GPII 1978 Insegnamenti


Giovanni Paolo II

Insegnamenti 1978



Primo radiomessaggio "Urbi et orbi" - Fedeltà al Concilio


1. Signori Cardinali, e voi, figli della santa Chiesa, e voi tutti, uomini di buona volontà, che ci ascoltate! Solo una parola, tra tante, sale immediata sulle nostre labbra nel momento di presentarci a voi dopo l'elezione alla sede dell'apostolo Pietro, ed è parola che fa risaltare, per l'evidente contrasto dei nostri limiti personali ed umani, l'immensa responsabilità che ci è stata affidata: "O profondità della sapienza e della scienza di Dio! Quanto imperscrutabili sono i suoi giudizi ed inaccessibili le sue vie!" (Rm 11,33). Difatti, chi avrebbe potuto prevedere, dopo la morte dell'indimenticabile Paolo VI, anche la prematura scomparsa dell'amabile suo successore Giovanni Paolo I? E come avremmo potuto noi prevedere che la loro formidabile eredità sarebbe passata sulle nostre spalle? Per questo, dobbiamo meditare sul misterioso disegno di Dio provvidente e buono, e non già per capire, ma piuttosto per adorare e pregare. Sentiamo davvero di dover ripetere l'invocazione del Salmista che, levando gli occhi verso l'alto, esclamava: "Da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore" (Ps 120,1-2).

La stessa imprevedibilità degli eventi, che si son succeduti in così breve arco di tempo, e l'inadeguatezza della risposta, che potrà venire dalla nostra persona, come ci impongono di rivolgerci al Signore e di confidare totalmente in lui, così non consentono di tracciare programmi che siano frutto di lunga riflessione e di accurata elaborazione. Ma a supplire una tale carenza è già pronta una sorta di compensazione, che costituisce essa stessa un segno della presenza confortatrice di Dio. E' trascorso poco più di un mese da quando noi tutti ascoltammo, dentro e fuori dalle storiche volte di questa Cappella, l'allocuzione rivolta, all'alba del suo promettente servizio, da Papa Giovanni Paolo: per la freschezza del ricordo che ciascuno di noi ne conserva e per la sapienza delle indicazioni che vi erano contenute, non ci sembra di poter da essa prescindere. Come per la circostanza in cui fu pronunciata, essa appare tuttora valida all'inizio di un nuovo ciclo pontificale, che ci impegna in maniera diretta ed ormai ineludibile di fronte a Dio ed alla Chiesa.

Il Concilio: pietra miliare


2. Vogliamo, pertanto, enucleare alcune linee direttrici che riteniamo di preminente rilievo e, perché tali, avranno da parte nostra - come proponiamo e speriamo con l'aiuto del Signore - non soltanto attenzione e consenso, ma anche un coerente impulso, perché trovino riscontro nella realtà ecclesiale. Anzitutto, desideriamo insistere sulla permanente importanza del Concilio Ecumenico Vaticano II, e ciò è per noi un formale impegno di dare ad esso la dovuta esecuzione. Non è forse il Concilio una pietra miliare nella storia bimillenaria della Chiesa e, di riflesso, nella storia religiosa e anche culturale del mondo? Ma esso, come non è solo racchiuso nei documenti, così non è concluso nelle applicazioni, che si sono avute in questi anni cosiddetti del post-Concilio. Consideriamo, perciò, un compito primario quello di promuovere, con azione prudente e insieme stimolante, la più esatta esecuzione delle norme e degli orientamenti del medesimo Concilio, favorendo innanzitutto l'acquisizione di un'adeguata mentalità. Intendiamo dire che occorre prima mettersi in sintonia col Concilio per attuare praticamente quel che esso ha enunciato, per rendere esplicito, anche alla luce delle successive sperimentazioni e in rapporto alle istanze emergenti e alle nuove circostanze, ciò che in esso è implicito. Occorre, insomma, far maturare nel senso del movimento e della vita i semi fecondi che i Padri dell'assise ecumenica, nutriti della Parola di Dio, gettarono sul buon terreno, (cfr. Mt 13,8 Mt 13,23) cioè i loro autorevoli insegnamenti e le loro scelte pastorali.

Questo criterio generale, della fedeltà al Vaticano II e di esplicito proposito, da parte nostra, per la completa sua applicazione, potrà interessare più settori: da quello missionario a quello ecumenico, da quello disciplinare a quello organizzativo, ma uno specialmente dovrà essere il settore che richiederà le maggiori cure, cioè quello dell'ecclesiologia. E' necessario, venerati fratelli e diletti figli del mondo cattolico, riprendere in mano la "magna charta" conciliare, che è la costituzione dogmatica "Lumen Gentium", per una rinnovata e corroborante meditazione sulla natura e sulla funzione, sul modo di essere e di operare della Chiesa, non soltanto per realizzare sempre meglio quella comunione vitale, in Cristo, di tutti quanti in lui sperano e credono, ma anche al fine di contribuire ad una più ampia e più stretta unità dell'intera famiglia umana.

