GP2 Discorsi 2004 227


1650° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA

DI SANT'AGOSTINO, VESCOVO DI IPPONA

PREGHIERA DI GIOVANNI PAOLO II

A SANT'AGOSTINO


O grande Agostino, nostro padre e maestro,

conoscitore dei luminosi sentieri di Dio
ed anche delle tortuose vie degli uomini,
228 noi ammiriamo le meraviglie
che la Grazia divina
ha operato in te,
rendendoti appassionato testimone
della verità e del bene, a servizio dei fratelli.

All'inizio di un nuovo millennio
segnato dalla croce di Cristo,
insegnaci a leggere la storia
nella luce della Provvidenza divina,
che guida gli eventi verso l'incontro definitivo col Padre.
Orientaci verso mete di pace,
229 alimentando nel nostro cuore
il tuo stesso anelito per quei valori
sui quali è possibile costruire,
con la forza che proviene da Dio,
la "città" a misura dell'uomo.

La profonda dottrina, che con studio
amoroso e paziente hai attinto
alle sorgenti sempre vive della Scrittura,
illumini quanti sono oggi tentati
da alienanti miraggi.
Ottieni loro il coraggio di intraprendere
230 il cammino verso quell'"uomo interiore"
nel quale è in attesa Colui
che, solo, può dare pace
al nostro cuore inquieto.

Tanti nostri contemporanei
sembrano aver smarrito la speranza
di poter giungere, tra le molte
contrastanti ideologie, alla verità,
di cui tuttavia il loro intimo conserva
la struggente nostalgia.
Insegna loro a non desistere mai dalla ricerca,
231 nella certezza che, alla fine, la loro fatica
sarà premiata dall'incontro appagante
con quella Verità suprema
che è sorgente di ogni verità creata.

Infine, o Sant'Agostino, trasmetti anche a
noi una scintilla di quell'ardente amore
per la Chiesa, la Catholica madre dei santi,
che ha sostenuto ed animato
le fatiche del tuo lungo ministero.
Fa' che, camminando insieme sotto la guida
dei legittimi Pastori,
232 giungiamo alla gloria della Patria celeste,
ove, con tutti i Beati,
potremo unirci al cantico nuovo dell'alleluia
senza fine. Amen.


IN OCCASIONE DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE


DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE


Venerdì, 12 novembre 2004




Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell'Episcopato,
carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di accogliervi in occasione della Conferenza Internazionale del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, i cui lavori sono in corso. Con questa vostra visita avete voluto riaffermare il vostro impegno scientifico ed umano a favore di quanti si trovano in uno stato di sofferenza.

Ringrazio il Signor Cardinale Javier Lozano Barragán per le cortesi espressioni che, a nome di tutti, mi ha testé rivolto. Il mio grato pensiero e il mio apprezzamento vanno a quanti hanno recato il loro contributo a questa assise, come pure ai tanti medici e operatori sanitari che, nel mondo, dedicano le proprie capacità scientifiche, umane e spirituali al sollievo del dolore e delle sue conseguenze.

2. La medicina si pone sempre al servizio della vita. Anche quando sa di non poter debellare una grave patologia, dedica le proprie capacità a lenirne le sofferenze. Lavorare con passione per aiutare il paziente in ogni situazione significa aver coscienza dell'inalienabile dignità di ogni essere umano, anche nelle estreme condizioni dello stato terminale. In questa dedizione al servizio di chi soffre, il cristiano riconosce una dimensione fondamentale della propria vocazione: nell’adempimento di tale compito, infatti, egli sa di prendersi cura di Cristo stesso (cfr Mt 25,35-40).

233 “Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del Vangelo ci opprime”, ricorda il Concilio (Gaudium et spes GS 22). Chi nella fede si apre a questa luce, trova conforto nella propria sofferenza ed acquista la capacità di lenire la sofferenza altrui. Di fatto esiste una relazione direttamente proporzionale tra la capacità di soffrire e la capacità di aiutare chi soffre. L’esperienza quotidiana insegna che le persone più sensibili al dolore altrui e più dedite a lenire i dolori degli altri sono anche più disposte ad accettare, con l’aiuto di Dio, le proprie sofferenze.

