GPII 1978 Insegnamenti - Ai Giuristi cattolici - Città del Vaticano (Roma)

Ai Giuristi cattolici - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La libertà dell'assistenza nello Stato contemporaneo

Illustri signori e figli carissimi! E' per me una profonda gioia ricevere oggi voi Giuristi cattolici italiani, venuti a Roma per il XXIX Convegno Nazionale della vostra Unione, la quale fin dal suo sorgere ha, possiamo dire, anticipato gli orientamenti del Concilio Vaticano II in merito alla missione del Laicato cristiano. Personalità insigni per fede ardente, per profondo pensiero filosofico e indiscussa competenza tecnico-giuridica, hanno voluto impegnarsi, mediante il vostro benemerito Sodalizio, a "contribuire all'attuazione dei principi dell'etica cristiana nella scienza giuridica, nell'attività legislativa, giudiziaria ed amministrativa, in tutta la vita pubblica e professionale", come recita il vostro Statuto all'articolo due.

Ed è per me di grande conforto non soltanto la vostra qualificata presenza in questa udienza, ma il sapere che in questi trent'anni l'Unione si è impegnata a dare una ispirazione cristiana in molteplici campi della vita sociale.

Ne sono segno e dimostrazione gli atti dei Convegni di studio e le pubblicazioni, cui l'Unione ha dato vita, tutti caratterizzati dallo spirito di servizio nei confronti della persona umana, ai fini dell'affermazione e promozione dei suoi diritti e dei suoi valori inalienabili di libertà, di inviolabilità, di sviluppo.

Ma è soprattutto di conforto la costante fedeltà dimostrata alla Chiesa, al Papa, ai Vescovi, di cui la vostra Unione ha accolto sempre con rispetto, amore e devozione gli insegnamenti e gli orientamenti, senza cedere alle lusinghe e alle tentazioni di malintese autonomie nel proporre e nel difendere i principi dell'etica naturale e cristiana, che reggono l'istituto matrimoniale, e nell'affermare altresi l'inviolabilità e la sacralità della vita umana fin dal concepimento, nel costume e nella legge. La vostra Unione ha reputato un onore, prima ancora che un dovere, accogliere e seguire la parola del Vicario di Cristo.

E questa autorevole parola non vi è mancata in passato: Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI hanno pronunciato, in occasione dei Convegni dell'Unione, discorsi di alto contenuto dottrinale, offrendo principi e indicazioni illuminanti di universale validità circa i gravi problemi, che la vita della società pone al giurista cristiano. Mi piace ricordare il discorso - sempre così attuale - rivoltovi da Paolo VI, di venerata memoria, il 9 dicembre 1972, in occasione del vostro Convegno sulla "Difesa del diritto alla nascita".

E la parola del Papa non vuole mancare oggi, in occasione del Convegno, che ha come tema "La libertà dell'assistenza".

Tale argomento - così delicato e vivo - va senz'altro affrontato dal giurista in tutta la sua complessa problematica giuridica (costituzionalistica, tecnico-legislativa, filosofico-giuridica), ma non può essere adeguatamente studiato senza chiamare in causa il progetto di società, che si vuole realizzare e, prima ancora, la visione della persona umana - dei suoi diritti fondamentali e delle sue libertà - che qualifica lo stesso progetto di società.

La società è fatta per l'uomo, "hominis causa omne ius constitutum est".

Al servizio dell'uomo è posta la società con le sue leggi; per la salvezza dell'uomo è stata da Cristo fondata la Chiesa (cfr. LG 48 GS 45). perciò anche la Chiesa ha una sua parola da dire in merito a tale argomento.

E deve anzitutto dire che il problema della "libertà dell'assistenza" in uno Stato moderno, che voglia essere democratico, rientra nel più ampio discorso dei diritti dell'uomo, delle libertà civili e della stessa libertà religiosa.

L'uomo è essere intelligente e libero, per naturale destinazione ordinato a realizzare le potenzialità della sua persona nella società. Espressioni di questa sua connaturale socialità sono la società naturale fondata sul matrimonio uno e indissolubile quale è la famiglia, le libere formazioni intermedie; la comunità politica, di cui lo Stato nelle sue varie articolazioni istituzionali è la forma giuridica. Questo deve assicurare a tutti i suoi membri la possibilità di un pieno sviluppo della loro persona. Ciò esige che a coloro, i quali si trovano in condizioni di necessità e di bisogno per malattia, povertà, menomazioni di vario genere, siano offerti quei servizi e quegli aiuti, che sono richiesti dalla loro particolare situazione. Prima ancora che obbligo di giustizia da parte dello Stato, è questo un obbligo di solidarietà da parte di ciascun cittadino.

