GPII 1978 Insegnamenti - A due gruppi di Vescovi statunitensi in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

A due gruppi di Vescovi statunitensi in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dottrina e disciplina nella vita sacerdotale

Cari fratelli in nostro Signore Gesù Cristo! Una delle più grandi consolazioni del nuovo Papa è di sapere che ha l'amore e l'appoggio di tutto il Popolo di Dio. Come l'apostolo Pietro negli Atti degli apostoli, il Papa è potentemente sostenuto dalle ferventi preghiere dei fedeli. Ed è così per me oggi una gioia particolare l'essere con voi, miei fratelli nell'episcopato, pastori delle Chiese locali negli Stati Uniti d'America.

So che portate con voi la profonda fede del vostro popolo, il loro profondo rispetto per il mistero del ruolo di Pietro nel disegno di Dio per la Chiesa universale, il loro amore per Cristo ed i suoi fratelli. Nella provvidenza di Dio ho avuto la possibilità di visitare la vostra terra e di conoscere personalmente qualcuno del vostro popolo. così, il nostro essere insieme è, di per sé, una celebrazione dell'unità della Chiesa. E' anche una testimonianza della nostra accettazione di Gesù Cristo nella totalità del suo mistero di salvezza.

Come Servo, Pastore e Padre della Chiesa universale desidero, in questo momento, esprimere il mio amore per tutti coloro che, in particolare, sono chiamati ad operare per il Vangelo, per tutti coloro che collaborano attivamente con voi nelle diocesi per costruire il Regno di Dio. Come voi sono pienamente cosciente di quanto Cristo dipenda dai suoi sacerdoti nello scopo di adempiere nel tempo la sua missione di salvezza. E, come voi, ho lavorato con i religiosi, sforzandomi di testimoniare la considerazione che la Chiesa ha per loro nella vocazione di amore consacrato e incoraggiandoli a collaborare sempre generosamente nell'ambito della vita congregata della comunità ecclesiale. Tutti noi abbiamo visto abbondanti esempi di autentica "evangelica testificatio" (testimonianza evangelica). Chiedo ora a voi tutti di portare i miei saluti agli ecclesiastici e ai religiosi, e di assicurare a tutti loro la mia comprensione e solidarietà del mio amore, in Gesù Cristo e nella Chiesa.

Sono anche consapevole che i miei obblighi pastorali si estendono all'intera comunità dei fedeli: durante questa udienza vorrei esporre alcune basilari considerazioni che sono fermamente convinto siano rilevanti per ogni chiesa locale nella sua totalità. Secondo l'ordine di priorità, i miei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo I scelsero temi di estrema importanza e io confermo, con piena consapevolezza e personale convinzione, ogni loro esortazione e direttiva ai Vescovi Statunitensi. Proprio l'ultimo discorso "ad limina" (e l'unico dato dal mio diretto predecessore) era sulla famiglia cristiana. Già durante le prime settimane del mio pontificato ho avuto anch'io occasione di parlare su questo tema e di esaltare la sua importanza. Si, possano tutte le magnifiche famiglie cristiane sapere che il Papa è con loro, unito nella preghiera, nella speranza e nella fede. Il Papa le conferma nella missione loro conferita da Cristo stesso, proclama la loro dignità e benedice tutti i loro sforzi.

Sono pienamente convinto che ogni famiglia, e la grande famiglia della Chiesa cattolica, saranno grandemente servite - un vero servizio pastorale sarà reso loro - se si pone un nuovo accento sul ruolo della dottrina nella vita della Chiesa. Nel piano di Dio, un nuovo pontificato è sempre un nuovo inizio, che evoca fresche speranze e che offre nuove occasioni di riflessione, di conversione, di preghiera e risoluzione. Sotto la protezione di Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa, desidero rimettere il mio pontificato alla continua autentica applicazione del Concilio Vaticano II sotto l'azione dello Spirito Santo. E a questo riguardo, niente è più illuminante, del ricordare le esatte parole con cui Giovanni XXIII, il giorno d'apertura, volle esprimere l'orientamento di questo grande evento ecclesiale: "Il più grande punto del Concilio Ecumenico è questo: che il sacro deposito della dottrina cristiana debba essere più efficacemente custodito ed insegnato". Questa lungimirante visione di Papa Giovanni è anche oggi valida. Era l'unico valido fondamento per un Concilio Ecumenico orientato verso un rinnovamento pastorale; è l'unico valido fondamento per tutti i nostri sforzi pastorali come vescovi della Chiesa di Dio. Questa è poi oggi la mia più profonda speranza per i pastori delle chiese in America, come pure per tutti i pastori della Chiesa Universale: "che il sacro deposito della dottrina cristiana debba essere custodito ed insegnato più efficacemente". Il sacro deposito della parola di Dio trasmesso dalla Chiesa è la gioia e la forza della vita del nostro popolo.

