sono presenti circa tremila ragazzi e giovanetti, i quali dopo aver ascoltato la santa Messa in Sant'Andrea della Valle, sono convenuti qui in Piazza San Pietro, in ordinata "carovana della pace", per salutare il Papa. Carissimi, con grande affetto ricambio la vostra testimonianza di fede e di bontà, e di cuore vi esorto, in questo mese di iniziative per la pace, a combattere sempre più generosamente le passioni della superbia e dell'odio che sono all'origine delle eversioni che minacciano la pace e a diventare dei promotori di concordia e di fratellanza.

Ricordatevi le parole dette da Gesù, durante l'ultima cena: "...Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,35).

Data: 1979-01-21

Data estesa: Domenica 21 Gennaio 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Lettera ai Vescovi dell'Ungheria - Città del Vaticano (Roma)