"Ecclesia Christi lumen gentium", amava ripetere Papa Giovanni XXIII: la Chiesa - gli ha fatto eco il Concilio - è sacramento universale di salvezza e di unità per il genere umano (cfr. LG 1 LG 48 AGD 1).

Il mistero salvifico che nella Chiesa s'incentra e per mezzo della Chiesa si attua; il dinamismo che, in forza di questo stesso mistero, sollecita il Popolo di Dio: la speciale coesione, o collegialità che "cum Petro et sub Petro" unisce tra loro i sacri Pastori, sono elementi sui quali non rifletteremo mai abbastanza per verificare, in base ai bisogni sia permanenti che contingenti dell'umanità, quali debbano essere le forme di presenza e le linee d'azione della Chiesa medesima. Per questo l'adesione al testo conciliare, visto nella luce della Tradizione ed in rapporto d'integrazione con le formulazioni dogmatiche anticipate, un secolo fa, dal Concilio Vaticano I, sarà per tutti noi, pastori e fedeli, il segreto di un orientamento sicuro ed uno stimolo propulsivo, altresi, per camminare - ripetiamo - nella direzione della vita e della storia.

Raccomandiamo, in particolare, di approfondire ai fini di una sempre più lucida consapevolezza e di una più vigile responsabilità, quel che comporta il vincolo collegiale, che intimamente associa i Vescovi al successore di Pietro e tra tutti loro nelle alte funzioni di illuminare con la luce del Vangelo, di santificare con gli strumenti della grazia e di guidare con l'arte pastorale l'intero Popolo di Dio. Collegialità vorrà anche dire, sicuramente, adeguato sviluppo di Organismi in parte nuovi, in parte aggiornati, che possono garantire la migliore unione degli spiriti, delle intenzioni, delle iniziative nel lavoro di edificazione del corpo di Cristo, che è la Chiesa (cfr. Ep 4,12 Col 1,24). A questo proposito, nominiamo innanzitutto il Sinodo dei Vescovi, costituito prima ancora che finisse il Concilio dalla grande mente di Paolo VI (cfr. Paolo VI "Apostolica Sollicitudo": AAS 57 (1965) 775-780), e ripensiamo ai qualificati e preziosi contributi che esso ha già offerto.

Fedeltà globale alla missione


3. Al di là di questo riferimento al Concilio, rimane il dovere della fedeltà globale alla missione che abbiamo ricevuto, ed a questo punto il discorso, prima che per gli altri, vale per Noi, e lo facciamo, perciò, in prima persona. Chiamati alla suprema responsabilità nella Chiesa, siamo soprattutto Noi che, in posizione che ci obbliga all'esemplarità del volere e dell'agire, dobbiamo esprimere con tutte le nostre forze questa fedeltà, conservando intatto il deposito della fede, corrispondendo in pieno alle peculiari consegne di Cristo, che a Simone, costituito pietra della sua Chiesa, affido le chiavi del Regno dei cieli (cfr. Mt 16,8-19), comando di confermare i fratelli (cfr. Lc 22,32), e di pascere, a riprova del suo amore per lui, gli agnelli e le pecorelle del suo gregge (cfr. Jn 21,15-17). Siamo profondamente convinti che ogni moderna indagine intorno al cosiddetto "ministerium Petri", condotta allo scopo di individuare sempre meglio quel che esso contiene di peculiare e specifico, non potrà né dovrà mai prescindere da questi tre poli evangelici.

Si tratta, infatti, di prestazioni tipiche connesse alla natura stessa della Chiesa a salvaguardia della sua interna unità e a garanzia della sua missione spirituale, e affidate, perciò, dopo che a Pietro, anche ai suoi legittimi successori. E siamo convinti, altresi che tale singolarissimo ministero dovrà sempre trovare nell'amore - a modo di indeclinabile risposta all'"amas me?" di Gesù - la fonte che l'alimenta e insieme il clima in cui si espande.

Ripeteremo, dunque, con san Paolo: "Caritas Christi urget nos", (2Co 5,14) perché il nostro vuol esser fin d'ora un ministero di amore in tutte le sue manifestazioni ed espressioni.

In ciò procureremo di seguire l'alta scuola degli immediati nostri predecessori. Chi non ricorda le parole di Paolo VI, predicatore della "civiltà dell'amore", il quale circa un mese prima della morte affermava con cuore presago: "fidem servavi" (cfr. Paolo VI "Homilia in Sollemnitate Ss. Petri et Pauli habita": AAS 70 (1978)) 395), non certo per autoelogio, ma per un rigoroso esame al quale, trascorso un quindicennio di servizio, si sottoponeva la sua sensibilissima coscienza? E che dire di Giovanni Paolo I? Ci sembra uscito appena ieri dalle nostre file per rivestire il peso del manto papale: ma quanto calore, una vera "ondata d'amore" - quale auspico per il mondo nel suo ultimo salute all'"Angelus" domenicale - egli diffuse nei pochi giorni del suo ministero! E lo confermano le lezioni di sapiente catechesi sulla fede, la speranza e la carità, dettate durante le pubbliche udienze.