E' la sola soluzione pastorale ai molti problemi dei nostri giorni. Il presentare questo sacro deposito della dottrina cristiana in tutta la sua pienezza e integrità, con tutte le sue esigenze e in tutta la sua potenza è una

responsabilità pastorale; ma è, d'altra parte, il servizio più sublime che noi possiamo rendere.

E la seconda speranza che vorrei oggi esprimere è una speranza per la preservazione della grande disciplina della Chiesa, una speranza eloquentemente formulata da Giovanni Paolo I il giorno dopo la sua elezione: "Noi desideriamo mantenere intatta la grande disciplina della Chiesa nella vita dei sacerdoti e dei fedeli, come la storia della Chiesa, arricchita dall'esperienza, lo ha presentato attraverso i secoli con esempi di santità ed eroica perfezione, entrambe nell'esercizio delle virtù evangeliche nel servizio del povero, dell'umile, dell'indifeso". Queste due speranze non esauriscono le nostre aspirazioni o le nostre preghiere, ma sono degne di intensi sforzi pastorali e apostolica assiduità.

Questi sforzi e questa diligenza da parte nostra sono a loro volta un'espressione di sincero amore e riguardo per il gregge affidato alla nostra cura dal Pastore Gesù Cristo, una cura pastorale che deve essere svolta nell'unità della Chiesa universale e nel contesto della collegialità dell'episcopato. Queste speranze per la vita della Chiesa - purezza della dottrina e solida disciplina - intimamente dipendono da ciascuna nuova generazione di sacerdoti che con la generosità dell'amore continuano l'impegno della Chiesa al Vangelo. Per questo motivo, Paolo VI mostro grande sapienza nel chiedere ai Vescovi americani: "Portate avanti con amorosa cura personale la vostra grande responsabilità nei vostri seminaristi: informatevi del programma dei loro corsi, esortateli ad amare la parola di Dio e a non avere mai vergogna dell'apparente follia della Croce" (Discorso del 20 giugno 1977). E' questo oggi il mio ardente desiderio: che un nuovo accento sull'importanza della dottrina e della disciplina sia il contributo postconciliare dei vostri seminari, cosicché "la parola del Signore possa diffondersi e trionfare" (2Th 3,1).

E in tutti i nostri sforzi pastorali state sicuri che il Papa è unito con voi e vicino a voi nell'amore di Gesù Cristo. Tutti noi abbiamo un unico scopo: mostrarci fedeli all'incarico di fiducia pastorale affidato a noi, guidare il Popolo di Dio "nel giusto cammino per amore del suo nome" (Ps 23,3), cosicché, con pastorale responsabilità, noi possiamo dire con Gesù al Padre: "Finché ero con loro, io li proteggevo nel tuo nome, quelli che tu mi hai dato li ho custoditi e nessuno di loro è perito..." (Jn 17,12).

Nel nome di Gesù, pace a voi e a tutta la vostra gente. Con la mia apostolica benedizione.

Data: 1978-11-09 Data estesa: Giovedi 9 Novembre 1978


Alle religiose della diocesi di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ricchezza di fede viva nel cuore della Chiesa

Care sorelle.


1. Ieri, nella festività della dedicazione della Basilica del Santissimo Salvatore in Laterano, ho iniziato la preparazione al grande atto della presa di possesso di tale Basilica - Cattedra del Vescovo di Roma - che avrà luogo la prossima domenica. Per questo mi sono incontrato ieri con il Clero della diocesi di Roma, con i sacerdoti impegnati soprattutto nella pastorale diocesana. Oggi m'incontro con voi religiose. Ho desiderato che questo incontro seguisse immediatamente quello di ieri. così, come nuovo Vescovo di Roma, posso avvicinarmi a coloro che costituiscono, in un certo modo, le principali riserve spirituali di questa diocesi, che è la prima fra tutte le diocesi nella Chiesa, e avere almeno un primo contatto con loro. Questo avvicinamento e questa conoscenza mi stanno molto a cuore.

