GPII 1978 Insegnamenti - Al Cardinale Egidio Vagnozzi - Città del Vaticano (Roma)


All'Università Cattolica del sacro Cuore - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'intelligenza e la ricerca al servizio di Dio e dell'uomo

Illustrissimo Signor Rettore.


1. Le nobili espressioni, con le quali Ella ha voluto confermare in questo primo incontro col nuovo successore di Pietro, la fedele adesione a Cristo nella persona del suo Vicario e il generoso impegno di servizio alla verità nella carità, che animano i membri della grande famiglia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, hanno suscitato nel mio animo sentimenti di viva commozione e di sincero apprezzamento. A lei, pertanto, ai Chiarissimi rappresentanti del Corpo Accademico, ai cari Studenti, ai Signori del Personale amministrativo e ausiliario e a quanti sono qui convenuti, l'attestazione della mia paterna gratitudine e della mia speciale benevolenza.

Sono lieto di porgervi il mio cordiale benvenuto, figli carissimi, di salutare in voi gli esponenti qualificati di una Istituzione, che da molti anni ormai svolge in Italia un ruolo di primaria importanza per l'animazione cristiana del mondo della cultura.

Con questo incontro, da voi sollecitato e da me accordato con gioia, voi avete voluto concludere in modo significativo le celebrazioni per il centenario della nascita del Padre Agostino Gemelli, l'illustre francescano che con lungimirante sapienza, apostolica carità e indomito coraggio diede vita a quello splendido complesso di persone e di opere, di vita e di pensiero, di studio e d'azione, che è la vostra Università.

Nel corso di questo anno voi vi siete soffermati a riflettere, con rinnovata intensità d'affetto, sulla figura, sul pensiero e sull'opera del religioso insigne, al quale tanto deve la comunità dei cattolici italiani e il mondo stesso della cultura e della ricerca scientifica. Ne avete ripresi in mano gli scritti, ne avete rimeditato gli insegnamenti, vi e apparso chiaro, infatti, che tributo migliore di riconoscenza non avreste potuto offrirgli di quello di far spazio alla sua voce, la cui eco molti di voi ancora conservano nel cuore, perché "il Padre" potesse ridire ai continuatori attuali della sua opera mete ideali e concreti progetti d'azione, prospettive invitanti e insidiosi pericoli, timori sempre incombenti e mai soccombenti speranze.


2. Anche in questo momento il nostro pensiero va a lui, per raccogliere qualche aspetto significativo del suo messaggio e trarne conforto e stimolo nelle non lievi difficoltà dell'ora presente. Orbene, v'è una "costante" - così almeno pare a me - che orienta e sostiene l'azione di Padre Gemelli nell'arco di tutta la sua esistenza: essa è l'interesse per l'uomo: l'uomo concreto, dotato di certe capacità fisiche e psichiche, condizionato da certi fattori ambientali, debilitato da certe malattie, proteso verso la conquista di certi ideali.

Non fu, forse, questo interesse a spingere il giovane studente verso la Facoltà di Medicina, verso quella scienza cioè che del servizio alla vita umana fa il proprio programma e la propria bandiera? E non fu ancora il medesimo interesse a suggerirgli - ormai frate - la specializzazione in psicologia sperimentale, orientandolo verso la scienza che polarizzerà la sua attenzione e il suo impegno di ricercatore geniale ed infaticabile per tutto il resto della vita? L'interesse per l'uomo lo indusse a volgersi con particolare passione alle situazioni più penose e difficili: quelle del lavoro operaio, per studiare "il fattore umano del lavoro" e giungere, dopo esperienze condotte direttamente nelle solfatare di Sicilia o nelle officine del Nord, alla conclusione, allora pionieristica, che non l'uomo deve essere adattato alla macchina, ma questa dev'essere costruita su misura dell'uomo; le situazioni dei soldati esposti alle esperienze sconvolgenti della violenza bellica, o quelle degli aviatori alle prese con velivoli rudimentali e rischiosissimi, per approntare rimedi specifici ai traumi psicologici sempre più numerosi fra i militari delle prime linee; le situazioni infine degli ergastolani, a un gruppo dei quali offerse ospitalità nei locali del Laboratorio di psicologia dell'Università Cattolica, per studiarne da vicino le reazioni e dedurne le norme di un'efficace intervento rieducativo.