Per il credente, poi, è un'esigenza insopprimibile della sua fede in Dio Padre, il quale chiama tutti gli uomini a costituire una comunione di fratelli in Cristo (cfr. Mt 23,8-9); è una gioiosa obbedienza al comando biblico: "Deus mandavit illis unicuique de proximo suo" (cfr. Si 17,12); è la realizzazione

piena del desiderio di scoprire, di incontrare Cristo nel prossimo sofferente: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (cfr. Mt 25,34-40).

Su tutto questo si fonda il dovere dell'assistenza, ma anche la sua insopprimibile libertà. Il cittadino, singolo o associato, deve essere libero di offrire servizi di assistenza in conformità delle proprie capacità e della propria ispirazione ideale.

Deve essere libera la Chiesa, la quale - come già "fin dalle sue prime origini, unendo insieme l'"agape" con la Cena Eucaristica - si manifestava tutta unita nel vincolo della carità attorno a Cristo, così, in ogni tempo, si riconosce da questo contrassegno della carità, e, mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità come suo dovere e diritto inalienabile" (AA 8).

Queste libertà non sarebbero rispettate, né nella lettera né nello spirito, se prevalesse la tendenza ad attribuire allo Stato e alle altre espressioni territoriali del potere pubblico una funzione accentratrice ed esclusivista di organizzazione e di gestione diretta dei servizi o di rigidi controlli, che finirebbe con lo snaturare la funzione legittima loro propria di promozione, di propulsione, di integrazione e anche - se necessario - di sostituzione dell'iniziativa delle libere formazioni sociali secondo il principio di sussidiarietà.

L'Episcopato Italiano - come è noto - ha manifestato anche recentemente le sue preoccupazioni per il pericolo reale che siano ristretti gli spazi effettivi di libertà, che sia ridotta e sempre più limitata la libera azione delle persone, delle famiglie, dei corpi intermedi, delle stesse associazioni civili e religiose, a favore del potere pubblico con il risultato di "deresponsabilizzare e creare pericolosi presupposti di una collettività, che perde l'uomo, sopprimendo i suoi diritti fondamentali e le sue libere capacità di espressione" (Comunicato della CEI, gennaio 1978).

Come pure, lo stesso Episcopato Italiano ha espresso la preoccupazione che opere benemerite, le quali, per secoli, sotto l'impulso della carità cristiana si sono prese cura degli orfani, dei ciechi, dei sordomuti, degli anziani, di ogni genere di bisognosi, grazie alla generosità dei donatori e al sacrificio personale, talvolta eroico, di religiose e di religiosi, e che in ragione di disposizioni legislative avevano dovuto assumere, loro malgrado, la figura giuridica di Istituzioni pubbliche di Assistenza e Beneficenza - con una certa garanzia, peraltro, per i loro fini istituzionali - siano soppresse o comunque non sufficientemente ed efficacemente garantite.

Il Papa non può rimanere estraneo a queste preoccupazioni, che toccano la possibilità stessa per la Chiesa di svolgere la sua missione di carità, e che toccano altresi la libertà dei cattolici e di tutti i cittadini, singoli o associati, di dar vita ad opere conformi alle loro idealità, nel rispetto delle giuste leggi e a servizio del prossimo indigente.

Auguro pertanto che il vostro Convegno abbia un felice successo nello studio di un tema, che coinvolge la natura stessa della Chiesa nel suo originario impegno di donazione agli altri; che la vostra benemerita Unione continui a dare alla società italiana un fecondo contributo di idee, di proposte, ma soprattutto una testimonianza di ispirazione e di vita cristiana specialmente in campo professionale.

Con tali voti ben volentieri e di gran cuore vi imparto la benedizione apostolica, che intendo estendere a tutti i giuristi cattolici e alle persone che vi sono care.

Data: 1978-11-25 Data estesa: Sabato 25 Novembre 1978


Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Fedeltà della Chiesa al Regno di Dio




1. Oggi è la festa di Cristo Re dell'universo.

Mentre pensavo che cosa dirvi quest'oggi, carissimi fratelli e sorelle riuniti per l'"Angelus", mi è venuto in mente che in questa festa dovrebbero anzitutto risuonare qui - si, proprio qui, davanti alla facciata della Basilica di San Pietro, nel cuore di Roma - le parole del Vangelo di san Giovanni.

"Disse Pilato: "Tu sei il re dei Giudei?". Gesù rispose: "Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?". Pilato rispose: "Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me, che cosa hai fatto?". Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo"" (Jn 18,33-36).

Queste parole ci ricordano eventi passati, che ebbero luogo nelle lontane periferie del grande Impero Romano. Tuttavia non sono senza significato.