Siete venute qui molto numerose! Forse nessuna cattedra vescovile al mondo può contarne tante. Il Cardinale Vicario di Roma mi ha informato che nel territorio della diocesi vi sono circa 20.000 religiose, circa 200 case generalizie, e circa 500 case provinciali di vari Ordini e Congregazioni femminili. Queste case sono a servizio delle vostre famiglie religiose nel raggio di tutta la Chiesa, oppure delle province, che oltrepassano il territorio della città di Roma. Durante gli anni del mio ministero vescovile, m'incontrai molte volte con gli Ordini femminili (Cracovia è in Polonia la più ricca di essi), e ho avuto la possibilità di rendermi conto di quanto ogni Congregazione desidera avere una casa, e soprattutto la casa generalizia, proprio a Roma, vicino al Papa. Di questo mi rallegro e vi ringrazio, anche se sono del parere che dovreste conservarvi sempre fedeli al luogo della vostra nascita, là ove è la casa-madre, dove, per la prima volta, si è accesa la luce della nuova comunità, della nuova vocazione, della nuova missione nella Chiesa.


2. Do il benvenuto a tutte voi, sorelle, che siete oggi qui riunite. Voglio salutarvi anzitutto come nuovo Vescovo di Roma e desidero precisare il vostro posto in questa "Chiesa locale", in questa concreta diocesi, di cui mi preparo a prendere solennemente possesso domenica prossima. Basandomi sulla viva tradizione secolare della Chiesa, sulla recente dottrina del Concilio Vaticano II e anche sulle mie antecedenti esperienze di Vescovo, vengo qui con la profonda convinzione che questo è "un posto" particolare.

Ciò risulta dalla visione dell'uomo e della sua vocazione, che Cristo stesso ci ha manifestato. "Qui potest capere, capiat": Chi può capire, capisca (Mt 19,12), così egli disse ai suoi discepoli, che gli ponevano domande insistenti sulla legislazione dell'Antico Testamento e soprattutto sulla legislazione relativa al matrimonio. In queste domande, come pure nella tradizione dell'Antico Testamento, era inclusa una certa limitazione di quella libertà dei figli di Dio che ci ha portato Cristo, e che, poi, san Paolo ha con tanta forza ribadito. La vocazione religiosa è proprio frutto di questa libertà di spirito, risvegliata da Cristo, dalla quale scaturisce la disponibilità della donazione totale a Dio stesso. La vocazione religiosa sta nell'accettazione di una severa disciplina, che non proviene da un comandamento, ma da un consiglio evangelico: consiglio di castità, consiglio di povertà, consiglio di ubbidienza. E tutto ciò, abbracciato consapevolmente e radicato nell'amore per il divino Sposo, costituisce di fatto la particolare rivelazione della profondità della libertà dello spirito umano.

Libertà dei figli di Dio: figli e figlie.

Tale vocazione deriva da una fede viva, coerente fino alle estreme conseguenze, la quale apre all'uomo la prospettiva finale, cioè la prospettiva dell'incontro con Dio stesso, che solo è degno di un amore "al di sopra di ogni cosa", amore esclusivo e sponsale. Questo amore consiste nella donazione di tutto il nostro essere umano, anima e corpo, a Colui che si è donato completamente a noi uomini mediante l'Incarnazione, la Croce e l'annientamento, mediante la povertà, la castità, l'ubbidienza: si è fatto povero per noi... perché noi diventassimo ricchi (cfr. 2Co 8,9). così dunque da questa ricchezza della fede viva prende vita la vocazione religiosa. Questa vocazione è come la scintilla che accende nell'anima una "viva fiamma d'amore", come ha scritto san Giovanni della Croce.

Questa vocazione, una volta accettata, una volta confermata solennemente, per mezzo dei voti, deve essere di continuo nutrita dalla ricchezza della fede, non soltanto quando porta con sé la gioia interiore, ma anche quando è unita alle difficoltà, all'aridità, alla sofferenza interiore, chiamata "notte" dell'anima.