Nel rispetto delle norme liturgiche


4. Venerati fratelli e figli carissimi, è ovvio che la fedeltà significa anche adesione convinta al Magistero di Pietro specialmente nel campo dottrinale, la cui oggettiva importanza non solo dev'esser sempre tenuta presente, ma tutelata, altresi, a causa delle insidie che, da varie parti, si levano oggi contro certe verità della fede cattolica. La fedeltà significa anche rispetto per le norme

liturgiche, emanate dall'Autorità ecclesiastica, ed esclude, quindi, sia gli arbitri di incontrollate innovazioni, sia gli ostinati rigetti di ciò che è stato legittimamente previsto ed introdotto nei sacri riti. La fedeltà significa, ancora, culto della grande disciplina della Chiesa, e anche questo - come ricordate - fu indicato dal nostro predecessore. La disciplina, infatti, non tende già a mortificare, ma a garantire il retto ordinamento che è proprio del corpo mistico, quasi ad assicurare la regolare e fisiologica articolazione fra tutte le membra che lo compongono. Fedeltà significa, inoltre, corrispondenza generosa alle esigenze della vocazione sacerdotale e religiosa, in modo che quanto si è liberamente promesso a Dio sia sempre mantenuto e sviluppato in una stabile prospettiva soprannaturale.

Per i fedeli, infine, come dice la parola stessa, la fedeltà dev'essere un dovere connaturale al loro essere cristiani: essi vorranno professarla con animo pronto e leale, e dimostrarla sia nell'obbedienza ai sacri Pastori, che lo Spirito Santo ha posto a pascere la Chiesa (cfr. Ac 20,28), sia nel collaborare a quelle iniziative e opere, a cui sono chiamati.

A questo punto, non possiamo dimenticare i fratelli delle altre Chiese e confessioni cristiane. Troppo grande e delicata, infatti, è la causa ecumenica, perché possiamo ora lasciarla priva di una nostra parola. Quante volte abbiamo meditato insieme il testamento di Cristo, che chiese al Padre per i suoi discepoli il dono dell'unità? (cfr. Jn 17,21-23). E chi non ricorda l'insistenza di san Paolo circa la "comunione dello spirito", che porti ad avere "una stessa carità, un'anima sola, un solo e medesimo pensiero" ad imitazione di Cristo Signore? (cfr. Ph 2,2 Ph 2,5-8). Non sembra, dunque, possibile che rimanga ancora - motivo di perplessità e forse anche di scandalo - il dramma della divisione tra i cristiani.

Intendiamo, pertanto, proseguire nel cammino già ben avviato e favorire quei passi che valgano a rimuovere gli ostacoli, auspicando che, grazie ad uno sforzo concorde, si giunga finalmente alla piena comunione.

Desideriamo, ancora, rivolgerci a tutti gli uomini che, come figli dell'unico Dio onnipotente, sono nostri fratelli da amare e da servire, per dir loro senza presunzione, ma con umiltà sincera la nostra volontà di recare un fattivo contributo alle cause permanenti e prevalenti della pace, dello sviluppo, della giustizia internazionale. Non ci muove nessuna intenzione di interferenza politica o di partecipazione alla gestione degli affari temporali: come la Chiesa esclude un inquadramento in categorie d'ordine terreno, così il nostro impegno, nell'avvicinarci a questi brucianti problemi degli uomini e dei popoli, sarà determinato unicamente da motivazioni religiose e morali. Seguaci di colui che ai suoi prospetto l'ideale di essere "sale della terra" e "luce del mondo" (Mt 5,13-16), Noi intendiamo adoperarci per il consolidamento delle basi spirituali, su cui deve poggiare l'umana società. E tanto più impellente a noi sembra un tale dovere, in ragione delle perduranti diseguaglianze e incomprensioni, che a loro volta sono causa di tensioni e conflitti in non poche parti del mondo, con l'ulteriore minaccia di più immani catastrofi. Costante sarà, dunque, la nostra sollecitudine in ordine a siffatti problemi per un'azione tempestiva, disinteressata, evangelicamente ispirata.

Sia lecito a questo punto prendere a cuore il gravissimo problema che il Collegio dei Padri Cardinali addito, durante la Sede Vacante, e che riguarda la diletta terra del Libano e il suo popolo, cui tutti desideriamo ardentemente la pace nella libertà. Nello stesso tempo, vorremmo tendere le mani ed aprire il cuore, in questo momento, a tutte le genti e a quanti sono oppressi da qualsiasi ingiustizia o discriminazione, sia per quanto riguarda l'economia e la vita sociale, sia la vita politica, sia la libertà di coscienza e la giusta libertà religiosa. Dobbiamo tendere, con tutti i mezzi, a questo: che tutte le forme di ingiustizia, che si manifestano in questo nostro tempo, siano sottoposte alla comune considerazione e si rimedi davvero ad esse; e che tutti possano condurre una vita degna dell'uomo. Ciò appartiene alla missione della Chiesa che nel Concilio Vaticano II è stata messa in luce e non solo nella costituzione "Lumen Gentium", ma anche nella costituzione pastorale "Gaudium et Spes".