3. I richiami biografici appena accennati mostrano di qual genere fosse l'interesse che Padre Gemelli nutriva per l'uomo: non l'interesse dello scienziato avulso dalla realtà, che l'uomo considera come puro oggetto di analisi, ma la passione sofferta di chi si sente coinvolto intimamente nei problemi di cui sono vittime i propri simili. L'interesse per l'uomo significo per Padre Gemelli volontà di servire l'uomo. Come? L'esperienza insegno all'animoso frate che il servizio più necessario e urgente da offrire al prossimo era quello di aiutarlo "à bien penser", per dirla con le parole di Pascal ("Pensées", 347), perché "pensée fait la grandeur de l'homme" ("Pensées", 346). Nella rettitudine del pensare sta il presupposto dell'agire retto; e nella rettitudine dell'agire è posta la speranza di soluzione durevole ai gravi mali che travagliano l'umanità.

"Ciò di cui il mondo ha bisogno sono soprattutto le idee": questa era la sua convinzione (cfr. A. Gemelli, "L'Università per la pace sociale", in "Vita e Pensiero", gennaio 1950). E siccome le idee si elaborano e comunicano nella scuola, ecco il progetto ardito di un Istituto che raccogliesse insieme studiosi valenti, sostenuti dall'ideale della ricerca scientifica seria e disinteressata, e giovani volenterosi, animati dal desiderio di camminare con i maestri alla ricerca della verità, per aderirvi appassionatamente e trasmetterne poi generosamente ad altri le ricchezze, divenute ormai sostanza della propria vita (cfr. A. Gemelli, "Il progresso degli studi scientifici fra i cattolici italiani", in "Studium", giugno 1907).

Ma è in grado la ragione umana di raggiungere, da sola, l'approdo appagante della verità? Il doloroso travaglio degli anni giovanili, risolto soltanto con l'esperienza pacificante della conversione, aveva fatto toccare con mano a Padre Gemelli la necessità della fede per una risposta pienamente soddisfacente ai problemi di fondo dell'esistenza umana. Egli non temerà, perciò, di dichiarare: "La soluzione di questi problemi non la dobbiamo chiedere alle scienze, né pure né applicate, non la dobbiamo chiedere alla filosofia, ma alla religione". E con chiarezza programmatica stabilirà: "Dobbiamo rimontare a Dio, non a un Dio qualunque, presentatoci da una religione naturale, ma a un Dio vivente, a Gesù Cristo, suprema ragione del nostro vivere, suprema bellezza da contemplare, suprema bontà da imitare, supremo premio da raggiungere" (A. Gemelli, "La funzione religiosa della cultura", in "Vita e Pensiero", aprile 1919).


4. L'Università Cattolica è nata per rispondere a queste esigenze. Questa fu l'intenzione del suo Fondatore, che in essa volle costituire un "vero ed efficace focolaio di cultura cattolica", come ebbe a dichiarare quando il grande progetto era ormai prossimo a realizzarsi (cfr. A. Gemelli, "Perché i cattolici italiani debbono avere una loro Università", in "Vita e Pensiero", luglio 1919), e come confermo subito dopo il suo decollo ufficiale ribadendo: "L'Università Cattolica è stata concepita al sogno audace di far conoscere, amare, seguire il cattolicesimo in Italia" (A. Gemelli, in "Bollettino degli Amici", n. 1, gennaio 1922).

Non si trattava, ovviamente, di porre in causa in alcun modo il metodo e la libertà spettanti alle singole discipline scientifiche: Padre Gemelli ne descrisse la natura e ne patrocino la tutela in svariate occasioni. Si trattava piuttosto di attuare, a livello universitario, quel "connubio della fede con la scienza", al quale accennava in una lettera dalla Polonia l'allora Nunzio Apostolico Monsignor Achille Ratti (cfr. "Lettera a Padre Gemelli" del 28 marzo 1921) e che il Magistero ufficiale, in particolare quello del Concilio Vaticano II, tante volte ha riconosciuto come possibile, auspicabile e fecondo (cfr. GE 8 GE 10).