3. L’amore verso il prossimo, che Gesù ha tratteggiato con efficacia nella parabola del buon samaritano (cfr Lc 10, 29ss), rende capaci di riconoscere la dignità di ogni persona, anche quando la malattia è venuta a gravare sulla sua esistenza. La sofferenza, l’anzianità, lo stato di incoscienza, l’imminenza della morte non diminuiscono l'intrinseca dignità della persona, creata ad immagine di Dio.

Tra i drammi causati da un'etica che pretende di stabilire chi può vivere e chi deve morire, vi è quello dell’eutanasia. Anche se motivata da sentimenti di una mal intesa compassione o di una mal compresa dignità da preservare, l’eutanasia invece che riscattare la persona dalla sofferenza ne realizza la soppressione.

La compassione, quando è priva della volontà di affrontare la sofferenza e di accompagnare chi soffre, porta alla cancellazione della vita per annientare il dolore, stravolgendo così lo statuto etico della scienza medica.

4. La vera compassione, al contrario, promuove ogni ragionevole sforzo per favorire la guarigione del paziente. Al tempo stesso essa aiuta a fermarsi quando nessuna azione risulta ormai utile a tale fine.

Il rifiuto dell' accanimento terapeutico non è un rifiuto del paziente e della sua vita. Infatti, l’oggetto della deliberazione sull’opportunità di iniziare o continuare una pratica terapeutica non è il valore della vita del paziente, ma il valore dell’intervento medico sul paziente.

L’eventuale decisione di non intraprendere o di interrompere una terapia sarà ritenuta eticamente corretta quando questa risulti inefficace o chiaramente sproporzionata ai fini del sostegno alla vita o del recupero della salute. Il rifiuto dell’accanimento terapeutico, pertanto, è espressione del rispetto che in ogni istante si deve al paziente.

Sarà proprio questo senso di amorevole rispetto che aiuterà ad accompagnare il paziente fino alla fine, ponendo in atto tutte le azioni e attenzioni possibili per diminuirne le sofferenze e favorirne nell’ultima parte dell’esistenza terrena un vissuto per quanto possibile sereno, che ne disponga l’animo all’incontro con il Padre celeste.

5. Soprattutto nella fase della malattia, in cui non è più possibile praticare terapie proporzionate ed efficaci, mentre, si impone l'obbligo di evitare ogni forma di ostinazione o accanimento terapeutico, si colloca la necessità delle “cure palliative” che, come afferma l’Enciclica Evangelium vitae, sono “destinate a rendere più sopportabile la sofferenza nella fase finale della malattia e di assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento” (n. 65).

Le cure palliative, infatti, mirano a lenire, specialmente nel paziente terminale, una vasta gamma di sintomi di sofferenza di ordine fisico, psichico e mentale, e richiedono perciò l'intervento di un’équipe di specialisti con competenza medica, psicologica e religiosa, tra loro affiatati per sostenere il paziente nella fase critica.

In particolare, nell’ Enciclica Evangelium vitae è stata sintetizzata la dottrina tradizionale sull'uso lecito e talora doveroso degli analgesici nel rispetto della libertà dei pazienti, i quali devono essere posti in grado, nella misura del possibile, “di soddisfare ai loro obblighi morali e familiari e soprattutto devono potersi preparare con piena coscienza all'incontro definitivo con Dio” (n. 65).

234 D'altra parte, mentre non si deve far mancare ai pazienti che ne hanno necessità il sollievo proveniente dagli analgesici, la loro somministrazione dovrà essere effettivamente proporzionata all'intensità e alla cura del dolore, evitando ogni forma di eutanasia quale si avrebbe somministrando ingenti dosi di analgesici proprio con lo scopo di provocare la morte.

Ai fini di realizzare questo articolato aiuto occorre incoraggiare la formazione di specialisti delle cure palliative, in particolare strutture didattiche alle quali possono essere interessati anche psicologi e operatori della pastorale.

