GPII 1979 Insegnamenti - Ai sacerdoti diocesani e religiosi - Guadalupe (Messico)

Ai sacerdoti diocesani e religiosi - Guadalupe (Messico)

Titolo: Testimoni e artefici di unità e fraternità

Testo: Amatissimi sacerdoti, diocesani e religiosi.

Uno degli incontri che con maggior desiderio aspettavo durante la mia visita in Messico è questo che ho con voi, qui nel Santuario della nostra veneranda ed amata Madre de Guadalupe.

Vediate in ciò una prova di affetto e di sollecitudine del Papa. Egli, come Vescovo di tutta la Chiesa, è cosciente del vostro ruolo insostituibile e si sente molto vicino a coloro che rivestono incarichi centrali nell'azione ecclesiale, come principali collaboratori dei Vescovi, come partecipanti al potere salvifico di Cristo, testimoni, annunciatori del suo Vangelo, animatori della fede e della vocazione apostolica del Popolo di Dio. Non voglio dimenticare, qui, tante altre anime consacrate, collaboratori preziosi, anche senza il carattere sacerdotale, in numerosi e importanti settori dell'apostolato della Chiesa.

Ma non solo avete una presenza qualificata nell'apostolato ecclesiale, ma il vostro amore all'uomo per Dio si nota chiaramente fra gli studenti di diverso grado, fra i malati e i bisognosi di assistenza, fra gli uomini di cultura, fra i poveri che reclamano comprensione e appoggio, fra tante persone che a voi si dirigono alla ricerca di un consiglio e di incoraggiamento.

Per la vostra sacrificata donazione al Signore e alla Chiesa, per la vostra vicinanza all'uomo ricevete la mia gratitudine in nome di Cristo. Servitori di una causa sublime, da voi dipende in buona parte la riuscita della Chiesa nei settori affidati alle vostre cure pastorali. Queste vi impongono una profonda coscienza della grandezza della missione ricevuta e delle necessità di adeguarsi sempre di più ad essa.

Si tratta in effetti, cari fratelli e figli, della Chiesa di Cristo - quanto rispetto e amore deve infonderci questo! - che dovete servire gioiosamente in santità di vita (cfr. Ep 4,13).

Questo servizio alto ed esigente non potrà essere prestato senza una chiara e profonda convinzione sulla vostra identità come sacerdoti di Cristo, depositari ed amministratori dei misteri di Dio, strumenti di salvezza per gli uomini, testimoni di un regno che ha il suo inizio in questo mondo, ma che si completa nell'aldilà. Di fronte a queste certezze della fede, perché dubitare della propria identità? Perché titubare riguardo al valore della propria vita? perché esitare di fronte al cammino intrapreso? Per conservare o rafforzare questa convinzione ferma e perseverante guardate al modello, Cristo, ravvivate i valori soprannaturali nella vostra esistenza, chiedete la forza corroborante dall'alto, nel colloquio assiduo e fiducioso della preghiera. Oggi come ieri è per voi imprescindibile. E siate anche fedeli alla pratica frequente del Sacramento della Riconciliazione, alla meditazione quotidiana, alla devozione alla Vergine grazie alla recita del Rosario. Coltivate, in una parola, l'unione con Dio mediante una profonda vita interiore. Sia questo il vostro principale impegno. Non temiate che il tempo consacrato al Signore tolga qualcosa al vostro apostolato. Al contrario, sarà quello la fonte di fecondità nel ministero.

Siete persone che hanno fatto del Vangelo una professione di vita. Dal Vangelo dovete derivare i criteri essenziali di fede - non meri criteri psicologici e sociologici - che producano una sintesi armonica fra la spiritualità e il ministero. Senza permettere una "professionalizzazione" dello stesso, senza abbassare la stima che deve meritare il vostro celibato o castità consacrata, accettata per amore del Regno, in una illimitata paternità spirituale (1Co 4,15): "A costoro (i sacerdoti) dobbiamo la nostra rigenerazione fortunata - afferma san Giovanni Crisostomo - e il poter conoscere una vera libertà" (S. Giovanni Crisostomo, "De Sacerdotio", 4-6).

Siete partecipi del sacerdozio ministeriale di Cristo per il servizio dell'unità della comunità. Un servizio che si realizza in virtù della potestà ricevuta per condurre il Popolo di Dio, perdonare i peccati e offrire il Sacrificio Eucaristico (cfr. LG 10 PO 2). Un servizio sacerdotale specifico, che non può essere rimpiazzato nella comunità cristiana dal servizio comune dei fedeli, essenzialmente diverso dal primo (LG 10).

Siete membri di una Chiesa particolare, il cui centro di unità è il Vescovo (CD 28), nei confronti del quale ogni sacerdote deve osservare un atteggiamento di comunione e di obbedienza. Da parte loro i religiosi, per ciò che concerne le attività pastorali, non possono negare la loro leale collaborazione e obbedienza alla gerarchia locale, per una pretesa esclusiva dipendenza alla Chiesa universale (cfr. CD 34; Congregationis pro Religiosis et Institutis Saecularibus, e S. Congregationis pro Episcopis, Documentum commune, 14 maggio 1978). Sarebbe assai meno ammissibile in sacerdoti o religiosi una pratica di magisteri paralleli rispetto ai vescovi - autentici ed unici maestri nella fede - o alla Conferenza Episcopale.

Siete servitori del Popolo di Dio, servitori della fede, amministratori e testimoni dell'amore di Cristo agli uomini; amore che non è partitico, che non esclude nessuno, sebbene si diriga con preferenza al più povero. A questo riguardo, voglio ricordarvi ciò che dissi poco tempo fa ai Superiori Generali dei religiosi a Roma: "L'anima che vive nel contatto abituale con Dio e si muove all'interno dell'ardente raggio del suo amore sa difendersi con facilità dalla tentazione di cadere in particolarismi e antitesi che hanno il rischio di provocare dolorose divisioni; sa interpretare alla giusta luce del Vangelo le preferenze per i più poveri e per ciascuna delle vittime dell'egoismo umano, senza cedere ai radicalismi socio-politici che a lungo andare si dimostrano inopportuni, controproducenti (Giovanni Paolo II, Discorso del 24 novembre 1978).