Nella fede compresa e vissuta, infatti, il progresso culturale trova, anziché un ostacolo, un aiuto impareggiabile per risolvere e superare le antinomie, alle quali esso è oggi drammaticamente esposto: si pensi, ad esempio, all'esigenza di promuovere il dinamismo e l'espansione della cultura senza mettere a repentaglio la saggezza ancestrale dei popoli; si pensi ancora all'urgenza di salvaguardare, nonostante il frazionamento delle singole discipline, la necessaria sintesi; si pensi, infine, al problema di riconoscere, da una parte, la legittima autonomia della cultura, evitando tuttavia, dall'altra, il rischio di un umanesimo chiuso, circoscritto entro un orizzonte puramente terreno ed esposto, in conseguenza, a sviluppi decisamente disumani (cfr. H. De Lubac, "Le drame de l'humanisme athée, Paris 1945).

Padre Gemelli vide nell'Università Cattolica il luogo privilegiato, nel quale sarebbe stato possibile gettare un ponte tra il passato e il futuro, tra l'antica cultura classica e la nuova cultura scientifica, tra i valori della cultura moderna e l'eterno messaggio del Vangelo. Da tale sintesi feconda sarebbe derivato - egli confidava giustamente - un impulso efficacissimo verso l'attuazione di un umanesimo plenario, dinamicamente aperto sugli orizzonti sconfinati della divinizzazione, alla quale l'uomo storico è chiamato. Con ciò si sarebbe raggiunto nel modo migliore quel fine, al quale - come ho detto poc'anzi - fu totalmente protesa la vita di Padre Gemelli, il fine cioè di servire l'uomo.

"Io ritengo - egli affermava nella prolusione all'anno accademico 1957-58, al termine cioè della sua operosa esistenza - io ritengo che l'Università contemporanea, se ha il dovere di collaborare per il progresso delle scienze e di seguire la metodologia richiesta da ciascuna di esse, non deve mai pero porre in second'ordine ciò che esige il riconoscimento del suo primato, vale a dire l'uomo, la persona umana, il mondo della spiritualità" (A. Gemelli, "Le conquiste della scienza e i diritti dello Spirito", in "Vita e Pensiero", gennaio 1958).


5. Queste furono le convinzioni che guidarono e sostennero l'azione di Padre Gemelli nell'avviare e nel condurre a termine, in mezzo a difficoltà di ogni genere, il titanico progetto di una Università libera e cattolica in Italia. Sono queste le convinzioni che devono continuare ad orientare anche oggi l'impegno di coloro che hanno liberamente scelto di entrare a far parte, come responsabili, come docenti o come alunni, dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

Sono certo di interpretare il sentimento profondo di Padre Gemelli, dicendo oggi a voi: siate fieri della qualifica di "cattolica" che connota la vostra Università. Essa non mortifica il vostro impegno per la promozione di ogni valore umano autentico. Se è vero che "l'homme passe infiniment l'homme", come ha intuito Pascal (cfr. "Pensées", 434), allora bisogna dire che la persona umana non trova la piena realizzazione di se stessa che in riferimento a Colui che costituisce la ragione fondante di tutti i nostri giudizi sull'essere, sul bene, sulla verità e sulla bellezza. E siccome l'infinita trascendenza di questo Dio, che qualcuno ha indicato come il "totalmente Altro", si è avvicinata a noi in Cristo Gesù, fattosi carne per essere totalmente partecipe della nostra storia, bisogna allora concludere che la fede cristiana abilita noi credenti a interpretare, meglio di qualsiasi altro, le istanze più profonde dell'essere umano e ad indicarne con serena e tranquilla sicurezza le vie e i mezzi di un pieno appagamento.

Questa è, dunque, la testimonianza che la comunità cristiana e lo stesso mondo della cultura attendono da voi, docenti ed alunni dell'Università, cui diede inizio la fede intrepida di Padre Gemelli: mostrare coi fatti che l'intelligenza non solo non è menomata, ma ch'essa è anzi stimolata e fortificata da quella sorgente incomparabile di comprensione della realtà umana, che è la Parola di Dio; mostrare coi fatti che intorno a questa Parola è possibile costruire una comunità di uomini e di donne (l'"universitas personarum" delle origini) che conducono avanti la loro ricerca nei diversi campi settoriali, senza perdere il contatto con i punti di riferimento essenziali di una visione cristiana della vita; una comunità di uomini e di donne che cercano risposte particolari a problemi particolari, ma che sono sostenuti dalla gioiosa consapevolezza di possedere insieme la risposta ultima ai problemi ultimi; una comunità di uomini e di donne, soprattutto, che si sforzano di incarnare nella loro esistenza e nell'ambiente sociale, di cui sono parte, l'annuncio di salvezza che hanno ricevuto da Colui che è "la luce vera che illumina ogni uomo" (Jn 1,9); una comunità di uomini e di donne, che si sentono impegnati - pur nel rispetto della legittima autonomia delle realtà terrene, da Dio create, da lui dipendenti e a lui ordinate - ad "iscrivere la legge divina nella vita della città terrena" (GS 43).