6. La scienza e la tecnica, tuttavia, non potranno mai dare risposta soddisfacente agli interrogativi essenziali del cuore umano. A queste domande può rispondere solo la fede. La Chiesa intende continuare ad offrire il proprio contributo specifico attraverso l’accompagnamento umano e spirituale degli infermi, che desiderano aprirsi al messaggio dell’amore di Dio, sempre attento alle lacrime di chi si rivolge a lui (cfr
Ps 39,13). Si evidenzia qui l’importanza della pastorale sanitaria, nella quale ricoprono un ruolo di speciale rilievo le cappellanie ospedaliere, che tanto contribuiscono al bene spirituale di quanti soggiornano nelle strutture sanitarie.

Come dimenticare poi il contributo prezioso dei volontari che con il loro servizio danno vita a quella fantasia della carità che infonde speranza anche all’amara esperienza della sofferenza? E’ anche per loro mezzo che Gesù può continuare oggi a passare tra gli uomini, per beneficarli e sanarli (cfr Ac 10,38).

7. La Chiesa offre così il proprio contributo in questa appassionante missione a favore delle persone che soffrono. Voglia il Signore illuminare quanti sono vicini ai malati, incoraggiandoli a perseverare nei distinti ruoli e nelle diverse responsabilità.

Tutti accompagni Maria, Madre di Cristo, nei momenti difficili del dolore e della malattia, affinché la sofferenza umana possa essere assunta nel mistero salvifico della Croce di Cristo.

Accompagno tali auspici con la mia Benedizione.


A S.E. IL SIGNOR JORGE SAMPAIO


PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DEL PORTOGALLO


Venerdì, 12 novembre 2004




Signor Presidente,

È con grande piacere che La ricevo e La saluto, Eccellenza e distinto seguito, ricordando il saluto che ci siamo scambiati durante la visita che ho compiuto nella Sua amata Patria per beatificare due piccoli grandi portoghesi: Francisco e Jacinta Marto.

La Luce caritatevole, che risplendette nella loro vita, anela ad estendersi a tutto il mondo. Questo continua a guardare con speranza al Portogallo, soprattutto man mano che prende coscienza della grave crisi di valori vissuta dalla società attuale, sempre più insicura di fronte alle decisioni etiche indispensabili per il cammino futuro dell'umanità.

235 La formazione di una coscienza critica riguardo al discernimento del senso della vita e della storia costituisce la sfida culturale più grande del momento attuale, che la Chiesa e il Portogallo desiderano affrontare in una sana collaborazione, come dimostra il nuovo Concordato che sta per entrare in vigore. Su di voi, sulle vostre famiglie e sul vostro popolo invoco di tutto cuore la Benedizione di Dio Onnipotente.


AI MEMBRI DELL’ "UFFICIO CRISTIANO DEI DISABILI"


Sabato, 13 novembre 2004




Cari Amici dell'Ufficio cristiano dei Disabili,

1. Sono lieto di accogliervi, voi che siete venuti con la vostra Fondatrice, Marie-Hélène Mathieu, in occasione del pellegrinaggio che realizzate per il quarantesimo anniversario della vostra associazione. Insieme con voi desidero rendere grazie per l'azione che svolgete presso le persone disabili e le loro famiglie, mostrando il valore incomparabile di ogni vita.

Attraverso l'attenzione a quanti soffrono perché disabili, ricordate ai nostri contemporanei che la persona non si riduce alle sue attitudini e al suo posto nella vita economica, ma è una creatura di Dio, amata da Lui per se stessa e non per quello che fa.

La mia preghiera affettuosa abbraccia anche i genitori e tutti coloro che accettano di accogliere una persona disabile. Conosco i sacrifici che questo comporta, ma anche la gioia che vi è nel vedere la contentezza sul volto di una persona disabile e l'affetto che prova per quanti si prendono cura di lei.

2. La vostra azione è al contempo un servizio e una vera missione per la promozione della persona umana e per la difesa della sua dignità, come mostra il tema del vostro pellegrinaggio, Tu ci hai scelti per servire in tua presenza. Voi svolgete nel cuore della Chiesa il servizio insigne della carità, della tenerezza e della compassione fra le persone disabili e le loro famiglie, che "si sono rivestiti del volto di Cristo" come dice san Gregorio Nisseno a proposito di tutti i poveri (cfr De pauperibus amandis).