Questa vocazione è un peculiare tesoro della Chiesa, che non può mai cessare di pregare, affinché lo Spirito di Gesù Cristo susciti nelle anime vocazioni religiose. Difatti esse sono, sia per la comunità del Popolo di Dio, sia

per il "mondo", un segno vivo del "secolo futuro": segno che, nello stesso tempo, si radica (anche tramite il vostro abito religioso) nella vita quotidiana della Chiesa e della società e permea i suoi più delicati tessuti. Le persone che hanno amato Dio senza riserva sono in modo particolare capaci di amare l'uomo, e di donarsi a lui senza interessi personali e senza limiti. Abbiamo forse bisogno di prove? Le troviamo in tutte le epoche della vita della Chiesa, le troviamo anche ai nostri tempi. Durante il mio precedente ministero vescovile, tali testimonianze le incontravo ad ogni passo. Ricordo gli Istituti e gli Ospedali per gli ammalati più gravi e per i minorati. Ovunque, là dove nessuno poteva più rendere servizio da buon Samaritano, sempre si trovava ancora una suora.


3. Questo è senz'altro soltanto uno dei campi dell'attività, e quindi solo un esempio. Tali campi in realtà sono indubbiamente molto più numerosi. Ebbene, incontrandovi oggi, qui, per la prima volta, care sorelle, desidero dirvi anzitutto che in tutta la Chiesa, e specialmente qui a Roma, in questa diocesi, è indispensabile la vostra presenza. Essa deve essere per tutti un segno visibile del Vangelo. Deve essere anche la sorgente di un particolare apostolato. Questo apostolato è così vario e ricco, che mi è perfino difficile elencare qui tutte le sue forme, i suoi campi, i suoi orientamenti. E' unito al carisma specifico di ogni Congregazione, al suo spirito apostolico, che la Chiesa e la Santa Sede approvano con gioia, vedendo in esso l'espressione della vitalità dello stesso Corpo Mistico di Cristo! Tale apostolato è di solito discreto, nascosto, vicino all'essere umano, e perciò si addice maggiormente all'anima femminile, sensibile al prossimo, e quindi chiamata al compito di sorella e di madre. E proprio questa vocazione che si trova nel "cuore" stesso del vostro essere religiose. Come Vescovo di Roma vi prego: siate spiritualmente madri e sorelle per tutti gli uomini di questa Chiesa, che Gesù, nella sua ineffabile misericordia e grazia, ha voluto affidarmi. Siatelo per tutti, senza eccezioni, ma soprattutto per gli ammalati, i sofferenti, gli abbandonati, i bambini, i giovani, le famiglie che si trovano in situazioni difficili... Andate loro incontro! Non aspettate che vengano loro a voi! Cercate voi stesse! L'amore ci spinge a questo. L'amore deve cercare! "Caritas Christi urget nos: l'Amore di Cristo ci spinge!" (2Co 5,14).

Ed ancora una preghiera vi affido all'inizio di questo mio ministero pastorale: impegnatevi generosamente a collaborare con la grazia di Dio, perché tante anime giovanili accolgano la chiamata del Signore e nuove forze vengano ad accrescere le vostre file, per far fronte alle esigenze crescenti, che emergono nei vasti campi dell'apostolato moderno. La prima forma di collaborazione è certamente l'invocazione assidua (cfr. Mt 9,38) perché illumini ed orienti il cuore delle molte ragazze "in ricerca", che sicuramente vi sono anche oggi in questa diocesi, come in ogni parte del mondo: possano esse comprendere che non v'è ideale più grande, al quale consacrare la vita, di quello del dono totale di sé a Cristo per il servizio del Regno. Ma vi è un secondo modo, non meno importante, di favorire la chiamata di Dio, ed è quello della testimonianza, che si sprigiona dalla vostra vita: - la testimonianza, innanzitutto, della coerenza sincera con i valori evangelici e col carisma proprio del vostro Istituto: ogni cedimento al compromesso è una delusione per chi vi avvicina, non dimenticatelo! - la testimonianza, poi, di una personalità umanamente riuscita e matura, che sa entrare in rapporto con gli altri senza prevenzioni ingiustificate né ingenue imprudenze, ma con apertura cordiale e sereno equilibrio; - la testimonianza, infine, della vostra gioia, una gioia che si legga negli occhi e nell'atteggiamento oltre che nelle parole, e che manifesti chiaramente a chi vi guarda la consapevolezza di possedere quel "tesoro nascosto", quella "perla preziosa", il cui acquisto non fa rimpiangere di aver rinunziato a tutto, secondo il consiglio evangelico (cfr. Mt 13,44-45).