La fierezza della qualifica di "cattolica" contiene in sé anche l'impegno di una distinta fedeltà dell'Università alla Chiesa, al Papa e ai Vescovi, ai quali è sempre stata ed è carissima, e a tutta la comunità ecclesiale italiana, dalla quale è con sacrifici sostenuta e considerata con affetto, ma anche con esigente speranza. Questa fedeltà - dal Padre Gemelli così insistentemente inculcata e così coerentemente vissuta - è garanzia di quella unità e di quella carità fraterna, che costituiscono il contrassegno della vostra come di ogni altra istituzione destinata al servizio del Popolo di Dio.

Questo il vostro compito, figli carissimi, questa la consegna che il Papa vi affida; e questo anche il suo augurio. Un augurio che rivolgo in modo tutto particolare ai giovani, nelle cui mani sono posti non solo i futuri destini del glorioso Ateneo cattolico, ma soprattutto le speranze di animazione cristiana della società di domani. Risuoni ancora per loro, sulle labbra del Papa, un ammonimento che il Magnifico Rettore loro indirizzava in un'ora difficile della storia italiana e mondiale: "Non è l'ora delle chiacchiere vuote e degli atteggiamenti spavaldi, egli diceva. E' l'ora di compiti grandi. Siete voi specialmente, o giovani, quelli a cui spetta la costruzione del domani, la costruzione della nuova epoca della storia. Ovunque vi troviate, mostratevi consapevoli di questa vostra missione. Siate fiamme che ardono, che illuminano, che guidano, che confortano. La nobiltà del sentimento, la purezza della vita, l'odio per la volgarità e per tutto ciò che abbassa, mai come oggi sono un dovere" ("Foglio agli studenti", ottobre 1940).

E ora, nell'accomiatarmi da voi, figli carissimi, il pensiero sale implorante a Colei, che oggi veneriamo nel privilegio della sua Immacolata Concezione. Padre Gemelli amo la Madonna con devozione filiale e contro i denigratori la difese con ardore appassionato, fino a meritarsi tra gli amici l'appellativo di "Cavaliere della Vergine". Voglia Maria riservare uno sguardo di materna predilezione all'Università Cattolica del Sacro Cuore, per la quale questo suo figlio generoso tanto lavoro, sofferse e prego. Ella, che la Chiesa invoca come la "Sedes Sapientiae", sia larga di lumi e di conforti verso gli attuali continuatori di un'Opera, a cui la Santa Sede e tutta la Chiesa italiana guardano con immutato affetto, costante fiducia e sempre viva speranza.

Con questi voti sono lieto di concedere a voi, alle vostre famiglie e a tutti gli amici dell'Università Cattolica la mia paterna propiziatrice benedizione apostolica.

So che sono presenti a questo incontro anche gli aderenti alla Associazione dei Genitori delle Scuole Cattoliche, la quale tiene in questi giorni a Roma il suo primo congresso dei propri Delegati Regionali. Anche ad essi estendo il mio saluto e la mia benedizione, auspicando che il Signore li assista nel loro generoso impegno a favore di una adeguata formazione culturale, morale e religiosa della gioventù.

Data: 1978-12-08 Data estesa: Venerdi 8 Dicembre 1978


Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La dottrina della Chiesa sull'Immacolata




1. Fra poco reciteremo l'"Angelus". In questa preghiera ricorderemo l'avvenimento che è accaduto in una città della Galilea chiamata Nazaret. L'avvenimento che aspettava tutto il mondo immerso nel buio dell'avvento, dell'attesa.

"Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te" (Lc 1,28).

Queste sono le parole di Dio che l'Angelo rivolge ad una povera ragazza di Nazaret, di nome Miriam (Maria), i cui genitori, secondo la tradizione, erano Gioacchino e Anna, e che dai primissimi anni desiderava appartenere senza riserva, completamente, al Signore, come testimonia la commemorazione della Presentazione che viene ricordata ogni anno il 21 novembre.