Forse risuonano ancora in esse problemi odierni, attuali. Forse in questo dialogo si potrebbero ritrovare, almeno sotto certi aspetti, gli stessi dibattiti che avvengono oggi.

Cristo risponde alla domanda del giudice e dimostra che l'accusa contro di lui è infondata. Egli non tende al potere temporale.

Poco dopo verrà flagellato e incoronato di spine. Verrà schernito, e lo insulteranno, dicendo: "Salve, re dei Giudei" (Jn 19,3). Ma Gesù tace, come se volesse col suo silenzio esprimere fino in fondo quel che già prima aveva risposto a Pilato.


2. Ma questa non era ancora la risposta completa. E Pilato lo sentiva. E per questo domando per la seconda volta: "Dunque tu sei re?" (Jn 18,37).

Strana domanda, strana dopo tutto ciò che Cristo aveva dichiarato con tanta fermezza. Ma Pilato sentiva che la negazione dell'accusato non esauriva tutto: nel profondo di questa negazione era nascosta un'affermazione. Quale? Ed ecco Cristo aiuta Pilato-giudice a trovarla: "Tu lo dici, io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" (Jn 18,37).

Dobbiamo tutti riflettere bene sulla negazione e sull'affermazione di Cristo.

L'affermazione di Gesù non appartiene al processo che una volta si tenne nei lontani territori dell'Impero Romano, ma sta sempre al centro della nostra vita. E' attuale. Debbono rifletterci sopra sia coloro che emanano le leggi, sia coloro che governano gli stati, sia coloro che giudicano.

Su questa affermazione deve riflettere ogni cristiano, ogni uomo, che è pur sempre un cittadino, e che di conseguenza appartiene ad una definita comunità politica, economica, nazionale, internazionale.


3. "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità", dice Cristo Re davanti al tribunale del governatore-giudice, in attesa della sentenza che di li a poco sarebbe stata emessa.

A tale proposito ascoltiamo ancora ciò che disse il Concilio Vaticano II: "La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana" (GS 76).

Così pensa e così parla la Chiesa contemporanea.

La Chiesa vuole essere fedele a ciò che Cristo ha detto. Questa è la sua ragion d'essere.

A questo proposito, il pensiero ci porta a quei nostri fratelli, che sono processati, e che forse sono condannati a morte - se non a quella corporale, almeno a quella civica - perché professano la loro fede, perché sono fedeli alla verità, perché difendono la vera giustizia.

Bisogna riconoscere che anche nel mondo di oggi non mancano purtroppo simili situazioni. In questo giorno di Cristo Re è pertanto necessario che sia messa in rilievo la somiglianza di coloro che le soffrono allo stesso Cristo, processato e condannato dinanzi al tribunale di Pilato.

Preghiamo ogni giorno: venga il tuo regno.

Non dobbiamo mai dimenticare coloro che pagano la loro fedeltà al Regno di Dio con la condanna, con le discriminazioni, con le sofferenze, con la morte.

E' necessario che questo sia ricordato da noi tutti nel ritrovarci davanti alla facciata della Basilica di San Pietro per recitare l'"Angelus".

Data: 1978-11-26 Data estesa: Domenica 26 Novembre 1978


Al laicato cattolico di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Essere solidali con Cristo




1. Desidero anzitutto esprimere la mia grande gioia per questo nostro odierno incontro. Ringrazio il Cardinale Vicario di Roma che, insieme con i Vescovi Ausiliari, ha organizzato questo incontro, a cui partecipano i rappresentanti del laicato di questa prima diocesi nella Chiesa, di cui da poco, per Volontà di Cristo, sono diventato Vescovo. Tutte le organizzazioni dell'apostolato dei laici nella diocesi di Roma sono qui presenti nella persona dei loro rappresentanti, accompagnati dagli Assistenti spirituali delle singole organizzazioni. Assumendo il mio servizio episcopale a Roma, dopo l'esperienza di venti anni nell'arcidiocesi di Cracovia, devo dichiarare anzitutto che do molta importanza all'apostolato dei laici, nei confronti del quale, nelle circostanze precedenti ben diverse da quelle che trovo qui, cercavo di far sempre il mio meglio.

Un particolare motivo della mia gioia è il fatto che noi ci incontriamo nella festa di Cristo Re dell'Universo, che fra tutti i giorni nell'anno liturgico forse è il più adatto, anche a causa di talune tradizioni, per assumere il dovere della nostra collaborazione.