E ora, prima di concludere, desidero rivolgere una speciale parola alle care sorelle di clausura, a quelle presenti in questo incontro e a quelle che sono nella loro austera clausura, scelta per uno speciale amore verso lo Sposo divino.

Vi saluto tutte con particolare intensità di sentimenti e visito in spirito i vostri conventi, chiusi nell'apparenza, ma in realtà così profondamente aperti alla presenza di Dio vivo nel nostro mondo umano, e perciò così necessari al mondo. Vi raccomando la Chiesa e Roma, vi raccomando gli uomini e il mondo! A voi, alle vostre preghiere, al vostro "olocausto" raccomando anche me stesso, Vescovo di Roma. Siate con me, vicino a me, voi che siete "nel cuore della Chiesa"! Si realizzi in ciascuna di voi quello che fu il programma della vita di santa Teresa di Gesù Bambino: "in corde Ecclesiae amor ero": nel cuore della Chiesa saro l'amore! Pongo fine così al mio primo incontro con le Suore di Roma Santa. In voi perdura la singolare semina del Vangelo, singolare espressione di quella chiamata alla santità, che ultimamente ci ha ricordato il Concilio nella costituzione sulla

Chiesa. Da voi attendo molto. In voi spero molto. Tutto questo desidero racchiuderlo ed esprimerlo nella benedizione che di cuore vi impartisco.

Vi raccomando a Maria, Sposa dello Spirito Santo, Madre dell'amore più bello! Data: 1978-11-10 Data estesa: Venerdi 10 Novembre 1978


Alla Pontificia Commissione "Iustitia et Pax" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Sviluppo nella libertà

Cari Amici.

Io conto su di voi, io conto sulla Pontificia Commissione "Iustitia et Pax" per aiutare me e aiutare la Chiesa intera a ripetere agli uomini del nostro tempo, con una pressante insistenza, l'appello che ho loro indirizzato nel cominciare il mio ministero romano ed universale, la domenica 22 ottobre: "Non abbiate paura! Aprite, si, spalancate le porte a Cristo! Al suo potere di salvezza aprite le frontiere degli Stati, i regimi economici e politici, gli immensi campi della cultura, della civiltà, dello sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa che cosa sta dentro l'uomo! Ed egli solo lo sa".

Noi viviamo in un tempo in cui tutto dovrebbe spingere all'apertura: la percezione più viva dell'universale solidarietà degli uomini e dei popoli, la necessità di proteggere l'ambiente e il patrimonio comuni all'umanità, la necessità di ridurre i pesi e la minaccia mortale degli armamenti, il dovere di strappare alla miseria milioni di uomini, che coi mezzi per condurre una vita decente ritroverebbero la possibilità di apportare energie nuove allo sforzo comune. Ed ecco che davanti all'ampiezza e alle difficoltà del compito si osserva dovunque un riflesso di irrigidimento. Alla fonte c'è la paura; la paura soprattutto dell'uomo e della sua libertà responsabile, paura spesso aggravata dallo scatenamento delle violenze e delle repressioni. E finalmente si ha paura di Gesù Cristo, sia perché non lo si conosce, sia perché anche da parte degli stessi cristiani non si fa più sufficientemente l'esperienza, esigente ma vivificante, di una esistenza ispirata dal suo Evangelo.

Il primo servizio che la Chiesa deve rendere alla causa della giustizia e della pace è quello di invitare gli uomini ad aprirsi a Gesù Cristo. In lui essi riapprenderanno la loro dignità essenziale di figli di Dio, fatti ad immagine di Dio, dotati di insospettate possibilità che li rendono capaci di far fronte ai compiti dell'ora, vincolati gli uni agli altri da una fraternità che si radica nella paternità di Dio. In lui essi diventeranno liberi per un servizio responsabile. Non abbiamo paura! Gesù Cristo non è uno straniero né un concorrente. Egli non fa ombra a nulla di quanto è autenticamente umano né presso le persone, né nelle loro diverse realizzazioni scientifiche e sociali. Neppure la Chiesa è una straniera o una concorrente. "La Chiesa - dice la costituzione "Gaudium et Spes" (GS 76,2)-, che a motivo del suo compito e della sua competenza non si confonde in nessun modo con la comunità politica e non è vincolata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana". Aprendo l'uomo verso Dio, la Chiesa gli impedisce di rinchiudersi in un sistema ideologico, lo apre verso se stesso e verso gli altri e lo rende disponibile a creare qualcosa di nuovo a misura delle presenti esigenze dell'evoluzione dell'umanità.