Siete guide spirituali che si sforzano di orientare e migliorare i cuori dei fedeli affinché, convertiti, vivano l'amore per Dio e per il prossimo e si impegnino nella promozione della dignità dell'uomo.

Siete sacerdoti e religiosi; non siete dirigenti sociali, leaders politici o funzionari di un potere temporale. Perciò vi ripeto: non facciamoci l'illusione di servire il Vangelo se invece cerchiamo di "diluire" il nostro carisma attraverso un interesse esagerato per l'ampio campo dei problemi temporali (Giovanni Paolo II, Discorso al Clero di Roma).

Non dimenticate che il potere temporale può essere facilmente fonte di divisione, mentre il sacerdote deve essere segno e fattore di unità, di fraternità.

Le funzioni secolari sono il campo proprio di azione dei laici che hanno come incarico il perfezionare le questioni temporali con lo spirito cristiano (AA 4).

Amatissimi sacerdoti e religiosi: vi vorrei dire tante altre cose, ma non voglio prolungare troppo questo incontro. Alcune le esporro in un'altra sede e vi rimando a queste.

Termino ripetendovi che ho grande fiducia in voi. Mi aspetto tanto dal vostro amore per Cristo e per gli uomini. C'è da fare molto. Intraprendiamo il cammino con un nuovo entusiasmo. Uniti a Cristo, sotto lo sguardo materno della Madonna, nostra Signora di Guadalupe, dolce madre dei sacerdoti e dei religiosi.

Con l'affettuosa benedizione del Papa, per voi e per tutti i sacerdoti e religiosi del Messico.

Data: 1979-01-27

Data estesa: Sabato 27 Gennaio 1979.





Alle religiose messicane - Guadalupe (Messico)

Titolo: Esperte nella sublime conoscenza di Cristo

Testo: Care figlie religiose del Messico.

Questo incontro del Papa con le religiose messicane, che doveva essere celebrato nella Basilica di nostra Madre di Guadalupe, ha luogo qui con la sua presenza spirituale. Davanti a lei, modello perfetto di donna, il più alto esempio di vita dedicata interamente a suo Figlio il Salvatore, in una costante disposizione interna di fede, di speranza, di dono amoroso ad una missione soprannaturale.

In questo luogo privilegiato e davanti a questa figura della Madonna, il Papa desidera trascorrere qualche momento con voi, numerose religiose qui presenti, che rappresentate le oltre ventimila sparse per tutto il territorio messicano e all'estero.

Siete una forza importantissima all'interno della Chiesa e della società stessa, distribuite in innumerevoli settori come quello della scuola e dei collegi, delle cliniche e degli ospedali, del campo caritativo e assistenziale, delle opere parrocchiali, della catechesi, dei gruppi di apostolato e tanti altri.

Fate parte di diverse famiglie religiose, ma con un identico ideale all'interno dei differenti carismi: seguire Cristo, essere una testimonianza vivente dell'eternità del suo messaggio.

La vostra è una vocazione che merita la massima stima da parte del Papa e della Chiesa, ieri come oggi. Perciò voglio esprimervi la mia gioiosa fiducia in voi e incoraggiarvi a non perdere forza durante il cammino intrapreso, che vale la pena di continuare a percorrere con rinnovato spirito ed entusiasmo. Sappiate che il Papa vi accompagna con la sua preghiera e si compiace per la vostra fedeltà alla vocazione, a Cristo, alla Chiesa.

Allo stesso tempo comunque, permettetemi di aggiungere alcune riflessioni che propongo alla vostra considerazione e al vostro esame.

E' vero che in gran parte delle religiose prevale uno spirito encomiabile di fedeltà al proprio impegno ecclesiale, e che emergono aspetti di grande vitalità nella vita religiosa con un ritorno ad una visione più evangelica, ad una crescente solidarietà tra le famiglie religiose, ad una maggior vicinanza ai poveri, oggetto di una giusta attenzione prioritaria. Sono questi motivi di gioia e di ottimismo.

Ma neppure mancano esempi di confusione riguardo l'essenza stessa della vita consacrata e del proprio carisma. A volte si abbandona la preghiera, sostituendola con l'azione; si interpretano i voti con una mentalità secolarizzante che offusca le motivazioni religiose del proprio stato; si abbandona con una certa leggerezza la vita in comune; si fanno proprie posizioni socio-politiche come se fossero il vero obiettivo da perseguire, persino con ben definite radicalizzazioni ideologiche.

E quando si oscurano, a volte, le certezze della fede, si adducono motivi di ricerca di nuovi orizzonti ed esperienze, forse con il pretesto di stare più vicini agli uomini, magari di gruppi ben concreti, scelti con criteri non sempre evangelici.

Care religiose: non dimenticate mai che per mantenere un concetto chiaro del valore della vostra vita consacrata, avete bisogno di una profonda visione di fede, che si alimenta e si mantiene con la preghiera (cfr. PC 6). La stessa vi farà superare ogni incertezza sulla vostra identità, che vi manterrà fedeli a questa dimensione verticale che è per voi essenziale, per identificarvi con Cristo sull'esempio dei santi ed essere testimoni autentici del Regno di Dio per gli uomini del mondo attuale.

Solo con questa sollecitudine per gli interessi di Cristo (cfr. 1Co 7,32), sarete capaci di dare al carisma profetico la sua giusta dimensione di testimonianza del Signore. Senza opzioni per i poveri e i bisognosi che non rientrino nei criteri del Vangelo, invece di ispirarsi a motivazioni socio-politiche che - come dissi recentemente ai Superiori Generali dei religiosi a Roma - a lungo andare si dimostrano inopportune, controproducenti.