2. Ave, o piena di grazia. Che cosa significano queste parole? L'Evangelista Luca scrive che Maria (Miriam), a queste parole pronunciate dall'Angelo, "rimase turbata e si domandava che senso avesse tale saluto" (Lc 1,29).

Queste parole esprimono una elezione singolare. Grazia significa una pienezza particolare della creazione attraverso la quale l'essere, che rassomiglia a Dio, partecipa alla stessa vita interiore di Dio. Grazia vuol dire l'amore e il dono di Dio stesso, il dono completamente libero ("dato gratuitamente") in cui Dio affida all'uomo il suo Mistero, dandogli, nello stesso tempo, la capacità di poter testimoniare il Mistero, di colmare di esso il suo essere umano, la sua vita, i pensieri, la volontà e il cuore.

La pienezza di grazia è costituita dal Cristo stesso. Maria di Nazaret riceve Cristo, e insieme con Cristo e per Cristo Ella riceve la più piena partecipazione al Mistero eterno, alla vita interiore di Dio: del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Tale partecipazione è la più piena di tutto il creato, sovrasta tutto ciò che separa l'uomo da Dio. Esclude anche il peccato originale: l'eredità di Adamo. Il Cristo, che è l'artefice della vita divina, cioè della Grazia in ciascun uomo, mediante la Redenzione da lui compiuta, deve essere particolarmente generoso con sua Madre. Deve redimerla in modo particolarmente sovrabbondante dal peccato ("copiosa apud eum redemptio": è grande presso di lui la redenzione) (Ps 129,7). Questa generosità del Figlio verso la Madre risale al primo momento della sua esistenza. Si chiama Immacolata Concezione.


3. Cento anni fa è morto un grande Papa, il Servo di Dio Pio IX. Ricordiamoci oggi con quali parole egli ha espresso la dottrina della Chiesa sull'Immacolata Concezione: "Con l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei beati apostoli Pietro e Paolo e nostra dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina, la quale afferma che la beatissima Vergine Maria nel primo istante del suo concepimento, per singolare grazia e privilegio concessole da Dio Onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia di peccato originale, è verità rivelata da Dio e perciò da credersi fermamente e costantemente da tutti i fedeli" (Pio IX, "Ineffabilis Deus").

Ritenuto tutto ciò nella memoria, recitiamo oggi l'"Angelus Domini" con una emozione particolare.

Con questo saluto dell'Angelo prega Roma, tutta la Chiesa e il mondo.

(Segue in polacco:) Con questo saluto dell'Angelo prega la Chiesa in Polonia, ricordando il Beato Massimiliano Kolbe, che ha legato tutta la sua santità e tutta la sua attività apostolica all'Immacolata e che ha fondato la sua vita su questo primo mistero con il quale Dio stesso ha segnato l'inizio terreno della Madre di Cristo e della Chiesa.

Data: 1978-12-08 Data estesa: Venerdi 8 Dicembre 1978


Omelia in Santa Maria Maggiore (Roma)

Titolo: Maria, momento decisivo nella storia della salvezza




1. Mentre per la prima volta come Vescovo di Roma varco oggi la soglia della Basilica di Santa Maria Maggiore, mi si presenta dinanzi agli occhi l'evento che ho vissuto qui, in questo luogo, il 21 novembre del 1964. Era la chiusura della terza sessione del Concilio Vaticano II, dopo la solenne proclamazione della costituzione dogmatica sulla Chiesa, che comincia con le parole: "Lumen Gentium" (luce delle genti). Lo stesso giorno il Papa Paolo VI aveva invitato i Padri conciliari a trovarsi proprio qui, nel più venerato tempio mariano di Roma, per esprimere la gioia e la gratitudine per l'opera ultimata in quel giorno.

La costituzione "Lumen Gentium" è il documento principale del Concilio, documento "chiave" della Chiesa del nostro tempo, pietra angolare di tutta l'opera di rinnovamento che il Vaticano II ha intrapreso e di cui ha dato le direttive.