Fratelli e figli carissimi, i recenti avvenimenti della Chiesa e del mondo sono per noi tutti un monito salutare: Come sarà il nostro pontificato? E quale la sorte che il Signore riserva alla sua Chiesa nei prossimi anni? E quale il cammino che l'umanità percorrerà in questo scorcio di tempo, che ormai l'avvicina al Duemila? Sono domande ardite, a cui non si può rispondere che questo: "Deus scit" (cfr. 2Co 12,2-3). Oh la personale nostra vicenda, che ci ha inopinatamente portato alla massima responsabilità del servizio apostolico, interessa molto poco. La nostra persona - vorremmo dire - deve sparire di fronte all'onerosa funzione che dobbiamo adempiere. E allora il discorso necessariamente si trasforma in appello: dopo la nostra preghiera al Signore, sentiamo la necessità di domandare anche la vostra preghiera, per ottenere quell'indispensabile, superiore conforto che ci consenta di riprendere il lavoro degli amati predecessori dal punto in cui l'hanno lasciato.

Al loro commosso ricordo noi amiamo far seguire un saluto memore e riconoscente per ciascuno di voi, Signori Cardinali, che ci avete designato a questo incarico; e poi un saluto fiducioso ed incoraggiante a tutti gli altri fratelli nell'episcopato, i quali nelle diverse parti del mondo presiedono alla cura delle singole Chiese, elette porzioni del Popolo di Dio (cfr. CD 11), e sono, altresi, solidali con l'opera dell'universale salvezza.

Dietro di loro ravvisiamo distintamente l'ordine dei sacerdoti, lo stuolo dei missionari, le schiere dei religiosi e delle religiose, mentre vivamente auspichiamo che aumenti il loro numero, echeggiando nella nostra mente quelle parole del divin Salvatore: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi" (Mt 9,7-38 Lc 10,2). Riguardiamo poi ancora le famiglie e le comunità cristiane, le multiformi associazioni di apostolato, i fedeli, i quali, anche se da Noi non sono singolarmente conosciuti, non anonimi pero, non estranei né emarginati - giammai! - saranno nella compagine magnifica della Chiesa di Cristo. Tra essi scorgiamo, con preferenziale riguardo, i più deboli, i poveri, i malati, gli afflitti. E a questi specialmente che, nel primo istante del pastorale ministero, vogliamo aprire il nostro cuore. Non siete infatti voi, fratelli e sorelle, che con le vostre sofferenze condividete la passione dello stesso Redentore ed in qualche modo la completate (cfr. Col 1,24)? L'indegno successore di Pietro, che si propone di scrutare le insondabili ricchezze di Cristo (cfr. Ep 3,8), ha il più grande bisogno del vostro aiuto, della vostra preghiera, del vostro sacrificio, e per questo umilissimamente vi prega.

Un pensiero alla Polonia "fedele"


5. E consentiteci di aggiungere, fratelli e figli che ci ascoltate, per l'amore incancellabile che portiamo alla terra d'origine, un distinto, specialissimo saluto sia a tutti i concittadini della nostra Polonia "semper fidelis", sia ai nostri vescovi, sacerdoti e fedeli della Chiesa di Cracovia: è un saluto nel quale ricordi e affetti, nostalgia e speranza indissolubilmente s'intrecciano.

In quest'ora, per Noi trepida e grave, non possiamo fare a meno di rivolgere con filiale devozione la nostra mente alla Vergine Maria, la quale sempre vive ed opera come Madre nel mistero di Cristo e della Chiesa, ripetendo le dolci parole "totus tuus" che vent'anni fa iscrivemmo nel nostro cuore e nel nostro stemma, al momento della nostra Ordinazione episcopale. Né possiamo fare a meno di invocare i santi apostoli Pietro e Paolo e, con essi, tutti i Santi e i Beati della Chiesa universale. In questo modo vogliamo tutti salutare: i vecchi, gli adulti, i giovani, i fanciulli, i bambini appena nati, nell'onda di quel vivo sentimento di paternità che sta salendo dal nostro cuore. A tutti rivolgiamo l'augurio sincero per quella crescita "nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo", che il principe degli apostoli auspicava (2P 3,8). A tutti impartiamo la nostra benedizione apostolica, che non solo su di loro, ma sull'umanità intera concili un'abbondante effusione di doni del Padre che è nei cieli! così sia.

Data: 1978-10-17 Data estesa: Martedi 17 Ottobre 1978


Ai Cardinali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Sacro Collegio segno di universalità della Chiesa

Venerati fratelli! Che cosa posso e voglio dirvi in questo incontro mentre tutti siamo ancora certamente emozionati per gli eventi ecclesiali di questi giorni? Innanzitutto ringrazio il Cardinale Decano per le nobili parole che, interpretando i vostri sentimenti, mi ha rivolto, ed in particolare esprimo gratitudine per il gesto di singolare fiducia che avete dimostrato nei confronti della mia umile persona, eleggendomi a successore di Pietro nella Sede di Roma.