Avete scelto come metodo di vita il seguire certi valori che non sono meramente umani, sebbene dobbiamo stimare anche questi nella giusta misura. Avete optato per il servizio agli altri per amore di Dio. Non dimenticate mai che l'essere umano non si esaurisce nella sola dimensione terrena. Voi come professioniste della fede ed esperte nella sublime conoscenza di Cristo (cfr. Ph 3,8), apriteli alla chiamata e alla dimensione eterna in cui voi stesse dovete vivere.

Vi vorrei dire tante altre cose. Ricevete, come se fosse stato detto a voi, quanto indicai alle Superiore Generali delle religiose, nel mio discorso del 16 novembre scorso. Quanto potete fare oggi per la Chiesa e per l'umanità! Queste aspettano la vostra generosa donazione, l'offerta del vostro cuore libero, che allarghi insospettabilmente le sue potenzialità di amore, in un mondo che sta perdendo la capacità di essere altruista, di amare in modo sacrificato e disinteressato. Ricordatevi, infatti, che siete mistiche spose di Cristo e del Cristo crocifisso (cfr. 2Co 4,5).

La Chiesa vi rinnova oggi la sua fiducia: siate testimonianza vivente di questa nuova civiltà dell'amore, che giustamente proclamo il mio predecessore Paolo VI.

Affinché in questa impresa magnifica e ricca di speranza la forza che viene dall'alto vi rinfranchi e vi mantenga, in una rinnovata gioventù spirituale, fedeli a questi propositi, vi accompagno con una particolare benedizione, che estendo a tutte le religiose del Messico.

Data: 1979-01-27

Data estesa: Sabato 27 Gennaio 1979.





Ai fedeli - Puebla (Messico)

Titolo: Promozione e difesa della famiglia

Testo: Amatissimi figli e figlie.

Puebla de Los Angeles: il nome sonoro ed espressivo della vostra Città si trova oggi sulle labbra di milioni di persone in America Latina e in tutto il mondo. La vostra Città diventa il simbolo e il segnale per la Chiesa latino-americana. E' qui, infatti, che si riuniscono a partire da oggi, convocati dal successore di Pietro, i Vescovi di tutto il Continente per riflettere sulla missione dei Pastori in questa parte del mondo, in questa ora singolare della storia.

Il Papa ha voluto salire fino a questa vetta, da cui sembra aprirsi tutta l'America latina. Ed è con l'impressione di contemplare il disegno di ognuna delle Nazioni che, su questo altare eretto sulle montagne, il Papa ha voluto celebrare questo Sacrificio Eucaristico per invocare su questa Conferenza, sui suoi partecipanti e i suoi lavori, la luce, il calore, tutti i doni dello spirito di Dio, Spirito di Gesù Cristo.

Niente di più naturale e necessario che invocarlo in questa circostanza.

La grande assemblea che si apre è infatti, nella sua essenza più profonda, una riunione ecclesiale: ecclesiale per coloro che si riuniscono qui, Pastori della Chiesa di Dio in America Latina; ecclesiale per il tema che studia, la missione della Chiesa nel continente; ecclesiale per i suoi obiettivi di rendere sempre più vivo ed efficace il contributo originale che la Chiesa ha il dovere di offrire al benessere, all'armonia, alla giustizia e alla pace di questi popoli. Dunque non esiste assemblea ecclesiale se non vi è, nella pienezza della sua misteriosa azione, lo Spirito di Dio.

Il Papa lo invoca con tutto il fervore del suo cuore. Che il luogo dove si riuniscono i vescovi sia un nuovo Cenacolo, molto più grande di quello di Gerusalemme, dove gli Apostoli erano solo Undici quella mattina, ma, come quello di Gerusalemme, aperto alle fiammelle del Paraclito e alla forza di una rinnovata Pentecoste. Che lo Spirito compia in voi, Vescovi qui riuniti, la multiforme missione che il Signore Gesù gli affido: interprete di Dio per fare comprendere il suo disegno e la sua parola, inaccessibili alla semplice ragione umana (cfr. Jn 14,26), apra l'intelligenza di questi Pastori e li introduca alla Verità (cfr. Jn 16,13); testimone Gesù Cristo, dia testimonianza alla loro coscienza e al loro cuore e li trasformi a sua volta in testimoni coerenti, credibili, efficaci durante la loro opera (cfr. Jn 15,26); avvocato o consolatore, infonda coraggio contro il peccato del mondo (cfr. Jn 16,8), e metta sulle loro labbra ciò che dovranno dire, soprattutto nel momento in cui la testimonianza costerà fatica e sofferenza.

Vi prego inoltre, amati figli e figlie, che vi uniate a me in questa Eucaristia, in questa invocazione allo Spirito. Non è per se stessi, né per interessi personali che i Vescovi, venuti da ogni parte del Continente, si incontrano qui; è per voi Popolo di Dio di queste terre, e per il vostro bene.

Partecipate a questa III Conferenza anche in questo modo: chiedendo ogni giorno per tutti e per ciascuno di loro, l'abbondanza dello Spirito Santo.

Si è detto, in forma bella e profonda, che il nostro Dio, nel suo mistero più intimo, non è solitudine, bensì una famiglia, dato che ha in sé paternità, filiazione e l'essenza della famiglia che è l'amore.

Questo amore, nella famiglia divina, è lo Spirito Santo. Il tema della famiglia non è quindi estraneo al tema dello Spirito Santo. Permettete che su questo tema della famiglia - che certamente occuperà i Vescovi in questi giorni - il Papa vi dica alcune parole.

Sapete che con parole intense e pressanti la Conferenza di Medellin parlo della famiglia. I Vescovi, in quell'anno 1968, individuarono, nel vostro grande senso della famiglia, una caratteristica primordiale della vostra cultura latino-americana. Dimostrarono che, per il bene dei vostri paesi, le famiglie latino-americane avrebbero dovuto mantenere sempre tre dimensioni: essere educatrici nella fede, formatrici di persone, promotrici di sviluppo.

Sottolinearono anche i gravi ostacoli che le famiglie trovano nell'adempiere questo triplice incarico. Raccomandarono, perciò, l'attenzione pastorale alle famiglie, come una delle attenzioni prioritarie della Chiesa nel Continente.