Riprendiamo questa nostra collaborazione, cari fratelli e sorelle, nella celebrazione del Sacratissimo Sacrificio per ritornare così al Cenacolo, che è diventato, sia nel Giovedi Santo sia nel giorno della Pentecoste, il luogo singolare dell'"invio degli apostoli".


2. La parola divina della liturgia odierna, che ascoltiamo con la massima attenzione, ci introduce nella profondità del mistero di Cristo Re. Ne parlano tutte le letture. In modo particolare voglio richiamare la vostra attenzione sulle parole di san Paolo ai Corinzi; egli fa un paragone tra le due dimensioni dell'umana esistenza: quella che è la nostra partecipazione in Adamo e quella che otteniamo in Cristo.

La partecipazione dell'uomo in Adamo vuol dire disubbidienza: "Non serviam": non servirò.

E proprio quel "non serviro", in cui all'uomo sembrava di sentire il segnale della liberazione e la sfida della propria grandezza a misura di Dio stesso, è diventato la fonte del peccato e della morte. E siamo ancora testimoni come quell'antico "non serviro" porti una molteplice dipendenza e schiavitù dell'uomo. E' un argomento per una profonda analisi, che è difficile fare adesso in tutta l'estensione. Dobbiamo accontentarci solo di un semplice accenno.

Cristo, il nuovo Adamo, è Colui che entra nella storia dell'uomo proprio "per servire". "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita" (Mt 20,28): questa è, in un certo senso, la fondamentale definizione del suo Regno. In questo servizio, secondo il modello di Cristo, l'uomo ritrova la sua piena dignità, la sua meravigliosa vocazione, la sua regalità. Vale la pena ricordare qui le parole della costituzione dogmatica "Lumen Gentium" sulla Chiesa, al capitolo IV che è dedicato ai laici nella Chiesa e al loro apostolato: "Il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo, volendo anche attraverso i laici continuare la sua testimonianza e il suo ministero, li vivifica col suo Spirito e incessantemente li spinge ad ogni opera buona e perfetta. Ad essi infatti, che intimamente congiunge alla sua vita e alla sua missione, concede anche parte del suo ufficio sacerdotale per esercitare un culto spirituale, affinché sia glorificato Dio e gli uomini siano salvati... così anche i laici, in quanto adoratori dovunque santamente operanti, consacrano a Dio il mondo stesso" (LG 34).

Servire Dio vuol dire regnare. In questo compito, che esprime l'atteggiamento di Cristo stesso e dei suoi seguaci, viene spezzata l'eredità del peccato. E viene iniziato il "regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia di amore e di pace" (Prefazio per la festa di Cristo Re).


3. La liturgia odierna ci fa vedere quasi due tappe del regnare-servire. La prima tappa è la vita della Chiesa sulla terra; la seconda è di giudizio. Il vero senso della prima tappa diventa comprensibile attraverso il significato della seconda.

Prima che il Figlio dell'uomo si presenti dinanzi ad ognuno di noi, e dinanzi a tutti, come Giudice che separerà "le pecore dai capri", è sempre con noi come Pastore che ha cura delle sue pecore. La stessa sollecitudine egli vuole condividere con noi, con ciascuno di noi. Vuole che il suo servizio diventi il nostro servizio nel più ampio significato della parola. "Nostro" vuol dire non soltanto dei vescovi, sacerdoti, religiosi, ma anche, nel senso più ampio della parola, dei laici. Di tutti. Perché questo servizio-sollecitudine richiede la partecipazione di tutti. "Ho avuto fame... ho avuto sete... ero forestiero... nudo... malato... carcerato... perseguitato" oppresso, affamato, incosciente, dubbioso, abbandonato, minacciato (forse già nel grembo materno). Enorme è la cerchia dei bisogni e dei doveri che dobbiamo intravedere, e che dobbiamo porre davanti agli occhi, se vogliamo essere "solidali con Cristo". Perché, alla fin fine, si tratta proprio di questo: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). Cristo è dalla parte dell'uomo; e lo è da ambedue le parti: dalla parte di colui che aspetta la sollecitudine, il servizio e la carità; e dalla parte di chi presta il servizio, porta la sollecitudine, dimostra l'amore.