Siete uno dei segni della solidarietà di tutta la comunità cristiana verso coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito, ricordando che Cristo è venuto per dare la vita in abbondanza a ogni uomo e per rivelarci che la salvezza è rivolta a tutti, come ha annunciato nella sinagoga di Nazareth (cfr Lc 4,14-21). Il Concilio Vaticano II l'ha opportunamente sottolineato: "Lo spirito di povertà e di amore è infatti la gloria e la testimonianza della Chiesa di Cristo" (Gaudium et spes GS 88).

3. La vostra presenza m'invita a esortare ancora una volta in modo pressante tutti gli uomini di buona volontà, in particolare quanti svolgono una funzione governativa e legislativa, a un sussulto di coscienza e di umanità, affinché la vita umana sia tutelata, in particolare quella dei più deboli, dei più piccoli e dei più poveri, e affinché cessino tutte le azioni tese a eliminare i bambini concepiti e non ancora nati, che sono senza difesa, facendosi così l'uomo signore della vita. Schernire i piccoli è in un certo senso schernire la nostra stessa umanità, in quanto fra noi tutti esiste una stessa fraternità e una stessa solidarietà.

Chiedendo a Nostra Signora di Lourdes di sostenervi nella vostra missione, imparto a voi, come anche a tutti i membri dell'Ufficio cristiano dei Disabili, alle famiglie e a tutti coloro che si uniscono alla vostra azione, un'affettuosa Benedizione Apostolica.




AI PARTECIPANTI AL SIMPOSIO DEI VESCOVI D’AFRICA ED EUROPA


PROMOSSO DAL CONSIGLIO


DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D’EUROPA


Sabato, 13 novembre 2004


236 Venerati Fratelli nell’Episcopato,
carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Con grande gioia vi accolgo, e saluto tutti con affetto, a conclusione del Simposio dei Vescovi d’Africa ed Europa. Saluto in particolare i Presidenti del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) e del Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar (SECAM), e sono loro grato per le cortesi parole che mi hanno rivolto a vostro nome. Esprimo riconoscenza a quanti hanno promosso e collaborato alla realizzazione di quest’incontro finalizzato ad incrementare la comunione tra le Chiese d’Europa e di Africa, affrontando insieme problematiche di comune interesse. Lo dice il tema stesso del vostro Simposio: "Comunione e solidarietà tra l’Africa e l’Europa".

2. Venerati Fratelli nell’Episcopato! Mi rallegro che abbiate avvertito il desiderio di approfondire i vincoli della fraternità sacramentale, che animano il vostro impegno pastorale al servizio di Dio e dei fratelli. Impegno che non può non tradursi in una costante collaborazione, nello stile dello "scambio di doni". A tale proposito, mi piace evocare il rapporto di profonda intesa che, a metà del III secolo, legava i santi Cornelio e Cipriano, Vescovi rispettivamente di Roma e di Cartagine. Dalle loro lettere emerge, in modo chiaro, che l’unità della Chiesa è edificata dall’Eucaristia, e si manifesta in una costante ricerca della fraterna e solidale cooperazione.

Questo stile di amore fraterno costituisce una significativa testimonianza che i Pastori delle Chiese in Europa e in Africa sono chiamati ad offrire per affrontare le grandi sfide che interpellano la fede cristiana in questa nostra società globalizzata.

3. Il vostro Simposio ha favorito l’incontro e il dialogo tra la cultura e la mentalità europea e quella africana. Si tratta di valorizzare le diverse tradizioni culturali in maniera complementare per permettere alle varie Comunità ecclesiali di affrontare congiuntamente tematiche esistenziali quali la concezione dell’uomo e della società, e ambiti operativi della pastorale, come l’evangelizzazione e le relazioni ecumeniche ed interreligiose.

Inoltre, la consapevolezza di svolgere la medesima missione al servizio del Vangelo in Europa ed Africa vi renderà sempre più attenti alle attese dell’universale famiglia dei popoli.