Dopo dieci anni, la Chiesa nell'America Latina si sente felice per tutto ciò che ha potuto fare a favore della famiglia. Ma riconosce con umiltà quanto deve ancora fare, mentre capisce che la pastorale familiare, ben lontana dall'aver perso il suo carattere prioritario, appare oggi ancora più urgente, come elemento molto importante nell'evangelizzazione.

La Chiesa è cosciente, in effetti, che di questi tempi la famiglia affronta in America Latina seri problemi. Ultimamente alcuni Paesi hanno introdotto il divorzio nella loro legislazione, fatto che porta una nuova minaccia all'integrità della famiglia. Nella maggior parte dei vostri Paesi ci si allarma per il numero impressionante di bambini, avvenire di queste nazioni e speranza per il futuro, che nascono in case senza alcuna stabilità o, come si suole chiamarle, in "famiglie incomplete". Inoltre in alcune parti del "Continente della speranza", questa stessa speranza corre il rischio di svanire, poiché cresce nel seno di famiglie di cui molte non possono vivere normalmente, perché si ripercuotono particolarmente su queste i risultati più negativi dello sviluppo: indici veramente deprimenti di insalubrità, povertà e ancora miseria, ignoranza e analfabetismo, condizioni inumane di vita, malnutrizione cronica e tante altre realtà non meno preoccupanti.

In difesa della famiglia, contro questi mali, la Chiesa si impegna a dare il suo aiuto e invita i governi a porre come punto chiave della loro azione: una politica socio-familiare intelligente, audace, perseverante, riconoscendo che è li l'avvenire, la speranza del Continente. Bisognerebbe aggiungere che tale politica familiare non deve essere intesa come uno sforzo indiscriminato per ridurre l'indice di natalità a qualsiasi costo - cosa che il mio predecessore Paolo VI chiamava "diminuire il numero degli invitati al banchetto della vita" - quando è noto che è necessario invece, per lo sviluppo, un equilibrato indice di popolazione. Si tratta di unire gli sforzi per creare condizioni favorevoli all'esistenza di famiglie sane ed equilibrate: "aumentare il cibo sulla tavola", sempre secondo un'espressione di Paolo VI.

Oltre che della difesa della famiglia dobbiamo parlare anche della promozione della famiglia. A tale promozione dovranno contribuire molti organismi governativi, la scuola, i sindacati, i mezzi di comunicazione sociale, i comitati di quartiere, la varie associazioni volontarie o spontanee che fioriscono oggi ovunque.

La Chiesa deve poi offrire il suo contributo in linea con la sua missione spirituale di annuncio del Vangelo, e di guida per gli uomini verso la Salvezza, che ha anche un'enorme ripercussione sul benessere della famiglia. E che cosa può fare la Chiesa unendo i suoi sforzi a quelli degli altri? Sono sicuro che i vostri Vescovi si sforzeranno di dare, a questa questione, risposte adeguate, giuste, valide.

Vi indico quanto valore ha per la famiglia ciò che la Chiesa fa in America Latina, per esempio per preparare i futuri sposi al matrimonio, per aiutare le famiglie quando attraversano nella loro esistenza crisi normali che, ben guidate, possono rivelarsi perfino feconde e motivo di arricchimento, per poter fare di ogni famiglia cristiana una vera "ecclesia domestica", con tutto il ricco contenuto che questa espressione ha, per preparare molte famiglie alla missione di evangelizzatrici di altre famiglie per porre in rilievo tutti i valori della vita familiare, per venire in aiuto alle famiglie incomplete, per stimolare i governanti a promuovere nei loro paesi questa politica socio-familiare di cui abbiamo appena parlato. La Conferenza di Puebla certamente appoggerà le iniziative e magari ne suggerirà altre. Ci rallegra il pensare che la storia latino-americana avrà così motivo di ringraziare la Chiesa per ciò che ha fatto, fa e farà per la famiglia in questo vasto Continente.

Figli e figlie amati: il successore di Pietro si sente ora, da questo altare, singolarmente vicino a tutte le famiglie dell'America Latina. E' come se ogni focolare domestico si aprisse e il Papa potesse penetrare all'interno di ciascuno; case dove non manca il pane né il benessere, ma manca forse concordia e allegria; case dove le famiglie vivono più modestamente e nell'insicurezza del domani, aiutandosi mutuamente a vivere un'esistenza difficile pero degna; povere abitazioni nella periferia delle vostre città, dove esiste tanta sofferenza nascosta, sebbene in questa ci sia la semplice allegria dei poveri; umili capanne dei campesinos, di indigeni, di emigranti, ecc. Per ogni famiglia in particolare, il Papa vorrebbe poter dire una parola di incoraggiamento e di speranza. Voi, famiglie che potete godere il benessere, non chiudetevi dentro la vostra felicità; apritevi agli altri per dividere ciò che avanza a voi e manca ad altri. Famiglie oppresse dalla povertà, non perdetevi d'animo e, senza avere come ideale il lusso, né la ricchezza come principio di felicità, cercate con l'aiuto di tutti di superare i momenti difficili nell'attesa di giorni migliori. Famiglie visitate e afflitte dal dolore fisico o morale, provate dalla malattia o dalla miseria, non aggiungete a tali sofferenze l'amarezza o la disperazione, ma sappiate moderare il dolore con la speranza. Famiglie tutte dell'America Latina, siate sicure che il Papa vi conosce e vuole conoscervi ancora di più perché vi ama con la delicatezza di un Padre.

Questa è nel quadro della visita del Papa in Messico, la Giornata della famiglia. Accogliete dunque, famiglie latino-americane, con la vostra presenza qui, intorno all'Altare, attraverso la radio o la televisione, accogliete la visita che il Papa vuole fare ad ognuna di voi. E date al Papa l'allegria di vedervi crescere nei valori cristiani che sono i vostri, affinché l'America Latina trovi nei suoi milioni di famiglie ragioni per sperare, per lottare, per costruire.

Data: 1979-01-28

Data estesa: Domenica 28 Gennaio 1979.