L'ultimo capitolo di questa costituzione porta il Titolo: "La beata Vergine Maria Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa". Paolo VI, parlando quel mattino nella Basilica di San Pietro, col pensiero fisso sull'importanza della dottrina espressa nell'ultimo capitolo della costituzione "Lumen Gentium", chiamo per la prima volta Maria "Madre della Chiesa". La chiamo così in modo solenne, e comincio a chiamarla con questo nome, con questo titolo, ma soprattutto ad invocarla perché partecipasse come Madre alla vita della Chiesa: di questa Chiesa che durante il Concilio ha preso più profondamente coscienza della propria natura e della propria missione. Per dare maggiore rilievo a questa espressione, Paolo VI, insieme con i Padri conciliari, è venuto proprio qui, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove Maria da tanti secoli è circondata da particolare venerazione e amore, sotto il titolo di "Salus Populi Romani".


2. Seguendo le orme di questo grande predecessore, che è stato per me un vero padre, anch'io vengo qui. Dopo il solenne atto in Piazza di Spagna, la cui tradizione risale al 1856, vengo qui in seguito ad un cordiale invito rivoltomi dall'Eminentissimo Arciprete di questa Basilica, il Cardinale Confalonieri, Decano del Sacro Collegio, e da tutto il Capitolo.

Penso pero che, insieme a lui, mi invitano qui tutti i miei predecessori nella cattedra di san Pietro: il Servo di Dio Pio XII, il Servo di Dio Pio IX; tutte le generazioni dei Romani; tutte le generazioni dei cristiani e tutto il Popolo di Dio. Essi sembrano dire: Va'! Onora il grande mistero nascosto fin dall'eternità, in Dio stesso. Va', e da' testimonianza a Cristo nostro Salvatore, figlio di Maria! Va', e annuncia questo particolare momento; nella storia il momento di svolta della salvezza dell'uomo.

Tale punto decisivo nella storia della salvezza è proprio l'"Immacolata Concezione". Dio nel suo eterno amore ha scelto fin dall'eternità l'uomo: l'ha scelto nel suo Figlio. Dio ha scelto l'uomo, affinché possa raggiungere la pienezza del bene mediante la partecipazione alla sua stessa vita: vita divina, attraverso la grazia. L'ha scelto fin dall'eternità, e irreversibilmente. Né il peccato originale, né tutta la storia delle colpe personali e dei peccati sociali hanno potuto dissuadere l'eterno Padre da questo suo piano di amore. Non hanno potuto annullare la scelta di noi nell'eterno Figlio, Verbo consustanziale al Padre. Poiché questa scelta doveva prendere forma nell'Incarnazione, e poiché il Figlio di Dio doveva per la nostra salvezza farsi uomo, proprio per questo il Padre eterno ha scelto per lui, tra gli uomini, la Madre. Ognuno di noi diventa uomo perché concepito e nato dal grembo materno. L'eterno Padre ha scelto la stessa via per l'umanità del suo Figlio eterno. Ha scelto sua Madre dal popolo, a cui da secoli affidava in modo particolare i suoi misteri e le sue promesse. L'ha scelta dalla stirpe di Davide e contemporaneamente da tutta l'umanità. L'ha scelta di stirpe regale, ma al tempo stesso tra gente povera.

L'ha scelta sin dal principio, sin dal primo momento della concezione, facendola degna della maternità divina, alla quale nel tempo stabilito sarebbe stata chiamata. L'ha fatta prima erede della santità del proprio Figlio. Prima tra i redenti dal suo sangue, ricevuto da lei, umanamente parlando. L'ha resa immacolata nel momento stesso della concezione.

Tutta la Chiesa contempla oggi il mistero dell'Immacolata Concezione e ne gioisce. Questo è un giorno particolare del tempo di Avvento.