4. Ma per portare a compimento quest’urgente azione missionaria è indispensabile coltivare in primo luogo la preghiera e il contatto personale con Cristo. Giustamente, pertanto, durante questi giorni avete sollecitato il sostegno orante delle vostre rispettive Comunità ecclesiali, in particolare di tanti Monasteri, sparsi nei due Continenti. A questa corale richiesta di aiuto celeste, mi unisco anch’io invocando su di voi la protezione di Maria Santissima, Stella dell’evangelizzazione, come pure la speciale intercessione di sant’Agostino di Ippona, la cui figura è come un ponte tra l’Africa e l’Europa. Proprio oggi ricorre il 1650° della sua nascita e in questi giorni le sue reliquie sono presenti a Roma.

5. Infine, accogliendo i voti del Consiglio post-sinodale, interprete dei desideri dei Pastori africani, colgo l’occasione per annunciare la mia intenzione di convocare una seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.

Affido questo progetto alla vostra preghiera, mentre invito caldamente tutti a implorare dal Signore per l’amata terra d’Africa il dono prezioso della comunione e della pace.

Rinnovando il mio grazie per la vostra visita, di cuore imparto una speciale benedizione a voi, alle Conferenze Episcopali d’Africa e d’Europa e a tutti gli abitanti dei rispettivi continenti.




ALLE PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE


DELLE SUORE DI SANTA ELISABETTA


237
Lunedì, 15 novembre 2004


Carissime Sorelle!

1. Vi sono cordialmente grato per l’odierna visita, che ha luogo durante il Capitolo Generale della vostra Famiglia religiosa. Saluto con affetto ciascuna di voi qui presente. In particolare saluto la nuova Superiora Generale, Madre Samuela Werbinska, con il suo Consiglio e la ringrazio per le cortesi parole che ha voluto rivolgermi. Estendo il mio pensiero a tutte le Consorelle attivamente impegnate nella testimonianza del Vangelo della carità in diverse nazioni.

2. In questi giorni avete avuto modo di riflettere sul carisma che vi contraddistingue. Quando, verso la metà del 1800, le vostre Fondatrici, Clara Wolff, Matilde e Maria Merkert e Francesca Werner, iniziarono a servire le "membra sofferenti del Corpo di Cristo" nella città di Nysa in Polonia, avevano come meta e programma del loro apostolato le parole di Gesù: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me" (
Mt 25,40). Ispirandosi all’esempio di santa Elisabetta d’Ungheria, scelta come Patrona della nascente Congregazione, esse si dedicarono totalmente ai poveri e ai bisognosi, contemplando nel loro volto quello del Redentore.

Da allora il vostra Istituto è notevolmente cresciuto ed oggi guarda con fiducia verso l’avvenire, allargando le sue tende in diverse regioni del mondo.

3. "Duc in altum!". E’ questo il tema che avete scelto per il Capitolo Generale. Il vostro apostolato, care Sorelle, sarà tanto più efficace quanto più resterete ancorate alle vostre radici carismatiche. Seguite l’esempio delle vostre Fondatrici, che coltivarono un intimo colloquio con il Signore. Ogni vostro progetto apostolico scaturisca da un’incessante comunione con Lui. Coltivando un’intensa vita di preghiera e di ascolto di Dio, vi sarà più facile assicurare ai fratelli ed alle sorelle in difficoltà non solo il sostegno materiale, ma anche la consolazione spirituale.

4. In questi giorni, state studiando come rispondere con "fedeltà creativa" alle sfide dell’odierna società. Occorre ripartire da Cristo e testimoniare, in maniera semplice e concreta, il suo amore misericordioso per tutti, in modo speciale per quanti, ai margini delle nostre società, sono considerati gli "sconfitti" della vita.

La Vergine Madre del Signore vi accompagni e protegga sempre; intercedano per voi santa Elisabetta d’Ungheria e i vostri Santi protettori. Io vi assicuro uno speciale ricordo nella preghiera e di cuore benedico voi, care Sorelle, l’intera vostra Congregazione come pure i laici della Comunità apostolica di santa Elisabetta, e quanti incontrate nel vostro quotidiano apostolato.