III Conferenza Episcopato latino-americano - Puebla (Messico)

Titolo: Audacia di profeti e prudenza evangelica di pastori

Testo: Amati fratelli nell'Episcopato! Quest'ora che ho la gioia di vivere con voi, è certamente storica per la Chiesa in America Latina. Di ciò è cosciente l'opinione pubblica mondiale, sono coscienti i fedeli delle vostre Chiese locali, siete coscienti specialmente voi, che sarete protagonisti e responsabili di quest'ora.

E' anche un'ora di grazia, segnata dal passaggio del Signore, da una specialissima presenza e azione dello Spirito di Dio. Perciò abbiamo invocato con fiducia questo Spirito, all'inizio dei lavori. Per questo anche voglio ora supplicarvi come un fratello a fratelli molto amati: tutti i giorni di questa Conferenza e in ciascuno dei suoi atti, lasciatevi condurre dallo Spirito, apritevi alle sue ispirazioni e al suo impulso; sia egli e nessun altro spirito che vi guidi e conforti.

Con questo Spirito, per la terza volta negli ultimi venticinque anni, Vescovi di tutti i Paesi, in rappresentanza dell'Episcopato di tutto il Continente latino-americano, vi riunite per approfondire insieme il senso della vostra missione di fronte alle esigenze nuove dei vostri popoli.

La Conferenza che oggi si apre, convocata dal venerato Paolo VI, confermata dal mio indimenticabile predecessore Giovanni Paolo I e riconfermata da me come uno dei primi atti del mio pontificato, si collega con quella, ormai lontana, di Rio de Janeiro, che ebbe come suo frutto più notevole la nascita del CELAM. Ma si collega ancor più strettamente con la II Conferenza di Medellin, e ne commemora il decimo anniversario.

In questi dieci anni, quanto cammino ha fatto l'umanità e con l'umanità e al suo servizio, quanto cammino ha fatto la Chiesa. Questa III Conferenza non può disconoscere tale realtà. Dovrà, infatti, prendere come punto di partenza le conclusioni di Medellin, con tutto quanto hanno di positivo, ma senza ignorare che a volte hanno avuto errate interpretazioni e che esigono sereno discernimento, opportuna critica e chiare prese di posizione.

Vi servirà di guida nelle vostre discussioni il Documento di Lavoro preparato con tanta cura, perché costituisca sempre il punto di riferimento.

Ma avrete anche tra le mani l'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" di Paolo VI. Con quali sentimenti di compiacimento il grande Pontefice approvo come tema della Conferenza: "Il presente e il futuro dell'Evangelizzazione nell'America Latina"! Lo possono affermare quanti furono vicini a lui nei mesi di preparazione dell'assemblea. Essi potranno testimoniare anche della gratitudine, con cui egli si rese conto che il filo conduttore di tutta la Conferenza sarebbe stato questo testo, nel quale pose tutta la sua anima di Pastore, al tramonto della sua vita.

Ora che egli "ha chiuso gli occhi alla scena di questo mondo" (cfr. Testamento di Paolo VI) tale Documento si trasforma in un testamento spirituale, che la Conferenza dovrà scrutare con amore e diligenza, per farne un altro punto di riferimento obbligatorio e vedere come tradurlo in pratica. Tutta la Chiesa vi è grata per l'esempio che date, per quello che fate, e che forse altre Chiese locali faranno a loro volta.

Il Papa desidera stare con voi all'inizio dei Vostri lavori, grato al "Padre dei lumi dal quale viene ogni dono perfetto" (Jc 1,17), per avervi potuto accompagnare nella solenne Messa di ieri, sotto lo sguardo materno della Vergine di Guadalupe, così come nella Messa di questa mattina. Con molto piacere resterei con voi in preghiera, riflessione e lavoro: restero, siatene sicuri, in ispirito, mentre mi reclama altrove la "sollicitudo omnium ecclesiarum" (2Co 11,28).

Desidero almeno, prima di ritornare a Roma, lasciarvi come pegno della mia presenza spirituale alcune parole, che pronuncio con ansia di Pastore e affetto di Padre, eco delle principali preoccupazioni mie circa il tema che dovete trattare e circa la vita della Chiesa in questi cari Paesi.


I. Maestri della Verità.

E' un gran sollievo per il Pastore universale constatare che vi riunite qui, non come un simposio di esperti, non come un parlamento di politici, non come un congresso di scienziati o tecnici, per quanto importanti possano essere tali riunioni, ma come un fraterno incontro di Pastori della Chiesa. E come Pastori avete la piena consapevolezza che il vostro principale dovere è quello di essere Maestri della Verità. Non di una verità umana e razionale, ma della Verità che viene da Dio; che porta con sé il principio dell'autentica liberazione dell'uomo: "conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,32); quella verità che è l'unica ad offrire una base solida per una "prassi" adeguata.

1. Vigilare per la purezza della dottrina, base nell'edificazione della comunità cristiana, è, infatti, insieme con l'annunzio del Vangelo, il primo e insostituibile dovere del Pastore, del Maestro della fede. Con quanta frequenza lo metteva in rilievo san Paolo, convinto della gravità nel compimento di tale dovere (1Tm 1,3-7 1Tm 1,18-20 1Tm 11,16 2Tm 1,4-14). Oltre l'unità nella carità, ci preme sempre l'unità nella verità. L'amatissimo Papa Paolo VI nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi", affermava: "Il Vangelo che ci è stato affidato è anche parola di verità. Una verità che rende liberi e che sola può donare la pace del cuore: questo cercano gli uomini quando annunziamo loro la buona novella. La verità su Dio, la verità sull'uomo e sul suo misterioso destino, la verità sul mondo... Il predicatore del Vangelo sarà colui il quale, anche a costo di rinunce e sacrifici, cerca sempre la verità che deve trasmettere agli altri. Egli non tradisce né dissimula mai la verità per piacere agli uomini, per stupire o sbalordire, né per originalità o desiderio di mettersi in mostra... In quanto Pastori del Popolo di Dio, il nostro servizio pastorale ci sprona a custodire, difendere e comunicare la verità senza badare a sacrifici" (EN 78).