Esiste dunque un grande spazio per la nostra solidarietà con Cristo, un grande spazio per l'apostolato di tutti, per l'apostolato dei laici in particolare. Purtroppo ancora una volta nel quadro di questa breve omelia diventa impossibile sottoporre questo argomento ad una analisi più dettagliata. Tuttavia le parole della liturgia d'oggi ci spronano a rileggerle di nuovo, a meditarci sopra ed a mettere in pratica tutto ciò che, in dimensioni così ampie, è diventato oggetto dell'insegnamento del Concilio sull'apostolato dei laici. In passato il concetto dell'apostolato sembrava essere quasi riservato solo a coloro che "d'ufficio" sono i successori degli apostoli, che esprimono e garantiscono l'apostolicità della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha svelato quanto grandi campi dell'apostolato fossero sempre accessibili ai laici. Al tempo stesso ha di nuovo stimolato a tale apostolato. Basta riprendere una sola frase del decreto "Apostolicam Actuositatem" (AA 2) che in un certo senso contiene e riassume tutto: "la vocazione cristiana... è per sua natura anche vocazione all'apostolato".


4. Cari miei fratelli e sorelle! Voglio esprimere la mia gioia particolare per questo incontro con voi, che della verita sulla vocazione cristiana compresa come la chiamata all'apostolato dei laici, avete fatto, qui a Roma, il programma della vostra vita.

Sono lieto e spero che mi metterete al corrente dei vostri problemi, e mi introdurrete nei diversi campi della vostra attività. Mi rallegro di poter entrare su queste strade sulle quali voi già camminate, di potervi accompagnare su di esse e guidarvi pure come vostro Vescovo.

Proprio per questo desideravo tanto che ci potessimo incontrare nella solennità di Cristo Re dell'Universo. Desidero che lui stesso ci riceva. Forse bisogna che senta da noi questa domanda, tante volte diretta a lui dai diversi interlocutori: "che devo fare?" (Lc 18,18); che dobbiamo fare noi? Ricordero ancora quello che sua Madre ha detto a Cana di Galilea ai servi del maestro di tavola: "Fate quello che egli vi dirà" (Jn 2,5). Noi rivolgiamo i nostri occhi a questa Madre; rinasce in noi la speranza e rispondiamo: siamo pronti! Data: 1978-11-26 Data estesa: Domenica 26 Novembre 1978


Lettera all'Arcivescovo di Montevideo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nel primo centenario dell'istituzione della Gerarchia locale

Al venerabile fratello nell'Episcopato Carlos Parteli, arcivescovo di Montevideo.

Stanno per concludersi le manifestazioni culturali e religiose programmate in tutte le circoscrizioni ecclesiastiche dell'Uruguay per commemorare il primo centenario dell'istituzione della Gerarchia locale. E' per noi sommamente gradito sapere che questa gioiosa commemorazione culminerà l'8 dicembre prossimo, con una messa concelebrata nella santa Chiesa Cattedrale di Montevideo.

In questa giornata tanto importante, vogliamo essere vicini a te ed agli altri fratelli nell'episcopato, pastori della Chiesa in Uruguay, ai sacerdoti, religiosi e fedeli, per felicitarci con tutto il cuore con voi, ed augurarvi con il principe degli apostoli "che la grazia e la pace vi siano date in abbondanza" (cfr. 1P 1,2).

Sono proprio questa grazia e questa pace che, come linfa inestinguibile dello Spirito, hanno nutrito incessantemente, generazione dopo generazione, la messe di Dio, l'edificio di Dio che siete voi (cfr. 1Co 3,1ss); per questo il nostro sentito ricordo e ringraziamento vada ai tanti servitori di Cristo che, seguendo il suo esempio di obbedienza ai disegni divini, hanno prodigato la loro vita senza risparmiarsi fatiche e sacrifici, per annunciare i misteri di salvezza: gli uni avranno piantato, gli altri innaffiato; alcuni hanno posto le fondamenta, altri hanno innalzato l'edificio; ma tutti hanno lavorato insieme per Dio, che è colui che ha permesso la crescita! Sia lodato il Signore per tanta benedizione! Le nostre parole oggi, vogliono essere prima di tutto un incoraggiamento, affinché continuiate con rinnovato spirito interiore, a collaborare per la costruzione della famiglia di Dio che siamo tutti noi, gli uomini, in cui ha voluto abitasse il Verbo fatto carne, affinché vedessimo la sua gloria (cfr. Jn 1,14). Voi, Pastori della Chiesa, sapete molto bene che mediante la vocazione al servizio apostolico ci è stato affidato un compito esigente e primordiale: la missione di rendere discepole tutte le genti e di predicare il vangelo ad ogni creatura (cfr. LG 4). Si, dobbiamo annunciare instancabilmente "la buona novella della grazia di Dio" (cfr. Ac 20,24), "portando in alto, come fari di luce nel mondo, la parola di vita" (Ph 2,16), affinché gli uomini, riconciliati in Cristo e innestati in lui, si convertano in "uomo nuovo", pietre vive, concittadini e familiari di Dio edificati sopra il fondamento degli apostoli (cfr. Ep 2,11ss).