AI PARTECIPANTI ALLA RIUNIONE


DEL DECIMO CONSIGLIO ORDINARIO


DELLA SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI


Martedì, 16 novembre 2004


Venerati Fratelli nell’Episcopato!

1. Nella condivisa letizia di questo incontro porgo a tutti e a ciascuno di Voi il mio saluto, che sale dal profondo del cuore per la rinnovata esperienza di comunione nell’ordine episcopale e nella sollecitudine per tutte le Chiese (cfr 2Co 11,28). A Voi giunga il mio abbraccio di pace e fraternità, nello spirito di comunione, che ci fa sentire un cuor solo ed un’anima sola (cfr Ac 4,32). Saluto in particolare il Segretario Generale, l’Arcivescovo Mons. Eterovic, e lo ringrazio per le gentili parole rivoltemi.

238 Come Membri del Decimo Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi Voi continuate a vivere e ad operare in quello spirito nativo del Sinodo dei Vescovi che è la comunione. Quando nel 1965 il Papa Paolo VI, di venerata memoria, fu condotto ad istituire questo provvido organismo, la Chiesa era ancora immersa nel clima del Concilio Vaticano II, in cui andava rinascendo con interiore e persuasiva intensità la dottrina e la spiritualità della comunione.

2. La prossima Undicesima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che Voi con cura state da tempo preparando, si occuperà di un argomento cruciale per la Chiesa: l’Eucaristia. La formula, infatti, del tema sinodale è proprio questa: L’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. La Chiesa attinge dall’Eucaristia le energie vitali per la sua presenza e la sua azione nella storia degli uomini.

Nell’Eucaristia si trova la prefigurazione esemplare della comunione tra i fedeli e i loro Pastori e della collegialità tra i Pastori delle Chiese particolari e il Pastore della Chiesa universale. Sarà certo l’Eucaristia a dare spirito e forma a questo primordiale, irrinunciabile e diffusivo carattere della Chiesa, corpo organicamente compatto, che cresce fino all’età adulta di Cristo (cfr
Ep 4,13 Ep 4,16).

Sarà il prossimo Sinodo a fornire ancora una volta l’occasione propizia perché nella Chiesa si confermi la fede nell’adorabile mistero dell’Eucaristia, si rinnovi la comunione collegiale e gerarchica, si promuova la carità fraterna.

3. Fratelli diletti, la fase di preparazione prossima dell’Undicesima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi coincide non solo cronologicamente con l’Anno dedicato all’Eucaristia. Si tratta di uno speciale caso di reciprocità tra la Chiesa universale e il Sinodo stesso. In questo anno la Chiesa e il Sinodo convergono verso un unico termine: il Signore Gesù, presente, vivo e vivificante nel sacramento dell’Eucaristia.

L’Enciclica Ecclesia de Eucharistia e la Lettera apostolica Mane nobiscum Domine sono affidate alla Chiesa perché la dottrina e la prassi eucaristica trovino universalmente gli animi pronti alla comunione con il Signore e con i fratelli nel mandato della carità. Compito precipuo dei Pastori della Chiesa è di essere maestri autentici della comunione (cfr Pastores gregis, 22, 44), perché tutto il gregge del Signore cresca nell’unità di un solo corpo (cfr Ef 4,3ss), si dilatino gli spazi della carità pastorale (cfr S. Agostino, PL 5,440), la collegialità e la comunione gerarchica fioriscano per i frutti santi dello Spirito (cfr Ga 5,22).

Possa la Chiesa, rinnovata nella riscoperta del dono e del mistero dell’Eucaristia, estendere tale inesauribile ricchezza di vita ai vicini e ai lontani in un’urgente opera di nuova evangelizzazione.

Su questi propositi e specialmente sulla preparazione al Sinodo invoco con Voi la protezione della Vergine Santa, Madre di Dio e della Chiesa, del Santo Apostolo Pietro e di tutti i Santi Pastori, mentre a Voi e alle amate vostre Chiese particolari imparto di cuore l’Apostolica Benedizione.