Soltanto nella luce della fede è possibile accettare con tranquillità interiore e con fiducia il fatto che in virtù della vostra scelta è toccato a me di diventare il Vicario di Cristo sulla terra e Capo visibile della Chiesa.

Venerabili fratelli, è stato un atto di fiducia e nel contempo di grande coraggio l'aver voluto chiamare a Vescovo di Roma un "non italiano". Non si può dire niente di più, ma soltanto chinare il capo di fronte a tale decisione del Sacro Collegio.

Forse mai come in queste ultime vicende, che hanno coinvolto la Chiesa rendendola in due mesi priva per due volte del suo Pastore universale, il Popolo cristiano ha sentito e sperimentato l'importanza, la delicatezza, la responsabilità dei compiti che doveva svolgere il Sacro Collegio dei Cardinali; e mai come in questo periodo - dobbiamo riconoscerlo con autentica soddisfazione - i fedeli hanno dimostrato per gli Eminentissimi Padri tanta affettuosa stima e tanta benevola comprensione. Gli intensi e prolungati applausi che sono stati a voi rivolti alla fine della Messa "Pro eligendo Papa" e all'annuncio della elezione del nuovo Pontefice, ne sono stata la prova più espressiva, più esaltante e più commovente.

I fedeli hanno veramente compreso, venerati fratelli, che la porpora che voi indossate è il segno di quella fedeltà "usque ad effusionem sanguinis", che voi prometteste al Papa con solenne giuramento. La vostra è una veste di sangue, che richiama e presenta il sangue che gli apostoli, i Vescovi, i Cardinali, durante il corso dei secoli, hanno versato per il Cristo. Mi sovviene, in questo momento, la figura di un grande Vescovo, san Giovanni Fisher, creato cardinale - come è noto - mentre si trovava imprigionato per la sua fedeltà al Papa di Roma.

Al mattino del 22 giugno 1535, mentre si accingeva ad offrire il suo capo alla scure del carnefice, rivolto alla folla esclamava: "Popolo cristiano, giungo prossimo alla morte per la fede nella santa Chiesa cattolica di Cristo".

Oserei anche aggiungere che pure nella nostra epoca non mancano coloro a cui non è stata e non è tuttora risparmiata l'esperienza del carcere, delle sofferenze, dell'umiliazione per Cristo.

Sia sempre questa inconcussa fedeltà alla Sposa di Gesù il distintivo d'onore e il vanto preminente del Collegio Cardinalizio.

Un altro elemento vorrei sottolineare in questo nostro breve incontro: il senso della fraternità, che in questo ultimo periodo si è sempre più manifestato e cementato nell'ambito del Sacro Collegio: "O quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum!" (Ps 132),1). Il Sacro Collegio ha dovuto affrontare, per due volte e a brevissima distanza di tempo, uno dei problemi più delicati della Chiesa: quello della elezione del Romano Pontefice. E in tale occasione ha brillato l'universalità autentica della Chiesa. Si è potuto realmente constatare quanto afferma sant'Agostino: "Ipsa Ecclesia linguis omnium gentium loquitur... Diffusa Ecclesia per gentes loquitur omnibus linguis" (S. Agostino "In Ioannis Evang. tract." XXXII, 7: PL 35, 1645).

Esperienze, esigenze, problemi ecclesiali complessi, vari, e anche talvolta diversi. Ma tale varietà è stata - e sarà certamente - sempre concorde in una sola fede, come ci ricorda lo stesso Vescovo di Ippona, quando sottolinea la bellezza e la varietà della veste della Chiesa-regina: "Faciunt istae linguae varietatem vestis reginae huius. Quomodo autem omnis varietas vestis in unitate concordat, sic et omnes linguae ad unam fidem" (S. Agostino "Enarr. in Ps." XLIV, 23: PL 36, 509).

Mi è difficile non esprimere profonda gratitudine verso il Santo Padre Paolo VI anche per il fatto che egli ha voluto dare al Sacro Collegio una si larga, internazionale, intercontinentale dimensione. I suoi membri, infatti, provengono dai più estremi confini della terra. Ciò permette non solo di mettere in evidenza l'universalità della Chiesa, ma anche l'aspetto universale dell'Urbe.

Fra qualche giorno voi ritornerete tutti ai vostri posti di responsabilità: la maggior parte di voi alle vostre diocesi; altri ai Dicasteri della Santa Sede, tutti a continuare con sempre crescente impegno il ministero pastorale, carico di responsabilità, di preoccupazioni, di sacrifici, ma anche

confortato dalla grazia del Signore e dalla gioia spirituale che egli dona ai suoi servi fedeli. Ma, pur a capo delle Chiese particolari, siate sempre partecipi della sollecitudine per tutta la Chiesa, vivendo e realizzando con tutte le forze quanto raccomanda il Concilio Vaticano II: "I Vescovi, sia come legittimi successori degli apostoli, sia come membri del Collegio Episcopale, sappiano essere sempre tra loro uniti, e dimostrarsi solleciti di tutte le Chiese; pensando che, per divina disposizione e comando dell'ufficio apostolico, ognuno di essi, insieme con gli altri Vescovi, è in certo qual modo garante della Chiesa" (CD 6; cfr. Ps 3 LG 23).