Con il dono centrale di Gesù Cristo, la Chiesa apporta all'opera comune non un modello prefabbricato, ma un patrimonio - dottrinale e pratico - dinamico, sviluppato a contatto con situazioni mutevoli di questo mondo, sotto l'impulso dell'Evangelo quale fonte di rinnovamento, con una volontà disinteressata di servizio e un'attenzione ai poveri (cfr. Lettera "Octogesima adveniens", 42).

Partecipa a questo servizio tutta la comunità cristiana. Ma il Concilio ha opportunamente auspicato, e Paolo VI ha realizzato con la Pontificia Commissione "Iustitia et Pax", "la creazione di un organismo della Chiesa universale, incaricato di incitare la comunità cattolica a promuovere lo sviluppo delle regioni povere e la giustizia sociale tra le nazioni" (GS 90,3).

Voi siete stati chiamati a questo servizio universale, vicino al Papa e sotto la sua direzione. Voi l'esercitate nello spirito del servizio e in un dialogo - che occorrerà sviluppare - con le Conferenze episcopali e i diversi organismi che, in comunione con queste, perseguono il medesimo compito. Voi lo esercitate in uno spirito ecumenico, ricercando instancabilmente e adattando le forme di cooperazione suscettibili di far progredire l'Unità dei cristiani nel pensiero e nell'azione.

Senza pregiudicare le numerose questioni alle quali la Commissione porta la sua attenzione, voi avete consacrato questa assemblea generale al tema dello sviluppo dei popoli. Dal suo inizio la Chiesa è stata presente a questo immenso sforzo, e ne ha seguito le speranze, le difficoltà e le delusioni. Un sereno giudizio dei risultati positivi, anche insufficienti, deve aiutare a superare le presenti esitazioni. A voi è stato a cuore studiare tutta la gamma dei problemi che il prosieguo necessario dell'opera iniziata pone a livello della comunità internazionale, nella vita interna di ciascun popolo, anche al livello delle comunità elementari, nel modo di concepire e di realizzare i nuovi modi di vita.

Perché la Chiesa possa dire la parola di speranza che ci si attende da essa, e fortificare i valori spirituali e morali senza i quali non può aversi sviluppo, deve ascoltare pazientemente e con simpatia gli uomini e le istituzioni che si applicano a questo compito a tutti i livelli, valutare gli ostacoli da superare.

Non si finge con la realtà che si vuole trasformare.

L'attenzione prioritaria a quanti soffrono di una povertà radicale, a quanti soffrono per l'ingiustizia, forma nettamente una preoccupazione di fondo della Chiesa; così la preoccupazione di concepire modelli di sviluppo che, pur chiedendo sacrifici, curino di non sacrificare le libertà e i diritti personali e sociali essenziali senza i quali, del resto, essi si condannerebbero subito al fallimento. E i cristiani vorranno stare all'avanguardia, per suscitare convinzioni e modi di vita che rompono in modo decisivo con la frenesia di consumo, spossante e senza gioia.

Grazie, Signor Cardinale, delle parole con cui mi ha espresso i sentimenti filiali e devoti di tutta la Commissione. La sua presenza a capo di questo Organismo è un pegno che i popoli poveri, ma ricchi in umanità, staranno nel cuore delle sue preoccupazioni. Grazie ai fratelli Vescovi, grazie a voi tutti, cari amici, che alla Commissione e a me stesso apportate la vostra competenza e la vostra esperienza umane e apostoliche. Grazie a tutti i membri della Curia qui presenti: grazie a voi, la dimensione della promozione umana e sociale può meglio penetrare l'attività degli altri dicasteri; in cambio, l'attività della Commissione "Iustitia et Pax" potrà inserirsi sempre meglio nella missione globale della Chiesa.