2. Da voi, Pastori, i fedeli dei vostri Paesi sperano e reclamano anzitutto un'assidua e zelante trasmissione della verità su Gesù Cristo. Questa si trova al centro dell'evangelizzazione e ne costituisce il contenuto essenziale: "Non c'è vera evangelizzazione se il nome, l'insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, non siano proclamati" (EN 22).

Dalla conoscenza viva di questa verità dipenderà il vigore della fede di milioni di uomini. Dipenderà altresi il coraggio della loro adesione alla Chiesa e della loro attiva presenza di cristiani nel mondo. Da questa conoscenza derivano opzioni, valori, attitudini e comportamenti capaci di orientare e di definire la nostra vita cristiana e di creare uomini nuovi e quindi, mediante la conversione della coscienza individuale e sociale, un'umanità nuova (cfr. EN 18).

La luce su tanti temi e questioni dottrinali e pastorali, che vi proponete di esaminare in questi giorni, deve provenire da una solida cristologia.

3. Dobbiamo quindi confessare Cristo davanti alla storia e al mondo con convinzione profonda, sentita, viva, come lo confesso Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).

Questa è la buona novella in un certo senso unica: la Chiesa vive mediante essa e per essa, così come ne trae tutto ciò che ha da offrire agli uomini, senza distinzione alcuna di nazionalità, cultura, razza, tempo, età o condizione. Per questo "da tale confessione (di Pietro), la storia sacra della salvezza e del Popolo di Dio doveva acquisire una nuova dimensione..." (Giovanni Paolo II, Omelia per L'inaugurazione del pontificato, 22 ottobre 1978: AAS 70 (1978) 944).

E' questo l'unico Vangelo, e "anche se noi stessi o un angelo del cielo ve ne annunciassimo un altro diverso... sia anatema!", come scriveva l'Apostolo con chiare parole (Ga 1,6).

4. Ebbene, esistono oggi da molte parti - il fenomeno non è nuovo - "riletture" del Vangelo, che sono risultato di speculazioni teoriche ben più che di autentica meditazione della parola di Dio e di un vero impegno evangelico. Esse causano confusione, se si allontanano dai criteri centrali della fede della Chiesa e si cade nella temerarietà di comunicarle, come catechesi, alle comunità cristiane.

In alcuni casi, o si tace la divinità di Cristo, o si incorre di fatto in forme di interpretazione contrarie alla fede della Chiesa. Cristo sarebbe solamente un "profeta", un annunciatore del Regno e dell'amore di Dio, ma non il vero Figlio di Dio, e non sarebbe pertanto il centro e l'oggetto dello stesso messaggio evangelico.

In altri casi, si pretende di mostrare Gesù come impegnato politicamente, come uno che combatte contro la dominazione romana e contro i potenti, anzi implicato in una lotta di classe. Questa concezione di Cristo come politico, rivoluzionario, come il sovversivo di Nazaret, non si compagina con la catechesi della Chiesa. Confondendo l'insidioso pretesto degli accusatori di Gesù con l'atteggiamento - ben diverso - dello stesso Gesù, si adduce come causa della sua morte la soluzione di un conflitto politico e si passa sotto silenzio la sua volontà di consegnarsi e perfino la coscienza della sua missione redentrice. I Vangeli indicano chiaramente come per Gesù si tratto di una tentazione, che avrebbe alterato la sua missione di Servo di Jahvè (Mt 4,8 Lc 4,5). Egli non accetta la posizione di quanti mescolavano le cose di Dio con atteggiamenti meramente politici (Mt 22,21 Mc 12,17 Jn 18,36). Rifiuta inequivocabilmente il ricorso alla violenza. Offre il suo messaggio di conversione a tutti, senza escludere gli stessi pubblicani. La prospettiva della sua missione è assai più profonda. Consiste nella salvezza integrale per mezzo di un amore trasformante, pacificatore, di perdono e di riconciliazione. Nessun dubbio, d'altronde, che tutto ciò è assai esigente per l'atteggiamento del cristiano, che desidera servire veramente i fratelli più piccoli, i poveri, i bisognosi, gli emarginati in una parola, tutti coloro che riflettono nei propri il volto sofferente del Signore (LG 8).

5. In opposizione a tali "riletture" e alle ipotesi, brillanti forse, ma fragili e inconsistenti, che ne derivano, "l'evangelizzazione nel presente e nel futuro dell'America Latina" non può cessare di affermare la fede della Chiesa: Gesù Cristo, Verbo e Figlio di Dio, si fece uomo per avvicinarsi all'uomo e offrirgli, con la forza del suo mistero, la salvezza, grande dono di Dio (EN 19 EN 27).

E' questa la fede che ha informato la vostra storia e ha plasmato i valori migliori dei vostri popoli e dovrà seguire ad animare, con tutte le energie, il dinamismo del suo futuro. E' questa la fede, che rivela la vocazione alla concordia e all'unità e che deve allontanare i pericoli di guerre in questo continente della speranza, nel quale la Chiesa e stata così potente elemento di integrazione. E' questa la fede, infine, che con tanta vitalità e in modi così vari esprimono i fedeli dell'America Latina attraverso la religiosità o pietà popolare.

Da questa fede in Cristo, dal seno della Chiesa, traiamo la capacità di servire l'uomo, i nostri popoli, di penetrare con il Vangelo la loro cultura, di trasformare i cuori, di umanizzare sistemi e strutture.

Qualunque silenzio, dimenticanza, mutilazione o inadeguata accentuazione dell'integrità del mistero di Gesù Cristo, che si allontani dalla fede della Chiesa, non può costituire valido contenuto dell'evangelizzazione. "Oggi sotto il pretesto di una pietà che è falsa, sotto l'apparenza ingannevole di una predicazione evangelica, si tenta di negare il Signore Gesù", scriveva un grande vescovo in mezzo alle aspre crisi del secolo IV. E aggiungeva: "Dico la verità, perché sia a tutti nota la causa del disorientamento che soffriamo. Non posso tacere" (S. Ilario, "Ad Ausentium", 1,4). Neppure voi, Vescovi di oggi, quando vi sono confusioni come quelle accennate, potete tacere.