Invocando su voi tutti, sui fedeli affidati al vostro zelo pastorale e sulle persone care, la grazia di Cristo e la vigile protezione di Maria, la "Mater Ecclesiae", vorrei impartire con grande affetto la mia benedizione apostolica; vorrei farlo prima per voi, e dopo con tutti voi: che sia così benedetta la Chiesa dappertutto dal nuovo Vescovo di Roma e dall'intero Collegio Cardinalizio, i cui Membri provengono da ogni parte del mondo e sono a lui vicini.

Data: 1978-10-18 Data estesa: Mercoledi 18 Ottobre 1978


Al corpo diplomatico - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il servizio della Chiesa all'umanità

Eccellenze, Signore, Signori! Sono molto colpito dalle nobili parole, dagli auguri generosi che il vostro interprete mi ha appena rivolto. Conosco i rapporti pieni di stima e di fiducia reciproca che si erano instaurati tra Paolo VI e ciascuna rappresentanza diplomatica accreditata presso la Santa Sede. Quel clima era dovuto alla comprensione, rispettosa e benevola, che quel grande Papa aveva della responsabilità del bene comune di tutti i popoli, e soprattutto agli ideali superiori che lo animavano per quanto riguarda la pace e lo sviluppo. Il mio predecessore immediato, il caro Papa Giovanni Paolo I, ricevendovi meno di due mesi fa, aveva avviato analoghe relazioni e ciascuno di voi ha ancora impresse nella memoria le sue parole piene di umiltà, di disponibilità, di senso pastorale che io faccio interamente mie. Ed ecco che oggi io eredito la stessa carica e voi mi esprimete la stessa fiducia, con lo stesso entusiasmo. Vi ringrazio vivissimamente dei sentimenti che, attraverso la mia persona, voi testimoniate così fedelmente alla Santa Sede.

Prima di tutto, che ciascuno di voi si senta qui cordialmente accolto per se stesso, e per il Paese e il popolo che rappresenta. Si, se c'è un luogo in cui tutti i popoli devono affiancarsi nella pace e incontrare rispetto, simpatia, desiderio sincero della propria dignità, della propria felicità, del proprio progresso, questo è appunto nel cuore della Chiesa, attorno alla Sede Apostolica, stabilita per testimoniare la verità e l'amore del Cristo.

La mia stima e le mie speranze vanno dunque a tutti e a ciascuno, nella diversità delle vostre situazioni. In questo incontro infatti non sono solo rappresentati i governi, ma anche i popoli e le nazioni. E tra queste, ci sono antiche "nazioni", ricche di un grande passato, di una storia feconda, di una tradizione, di una cultura propria; ci sono anche giovani nazioni, che sono sorte da poco, con grandi possibilità da attuare o che si svegliano e ancora sono in formazione. La Chiesa ha sempre desiderato partecipare alla vita e contribuire allo sviluppo dei popoli e delle nazioni. La Chiesa ha sempre riconosciuto una ricchezza particolare nella diversità e pluralità delle loro culture, della loro storia, delle loro lingue. In molti casi la Chiesa ha dato il proprio apporto specifico nella formazione di queste culture. La Chiesa ha considerato, e continua a ritenere, che, nelle relazioni internazionali è d'obbligo il rispetto dei diritti di ciascuna nazione.

Per quanto sta in me, chiamato da una di queste nazioni a succedere all'apostolo Pietro al servizio della Chiesa universale e di tutte le nazioni, mi applichero a manifestare a ognuna la stima che essa ha il diritto di attendersi.

Dovete dunque farvi eco dei miei fervidi auguri presso i vostri governanti e presso tutti i vostri compatrioti. E qui devo aggiungere che la storia della mia patria d'origine mi ha insegnato a rispettare i valori specifici di ogni nazione, di ogni popolo, le loro tradizioni e i loro diritti fra gli altri popoli. Come cristiano, e ancor più come Papa, sono, saro il testimone di questo atteggiamento e dell'amore universale, riservando a tutti la stessa benevolenza, specialmente a coloro che conoscono la prova.

Chi dice relazioni diplomatiche dice relazioni stabili, reciproche, sotto il segno della cortesia, della discrezione, della lealtà. Senza confusione di competenze, esse manifestano, da parte mia, non necessariamente l'approvazione per questo o quel regime - non è cosa che mi riguarda - né evidentemente l'approvazione di tutti i loro atti nella condotta degli affari pubblici, ma un apprezzamento dei valori temporali positivi, una volontà di dialogo con coloro che sono legittimamente incaricati del bene comune della società, una comprensione del loro ruolo spesso difficile, un interesse e un aiuto apportato alle cause umane che essi devono favorire, per virtù talvolta di interventi diretti, per virtù soprattutto della formazione delle coscienze, un contributo specifico alla giustizia e alla pace sul piano internazionale. Ciò facendo, la Santa Sede non vuole uscire dal suo ruolo pastorale: preoccupata di attuare la sollecitudine del Cristo, come potrebbe, preparando la salvezza eterna degli uomini, ciò che è il suo primo dovere, disinteressarsi del bene e del progresso dei popoli di questo mondo? D'altra parte, la Chiesa - e la Santa Sede in particolare - chiedono alle vostre nazioni, ai vostri governi di prendere sempre più in considerazione un certo numero di bisogni. La Santa Sede non li ricerca per se stessa. Lo fa, in unione con l'episcopato locale, per i cristiani o i credenti che abitano nei vostri Paesi, affinché, senza privilegi particolari ma in piena giustizia, essi possano alimentare la fede, assicurare il culto religioso ed essere ammessi, come