3. Esulta di questo mistero la Chiesa Romana e io, come nuovo Vescovo di questa Chiesa, partecipo per la prima volta a tale gioia. perciò desideravo tanto venire qui, in questo tempio, dove da secoli Maria viene venerata come "Salus Populi Romani". Questo titolo, questa invocazione non ci dicono forse che la salvezza ("salus") è diventata in modo singolare retaggio del Popolo Romano ("Populi Romani")? Non è forse questa la salvezza che Cristo ci ha portato e che Cristo ci porta continuamente, lui solo? E sua Madre, che proprio come Madre, è stata in modo eccezionale, "più eminente" (Paolo VI, "Credo"), redenta da lui, suo Figlio, non è forse anche lei - da lui, suo Figlio - chiamata, in modo più esplicito, semplice e potente insieme, a partecipare alla salvezza degli uomini, del popolo Romano, dell'umanità intera? Per condurre tutti al Redentore. Per dare testimonianza di lui, anche senza parole, solo con l'amore nel quale si esprime "il genio della madre". Per avvicinare perfino coloro che oppongono maggiore resistenza, per i quali è più difficile credere nell'amore; che considerano il mondo come un grande poligono "di lotta di tutti contro tutti" (come si è espresso uno dei filosofi nel passato). Per avvicinare tutti - cioè ciascuno - a suo Figlio. Per rivelare il primato dell'amore nella storia dell'uomo. Per annunziare la vittoria finale dell'amore. Non pensa forse la Chiesa a questa vittoria, quando ci ricorda oggi le parole del libro della Genesi: "Questa (la stirpe della donna) schiaccerà la testa del serpente" (cfr. Gn 3,15)?


4. "Salus Populi Romani"! Il nuovo Vescovo di Roma varca oggi la soglia del tempio mariano della Città Eterna, consapevole della lotta tra il bene e il male, che pervade il cuore di ogni uomo, che si svolge nella storia dell'umanità e anche nell'anima del "popolo Romano". Ecco ciò che al riguardo ci dice l'ultimo Concilio: "Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall'origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l'uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l'aiuto della grazia di Dio" (GS 37).

E perciò il Papa, agli inizi del suo servizio episcopale nella cattedra di san Pietro a Roma, desidera affidare la Chiesa in modo particolare a Colei in cui si è compiuta la stupenda e totale vittoria del bene sul male, dell'amore sull'odio, della grazia sul peccato; a Colei della quale Paolo VI disse che è "inizio del mondo migliore", all'Immacolata. Le affida se stesso, come servo dei servi, e tutti coloro che egli serve, e tutti coloro che con lui servono. Le affida la Chiesa Romana, come pegno e principio di tutte le Chiese del mondo, nella loro universale unità. Gliela affida e offre come sua proprietà! "Totus tuus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio. Te in mea omnia!": Sono tutto tuo, e tutto ciò che ho è tuo. Sii tu mia guida in tutto.

Con questo semplice e insieme solenne atto di offerta il Vescovo di Roma, Giovanni Paolo II, desidera ancora una volta riaffermare il proprio servizio al Popolo di Dio, che non può essere nient'altro che l'umile imitazione di Cristo e di Colei, che ha detto di se stessa: "Eccomi, sono la serva del Signore" (Lc 1,38).

Sia questo atto segno di speranza, come segno di speranza è il giorno dell'Immacolata Concezione sullo sfondo di tutti i giorni del nostro Avvento.

Data: 1978-12-08 Data estesa: Venerdi 8 Dicembre 1978


Ai calciatori del Bologna - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Esigenze spirituali nelle gare sportive

Cari giovani sportivi! Sono particolarmente lieto di accogliervi e di dare il mio cordiale benvenuto a voi, giocatori della Squadra di calcio del Bologna, ai vostri dirigenti e ai vostri familiari, che hanno voluto prendere parte a questo felice incontro.

Vi sono grato per questa vostra presenza, che ravviva nel mio animo ricordi incancellabili degli anni trascorsi accanto alla gioventù sportiva, con cui ho vissuto momenti carichi di umana e spirituale letizia.

Voi sapete come i giovani formino l'oggetto della predilezione della Chiesa e del Papa, il quale ama incontrarsi con loro per dare e ricevere entusiasmo e forza, ma voi giovani sportivi occupate un posto particolare, perché offrite, in modo eminente, uno spettacolo di fortezza, di lealtà e di autocontrollo, e ancora perché avete, in maniera spiccata, il senso dell'onore, dell'amicizia e della fraterna solidarietà: virtù queste che la Chiesa promuove ed esalta.

Continuate, carissimi giovani, a dare il meglio di voi stessi nelle competizioni sportive, ricordandovi sempre che l'agonismo sportivo, pur così nobile in se stesso, non deve essere fine a se stesso, ma subordinato alle esigenze, ben più nobili, dello spirito. perciò, mentre vi ripeto: siate bravi sportivi, vi dico anche: siate bravi cittadini nella vita familiare e sociale, e, più ancora, siate bravi cristiani, che sanno dare un senso superiore alla vita, così da poter mettere in pratica ciò che l'apostolo Paolo diceva degli atleti ai cristiani del suo tempo: "Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Pero mentre essi (gli atleti) lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece per una incorruttibile" (1Co 9,24-25).