Non dimentichiamo poi che nella nostra persona, quella dei Vescovi, che i presbiteri assistono, Cristo è presente tra i fedeli (LG 21).

Pertanto, come testimoni di questa presenza, maestri e padri della comunità, dobbiamo mostrare e ravvivare fedelmente in lei, l'immagine del Cristo autentico: Cristo che salva; Cristo che infonde speranza nell'umanità; Cristo che accoglie con amore i poveri e i peccatori; Cristo che prega; Cristo nostra Pasqua, che, con la sua morte e risurrezione, ci ha aperto le porte del Regno: regno di verità, di giustizia, di amore e di pace, che in lui troverà il suo pieno compimento.

Come testimonianza di affetto e di stimolo a edificare in questo modo, nella verità e nella santità, il Popolo di Dio in Uruguay, doniamo un calice alla Chiesa di Montevideo, culla delle altre comunità uruguaiane. E chiedendo alla santissima "Virgen de los Treinta y Tres", che con amore materno si prenda cura "dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata" (LG 62), cordialmente benediciamo te, gli altri Vescovi e il popolo dei fedeli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1978-11-27 Data estesa: Lunedi 27 Novembre 1978


A un gruppo di fedeli dell'Austria - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: I valori cristiani nella società d'oggi

Eminenza reverendissima Signor Cardinale! Gentili Signore, Egregi Signori! A tutti voi do il mio cordiale benvenuto per la Vostra prima visita in Vaticano al nuovo Papa. Ho accolto con particolare gioia il vostro desiderio di incontrarmi, una lunga e personale conoscenza e profondi vincoli di amicizia mi legano infatti a Vostra Eminenza e alla terra che voi qui presenti rappresentate.

Questi legami naturali, umani, ora sono diventati, attraverso la mia designazione alla cattedra di Pietro, più stretti e profondi.

Anche voi sottolineate questo particolare legame spirituale e ciò avviene non solo attraverso la visita all'attuale successore di Pietro, ma anche con la vostra partecipazione di ieri alla consacrazione vescovile di Monsignor Squicciarini, uno dei miei stretti collaboratori a lungo occupato nella rappresentanza pontificia in Austria.

Desidero cogliere l'occasione per porgere le mie espressioni di stima a tutto il vostro popolo, alla sua cultura e a tutti i valori che il cristianesimo e la Chiesa hanno loro donato. perciò il nostro comune desiderio può essere solo che la Chiesa possa partecipare ancora alla vita sociale del vostro paese come "il lievito" del Vangelo, che dà gusto alla vita degli uomini e dei paesi, e favorisce i rapporti sociali. Questo è il mio augurio e desiderio per la Chiesa in Austria, per la vostra gente e il vostro governo. Mi ricordo molto bene della partecipazione amichevole del vostro presidente Dr. Kirchschläger alle celebrazioni per l'inizio del nuovo pontificato.

Tale augurio è indirizzato in particolar modo a lei, Reverendissimo Cardinale, quale Arcivescovo di Vienna e a tutti i confratelli che operano nel vostro Paese. Eminenza, desidero ringraziarla per tutto ciò che lei, prima e durante il Concilio, ha fatto e per tutto quello che anche oggi fa, nella fase del post-concilio, per rendere ancora più saldi i legami tra le diverse chiese locali e tra i cristiani di diversi Paesi. La ringrazio inoltre per aver assunto la direzione del Segretariato per i non credenti, un organo difficile ma nello stesso tempo indispensabile per la vita della Chiesa oggi. E' mia speranza avere ancora molto aiuto dalla sua esperienza e saggezza in questo ambito. Avrei ancora molte cose da dirvi. Potete comunque essere certi che io ricordero nelle mie preghiere le vostre domande personali e i grossi problemi della Chiesa e dei credenti in Austria. A tutti voi imparto di cuore la mia benedizione apostolica.

Data: 1978-11-27 Data estesa: Lunedi 27 Novembre 1978


Ai partecipanti al "Certamen Vaticanum" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La lingua latina nella vita della Chiesa

Venerabile nostro fratello e diletti figli.

Volentieri porgiamo il nostro saluto a voi che attendete a studiare e a mantenere viva la lingua latina: in particolare saluto il venerabile nostro fratello Cardinale Pericle Felici, che sappiamo essere espertissimo conoscitore della lingua Latina, i moderatori e i soci della Fondazione "Latinitas" che è stata fondata da Paolo VI, nostro predecessore di venerata memoria, con provvido disegno; alcuni di costoro sono nella nostra Segreteria di Stato incaricati di comporre documenti in lingua Latina; alcuni sono anche vincitori del 21° "Certamen Vaticanum".