E' la raccomandazione fatta da Paolo VI nel discorso di apertura della Conferenza di Medellin: "Parlate, parlate, predicate, scrivete, prendete posizioni, come si dice, in armonia coi propositi e le intenzioni, circa le verità della fede, difendendole e illustrandole, circa l'attualità del Vangelo, le questioni che interessano la vita dei fedeli e la tutela dei costumi cristiani..." (Paolo VI, 24 agosto 1968: AAS 60 (1968) 643).

Non mi stanchero neppure io di ripetere, adempiendo il mio compito di evangelizzare tutta l'umanità: "Non abbiate paura! Aprite ancora di più, aprite completamente le porte a Cristo! Aprite alla sua potenza salvifica le porte degli Stati, i sistemi economici e politici, i vasti campi della cultura, della civiltà e dello sviluppo" (Giovanni Paolo II Omelia per l'inaugurazione del pontificato, 22 ottobre 1978: AAS 70 (1978) 947).


6. Maestri di Verità, si spera da voi che proclamiate senza sosta, e con speciale vigore in questa circostanza, la verità circa la missione della Chiesa, oggetto del Credo che professiamo, e campo imprescindibile e fondamentale della nostra fedeltà.

Il Signore l'ha istituita come comunità di vita, di carità, di verità (LG 9) e come corpo, "pléroma" e sacramento di Cristo, nel quale abita la pienezza della divinità (LG 7).

La Chiesa nasce dalla risposta di fede che diamo a Cristo. Infatti, è mediante l'accoglienza sincera della buona novella che riuniamo i credenti nel nome di Gesù per cercare insieme il Regno, costruirlo, viverlo (Paolo VI, EN 13). La Chiesa è costituita "da coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace" (LG 9).

D'altra parte, pero, noi nasciamo dalla Chiesa: essa ci comunica la ricchezza della vita e della grazia della quale è depositaria, ci genera mediante il battesimo, ci nutre con i sacramenti e la parola di Dio, ci prepara per la missione, ci guida a compiere il disegno di Dio, ragione della nostra esistenza in quanto cristiani. Siamo suoi figli. La chiamiamo con legittimo orgoglio nostra Madre, ripetendo un titolo che proviene dai primi tempi e attraversa i secoli (cfr. Henri de Lubac, "Meditazione sulla Chiesa").

Oltre che chiamarla, bisogna rispettarla, servirla, perché "non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre" (S. Cipriano, "De Unitate Ecclesiae", 6,8), "non è possibile amare Cristo senza amare la Chiesa che Cristo ama" (EN 16), e "nella misura in cui si ama la Chiesa di Cristo, si possiede lo Spirito Santo" (S. Agostino, "In Ioannem tract.", 32,8).

L'amore alla Chiesa deve essere atto di fedeltà e di confidenza. Nel primo Discorso del mio pontificato, sottolineando il proposito di fedeltà al Concilio Vaticano II e la volontà di dedicare le cure maggiori al settore dell'ecclesiologia, invitai a riprendere in mano la costituzione dogmatica "Lumen Gentium", per meditare "con rinnovato sforzo sulla natura e sulla missione della Chiesa, sul suo modo di esistere e di agire... Non solo per conseguire quella comunione di vita in Cristo di tutti coloro che in lui credono e sperano, ma al fine di contribuire a rendere più ampia e stretta l'unità dell'intera famiglia umana". Ripeto ora l'invito, in questo momento straordinario dell'evangelizzazione in America Latina: "l'adesione a questo documento del Concilio, così come risulta illuminato dalla Tradizione e che contiene le formule dogmatiche date ormai un secolo fa dal Concilio Vaticano I, sarà per noi, Pastori e fedeli, il cammino sicuro e lo stimolo costante - diciamolo di nuovo - per procedere sui sentieri della vita e della storia" (Giovanni Paolo II, Primo Radiomessaggio, 17 ottobre 1978; AAS 70 (1978) 921).7. Non c'è garanzia di un'azione evangelizzatrice seria e vigorosa, se manca un'ecclesiologia ben fondata.

Innanzitutto perché evangelizzare è la missione essenziale, la vocazione propria, l'identità più profonda della Chiesa, a sua volta evangelizzata (EN 14-15 LG 5). Inviata dal Signore, essa invia a sua volta gli evangelizzatori a predicare "non le proprie persone o idee personali, bensì un Vangelo di cui, né, essi, né la Chiesa sono padroni e proprietari assoluti per disporne a loro arbitrio" (EN 15).

Poi, perché "evangelizzare non è mai per nessuno un atto individuale e isolato, ma profondamente ecclesiale, un atto della Chiesa", che non è soggetto al potere discrezionale di criteri e prospettive individualistiche, ma alla comunione con la Chiesa e con i suoi Pastori (EN 60). Una visione corretta della Chiesa è dunque base indispensabile per una giusta visione dell'evangelizzazione.

Come potrebbe esserci un'evangelizzazione autentica, se mancasse un'adesione pronta e sincera al sacro Magistero, con la chiara coscienza che sottomettendosi ad esso il Popolo di Dio accoglie non una parola di uomini, ma la vera parola di Dio (cfr. 1Tm 2,13 LG 12)? "Bisogna tener conto dell'importanza "oggettiva" di questo Magistero e inoltre difenderlo dalle insidie che, qua e là, si tendono contro alcune ferme verità della nostra fede cattolica" (Giovanni Paolo II, Primo Radiomessaggio, 17 ottobre 1978; AAS 70 (1978) 924).