Con questi sentimenti, esprimo a voi tutti il mio saluto e il mio incoraggiamento, che desidero avvalorare con una speciale benedizione.

Data: 1978-12-09 Data estesa: Sabato 9 Dicembre 1978


Al Movimento Apostolico Ciechi - La luce della carità fondata sulla fede

Figli carissimi.

Esprimo anzitutto la mia gioia sincera nell'incontrarmi oggi con voi, Consulenti ecclesiastici, Consiglieri nazionali, Delegati missionari degli oltre sessanta gruppi diocesani del "Movimento Apostolico Ciechi", che celebra in questi giorni il cinquantesimo della sua fondazione.

Alla mia gioia si unisce un vivo compiacimento per le benemerenze che il Movimento si è acquistate in questi lunghi anni, ritmati dal sacrificio silenzioso, dall'impegno serio, dalla dedizione costante al fine di spronare e aiutare i fratelli non-vedenti - bambini, giovani, anziani - ad inserirsi in maniera personale e responsabile nella vita della Chiesa e della società civile, a maturare interiormente il proprio itinerario con Cristo, ad offrire una testimonianza esterna, coerente e limpida, della propria professione di fede nel messaggio evangelico.

E la bontà e la fecondità della vostra multiforme attività hanno avuto la loro conferma nell'esigenza insopprimibile di espandere e dilatare altresi le vostre iniziative a favore dei non-vedenti del Terzo Mondo: da dieci anni il vostro Movimento ha - possiamo dire - impiantato delle piccole stazioni missionarie nel Brasile, nella Guinea Bissau, nell'Impero Centro Africano, nel Kenya, nel Sudan, nella Tanzania, nell'Uganda, vale a dire, in particolare, nella grande Africa. Bravi! Veramente bravi! Ho letto con profonda commozione le relazioni contenute nella vostra bella rivista.

Questo mio e vostro sguardo verso il passato è certamente motivo di compiacimento e di soddisfazione; ma occorre guardare anche e soprattutto al futuro: milioni di sorelle e fratelli non-vedenti in tutto il mondo attendono da noi se non il prodigio della guarigione, la comprensione, la solidarietà, l'affetto, l'aiuto; in una parola, la nostra autentica carità, fondata sulla fede.

Ed è proprio questa fede che deve operare in noi mediante la carità, (cfr. Ga 5,6) come ci avverte san Paolo. Tenete ben presente la raccomandazione di Gesù: "Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,14).

Continuate con entusiasmo, con impegno questo vostro lavoro apostolico.

Non vi lasciate abbattere dalle difficoltà o dallo scoraggiamento. Mi piace riferire a voi le parole, così attuali, che sant'Ignazio, Vescovo di Antiochia, martirizzato a Roma verso l'anno 107, rivolgeva ai cristiani di Efeso: "Come l'albero si conosce dai suoi frutti, così coloro che si dicono discepoli di Cristo si conosceranno dalle loro opere. Oggi non è questione di professare la fede con le parole, ma è necessaria la forza intima della fede viva ed operosa per essere trovati fedeli fino alla fine" ("Epistola agli Efesini", XIV, 2).

Su voi, su tutti i membri del Movimento, su tutti i non-vedenti invoco la grazia, la forza e il conforto di Cristo "luce del mondo" (cfr. Jn 1,5 Jn 1,9 Jn 3,19 Jn 8,12, 9,5: Jn 12,46), e imparto di gran cuore una speciale benedizione apostolica.

Data: 1978-12-09 Data estesa: Sabato 9 Dicembre 1978


A un gruppo di lavoratori cristiani - Il diritto al lavoro e alla giustizia sociale

Carissimi fratelli e sorelle, lavoratori e lavoratrici della Montedison, della Società Alfa-Romeo, della Pirelli, del "Corriere della Sera", e di altre Società ancora, appartenenti ai "Gruppi di impegno e presenza cristiana".

Siate i benvenuti nella casa del Padre comune!


GPII 1978 Insegnamenti - Al Cardinale Egidio Vagnozzi - Città del Vaticano (Roma)