Voi sapete in realtà fino a quale punto il Concilio e i miei predecessori hanno avuto a cuore di ben situare l'azione della Chiesa a favore della giustizia, della pace, dello sviluppo, della liberazione, nella sua missione evangelizzatrice. Contro confusioni sempre risorgenti è importante non ridurre l'evangelizzazione ai suoi frutti per la città terrena: la Chiesa ha il dovere di far accedere gli uomini alla fonte, a Gesù Cristo. così la costituzione dogmatica "Lumen Gentium" resta la "magna charta" conciliare: alla sua luce tutti gli altri testi ricevono la loro piena dimensione. La costituzione pastorale "Gaudium et Spes" e tutto quanto essa ispira non è qui svalutato ma confermato.

Nel Nome di Cristo io vi benedico, voi e i vostri collaboratori, quanti vi sono cari e i vostri amati paesi, in specie quelli che conoscono la prova.

Ricollegandoci al tema dell'udienza di mercoledi scorso: il Signore ci aiuti, che aiuti tutti i nostri fratelli ad impegnarsi sulle vie della giustizia e della pace! Data: 1978-11-11 Data estesa: Sabato 11 Novembre 1978


Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Abbraccio tutti col pensiero e col cuore

Cari fratelli e sorelle.

La giornata di oggi ha per me un significato particolare. Oggi infatti, prendendo possesso della Basilica di san Giovanni in Laterano, mi accingo ad assumere, nella scia dei miei venerabili predecessori, la Cattedra di Vescovo della diocesi di Roma.

Mi sono preparato a questo atto mediante l'incontro con il Cardinale Ugo Poletti, Vicario della Città, con Monsignor Vicegerente e con i Vescovi Ausiliari, che mi hanno delineato l'insieme delle attività pastorali diocesane e la loro organizzazione. Di particolare importanza, in questa preparazione, è stato per me l'incontro con il Clero Romano, avvenuto il 9 novembre, proprio nella festività della Dedicazione della Basilica Lateranense e, l'indomani, l'incontro con le religiose, di cui la diocesi di Roma è particolarmente ricca.

La cerimonia in Laterano avrà luogo quest'oggi alle ore 17.

Desidero fin da ora, vedendovi così numerosi in piazza San Pietro per il consueto "Angelus" di mezzogiorno, porgere il mio cordialissimo saluto a Roma, a tutti i Romani, che ormai sono diocesani del nuovo Papa. Saluto le famiglie: i genitori e i loro figli! Saluto i Giovani! Saluto tutti i Malati, e, in particolare, coloro che sono ricoverati nei numerosi ospedali e cliniche della nostra Città. Insieme con essi saluto i Medici, tutti gli addetti ai Servizi Sanitari, i Cappellani e le Suore.

Saluto tutte le persone anziane e coloro che soffrono nella solitudine.

Saluto tutte le Scuole, gli Atenei di Roma e, in modo speciale, le Università Pontificie, Professori e Studenti! E inoltre porgo un saluto cordiale ad ogni parrocchia di Roma, ad ognuna singolarmente e a tutte insieme.

In questi giorni ho notato che molti giornali riportavano la notizia che, dopo la mia elezione al pontificato, diverse persone, soprattutto giornalisti, si sono recati a visitare la parrocchia da cui provengo, Wadowice, nell'arcidiocesi di Cracovia. All'attuale parroco che, tempo fa, fu anche mio professore di religione nella Scuola Media, è stato ripetutamente chiesto di mostrare il registro dei Battezzati del 1920, dove è scritto il mio nome e sono segnate le annotazioni circa la mia Ordinazione, la Consacrazione Episcopale, la chiamata a far parte del Collegio dei Cardinali e, infine, quanto avvenne il 16 ottobre di quest'anno.

Con commosso pensiero sono riandato alla mia parrocchia nativa. Essa mi ricorda che ogni parrocchia è la comunità fondamentale del Popolo di Dio, in cui Cristo è presente per mezzo del Vescovo e dei sacerdoti che operano in sua vece.

Così, quest'oggi, penso anche, con grande commozione, ad ogni parrocchia di Roma. Penso a tutte queste comunità, cellule vive della Chiesa di questa diocesi, che il Signore mi ha affidato in modo così mirabile.

Posando il piede sulla soglia della Basilica Lateranense, lo poso, nello stesso tempo, sulla soglia di ogni parrocchia, sulle soglie di tutte le parrocchie, che a Roma raggiungono il numero di 296.

In questo giorno così solenne e così importante per il nuovo Vescovo di Roma, abbraccio tutti col pensiero e col cuore, e mi raccomando ai vostri pensieri e ai vostri cuori. Mi raccomando soprattutto alle vostre preghiere.