Il "Certamen", nato con l'approvazione e l'aiuto di Pio XII, è degno di tutta la nostra considerazione, dal momento che sprona gli studiosi della lingua Latina a una conoscenza e a una padronanza più approfondita di tale lingua.

E' noto a tutti che questi tempi non sono particolarmente favorevoli per lo studio della lingua Latina, perché gli uomini contemporanei sono più inclini alla tecnica e preferiscono le lingue nazionali. Non vogliamo tuttavia allontanarci dai documenti così importanti dei nostri predecessori, che hanno più volte dato un rilievo particolare alla lingua Latina, anche in questa età, specialmente per quanto riguarda la Chiesa. Infatti la lingua Latina è in un certo senso una lingua universale, che valica i confini nazionali e tale che la Sede Apostolica se ne serve ancora normalmente nelle lettere e negli atti che sono indirizzati a tutta la famiglia cattolica.

Si deve anche tenere presente che le fonti delle discipline ecclesiastiche sono per la maggior parte in Latino. Che dire poi delle insigni opere dei Padri e degli altri scrittori famosi che si sono serviti di questa lingua? Non si deve ritenere esperto in una disciplina chi non comprende la lingua originale degli scritti di tale scienza, ma deve servirsi solo di versioni, se ve ne siano; e le traduzioni tuttavia raramente rispettano il senso originale del testo. Per questo motivo il Concilio Vaticano II giustamente ha richiamato con queste parole i cultori delle cose sacre: "acquistino una conoscenza della lingua Latina con la quale possano capire tutte le fonti e i documenti della Chiesa" (OT 13).

Ci rivolgiamo innanzitutto ai giovani che, in questa età, nella quale le lettere latine e gli studi umanistici, come è noto, in molti casi sono dimenticati, devono con zelo studiare questo patrimonio della latinità che la Chiesa ritiene abbia un grande valore, e devono farlo fruttificare. Vale la pena ricordare questo detto di Cicerone che devono in un certo senso riferire a se stessi: "Non è tanto una cosa gloriosa conoscere il Latino, quanto è vergognoso non conoscerlo" (M.T. Cicerone, "Brutus" 37,40) Esortiamo tutti voi che siete presenti e i vostri collaboratori a continuare la nobile attività e levare la fiaccola della latinità, che è anche, pur circoscritta in limiti più ristretti, un vincolo tra uomini che parlano lingue diverse. Sappiate che il successore del beato Pietro, nel sommo ministero apostolico prega per un felice esito del vostro lavoro, vi è vicino, vi sostiene. Auspice di ciò sia l'apostolica benedizione che impartiamo volentieri a voi tutti nel Signore.

Data: 1978-11-27 Data estesa: Lunedi 27 Novembre 1978


Telegramma a Monsignor Joseph-Marie Trinh-Van-Can - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cordoglio per la morte del Cardinale Trin-nhu-Khuê

Ricordando con emozione il mio recente incontro con il caro Cardinal Joseph-Marie-Trin-nhu-Khuê, prego Dio che lo ha ora chiamato a Sé di ricompensare questo fedele e generoso Pastore che, da così lungo tempo alla testa dei suoi fedeli, ha dato l'esempio luminoso di un uomo di preghiera e di grande carità, fermamente attaccato alla Chiesa con una particolare devozione alla Vergine Maria.

Esprimo la mia profonda partecipazione a Vostra Eccellenza, ai diocesani di Hanoi e a tutti i cattolici vietnamiti in lutto, e invio loro, con i miei vivi incoraggiamenti per la loro vita di fede, una speciale benedizione apostolica.

Data: 1978-11-28 Data estesa: Martedi 2
1978




Ai giovani in San Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: I giovani sono il conforto e la forza del Papa

Cari giovani, ragazzi e ragazze.

Grazie per l'entusiasmo che mi avete riservato nell'attraversare, in questa splendida Basilica Vaticana, i vostri gruppi risonanti di giovanile esultanza e di sincero attaccamento alla persona del successore di Pietro, sulla cui tomba noi siamo adunati per trarre da lui ispirazione e sostegno.

Voi venite dalle scuole, dalle parrocchie, dagli oratori, dagli istituti e dalle associazioni cattoliche per manifestare al Papa i vostri ideali cristiani e la buona volontà di prepararvi al vostro avvenire e alle vostre future responsabilità di cristiani e di cittadini con serietà e con generosa dedizione.

Anche per questo, anzi soprattutto per questo, vi ripeto il mio grazie cordiale, che desidero estendere anche ai vostri genitori, ai vostri educatori, ai vostri insegnanti e ai vostri parroci, che vi hanno guidati a questo incontro.