AI CAPI RELIGIOSI DELL'AZERBAIJAN


Giovedì, 18 novembre 2004




Amati e venerati Fratelli!

1. Con affetto Vi accolgo e a tutti rivolgo il mio saluto di pace.

239 Benvenuto a Lei, Sheikh-ul-Islam, Capo della Presidenza dei Musulmani del Caucaso, che con costante abnegazione si adopera per costruire la pace in una regione dove, purtroppo, continuano conflitti violenti.

Benvenuto a Lei, Vescovo Aleksandr di Baku e della Regione del Caspio, appartenente alla Chiesa Ortodossa Russa, alla quale mi legano vincoli di stima e di affetto.

Benvenuto a Lei, Capo della Comunità degli Ebrei della Montagna, antica comunità che offre, in un contesto a stragrande maggioranza islamica, un esempio di coesistenza e collaborazione fraterna.

2. La vostra visita mi richiama alla mente quella che Iddio mi ha dato di compiere in Azerbaigian nel 2002. Ricordo il calore con cui sono stato accolto, la cordialità del Presidente Heydar Aliev, la fierezza con la quale egli mi ha parlato della tolleranza religiosa che costituisce il cardine nella vita del vostro Paese. Quando mi è giunta la notizia della sua morte, ho affidato la sua anima a Dio nella preghiera. Come pure prego per il nuovo Presidente, Ilham Aliev, e per tutto il popolo azero, al quale auguro giorni di pace e di prosperità.

Auspico di cuore che in Azerbaigian ritorni in pienezza la pace, con la risoluzione della questione del Nagorno-Karabagh. Questa, come altre contese, vanno affrontate con buona volontà, nella mutua ricerca di aperture reciproche e di comprensione, e con spirito di vera riconciliazione.

3. Grazie, cari amici, per questa vostra visita. Tornando a casa recate a tutti l'abbraccio del Papa e della Chiesa cattolica. Iddio vi aiuti a costruire una coesistenza sempre più proficua tra voi e la Comunità cattolica dell'Azerbaigian. Ad essa e al suo Ordinario, il caro Padre Jan Capla, invio il mio affettuoso pensiero, pregando il Signore che l’aiuti a proseguire la missione evangelica nel Caucaso.

4. Questa vostra visita al Papa di Roma sia come un simbolo per il mondo: mostri cioè che la tolleranza è possibile, e costituisce un valore di civiltà, che pone le premesse per un più ampio e solidale sviluppo umano, civile e sociale.

Nessuno ha il diritto di presentare o usare le religioni come strumento di intolleranza, come mezzo di aggressione, di violenza e di morte. Al contrario, la loro amicizia e stima reciproca, se è anche sostenuta dall’impegno di tolleranza dei Governanti, costituisce una ricca risorsa di autentico progresso e di pace.

5. Insieme - musulmani, ebrei e cristiani - vogliamo rivolgere in nome di Dio e della civiltà, un appello all'umanità perché cessi la violenza omicida e si percorra la via dell’amore e della giustizia per tutti. Questa è la via delle religioni. Questa via Dio ci aiuti a percorrere con perseveranza e pazienza!

VIII RIUNIONE DEL CONSIGLIO POST-SINODALE

DELLA SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI

PER L’ASSEMBLEA SPECIALE PER L’ASIA

Venerdì, 19 novembre 2004




Carissimi Fratelli nell’Episcopato!

240 1. "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo" (Rm 1,7). Con queste parole dell’apostolo Paolo saluto tutti voi, membri del Consiglio post-sinodale della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi per l’Assemblea Speciale per l’Asia.

Dalla sua istituzione alla fine dell’Assemblea Speciale, il vostro Consiglio ha prestato una preziosa collaborazione non soltanto per quanto riguarda la redazione dell’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Asia, ma anche per ciò che concerne le valutazioni sulla sua applicazione nel Continente asiatico. Compito, questo, che inevitabilmente esige un dialogo fruttuoso con "la situazione multietnica, multireligiosa e multiculturale dell'Asia, dove il cristianesimo è troppo spesso visto come straniero" (n. 21).