Conosco bene la vostra adesione e disponibilità verso la Cattedra di Pietro e l'amore che sempre le avete dimostrato. Vi ringrazio di cuore, nel nome del Signore, per la profonda attitudine ecclesiale che ciò implica, e desidero che voi pure abbiate la consolazione che meritate con l'adesione leale dei vostri fedeli.8. Nell'ampia documentazione, con la quale avete preparato questa Conferenza, particolarmente nei contributi di numerose Chiese, si avverte talvolta un certo malessere rispetto all'interpretazione stessa della natura e della missione della Chiesa. Si allude per esempio alla separazione, che alcuni stabiliscono, fra Chiesa e Regno di Dio. Questo, svuotato del suo contenuto totale, viene inteso in senso assai secolarizzato: al Regno non si arriverebbe mediante la fede e l'appartenenza alla Chiesa, ma attraverso un mero cambio strutturale e l'impegno socio-politico. Laddove vi è un certo tipo di impegno e di prassi per la giustizia, qui sarebbe presente il Regno. Si dimentica in tal modo che "la Chiesa... riceve la missione di annunziare e di istaurare in tutte le genti il Regno di Cristo e di Dio, e di questo Regno costituisce in terra il germe e l'inizio" (LG 5).

In una delle sue belle Catechesi, il Papa Giovanni Paolo I, parlando della virtù della speranza, avvertiva: "è un errore affermare che la liberazione politica, economica e sociale coincide con la salvezza in Gesù Cristo; che il "Regnum Dei" si identifica con il "Regnum hominis"".

Si ingenera, in alcuni casi, un atteggiamento di sfiducia verso la Chiesa "istituzionale" o "ufficiale", qualificata come alienante, e alla quale si opporrebbe un'altra Chiesa "popolare", "che nasce dal popolo" e si concreta nei poveri. Queste posizioni potrebbero implicare in gradi differenti non sempre facili da precisare, noti condizionamenti ideologici. Il Concilio ha fatto presente quale è la natura e la missione della Chiesa, e come si contribuisce alla sua unità profonda e alla sua costruzione permanente da parte di coloro, che sono incaricati dei ministeri della comunità e devono contare sulla collaborazione di tutto il Popolo di Dio. Infatti, "se il Vangelo che proclamiamo appare lacerato da discussioni dottrinali, da polarizzazioni ideologiche o da condanne reciproche tra cristiani in balia delle loro diverse teorie su Cristo e sulla Chiesa, e anche a causa delle loro diverse concezioni sulla società e le istituzioni umane, come potrebbero coloro cui è rivolta la nostra predicazione non sentirsene turbati, disorientati, se non addirittura scandalizzati?" (EN 77).



9. La Verità, che dobbiamo all'uomo è, anzitutto, una verità sull'uomo stesso. In quanto testimoni di Gesù Cristo siamo araldi, portavoce, servi di questa verità, che non possiamo ridurre ai principi di un sistema filosofico o a una pura attività politica; non possiamo dimenticarla o tradirla.

Forse una delle debolezze più vistose dell'attuale civiltà consiste nella visione inadeguata dell'uomo. La nostra è, senza dubbio, l'epoca nella quale molto si è scritto e parlato intorno all'uomo, l'epoca degli umanismi e dell'antropocentrismo. Tuttavia, paradossalmente, è anche l'epoca delle angosce più profonde dell'uomo circa la propria identità e il proprio destino, della retrocessione dell'uomo a livelli prima insospettati, l'epoca di valori umani conculcati come mai in precedenza.

Come si spiega questo paradosso? Possiamo dire che si tratta del paradosso inesorabile dell'umanesimo ateo. E' il dramma dell'uomo amputato di una dimensione essenziale del proprio essere - la sua ricerca dell'infinito - e posto così di fronte alla peggiore riduzione del medesimo essere. La costituzione pastorale GS 22, tocca il fondo del problema, quando afferma: "Solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo".

La Chiesa possiede, grazie al Vangelo, la verità sull'uomo. Questa si incontra in un'antropologia, che la Chiesa non cessa di approfondire e di comunicare. L'affermazione primordiale di tale antropologia è quella dell'uomo come immagine di Dio, irriducibile ad una semplice particella della natura o ad un elemento anonimo della città umana (cfr. GS 12 § 3, GS 14 § 2). In questo senso, sant'Ireneo scriveva: "La gloria dell'uomo è Dio, ma il ricettacolo di ogni azione di Dio, della sua sapienza, del suo potere è l'uomo" ("Adv. haereses", III, 20,2-3).

A quest'insostituibile fondamento della concezione cristiana dell'uomo, mi sono riferito in particolare nel Messaggio Natalizio: "Natale è la festa dell'uomo... L'uomo, oggetto di calcolo, considerato in base alla categoria di quantità... e nella stesso tempo uno, unico e irripetibile... qualcuno eternamente ideato ed eternamente eletto: qualcuno chiamato e denominato dal suo nome" (Giovanni Paolo II, Messaggio Natalizio, 25 dicembre 1978: AAS 71 (1979) 66).

Di fronte a tanti altri umanesimi, spesso rinchiusi in una visione dell'uomo strettamente economica, biologica e psichica, la Chiesa ha il diritto e il dovere di proclamare la Verità sull'uomo, verità che ha ricevuto dal suo stesso maestro Gesù Cristo. Voglia Iddio che nessuna coazione esterna lo impedisca. Ma, soprattutto, voglia Dio che non tralasci essa di farlo per timore o per dubbio, per essersi lasciata contaminare da altri umanesimi, per mancanza di fiducia nel proprio messaggio originale. Quando perciò un Pastore della Chiesa annuncia con chiarezza e senza ambiguità la Verità sull'uomo, rivelata da colui che "sapeva quello che c'è nell'uomo" (Jn 2,25), deve animarlo la certezza di star prestando all'essere umano il servizio migliore.

Questa verità completa sull'essere umano costituisce il fondamento della dottrina sociale della Chiesa, così com'è la base della vera liberazione. Alla luce di tale verità, l'uomo non è un essere sottomesso ai processi economici e politici, ma questi stessi processi sono ordinati all'uomo e sottoposti a lui.

Da quest'incontro di Pastori uscirà senza dubbio fortificata la verità sull'uomo insegnata dalla Chiesa.


GPII 1979 Insegnamenti - Ai sacerdoti diocesani e religiosi - Guadalupe (Messico)