Prima di parlarvi del tema generale di questo mercoledi, che è incentrato sull'Avvento (domenica prossima, infatti, come voi sapete, inizia il tempo liturgico dell'Avvento), desidero rivolgere, con paterna benevolenza, un saluto speciale a due gruppi di giovani: i ragazzi spastici del Centro Spastici "Villa Margherita" di Montefiascone, che è diretto dai religiosi della Congregazione dei Figli dell'Immacolata Concezione; e poi il gruppo dei sordomuti ospiti dell'Istituto Gualandi di Roma: siate benvenuti, figli carissimi! La vostra presenza e la vostra particolare condizione meritano un posto speciale nel cuore del Papa, il quale vi abbraccia e vi benedice con commossa predilezione. Vi siano motivo di sollievo e di serenità, pur nelle immancabili pene della vita quotidiana, le premure amorevoli di quanti si dedicano alla vostra assistenza e alla vostra istruzione, e che oggi, con gesto meritevole di menzione, vi hanno qui accompagnati in spirito di fattiva solidarietà verso i fratelli più bisognosi.

Ora, nella previgilia dell'Avvento, come accennavo, vogliamo interrogarci sul significato dell'Avvento: siamo tanto abituati a questo termine, che corriamo il rischio di non sentire più il bisogno di una ulteriore ricerca del suo profondo significato.

Esso vuol dire anzitutto venuta. E questo lo sapete anche voi più piccoli che mi ascoltate e che ricordate bene la venuta di Gesù nella notte di Natale, in una grotta che serviva da stalla. Ma voi, giovani più grandi, che fate già studi superiori, vi ponete delle domande per approfondire sempre maggiormente questa affascinante realtà del cristianesimo, che è l'Avvento. Riassumendo, in brevi parole, quanto diro per esteso nella seconda udienza di questa mattina, l'Avvento è la storia dei primi rapporti tra Dio e l'uomo. Il cristiano, appena prende coscienza della sua vocazione soprannaturale, accoglie il mistero della venuta di Dio nella propria anima e di questa realtà il suo cuore palpita e pulsa costantemente, essendo essa non altro che la stessa vita del cristianesimo.

Per comprendere meglio il ruolo di Dio e dell'uomo nel mistero dell'Avvento, dobbiamo tornare alla prima pagina della Sacra Scrittura, cioè alla Genesi, dove leggiamo le parole: "Beresit bara!: In principio Dio creo...". Egli, Dio, crea, cioè "dà inizio" a tutto ciò che non è Dio, cioè al mondo visibile e invisibile (secondo la Genesi: il cielo e la terra). In questo contesto, il verbo "crea" manifesta la pienezza dell'essere di Dio, la quale si rivela come onnipotenza che è insieme Sapienza e Amore.

Ma la stessa pagina della Bibbia ci presenta anche l'altro protagonista dell'Avvento che è l'uomo. In essa infatti leggiamo che Dio lo crea a sua immagine e somiglianza: "Dio disse: facciamo l'uomo a nostra immagine a nostra somiglianza" (Gn 1,26). Su questo secondo protagonista dell'Avvento, cioè l'uomo, parlero mercoledi prossimo; ma fin d'ora desidero indicarvi questa relazione particolare, di cui si intesse la teologia dell'Avvento, tra Dio e l'immagine di Dio, cioè l'uomo.

E, come primo impegno della nuova stagione liturgica che sta per aprirsi, cercate di dare, in base alle brevi considerazioni bibliche che abbiamo ora fatte insieme, una vostra risposta personale ai due interrogativi che sono implicitamente venuti fuori dal discorso, e cioè: a) che cosa significa l'Avvento? b) perché l'Avvento è parte essenziale del cristianesimo? Tornando alle vostre case, alle vostre scuole e alle vostre associazioni, dite a tutti che il Papa conta molto sui giovani. Dite che i giovani sono il conforto e la forza del Papa, il quale desidera vederli tutti per far sentire loro la sua voce di incoraggiamento in mezzo a tutte le difficoltà che l'inserimento nella società comporta. Dite, infine, di riflettere sia individualmente, sia nei loro incontri, sul significato del nuovo periodo liturgico e sulle implicazioni che ne conseguono nel quotidiano impegno del

necessario rinnovamento spirituale.

Vi sia di aiuto e di stimolo nell'attuazione dei vostri propositi la benedizione apostolica che di cuore ora imparto a voi e a tutti i vostri cari.

Data: 1978-11-29 Data estesa: Mercoledi 29 Novembre 1978


GPII 1978 Insegnamenti - Ai Giuristi cattolici - Città del Vaticano (Roma)