leali cittadini, a partecipare di pieno diritto alla vita sociale. La Santa Sede lo fa nello stesso modo nell'interesse degli uomini, quali essi siano, sapendo che la libertà, il rispetto della vita e della dignità delle persone - che non sono mai strumenti -, l'uguaglianza di trattamento, la coscienza professionale nel lavoro e la ricerca solidale del bene comune, lo spirito di riconciliazione, l'apertura ai valori spirituali, sono esigenze fondamentali per l'armonia della vita sociale, del progresso dei cittadini e della civiltà. Certo, questi ultimi obiettivi figurano, in generale, nel programma dei responsabili ma il risultato non è comunque acquisito e tutti i mezzi non sono ugualmente validi.

C'è ancor troppa miseria fisica e morale che dipende dalla negligenza, dall'egoismo, dalla cecità e dalla durezza degli uomini. La Chiesa, per quanto la riguarda, vuole contribuire ad attenuare queste miserie, con i suoi pacifici mezzi, educando al senso morale, attraverso l'azione dei cristiani e degli uomini di buona volontà. Facendo ciò, la Chiesa può talvolta non essere capita, ma è convinta di rendere un servizio di cui l'umanità non potrebbe fare a meno; essa è fedele al suo maestro e salvatore, Gesù Cristo.

In questo spirito noi speriamo di mantenere e sviluppare, con tutti i Paesi da voi rappresentati, rapporti cordiali e fruttuosi. Vi incoraggiamo nel vostro alto compito, e incoraggiamo soprattutto i vostri governi, a cercare sempre più la giustizia e la pace, in un amore ben compreso per i vostri compatrioti, e nell'apertura di spirito e di cuore agli altri popoli. Su questa strada, che Dio vi illumini e vi fortifichi, voi personalmente e tutti i responsabili, e benedica ciascuno dei vostri Paesi.

Data: 1978-10-20 Data estesa: Venerdi 20 Ottobre 1978


Ai giornalisti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'informazione al servizio della verità

Signore, Signori.

Siate i benvenuti! Siate vivamente ringraziati per tutto quello che avete fatto, per ciò che farete, per presentare al gran pubblico, sulla stampa, alla radio, alla televisione, gli avvenimenti della Chiesa cattolica che vi hanno radunato più volte a Roma da due mesi a questa parte.

Certamente, al semplice livello professionale, voi avete vissuto giornate stancanti e commoventi. Il carattere improvviso, imprevedibile, dei fatti che si sono succeduti, vi ha obbligato a far ricorso ad una somma di nozioni in materia di informazione religiosa che forse vi erano poco familiari, poi a far fronte, in condizioni talvolta febbrili, ad un'esigenza che conosce la malattia del secolo: la fretta. Per voi, attendere la fumata bianca non è stato un momento di riposo.

Grazie prima di tutto per aver offerto tanta larga eco, con un rispetto unanime, alla fatica considerevole e veramente storica del grande Papa Paolo VI.

Grazie per aver reso tanto familiare il volto sorridente e l'atteggiamento evangelico del mio predecessore immediato, Giovanni Paolo I. Grazie ancora per il positivo rilievo che avete dato al recente Conclave, alla mia elezione e ai primi passi da me compiuti nel pesante incarico del pontificato. In tutti questi casi, c'è stata per voi l'occasione non soltanto di parlare delle persone - che passano -, ma della Sede di Roma, della Chiesa, delle sue tradizioni e dei suoi riti, della sua fede, dei suoi problemi e delle sue speranze, di san Pietro e del ruolo del Papa, dei grandi obiettivi spirituali di oggi, in breve del ministero della Chiesa. Permettete che io mi soffermi un po' su questo aspetto: è difficile presentare bene il vero volto della Chiesa.

Si, gli avvenimenti sono sempre difficili a leggersi e a farsi leggere.