Recitiamo l'"Angelus", ricordando in particolare i Vescovi di Roma defunti! (...).

So che sono presenti stamane gli aderenti alla Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti del Lazio, i quali celebrano oggi la "Giornata del ringraziamento". Desidero rivolgere loro una parola di saluto e di plauso. E' giusto ringraziare Dio. E' giusto sempre, ma lo è in particolare al termine di un'annata agricola, nella quale si è potuto sperimentare ancora una volta la bontà di Dio nell'abbondanza dei frutti della terra.

Lo stupore ammirato e la riconoscenza gioiosa sono atteggiamenti spontanei nell'anima di chi sa risalire, attraverso i beni materiali, al generoso Creatore di ogni cosa. Vi diro, dunque, con san Paolo: "State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendere grazie" (1Th 5,16-18) (...).

Saluto poi i membri del Movimento Cristiano Lavoratori, riuniti in questi giorni a Roma per il loro Consiglio Nazionale. Testimoniare Cristo nel mondo del lavoro: ecco il vostro impegno e il vostro programma. Vi sostenga e vi accompagni la mia benedizione.

Data: 1978-11-12

Data estesa: Domenica 12 Novembre 1978


Al Sindaco di Roma - Campidoglio (Roma)

Titolo: Prosperità e progresso per il Popolo Romano

Signor Sindaco! Le sono sinceramente grato per le nobili espressioni, che Ella mi ha testé rivolto; e ringrazio con lei l'intera Amministrazione civica, alla quale sono lieto ed onorato di porgere il mio cordiale saluto.

Questo primo incontro con coloro ai quali spetta interpretare, tutelare e servire gli interessi d'una città come Roma, il cui glorioso ed arcano destino si intreccia così intimamente con le vicende della Chiesa di Cristo, che qui ha, per provvidenziale disposizione, il suo centro visibile, suscita in me un'onda difficilmente contenibile di sentimenti, di ricordi, di pensieri solenni e gravi.

A questa Città, che fu dominatrice sovrana di popoli, maestra mirabile di civiltà, artefice insuperata di leggi sapientissime, approdo un tempo l'umile pescatore di Galilea, l'apostolo Pietro, umanamente sprovveduto e inerme, ma interiormente sostenuto dalla forza dello Spirito, che ne faceva il portatore coraggioso della Lieta Novella, destinata a conquistare il mondo. A questa stessa Città è giunto ora un nuovo successore di Pietro, pure lui segnato da tanti limiti umani, ma fiducioso nell'indefettibile aiuto della grazia, e proveniente da un Paese per il quale Ella, Signor Sindaco, ha voluto avere parole di simpatia e di cordialità.

Il nuovo Papa inizia oggi ufficialmente il suo ministero di Vescovo di Roma e di Pastore di una diocesi, che non ha l'eguale nel mondo. Sento vivamente la responsabilità derivante dai complessi problemi che la cura pastorale di una comunità, vertiginosamente ampliatasi in questi anni, porta con sé. E non posso non guardare con simpatia chi, avendo sulle spalle l'onore e l'onere dell'amministrazione civica della Città, si prodiga per il miglioramento delle condizioni ambientali, per il superamento di situazioni sociali inadeguate, per l'elevazione del tenore generale di vita della popolazione.

Nell'auspicare che queste finalità a cui tende tale importante servizio alla cittadinanza siano felicemente raggiunte, esprimo altresi il voto che l'Amministrazione, facendo propria una visione del bene comune comprensiva di ogni autentico valore umano, sappia riservare un'attenzione aperta e cordiale anche alle esigenze poste dalla dimensione religiosa dell'Urbe, che, per gli incomparabili valori cristiani di cui è caratterizzata la sua fisionomia, è centro di attrazione di pellegrini, provenienti da ogni parte del mondo.

Con questi sentimenti, invoco la benedizione di Dio su questa Città, che sento ormai mia, e auguro a lei, Signor Sindaco, ai suoi Collaboratori e a tutta la grande famiglia del Popolo Romano serena prosperità e civile progresso nella concordia operosa, nel rispetto reciproco, nell'anelito sincero verso una convivenza pacifica, armoniosa e giusta.

Data: 1978-11-12 Data estesa: Domenica 12 Novembre 1978


GPII 1978 Insegnamenti - A due gruppi di Vescovi statunitensi in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)