2. Particolarmente adatto all’Asia è il riferimento biblico che presenta il tema del Sinodo: "perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza" (Jn 10,10). L’alta percentuale di giovani, che si registra nel Continente, rappresenta un motivo di ottimismo, per il futuro e una sfida per il presente: motivo di ottimismo perché le nuove generazioni, cariche di promesse, sono disponibili a dedicarsi totalmente a una causa; una sfida, perché i sogni non realizzati possono generare delusione, e coloro che li coltivano potrebbero venire facilmente strumentalizzati dai promotori di ideologie estreme.

Inoltre, la Chiesa intende contribuire alla causa della pace in Asia, dove vari conflitti e il terrorismo provocano la perdita di molte vite umane. Durante l’Assemblea Speciale, i Padri sinodali hanno guardato con apprensione alla Terra Santa, «cuore del cristianesimo» e cara a tutti i figli di Abramo. Purtroppo, in questi anni, i focolai di guerra sono andati allargandosi ed è pertanto urgente costruire la pace, impresa non facile che attende l’apporto di tutti gli uomini di buona volontà.

3. Per annunciare in profondità il Vangelo in Asia è necessario che tutti i credenti in Cristo compenetrino ogni aspetto della vita con la loro fede, imitando i santi e i martiri asiatici, che hanno reso alla fede cattolica l’estrema testimonianza del sangue. Specialmente dove essi soffrono e non sono liberi di professare la loro fede, occorre proclamare il Regno di Dio con una "silenziosa testimonianza di vita" (n. 23), portando la croce e seguendo le orme di Cristo sofferente e crocifisso, nell’attesa paziente che venga il giorno in cui ci sarà piena libertà religiosa.

4. Inoltre, la celebrazione del Sinodo ha messo in luce che il dialogo è un "modo caratteristico della vita della Chiesa in Asia" (n. 3). Lo spirito di dialogo, che durante l’Assemblea sinodale ha animato i rapporti fra le Chiese più giovani e quelle che fanno risalire le proprie origini agli apostoli, costituisce un itinerario da percorrere con pazienza e coraggio anche nei confronti delle altre comunità cristiane. Malgrado gli ostacoli, esso deve progredire, se la Chiesa vuole restare fedele al mandato affidatole da Cristo di predicare il Vangelo nella sua integrità a tutte le nazioni (cfr Mt 28,19-20), restando sempre docile all’azione dello Spirito Santo, che è "l’agente primario dell'inculturazione della fede cristiana in Asia. Lo stesso Spirito, che ci conduce alla verità tutt'intera, rende possibile un dialogo fruttuoso con i valori culturali e religiosi di differenti popoli, tra i quali, in certa misura, è presente..." (n. 21).

5. Il fatto che la Chiesa in Asia sia un "piccolo gregge" (Lc 12,32) non deve portare allo scoraggiamento, perché l’efficacia dell’evangelizzazione non dipende dai numeri. Dopo la Pentecoste, gli Apostoli e un numero limitato di discepoli sono stati inviati a predicare il Vangelo al mondo intero (cfr At 2,1ss). Mediante le parabole del lievito nella pasta (cfr Mt Mt 13,33) e del granellino di senape (cfr Lc 13,19 Lc 17,6), lo stesso Gesù insegna che ciò che è piccolo e nascosto agli occhi degli uomini, grazie all’intervento onnipotente di Dio, può ottenere risultati insperati. La fede nella Divina Provvidenza deve perciò animare costantemente l’azione missionaria della Chiesa in Asia, Continente della speranza.

Continuino con fiducia i cristiani d’Asia a seguire fedelmente Cristo; continuino a diffondere con ogni impegno il dono della sua pace e del suo amore.

Su tutti vegli la Vergine Maria, Madre dell’Asia, e ottenga la pace per ogni Nazione di quel caro Continente. Io assicuro la mia preghiera e di cuore imparto a voi qui presenti la mia Benedizione, volentieri estendendola a tutti i Vescovi, ai sacerdoti, alle persone consacrate ed ai fedeli laici della Chiesa in Asia.


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