Prima di tutto sono quasi sempre complessi. Basta che un elemento sia dimenticato per inavvertenza, omesso volontariamente, minimizzato o al contrario accentuato oltre misura, perché siano falsate la visione presente e le previsioni future. Gli eventi ecclesiali sono inoltre più difficili a farsi cogliere per coloro che li guardano, lo dico col massimo rispetto per tutti, al di fuori di una visione di fede e ancor più a essere espressi per un largo pubblico che ne percepisce difficilmente il vero senso. Per voi è quindi necessario suscitare l'interesse e l'ascolto di quel pubblico, mentre le vostre agenzie vi domandano spesso e soprattutto qualche cosa di sensazionale. Alcuni sono allora tentati di rifugiarsi nell'aneddoto: è concreto e può essere molto valido, ma a condizione che l'aneddoto sia significativo e in rapporto reale con la natura del fatto religioso. Altri si lanciano coraggiosamente in una analisi approfonditissima dei problemi e delle motivazioni degli uomini di Chiesa, con il rischio di rendere conto in modo insufficiente dell'essenziale, che, lo sapete, non è di natura politica ma spirituale: in definitiva, da quest'ultimo punto di vista, le cose sono spesso più semplici di quanto non s'immagini: oso appena parlare della mia elezione! Ma non è questa l'ora di esaminare nei particolari tutti i rischi e i meriti della vostra funzione di informatori religiosi. Sottolineiamo d'altra parte che sembra delinearsi qua e là un certo progresso nella ricerca della verità, nella comprensione e presentazione del fatto religioso. Mi felicito del ruolo che avete in ciò svolto.

Forse siete stati voi stessi sorpresi e incoraggiati per l'importanza che vi attribuiva, in ogni Paese, un larghissimo pubblico che alcuni ritenevano indifferente o allergico all'istituzione ecclesiastica e ai fatti dello spirito.

In realtà, la trasmissione del compito supremo confidato da Cristo a san Pietro rispetto a tutti i popoli da evangelizzare e a tutti i discepoli del Cristo da radunare nell'unita, è veramente apparsa come una realtà che trascende gli avvenimenti abituali. Si, la trasmissione di questo compito ha una profonda risonanza negli spiriti e nei cuori che si accorgono che Dio opera nella storia.

E' stato leale averne preso atto e avervi adattato i mezzi di comunicazione sociale dei quali voi disponete in misure diverse.

Mi auguro precisamente che gli artigiani dell'informazione religiosa possano sempre trovare l'aiuto di cui hanno bisogno presso organismi qualificati della Chiesa. Questi devono accoglierli nel rispetto delle loro convinzioni e della loro professione, fornire loro una documentazione molto adeguata e molto obiettiva, ma anche proporre loro una prospettiva cristiana che situi i fatti nel loro significato effettivo per la Chiesa e per l'umanità. Così potrete abbordare quei "reportages" religiosi con la competenza specifica che essi esigono.

Voi siete molto solleciti della libertà dell'informazione e dell'espressione: avete ragione. Ritenetevi felici di beneficiarne! Utilizzate bene codesta libertà per discernere più da vicino la verità e iniziare i vostri lettori, i vostri ascoltatori o telespettatori, a ciò che è vero e nobile, a ciò che è giusto e puro, a ciò che è degno d'essere amato e onorato, per riprendere le parole di san Paolo (Ph 4,8), a ciò che li aiuta a vivere nella giustizia e nella fraternità, a scoprire il senso ultimo della vita, ad aprirli al mistero di Dio così vicino a ciascuno di noi. In queste condizioni, la vostra professione tanto esigente e talvolta tanto spossante, stavo per dire la vostra vocazione tanto attuale e tanto bella, innalzerà ancora lo spirito e i cuori degli uomini di buona volontà, così come farà con la fede dei cristiani. E' un servizio apprezzato dalla Chiesa e dall'umanità.

Oso invitare anche voi ad uno sforzo di comprensione, come ad un patto leale: quando fate un "reportage" sulla vita e l'attività della Chiesa, cercate di impadronirvi ancora di più delle motivazioni autentiche, profonde, spirituali, del pensiero e dell'azione della Chiesa. La Chiesa, dal canto suo, ascolta la testimonianza obiettiva dei giornalisti sulle attese e le esigenze di questo mondo. Ciò non vuol dire evidentemente che essa modella il proprio messaggio sul mondo del suo tempo: è il Vangelo che deve sempre ispirare il suo atteggiamento.

Sono felice di questo primo contatto con voi. Vi assicuro la mia comprensione e mi permetto di contare sulla vostra. So che oltre i vostri problemi professionali, sui quali torneremo in seguito, ognuno di voi ha le proprie preoccupazioni personali, familiari. Non temiamo di confidarle alla Vergine Maria, che è sempre accanto al Cristo. E nel nome del Cristo vi benedico con tutto il cuore.

Desidero porgere il mio saluto e la mia benedizione, non solo a voi, ma a tutti i vostri colleghi in tutto il mondo. Sebbene rappresentiate culture differenti, siete tutti uniti nel servizio alla verità. E il gruppo che ieri avete costituito qui è, esso stesso, una splendida manifestazione di unità e solidarietà. Vi chiedo di ricordarmi alle vostre famiglie e ai vostri concittadini nei vostri rispettivi Paesi. Accettate - voi tutti - la mia espressione di rispetto, di stima e fraterno affetto.

Data: 1978-10-21 Data estesa: Sabato 21 Ottobre 1978


GPII 1978 Insegnamenti